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Autore: Ever Lights    28/04/2013    3 recensioni
«Bella, io sono davvero cambiato, credimi.», farfugliò confuso, e si sarebbe anche inginocchiato davanti a me se non avesse tenuto così tanto al suo orgoglio.
«Mi dispiace, ma è troppo tardi.»
Mentalmente, chiusi dietro a un portone tutti i ricordi che avevo con lui. Li imprigionai dietro alle sbarre, li cancellai e feci di tutto per eliminarli. Dovevano sparire, così come doveva farlo lui.
«Non ho più tempo per tutto questo. Non fai più parte della mia vita da quel giorno.»
Mi allontanai, lasciandolo lì. Presi fra le braccia mia figlia, la mia unica ancora di salvezza, e non mi guardai più indietro, chiudendo definitivamente quel capitolo della mia vita che tanto mia aveva fatto male e che ora non meritava nemmeno di essere considerato.
Sarei stata meglio, ne ero sicura, se lui fosse scomparso per sempre, lasciandomi finalmente vivere come avrei dovuto fare da sempre.

A Simona, Bianca, Camilla e Aurora. Loro sanno il perchè.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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One Step Closer


One Step Closer
Capitolo due: Ricominciare a respirare.



Io ero la persona più cinica della Terra quando si parlava di cambiamento. Non avevo mai creduto che le cose potessero modificarsi a mio favore e girare finalmente per il verso giusto.
Dopo quello che era successo con Sam, dopo le piccole disavventure che avevo vissuto nella gravidanza, la nascita di Evelyn e i primi anni complicati di convivenza con il rapporto madre-figlia non avevo più pensato che i fatti tornassero a posto.
Gandhi diceva: «Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere.» Quindi per me l’unico modo per arrivare davvero a ciò che desideravo dovevo prima cambiare… Ma qual era il mio obbiettivo? Ripensandoci, non me n’ero prefissato uno. Forse la pace dei sensi, forse il poter vivere finalmente una vita normale con mia figlia e darle tutto l’amore che potessi donarle… O probabilmente neanche quelle erano delle mete. L’essere indecisa non mi aveva mai portato a decisioni definitive ma solo a idee e supposizioni, che nella vita di oggi non servono a nulla, solo a mandarti sulla strada errata, a farti sbagliare e a farti rendere conto troppo tardi del tuo malinteso.
Erano giorni che riflettevo su questo: perché non l’avevo mai capito prima? Cosa era successo che mi aveva fatto aprire gli occhi?
Tutto era sempre uguale, le giornate passavano con la loro monotonia… o quasi. C’era solo una cosa che mi aveva fatto cambiare idea.
Quel portachiavi. Quel piccolo cuore con un incisione che avevo rubato a quel ragazzo tanto bello quanto in gamba che era il mio nuovo collega, Edward. Da ormai una settimana abbondante rimanevo ore a fantasticare osservandolo nelle sue azioni, ad esempio quando andava in pausa caffè e arrivava alla macchinetta, e per puro caso anche io ero lì…
Mi sentivo una stalker, anzi lo ero, eppure non riuscivo a farne a meno. Edward mi affascinava...
Forse il mio comportamento non si addiceva a una persona matura, madre di una bambina, eppure avevo provato a smetterla con questa cattiva abitudine, e ovviamente ogni mio tentativo fu invano.
Così, di nuovo, quella mattina mi ero ritrovata ancora a fissarlo svolgere le sue normali mansioni nell’ufficio, con quell’espressione seria e professionale in viso. Ben poche volte alzò lo sguardo, e solo una volta si scontrò con il mio, facendomi arrossire violentemente e distogliere gli occhi dai suoi, facendolo sorridere.
E il suo sorriso era bellissimo: una schiera di denti perfetti bianchi e dritti, le labbra incurvate in un ghigno sghembo davanti alla mia goffaggine.
Per tutto il turno ero rimasta mezza imbambolata, abbagliata dai suoi occhi… Un tipico atteggiamento da adolescente. Dio, sembravo tanto una ragazzina con gli ormoni sparati a mille: non riuscivo a fare nulla senza ripensare al suo viso e rabbrividire.
Sospirai così rumorosamente che Evelyn, sdraiata sul tappeto a fare un disegno, si voltò verso di me.
«Che c’è, mamma?»
Venni riportata alla realtà dalle sue parole cristalline e scossi il capo, rivolgendole un sorriso per tranquillizzarla. «Va tutto bene, amore.»
Si alzò e si sedette vicino a me, per poi appoggiare il capo sul mio grembo. «Cosa stavi guardando?»
«Nulla, pensavo, tesoro.»
«A cosa?»
Ogni giorno che passava quella bambina aumentava le sue domande…
«Al fatto che dovrebbe arrivare Angela fra poco…»
Evie annuì poco convinta per poi iniziare a tossire prepotentemente. Erano due giorni che non andava all’asilo per quell’inizio di influenza. Il pediatra aveva detto che aveva le difese un po’ basse, ma era normale data la stagione, ma questo non voleva dire nulla. Evelyn aveva un normale raffreddore con un principio di bronchite, malanni comuni, eppure il mio cuore da mamma si preoccupava tantissimo quando lei stava male, e diventavo apprensiva.
«Ti fa tanto male la gola? Vuoi dello sciroppo?»
«No, mamy. Voglio solo delle coccole.»
Sorrisi e la strinsi a me, cullandola e infischiandomene se avesse potuto attaccarmi i batteri. Col avvicinarsi delle feste, trovavo tutti i meccanismi per poter passare più tempo possibile con mia figlia, cosa non facile per via del lavoro. In più, per riuscire a portare a casa qualche soldino in più, per le feste, per i regali, ma soprattutto per me e Evie, avevo trovato un piccolo posto al sabato in una libreria, ma era cosa di poche ore, due o tre, quindi poco impegnativa; riuscivo così a unire il lavoro con la mia passione dei libri.
Mentre pensavo ai regali per Evelyn, il campanello suonò, e mia figlia schizzò via dalle mie braccia, pronta ad aprire la porta.
«Dovrebbe essere Angela.», mormorai e guardai dallo spioncino. Ovviamente, le mie supposizioni non furono errate. Lasciai che mia figlia abbassasse la maniglia – adorava farlo, il motivo mi era ancora sconosciuto – e feci entrare Angy, che aveva un sorriso a trentadue denti stampato in faccia.
«Ma buongiorno!» esclamò, allungando le braccia verso di Evelyn, che non se lo fece ripetere due volte e saltò addosso a Angela.
Il rapporto fra quelle due scalmanate si rafforzava ogni giorno che passava: la ragazza adorava mia figlia, si divertivano sempre assieme… Però, sinceramente, chi riusciva a non resistere a Evelyn?
Okay, forse ero poco modesta, ma la mia bambina aveva il potere di incantare tutti con quei suoi occhioni e il suo viso paffuto, e anche Angela era stata colpita.
«Come sta questa principessa?», chiese, passandomi Evie fra le braccia.
«La principessa stanotte ha avuto la febbre.», commentai, mentre andavamo in cucina. «E ha pensato bene di far rimanere la mamma sveglia tutta la notte.»
«Sul serio?» Evelyn nascose il viso fra i miei capelli e scoppiai in una grassa risata.
«Sembro un mostro, e stasera c’è anche la cena… Santo cielo.», borbottai, mentre servivo il pranzo. Rimanemmo in silenzio, solo ogni tanto la bambina faceva qualche capriccio, probabilmente portato dal sonno, data la nottata in bianco.
Fissavo Angela che mangiava guardando Evelyn. I suoi occhi e il suo sorriso luccicavano, riuscivo a intravedere tutta la gioia e l’affetto che provava nei confronti della bimba. Chissà se anche io ero così quando fissavo la persona più importante che avevo…
Dopo pranzo, lasciai il piacere a Angy di mettere a letto Evie per il pisolino quotidiano, mentre io mi occupavo di rassettare un po’ la casa, per quanto possibile. Sembrava un campo di battaglia, c’erano giochi ovunque… Avrei dovuto fare qualcosa, lo sapevo, ma più riprendevo mia figlia e più lei si divertiva a farmi uscire di testa. Renée diceva che mi assomigliava, anche io da bambina avevo un bel caratterino, e quindi non c’era da stupirsi se in qualche modo Evelyn era così: i geni erano quelli, da qualcuno avrebbe pur dovuto prendere.
Ad un certo punto, spinta da chissà quale intenzione, ripresi dal cassettino del mobile del salotto il portachiavi rubato. Ritornai a fissarlo, persa nei miei stessi pensieri. Tutte le sfaccettature di quel cuore di chissà quale materiale sembravano fatte a posta per combaciare con il palmo della mia mano.
Mi affacciai alla finestra, continuando a rimirarlo, e un raggio di sole colpì l’oggetto, che rifletté la luce producendo giochi di colore incredibili. Tanti piccoli prismi si proiettarono sul pavimento, sui mobili, sul mio corpo, tanti piccoli arcobaleni luminosi.
Non era un gingillo da poco, era cristallo, Swarovski, esattamente come quel piccolo ciondolo che portavo al collo, il pendente, con quell’iniziale, che mi avevano regalato i miei genitori e Jacob alla nascita di Evelyn.
«È crollata!» Sussultai alle parole di Angela, che si scusò per avermi spaventata. In una frazione di secondo, nascosi il portachiavi affinché non lo notasse, ma conoscendola se ne sarebbe accorta, o almeno mi avrebbe chiesto che cosa non andava.
«Meno male, almeno si riposa un po’…», commentai, sedendomi accanto a lei sul divano.
Rimanemmo per un lungo minuto in silenzio, senza scambiarci uno sguardo, fino a che non lei sospirò.
«Sai… Edward ha perso una cosa.»
Aggrottai le sopracciglia, fingendomi sorpresa e preoccupata, sebbene sapessi a che cosa si stava riferendo. «Davvero?»
«Già. È un oggetto a cui tiene molto, sono giorni che lo cerca e sta uscendo pazzo. Mi chiedevo se tu ne sapessi qualcosa.»
Bingo.
«N-no…», finsi, ingoiando il groppo che mi si era formato in gola. «Non ne sapevo nulla.»
Mi guardò di sbieco, provando a capire se davvero stessi dicendo la verità – ovviamente no, e sbuffò. «Ha setacciato l’intero ufficio, l’ha messo sottosopra, eppure non sbuca fuori ciò che cerca.»
«Non ha detto di cosa si tratta?»
Scosse il capo. «Purtroppo no, ma se lo facesse renderebbe le ricerche più semplici, in qualche modo. Ma vuole fare a modo suo, è un testone…»
Risi appena e mi rivolse un’occhiata. «È strano. Insomma, se fosse qualcosa di veramente importante, varrebbe la pena di comunicarcelo.»
Annuii e lei continuò. «Siete simili, sai?»
«Eh?»
«Sul serio, Bells.», mormorò, guardandomi intensamente. «È come se voi due foste la stessa persona, ma in due corpi diversi. Due testardi, tenaci e sicuri di sé, forti…»
Abbassai lo sguardo, leggermente sconcertata, per non far notare quanto le sue parole trapelassero la verità. Forse Angela aveva colto nel segno quello che ormai da una settimana cercavo di nascondere: Edward mi piaceva, molto. Era come se il suo sguardo fosse stato un magnete che attirava i miei occhi, come se ogni suo movimento fosse lo specchio dei miei. Era assurdo, ogni cosa era assurda: il mio comportamento in quella settimana, oltretutto, si era modificato in maniera stupida, come se tutto ora girasse attorno a quel ragazzo. Assurdo, anche quello.
«E sai… Non provare a nasconderlo.»
«Di cosa stai parlando?», domandai sottovoce, facendo scrocchiare le nocche.
«Avanti, non fare la finta tonta.», sorrise, carezzandomi la guancia. «Edward, ti piace. E tanto. Lo si vede da come arrossisci quando si parla di lui, come lui ti guarda in ufficio, come ti comporti in sua presenza. Sei diversa, stai cambiando, per lui.»
Sospirai. «Lo so, è stupido. È una cosa da adolescenti.»
«È una cosa intensa, invece. Vuol dire che nonostante quello che hai provato tanti anni fa, sei ancora capace di far battere il tuo cuore così forte per una persona. È un buon segno.»
«Lo dici solo perché sei mia amica.»
«Lo dico perché sono sincera, Bells. Se non lo fossi, ti avrei detto che sì, è sciocco comportarsi così, ma non l’ho fatto, perché credo in te, e so che puoi affrontare questa situazione.»
«E in che modo? Insomma, ci conosciamo da troppo poco, e chiedergli di andare a prendere qualcosa al bar è eccessivo.»
Lei sorrise. «Invece secondo me è un ottimo inizio.»
Corrugai la fronte, pensando se davvero stesse dicendo sul serio. «Scusa?»
«Un caffè al bar, due chiacchiere e lo scambio dei numeri: il tipico inizio di una grande storia d'amore.»
«Devo forse ricordarti che non siamo in un film?», borbottai e Angela rise. Evidentemente mi stava prendendo in giro.
«E tu che ne sai? Magari può bastare uno sguardo d'intesa e lì nasce tutto!»
Presi svogliatamente il telecomando della tv, accendendola. «Contenta te...»
«Eh no, devi esserlo tu! E poi stasera c'è anche lui alla cena, e quindi...»
Le lanciai un'occhiata, e lei prese a fischiettare. «Stai scherzando.»
«Ehm.. No. Sono serissima, io. È stato invitato anche lui, o meglio mi è stato proposto, e mi è sembrato carino aggiungerlo.»
Mi alzai di scatto, fissandola guardinga. «Perfetto, allora non vengo.»
Angela sbuffò rumorosamente, sprofondando nello schienale del divano. «Ma che palle!»
«No, lo dico io! Potevi avvertirmi?»
«Ma è una normalissima cena fra colleghi! Non ti mangerà, tranquilla. Cosa ti costa venire? Oltretutto paga l'azienda!»
«Non è per i soldi che mi dà fastidio, ma il fatto che tu non mio hai avvisato che sarebbe venuto pure Edward! E ora, cosa faccio?»
Alzò le spalle, senza levarsi dal viso quel sorriso compiaciuto. «Molto semplice: vieni.»
«Bastarda.», sibilai e in quel momento suonò il telefono. «Continuiamo dopo.»
Lo squillare si propagò ben presto nel salotto e quando risposi mi fischiavano le orecchie. «Pronto?»
«Ciao, tesoro, sono mamma
«Oh, ciao, mamma. Che succede?»
Lei dall'altra parte tossì. «Odio doverti avvisare così in ritardo, ma stasera non possiamo prendere Evelyn
«Cosa? E perché?»
«Tuo padre ha la febbre, e dato che Evie è appena uscita dall'influenza non mi pare il caso di esporla nuovamente
Perfetto. E adesso?
«Eh? Mamma, io stasera ho la cena con l'azienda, come faccio ora? Jacob è fuori città e non posso assolutamente disdire il mio appuntamento!»
Renée sospirò. «Tesoro, pensi che non mi dispiaccia? Sono io la prima che si sente in colpa perché sta rovinando i tuoi piani, ma preferisci che Evelyn prenda di nuovo la febbre, o trovare un'altra soluzione?»
Come sempre, mia madre riusciva a essere molto più razionale di me. Le difficoltà, lei, le superava sempre nei modi migliori, senza andare in escandescenze.
«Okay... Vedrò... che posso fare.», sussurrai, pensando già a possibili risoluzioni.
«Scusami, tesoro, ma è per il bene di Ev. Vi vogliamo bene.»
«Sì, anche noi.»
Quando attaccai la cornetta, sentii il fumo uscirmi dalle orecchie come nei cartoni animati. Giusto perché la giornata non era iniziata nel migliore dei modi, serviva qualcosa per peggiorarla.
«Che succede?», chiese Angela quando tornai in salotto. Avrei voluto rompere qualcosa o picchiare qualcuno, ma mi sedetti solamente accanto a lei, respirando profondamente.
«Non ho nessuno che mi guardi Evelyn stasera, e non so cosa fare.»
Angy mi guardò, sollevando un sopracciglio. «Jacob?»
«È fuori città, purtroppo...»
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, fino a che lei al mio fianco non sobbalzò e si girò verso di me. «Ho un'idea!»
«Cioè?» I suoi occhi brillarono per un secondo e sul suo volto comparve un sorriso radioso.
«Puoi portarla alla cena.»
In un istante, presi a ridere istericamente, perché per lei era una cosa ovvia, ma non per me. «Sai cosa vuol dire portarla ad una cena? Finirò per sgridarla in bagno perché combinerà qualcosa.»
«Cosa combinerò?»
Ci girammo in contemporanea a quella voce e trovammo, accanto all'ingresso, Evelyn con gli occhietti ancora appiccicati dal sonno.
Mi avvicinai a lei, chinandomi all'altezza del suo viso. «Ehi.»
Si arrampicò fra le mie braccia, baciandomi le guance. «Che succede?»
In quel momento, presi alla lettera la proposta di Angela, senza sapere un perché. Era l'unica opzione rimastami, dopo disdire il mio posto alla cena, ma era importante per me e per la mia carriera.
Ritornai sul divano con mia figlia che mi fissava con sguardo interrogativo. Si girò verso Angela, come per chiedere cosa stesse accadendo, ma non ottenne risposta. «Mamma?»
«Tesoro, ora mi devi ascoltare bene, ok?», le dissi con voce dolce e rassicurante e lei annuì sicura, sebbene nei suoi occhi potessi vedere tutta la sua preoccupazione.
«Purtroppo stasera nonno e nonna non possono venire.»
Sgranò gli occhi. «Perché?»
«Perché il nonno non sta bene, e quindi pensavo...»
«Cos'ha il nonno?», chiese allarmata e le carezzai amorevolmente i capelli. «Solo un po' di febbre, ma gli passerà. Comunque, stavo dicendo che pensavo di portarti con noi...»
Mi aspettai un suo capriccio o lacrime a non finire, poiché per lei le cene di lavoro erano una vera e propria tortura, e dopo le due precedenti esperienze, avevo deciso di lasciarla con i miei genitori. Invece mi sorrise, e batté le mani. «Davvero?»
«Certo, amore.», sussurrai e fui felice della sua reazione. Subito corse in camera sua, urlando come un'aquila e io e Angela non potemmo trattenere le nostre risate.


«Ho cinque vestiti, ora dovete dirmi con quale sto meglio.»
Per un'ora abbondante, se non di più, avevo cercato un abito abbastanza elegante, ma ovviamente non avevo trovato qualcosa di indicato.
Mi maledetti più volte mentalmente, dandomi costantemente della stupida perché, sebbene sapessi della cena, non avevo preparato nulla per l'occasione... Brava, Bella.
«Sono uno peggio dell'altro...», borbottò Angela, con sguardo disgustato. Gli occhi di Evelyn vagarono un po' sui tessuti, per poi adagiarsi sui miei. «Ma mamy, non puoi mettere il vestito con i fiorellini?»
Ridacchiai e le carezzai i riccioli. Beata innocenza, dopotutto lei cosa poteva saperne?
«Va be', facci vedere.», disse Angy, dandomi una bonaria pacca sul braccio.
Provai un abito dopo l'altro, ascoltando le critiche di Angela e di mia figlia.
«Sembri una carota gigante.»
«Ti fa grassa.»
«Sembra che tu non abbia tette.»
«Hai ventiquattro anni e con questo vestito ne dimostri cinquanta, che tristezza.»
Ovviamente, me lo aspettavo. Okay, forse avevo – e ho ancora adesso, un pessimo gusto nel vestire, ma Angela non poteva dire che sembravo una cinquantenne... O era seria?
«Ma se io dicessi che ho la febbre e non mi presentassi?»
Lei sbuffò, coprendosi il volto con le mani. «Ma se solo tu cercassi meglio in quell'armadio e trovassi qualcosa?»
Stavo leggermente andando nel panico: in poche ore, i miei piano si erano trasformati in fumo. I miei genitori non sarebbero venuti a prendere Evelyn, io non avevo qualcosa di elegante da mettermi, Angela non mi dava una mano e le lancette dell'orologio sembravano rintoccare così forti da rimbombarmi in testa, facendomi così capire che non avevo tutto il tempo del mondo, né potevo fermarlo per un po'.
«Ascoltami: tu cerchi qualcosa, io faccio il bagnetto alla peste; poi ci invertiamo, tu ti fai la doccia e io vesto Evie, d'accordo?»
Annuii, senza ascoltare una singola parola di quello che disse: ero diventata sorda, totalmente persa nei miei pensieri. Ero in una situazione scomoda e quasi ingestibile; per un secondo, avrei voluto tornare indietro e disdire il mio posto alla cena, così sarei rimasta a casa con mia figlia... E invece non avevo pensato a quello che sarebbe potuto succedere, come al solito, d'altronde.
Pensai a tutti i vestiti rinchiusi nell'armadio, alla polvere, che avevo comprato mesi e anni prima, nella speranza di poterli indossare un giorno, che non era mai arrivato.
Per lo più, la maggior parte li avevo acquistati qualche mese dopo la nascita di Evelyn, per potermi riprendere dall'abbandono, come se l'uso del denaro fosse stato una medicina qualunque. Ma mi sbagliavo, perché non avrebbe mai funzionato, e così tutti quei soldi furono sprecati...
Fra i tanti involucri di plastica nella cabina, dove mi persi e tossii più volte, scovai un vestito blu, poco invernale, ma molto elegante e fine... Strano, di solito tutto ciò che era blu lo indossavo senza problemi, in molti mi avevano detto che era un colore adatto a me...
Dal bagno, giungevano le risate di Evie e Angy, con qualche filastrocca e lamento che accompagnava il tutto. Per Angela doveva essere stata un'impresa fare il bagnetto a quella peste... Già per me, che ero sua madre e che la accudivo da quasi sei anni, era complicato farla stare buona per quei venti minuti, il tempo di insaponarle il corpo e lavarle i capelli, figuriamoci per Angy, che non aveva figli e che, di certo, non era allenata.
Mentre provavo l'abito e mi specchiavo nel grande specchio a muro, ripensai a quanti anni potessero essere passati sopra quella fodera di plastica che lo aveva custodito per così tanto tempo. Più che altro, quanti ricordi fossero trascorsi all'insegna del passare dei giorni, dei mesi e degli anni, per giunta.
In quegli ultimi attimi di solitudine, provai l’abito, sperando mentalmente che mi entrasse nonostante i chili presi; fortunatamente, la zip sulla schiena si chiudeva, e niente da dire sul fatto che il tessuto blu, così liscio e perfetto – quasi mi maledetti da sola per non aver mai messo quel vestito, mi ricadesse sui fianchi senza una piega storta o qualche gobba.
«Mammina, noi abbiamo…»
Mi voltai nello stesso istante in cui Angela rientrava nella stanza tenendo per mano mia figlia, avvolta nell’accappatoio rosso, con i piedini scalzi e gocciolanti.
«Sei bellissima, mamma!» Gli occhi di Evelyn si illuminarono e il sorriso sul suo volto si espanse ancora di più, fin quasi ad arrivare ai lobi delle orecchie.
«Cavolo, Bells, stai da favola! Si può sapere perché non l’hai mai messo?» Angela mi fissava sbalordita, con la bocca semi spalancata e gli occhi fuori dalle orbite… Ovviamente, fu una reazione decisamente troppo eccessiva.
«Non ricordavo di averlo nell’armadio… In realtà non ne conoscevo neanche l’esistenza.», ammisi, guardandomi allo specchio. Più rimiravo la mia immagine, più capivo che sarei stata bene vestita in quel modo. Forse non era proprio indicato per la stagione, ma di sicuro non avrei avuto freddo, dato che contavo di inseguire Evie per tutta la serata.
«Sei bella bella, mamma. La mamma più bella che abbia mai visto.», sussurrò al mio orecchio Evelyn, con un sorrisino compiaciuto.
I miei occhi rispecchiarono del tutto il mio animo, ossia quello di una madre commossa davanti a sua figlia. «Sei la bambina che tutti vorrebbero avere, amore mio.»


Ogni secondo che passava, la mia paura e la mia impazienza aumentavano, e i livelli di saturazione salivano così tanto che ogni volta mi sembrava di essere a un passo dal limite, ma non succedeva mai.
Angela guidava con calma per le strade deserte che portavano a Londra. Era da tanto che non andavo, presa com’ero da vari impegni, e quella sera tutte le luci erano illuminate, le strade sembravano coperte da specchi tanto erano lucide per la recente nevicata; non c’era nessuno, poche automobili circolavano in quel momento. Il sole era tramontato da un’ora abbondante, ma il cielo continuava a essere tinto di una sfumatura violacea che faceva intravedere all’orizzonte nuvoloni neri e spessi, portatori di pioggia.
«Quanto manca?» Evelyn si sporse verso di me, con quel suo sguardo assonnato e perso. Per lei era un grande sacrificio passare la serata a cena fuori con gli amici della mamma anziché rimanere sul divano a guardare la TV con Jacob, ma a mali estremi, estremi rimedi, si sapeva benissimo.
«Siamo quasi arrivati, cucciola, stai tranquilla.» Le carezzai i capelli ricci raccolti nei codini, cercando di non disfare quell’acconciatura così intricata per noi da mantenere anche solo per poco tempo.
«Uff, va bene, ma io mi sto annoiando.», borbottò, ricadendo dentro il seggiolino. Fissava fuori dal finestrino, i suoi occhietti seguivano senza fine le luci dei lampioni, brillavano di tutte quelle sfumature, quasi come quelle lucine che si appendono all’albero per Natale.
«Chiudi un attimo gli occhi, riposati un pochino, così quando arriviamo sei bella arzilla.», le sussurrai, carezzandole una gamba. La vidi annuire ma non mi diede molto ascolto, e nel giro di pochi secondi era già bellamente andata nel tanto agognato mondo dei sogni.
«Sei preoccupata?», mi chiese Angela dopo qualche minuto, non trovando un argomento per conversare.
Feci spallucce, come a sminuire una cosa troppo grande per essere gestita tutta in una sera. «Un po’, ma è normale, no?»
Sorrise. «Ma sei preoccupata per via del fatto che Evelyn possa combinare qualche disastro… O sei preoccupata perché c’è anche Edward?»
Ahia.
Presa in pieno, bingo.
Arrossii violentemente e sperai che, attraverso l’oscurità della sera, Angela non notasse quel piccolo particolare, ma ovviamente non fu così.
«Ho indovinato?» Sul suo viso comparve un sorriso vittorioso, e dovetti trattenermi per non metterle le mani intorno al collo dato che riusciva sempre e comunque a capire cosa mi passava per la testa.
«Non è possibile che indovini sempre.», confabulai esasperata, incrociando le braccia al petto. «Sì, sono agitata perché c’è Edward. Non ho la minima idea di quello che pensa di me, e non so cosa farà quando vedrà che ci sarà mia figlia…»
«Pensi di interessargli?», domandò Angy, girandosi verso di me. «Insomma… voglio dire, interessato nel senso…»
«Sì, sì, ho capito. Comunque non so, in ufficio non è che si interessi così tanto di me… Non che io lo voglia, sia chiaro, ma ogni tanto spero che si giri anche solo perché i nostri occhi si incrocino…»
A quelle parole, mi accorsi di quanto fossi stupida e adolescenziale, così mi coprii il viso con le mani, ridendo. «Dio, ma quanto sono ridicola?! Mi faccio pena da sola.»
Ma Angela, evidentemente, non la pensava allo stesso modo: mi fissava torva, non ridacchiava né un sorriso aveva fatto capolino sul suo viso.
«Perché dovresti essere ridicola?» La sua voce era rigida, piatta, colma di severità. «È davvero questo quello che pensi?»
Abbassai il capo, mordendomi la lingua. «Sinceramente non lo so nemmeno io. Sai come mi sento io quando lui è anche solo a cinque metri da me, quindi…»
«Secondo me lui corrisponde i tuoi sentimenti.» Sembrava così sicura di sé, totalmente il contrario di… me. «Poi ovviamente non posso entrare nella sua testa, ma per me è così.»
Parcheggiò davanti al ristorante, non dicendo nient’altro. Io non toccai più il discorso e mi girai per slacciare le cinture a Evelyn, che aveva aperto gli occhietti.
«Amore, la mamma deve chiederti una cosa.», sussurrai, prendendola in braccio e aggiustandole il vestitino e i capelli. «È una cosa molto importante.»
Posò la mano sul mio viso, sorridendo. «Dimmi…»
«Per mamma stasera è una serata molto importante, ma veramente tanto tanto. Quindi volevo che mi facessi una promessa… Sei d’accordo?»
Annuì. «Allora mi devi promettere che farai la brava e non mi farai arrabbiare, okay?», le baciai i capelli e la posai a terra, tenendole sempre la mano affinché non cadesse.
«Te lo prometto, mammina.» Nelle sue parole percepii tutta la verità che trapelavano, e non era la prima volta che succedeva.
Entrammo nel locale, avvolto da note di musica classica che si perdevano nel vocio confuso dei clienti; oltrepassammo un corridoio a vetri che dava sul giardino, pieno di laghetti e stagni. Evie rimase rapita dalle cascate poste tra le piante nella stanza e dovetti richiamarla per non doverla trascinare.
Il nostro capo, il superiore di Angela, aveva fatto riservare un’intera sala solo per il nostro gruppo; tutti erano già presenti ma ancora non avevano preso posto e chiacchieravano ridendo, sembravano tutti così tranquilli…
Ripensai alle parole di Angy e nel mio stomaco si moltiplicarono le farfalle, e fu così fino a quando non incrociai l’uomo dagli occhi di smeraldo, e lì cominciai a sudare e tremare.
Strinsi di più la mano di Evelyn, tenendola salda e cercando di trovare conforto e coraggio in mia figlia, così piccola e fragile.
Respira, Bella. Respiri lunghi e profondi.
Si avvicinò a me sorridendo e ogni mio muro crollò, compresa la mia autostima. Le ginocchia tremavano incredibilmente e…
Al diavolo le emozioni.
«Ciao.»
La sua voce arrivò amplificata nelle mie orecchie, mandando così in subbuglio i miei neuroni e sterminandoli.
«Ciao…», risposi, carezzando le spalle di Evie, che guardava Edward da lì sotto.
«Oggi… Non c’eri in ufficio.», disse, scricchiolandosi le nocche. Annuii, le mie mani continuavano a sfiorare i capelli di mia figlia. «Sì, ho… avuto qualche impegno.»
«Mamma?» Abbassai il capo e vidi Evelyn stendere le braccia verso il mio viso, segno che voleva essere presa in braccio.
Mi chinai alla sua altezza, mentre Edward ci guardava confuso. «Dimmi, amore.»
La bambina si girò verso l’uomo, con sguardo corrucciato. «Chi è lui?»
Risi della sua espressione e diedi un’occhiata verso il mio collega che sorrise. «Lui è un amico della mamma, si chiama Edward.»
Ed si piegò sulle ginocchia per poter veder meglio mia figlia. «Ehi.»
Evelyn, così uguale a me, si nascose tra le mie gambe, arrossendo. «Ciao…»
«Come ti chiami?» Le porse una mano, sperando che lei l’afferrasse lasciando così andare le mie gambe. Secondo i miei presupposti, fu facile ammaliare la mia bambina, perché subito si staccò da me e si affacciò verso l’uomo, con quel sorriso così dolce e tremendamente timido.
«Evelyn.», sussurrò, mordicchiandosi il labbro. Edward si voltò verso di me, stupito. «È tua figlia?»
«Sì…», ammisi e le mie guance presero fuoco. Perché? Perché mi vergognavo a dire una cosa del genere? Mia figlia era uno dei più grandi doni che mi fossero mai capitati, era grazie a lei se ero riuscita a tirare avanti.
Per il resto della cena non incrociai più lo sguardo di Ed, provai a pensare ad altro, la mia mente doveva girare su altri argomenti a parte a quello del mio collega.
«Mamma?»
Mi voltai verso Evie, che mi fissava con aria stufata. «Che succede, cucciola?»
«Mi sto annoiando.», sbuffò, facendo oscillare le gambe sotto il tavolo. «Posso alzarmi?»
«Abbiamo quasi finito, amore.», sussurrai e le carezzai i capelli che ormai si erano sciolti dall’acconciatura. «Qualche minuto e poi puoi andare.»
«Se vuoi la posso portare con me.»
Sobbalzai sorpresa a quella voce che proveniva dalle mie spalle, e quando mi girai vidi Edward che si stringeva nelle spalle.
Non vorrai mica dare tua figlia a un quasi perfetto sconosciuto?
«Devo uscire a fumarmi una sigaretta, tanto sono qui sul balconcino. Vengono anche Matt e Ophelia.»
Gli occhi di Evelyn brillavano in un modo tale che sembravano quasi scongiurarmi di lasciarla andare.
Sospirai. «D’accordo, però non far arrabbiare, tesoro.»
Evie trotterellò via con Edward e intravidi le loro mani intrecciarsi, e il mio cuore perse un battito.
Per il resto rimanente della conversazione, catturai poche parole, tanto ero presa dal pensiero di mia figlia con quell’uomo.
Cosa vuoi che possa succederle? È al sicuro, a pochi metri da te.
Lanciavo occhiate sfuggenti oltre i vetri che dividevano il balcone dalla sala; vedevo mia figlia saltellare e danzare davanti agli occhi di Ed, che era chinato contro la ringhiera e che la osservava rapito, con un sorriso sulle labbra.
«Bella?» Angela posò una mano sulla mia spalla, come per calmarmi. «Stai tranquilla, è lì, con Edward, non le accade nulla.»
Respiri profondi.
«Lo so, Angy, ma è mia figlia, è naturale che…»
«Tu rilassati, okay?» Si sedette più comodamente, come a farmi capire che non c’era bisogno di preoccuparsi così tanto.
Quando finirono di parlare, scattai in piedi e raggiunsi il porticato all’aperto, stringendomi per bene nel cappotto.
Evelyn stava parlando vivacemente con Ed, che l’ascoltava come se stesse facendo uno dei più importanti discorsi del mondo.
«Amore?»
Il mio richiamo la fece voltare e mi sorrise. «Sì?»
«Cosa stai combinando?»
Ridacchiò e tornò a guardare Edward, che era talmente rapito da lei che solo in quel momento si accorse di me.
Rapido, si rimise in piedi, mentre Evie fu attratta da qualcosa che proveniva da dentro, probabilmente Angela aveva fatto in modo che rientrasse. «È terribile, scusami.»
«Terribile?» Sgranò gli occhi, quasi impressionato. «È una bambina… Sbalorditiva, non ho mai visto niente del genere.»
«Devo prenderlo come un complimento?», scherzai e quando sentii la sua risata qualcosa dentro di me si scatenò, il mio stomaco si contrasse, le farfalle sbatterono le ali più velocemente.
«Non pensavo avessi una figlia...», mormorò imbarazzato. Feci spallucce. «Sì, ma è una storia lunga.»
«Quanti anni ha?», domandò e quando glielo dissi, lo vidi ragionare mentalmente, dandomi chissà quale età, dato che non lo sapeva.
«Lo so che è strano.», borbottai, fissando l’oscurità, cercando una luce oltre essa. «Nessuno se lo aspetterebbe, ecco.»
Sorrise e infilò le mani nelle tasche dei jeans. «Non è strano. È perfettamente normale.»
«Ma non tutti si aspetterebbero un figlio piombare dal cielo all’improvviso. C’è chi lo cerca per anni e non arriva, e poi c’è qualcun altro a cui basta una sera e…»
Stavo per dire “Si rovina la vita con nulla, per cinque maledetti minuti, per un preservativo non usato e una bottiglia di troppo” ma non lo feci. Era troppo cattivo, e io non pensavo una cosa del genere, non quando parlavo di mia figlia, non quando pensavo al mio cambiamento più grande.
«Oppure c’è quell’altro ancora che non riesce a fare nulla di buono nella vita.», disse lui, con gli occhi visibilmente lucidi. Perché? «Il cambiamento arriva quando ce n’è bisogno, quando non si può far altro per capovolgere la situazione, buona o meno che sia. Karen Kingston diceva: “La vita è un costante cambiamento. Quando qualcosa entra nelle vostre vite, dunque, siatene felici.” Io la penso allo stesso modo, ogni cambiamento porta a qualcosa che, in un modo o nell’altro, ti rende contento e accontentato, e niente e nessuno potrà mai farti cambiare idea.»
Dischiusi la bocca per dire qualcosa ma lui proseguì. «Se non possiamo cambiare il mondo, possiamo cambiarlo in noi stessi, e sarà comunque una grande soddisfazione.»
Abbassai il capo, capendo quanta verità ci fosse dentro quelle parole e subito lo sentii sospirare. Cosa potevo rispondergli?
Il suo cellulare vibrò e lui guardò il messaggio, prima di distogliere lo sguardo totalmente rattristito.
«Scusami…», mormorai, pensando fosse colpa mia. Ma lui si strinse nelle spalle. «Bisogna tenersi stretto quello a cui si tiene…»
Si allontanò accendendosi un’altra sigaretta e io rimasi con quella sua frase in testa, mentre dal locale arrivarono le note di una famosa canzone dei Beatles.
E quando le persone dal cuore spezzato che vivono nel mondo saranno d’accordo, allora ci sarà una risposta.
Eravamo così, io e Edward? Due persone dal cuore spezzato?
Io lo ero di certo, ma con la sua presenza, sentivo il mio cuore cominciare a rimarginarsi, dopo tanti anni di sofferenze e delusioni.
Stavo ricominciando a respirare.





Angolo Autrice:
Eeeehm... Salve?
Okay, sono la feccia umana in persona, I know. Non è più una ff natalizia, nè pasquale... Estiva? Sì, è diventata una ff estiva, che terrore e che vergogna.
Avrei voluto finirla entro capodanno, ma ho avuto molte altre cose da fare - chi mi segue sul gruppo sa benissimo.
Anyway, sono qui, giusto? È questo l'importante *yeeee*
Btw, voglio ringraziare in special modo per questo capitolo le mie Simona, Jessica e Lulu, che mi hanno aiutata tantissimo *sapevano mezzo capitolo già lol*
Cmq, non vi so dire quando tornerò con il nuovo capitolo, spero presto, perché ho anche altre idee al momento, ho AITC, Broken Souls... Troppe, troppe, bah.
Qualcuno mi dia una vangata sulla testa.
Vi voglio bene, e grazie di leggere e aspettare un tempo sempre così infinito .-.
Giulia ♥
   
 
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