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Autore: Leonhard    03/05/2013    2 recensioni
...e poi avrebbero sicuramente giocato a quel gioco stupido che si era inventato Tsuyoshi: "Pensieri, opere, parole, omissioni". Abbreviato, fa popo. un gioco veramente della popo. Ahahah...non aveva mai avuto uno spiccato senso dell'umorismo: neanche lui rideva...bah...
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: Lime, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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2.
 
 
Il computer informò Akito che Akiteka59 aveva terminato il download. Il ragazzo chiuse il portatile e si rimise sui libri, ignorando la tentazione di vedersi subito il nuovo episodio di Bleach appena scaricato. Sbuffò sul pesante libro e, abbandonando la schiena contro la sedia, si accese una Wiston, concedendosi cinque minuti per pensare ai fatti suoi.
 
L’aveva chiamato Tsuyoshi, quel pomeriggio, per invitarlo ad una pizzata di ritrovo: lui, Fuka e Aya. Ma lui sapeva che ci sarebbe stata anche Sana. Forse non gliel’aveva detto apposta, o non l’aveva ancora chiamata, ma se la conosceva bene, se la sarebbe trovata davanti. Aveva dovuto accettare, anche se odiava le pizzate di gruppo; cosa avrebbero fatto, poi? Tutta la cena a parlare dei bei vecchi tempi andati, di cosa si studiava, se si lavorava; dato che era un po’ che non ci si vedeva, si sarebbero sprecati i “Ma ti trovo bene” oppure “Oh mamma mia se sei cresciuto!”.
 
E poi avrebbero sicuramente giocato a quel gioco stupido che si era inventato Tsuyoshi: "Pensieri, opere, parole, omissioni". Abbreviato, fa popo. un gioco veramente della popo. Ahahah...non aveva mai avuto uno spiccato senso dell'umorismo: neanche lui rideva...bah...
 
Tsuyoshi di cose cretine ne aveva fatte, ma molto probabilmente quel giochino era l’indiscusso campione di quella lunga sfilza. Lasciò andare un sospiro, mentre toglieva la cenere dalla punta della sigaretta. Posò la penna sopra il quaderno e cominciò a prepararsi la cena. Si avvicinò alla finestra e guardò attraverso una fessura tre le tende tirate.
 
Ed eccola lì, di nuovo sulla stessa panchina della sera precedente. Aveva lo sguardo basso e la bocca si muoveva. Sospirò: la sera prima l’aveva minacciata di chiamare la polizia e l’aveva scacciata. Se era nuovamente lì, voleva dire che non c’era nulla da fare. Contemplò l’ipotesi di chiamare la polizia, ma concluse che in fondo gli andava bene così: lo faceva sentire appagato l’idea che la ragazza che aveva troncato la sua relazione gli morisse dietro a quel modo.
 
Maligno? Demonio? Mah, forse. Ma lui era un demonio che era stato costretto ad andare avanti. Lui non avrebbe voluto, aveva fatto ciò che ogni fidanzato avrebbe fatto. A modo suo. E per questo si era ritrovato solo da un giorno all’altro.
 
Per lui non c’erano vie di mezzo: era parso chiaro a tutti quando lui era ricoverato all’ospedale con la mano sinistra utile come un macigno al collo in mare. Tutte quelle crisi mentre era ricoverato; aveva passato il primo mese prendendo ansiolitici e tranquillanti per paura che il suo cuore si fermasse ancora: quel periodo l’aveva passato fatto come un disgraziato. Alla fine aveva trovato la sua quadra; lui funzionava così, o tutto o niente.
 
Se non poteva avere Sana, l’avrebbe allontanata con tutte le sue forze.
 
Scosse la testa.
 
(Domani ho un esame) pensò all’improvviso. (Quindi…). Si  avvicinò ai fornelli ed accese sotto l’acqua per il riso. Prese una cotoletta di maiale e cominciò ad impanarla. Nel mentre si circondò di salse, condimenti e uova. Preso dalla curiosità spiò nuovamente dalla finestra. Sana non c’era, se n’era andata: quasi ci rimase male e non andava bene.
 
Come se la cotoletta c’entrasse qualcosa la gettò quasi con rabbia nella padella, affogandola con la salsa. Era sceso per ferirla, ma era finita che quell’incontro aveva fatto più effetto a lui che a lei. Decise di non pensarci: fece saltare la carne ed il riso e si fece un katsudon con i controfiocchi. Apparecchiò alla buona accanto ai libri e si sedette prese le bacchette in mano e guardò il piatto.
 
“Katsu!” esclamò, ma senza particolare convinzione. Portandosi un boccone tra le labbra, si rese conto di aver la testa piena di lei. Non fece nulla per impedirlo, e lasciò che i ricordi ed i pensieri di Sana lo accompagnassero per tutta la cena.
 
“…manca di sale” borbottò.
 
 
Sebbene quel katsudon fosse stato mangiato con lo spirito non proprio giusto, Akito sostenne l’esame e gli sembrò di farlo anche bene. Per festeggiare, decise che sarebbe andato a pranzare al sushi bar.
 
“Akito?” chiamò una voce familiare al rullo. Il ragazzo si ritrovò faccia a faccia con una sorpresa e gioviale Fuka. “Oh mio Dio, ciao!”.
 
“Oh” replicò lui. “Come stai?”. Lei sorrise e si spostò accanto a lui.
 
“Tutto bene. Tu? Che ci fai qui?”.
 
“Ho appena dato un esame e sono venuto qui”.
 
“Ma che coincidenza! A me era venuta voglia di sushi e qui è molto buono. Che università fai?”.
 
“La Todai…”. Fuka fischiò piano.
 
“Alla faccia!” commentò. “Beh, si sapeva che saresti arrivato in alto”.
 
Fu un pranzo tutto sommato piacevole. Fuka parlò tanto: gli disse che aveva lasciato gli studi e aveva cominciato a lavorare in una clinica per animali, che lei ed il suo ragazzo convivevano e non mancò di dispiacersi per la sua rottura con Sana (l’aveva saputo da Tsuyoshi). Ma almeno ebbe la decenza di toccare quell’argomento solo quella volta, cosa che diede al ragazzo un che di sollievo.
 
Già, Fuka era sempre stata una brava ragazza; con lei si era comportato male e poteva ringraziare se era rimasta sua amica. Quando Sana gli aveva dato il numero di quel ragazzo che poi sarebbe diventato il suo ragazzo, non era stato senza una punta di gelosia il pensiero di averla definitivamente perduta. Ma a quel tempo aveva Sana accanto: non aveva bisogno di altre donne.
 
“Quindi, tu ci sarai alla pizzata con Tsuyoshi?” chiese. “Siamo tutti del vecchio gruppo, quindi ti capirò se preferirai stare a casa”.
 
“E perché dovrei?” chiese lui, intrappolando un pezzo di salmone tra le bacchette. “Solo perché ci sarà Sana?”. Lei lo guardò preoccupata, facendo sparire il suo sorriso.
 
“Akito, io mi ricordo dell’ospedale, sai?” disse. “Se non la vedevi avevi crisi cardiache, che ti sono finite quando ti è venuta a trovare: tu hai bisogno di lei, allora come adesso”.
 
“Esattamente quello che non voglio sentirmi dire” replicò lui. “Se avessi bisogno di lei, avrei ancora le crisi e abitando da solo, sarei morto da un po’”. Non le poteva certo dire che aveva avuto paura che potesse succedere veramente.
 
“Comunque, cosa studi?” chiese, glissando improvvisamente il discorso. Brava Fuka, pensò il ragazzo.
 
“Medicina” replicò. “Ma vorrei prendermi una specialistica in fisioterapia”. E il discorso continuò, dopo la spiacevole parentesi di Sana. I due si salutarono sulla soglia del chiosco.
 
“Allora ci vediamo da Tsuyoshi sabato sera, ok?” chiese la ragazza.
 
“Mh…” rispose lui, pieno per il troppo sushi mangiato. Pochi passi e si volse. “Sai…sei rimasta una brava ragazza”. Dicendo queste parole, le labbra gli si raddrizzarono in quello che solo pochi eletti sapevano che era un sorriso. La ragazza gli sorrise.
 
“Anche tu, Aki” rispose. “E vedrai che tutto si metterà per il meglio”.
   
 
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