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Autore: lamogliediPaddy    05/05/2013    2 recensioni
Sua moglie Rebecca invece ha un legame molto bello con i figli, e in particolare con Paolina. Se li porta dietro quasi tutte le volte che esce e se lui le propone di fare un viaggio senza di loro lei rifiuta. Gli capita di invidiarla, per questo. Ci sono momenti in cui anche lui vorrebbe avere un figlio prediletto, qualcuno che fosse come lui e che a lui guardasse per diventare qualcosa di meglio. Un essere umano verso il cui futuro nutrirebbe un interesse speciale, che andasse oltre l'apprensione che deriva dall'essere semplicemente padre, un futuro che un giorno diventerebbe il centro del suo
Genere: Generale, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Novecento/Dittature
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- Questa storia fa parte della serie 'Non si stava così male.'
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Novemebre, 1921.


Dentro si sè ha battezzato gli ultimi sei mesi della sua vita come "il periodo delle contraddizioni": un periodo breve in cui la sua vita è cambiata senza che esteriormente nulla cambiasse, un mutamento direttamente legato ai mutamenti storici. Se guarda avanti vede un futuro promettente e luminoso, ma ancora fatica a credere di avere resistito.

Il suo arrivo a Roma infatti è stato traumatico: l'aula del Parlamento e la città stessa gli sono sembrate troppo vaste e per non rischiare di perdersi ha cercato di parlare o muoversi il meno possibile. Gli anni passati a fare la spola tra l'ospedale e il suo paese di provincia hanno impigrito la sua mente, non sapeva come muoversi nella vita sociale così poliedrica della capitale. Gli pareva che la sua figura di medico quarantenne risultasse patetica di fianco a quella di molti suoi colleghi: quasi tutti erano più giovani e spregiudicati di lui, o avevano cognomi blasonati e carriere di un certo peso. Per un momento ha creduto di essere troppo vecchio per imbarcarsi in un'avventura come quella politica e specialmente in tempi simili. Per reazione la sua tranquilla vita famigliare, con Rebecca e i due figli, gli tornava in mente come un paradiso sereno e pacifico: un pantano sì, ma un pantano confortevole. Loro venivano a trovarlo spesso e lui li portava a pranzo nelle osterie appena fuori dalla città, praticamente ai bordi della campagna, e immaginava di essere al paese.

Politicamente erano quanto mai confuso, si identificava come una nazionalista ma intuiva che qualificandosi come tale non avrebbe avuto molto peso: Vittorio aveva avuto ragione nel dire che i fascisti erano la nuova forza motrice della nazione. E tuttavia faticava ancora ad immedesimarsi in loro, specialmente dopo aver avuto un quadro più preciso della situazione. Episodi come quello di Sarzana* lo turbavano: nonostante non fosse una persona aggressiva non riusciva a condannare quel tipo di violenza. Civettava con quell'idea e per questo non si sentiva in pace con sè stesso.

Se Vittorio non fosse stato lì non avrebbe mai saputo come uscire da quell'impasse, se ne sarebbe semplicemente tornato a casa, tranquillo ma con svariati rimpianti. Ma lui era lì e la sua era una presenza fore abbastanza da spostarlo dal suo asse. In passato si era chiesto come potesse essere il ragazzo in privato: dopo poche settimane di convivenza si è domandato se non fosse pazzo, ma al posto di scappare gli si è affezionato ancora di più. In pubblico era il rettile di sempre, solo più elegante e sorridente: a quanto pare le sue gesta come comandante di una squadra d'azione gli avevano procurato una certa fama, usciva spesso a cena e frequentava molte case eleganti. In apparenza non era molto diverso dall'orda di giovani ambiziosi e arrivisti che si era riversata a Roma, ma quella era appunto l'apparenza. Il Vittorio reale era isterico e violento: scoppiava in singhiozzi rabbiosi se non riusciva ad annodare la cravatta o per un attacco di tosse, dopo aver letto un articolo su un giornale avversario, che lo prendeva garbatamente in giro per le sue pose da angelo della rivoluzione, aveva dato in escandescenze tali da avere una crisi respiratoria. Quando era in buona scriveva molto e bene, si interessava dell'imminente Congresso del movimento fascista e scriveva o telefonava spesso a casa, al padre o alla fidanzata. In altri periodi gli capitava di passare intere giornate su una poltrona davanti alla finestra, rifiutando di parlare con chiunque non fosse lui. In quei momenti capitava che gli venisse vicino e dicesse cose da gelare il sangue: Se morissi mio padre mi metterebbe nella cappella di famiglia, in una bella tomba di marmo nero. Se succederà mi verrai a trovare?

Quei momenti erano stati decisivi per il suo futuro: gli diceva che certe idee tetre non avevano senso ed erano dovute solo alla stanchezza, e per distrarlo parlava con lui di politica o lo seguiva nelle sue uscite serali. Era stato così che aveva avuto modo di conoscere la vera Roma, intelelttuali di vario tipo, i politici e veri fascisti, questi futuri padroni della nazione. Il quadretto idilliaco della sua vita famigliare era tornato ad essere, appunto, solo un quadretto.

Ora anche lui, come Vittorio, si prepara al Congresso del movimento fascista e alla sua trasformazione in partito. Prenderà una tessera.

   
 
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