Here we are! :3
#2
Love
sucks.
-Bella.
Nell’esatto
istante in
cui varcai il cancello della Costance, udii mormorii indistinti farsi
più fitti
e concisi.
Cercai
di non pensarci
troppo e mi accesi un’altra sigaretta, indossando gli
occhiali da sole con lo
scopo di oscurare gli occhi che avevano vita propria; infatti, si
chiudevano da
soli dalla stanchezza.
Improvvisamente,
sentii
una presenza affianco a me e, prima che potessi spaventarmi, riconobbi
il
profilo di Nate.
«Ciao
tesoro!» mormorò
cingendomi le spalle con un suo braccio.
Mi
limitai a donargli
un vero sorriso.
«Fatto
le ore piccole
ieri sera?» disse ridendo.
«
Mi trovavo ad una
festa di amici di amici», mentii.
Nessuno
sapeva
dell’altra mia vita, quella più spericolata e meno
consona a Isabella Marie
Swan, figlia del magnate dell’economia statunitense e di una
stilista di fama
mondiale e, men che meno, sapeva la ragione che mi portava a
comportarmi così;
escluso Stefan.
Rabbrividii
involontariamente.
«Senti»
disse Nate guardandosi
la punta dei piedi, «ti va di uscire insieme a
cena?» mi guardò con i suoi
occhi scuri e mi dispiacqui all’istante di dovergli dire di
no.
Lui
non meritava una
ragazza come me.
Non
meritava una donna
senz’anima, che gli è stata rubata
dall’infanzia.
Che
un’infanzia non
l’ha mai avuta.
Non
la merita.
«Mi
dispiace, Nate, ma
non sono tipo da relazioni durature, mi dispiace davvero
tanto» mormorai,
accarezzando con dolcezza il suo profilo.
Lo
vidi aprir bocca per
ribadire, così di scatto presi e scappai, prima che potesse
dire qualcosa che
mi avrebbe fatto sentire più in colpa di quanto
già non mi sentissi.
Scappare,
una costante
della mia vita.
Scappare
e scappare
ancora.
Forse
perché mi
ritrovavo sempre in situazioni più grandi di me.
O
forse perché non
ho abbastanza palle.
Fatto
sta che scappo,
anche adesso.
Entrai
in classe,
precedendo così il
professore di
letteratura, Mr.Grant.
«Oggi
parleremo
dell’amore».
Sbuffai
mettendo gli
auricolari alle orecchie; l’amore,
pff!
Chi
ti ama ti
distrugge.
L’amore
ti distrugge,
sia che se lo ricevi sia se non lo ricevi.
Ti
ritrovi lì in attesa
di un messaggio che non ti arriverà mai, ti ritrovi in
attesa di un qualcosa
che non accadrà, oppure, se accadrà sarai
talmente felice che continuerai a
vivere con la costante paura che quella felicità venga
distrutta.
Quindi,
chi ama, viene
distrutto.
Indebolito.
Non
devi dare a nessuno
la possibilità, il potere, di
essere
felice o triste.
A
nessuno.
Alzai
“Don’t Stay”, dei
Linkin Park, mentre il
professore continuava a blaterare e a fare domande inutili
sull’amore.
Persa
nei miei
pensieri, non udii il Mr.Grant chiamarmi, così la mia
compagna di banco
Cassidy, mi diede un buffetto sul braccio.
Trasalii.
Mi
tolsi gli auricolari
e mi scusai, sentendomi in imbarazzato da quell’improvvisa
attenzione generale.
«E
tu Isabella, cosa ne
pensi dell’amore o dei libri che trattano
quest’argomento?»
Tutti
gli occhi dei
compagni di classe si puntarono sulla mia figura, incuriositi di sapere
cosa
pensasse la perfetta Isabella, sull’amore.
«L’amore
non esiste, fa
semplicemente schifo, perché sia se lo ricevi, sia che non
lo ricevi stai male
ugualmente. Per quanto riguarda i libri, ne ho sinceramente abbastanza
di tutte
quelle cazzate che dicono.
Vorrei leggerne uno
che racconta l’amore reale, vero, -ammesso e non
concesso che esista; non di una Giulietta e di un Romeo che dopo uno
sguardo si
innamorano e si sposano subito dopo, per poi morire per
l’altro. Sinceramente,
a chi mai capiterà di vivere una storia del
genere?!»
Mi
stupii di me stessa,
dato che feci il discorso più lungo di tutta una carriera
scolastica.
Lessi
stupore anche
negli occhi del professore e degli altri compagni di classe.
«Non
dovresti pensare
questo, Isabella. L’amore esiste, ed è la cosa
più bella che possa capitarti.»
Insistette
Mr.Grant,
non capendo che io, nell’amore, non ci ho mai creduto e mai
ci crederò.
«Questione
di punti di
vista, professore.»
Scrollai
le spalle,
sperando di far troncare il discorso lì.
Sperai
invano.
«Esatto,
punto di vista
che sarei curioso di conoscere».
Sbuffai
silenziosamente, turbata dal fatto di dovermi esprimere e aprire di
fronte a
tutte queste persone avide di informazioni, che vogliono soltanto
conoscere al
meglio Isabella, per potermi poi sputtanare alle spalle.
«Credo
di aver già
espresso in maniera consona il mio pensiero al riguardo,
professore.»
«Sì,
ma vorrei ... »
Salvata
dalla
campanella.
Uscii
dalla classe
prima che qualcuno potesse bloccarmi e mi
diressi a passo spedito verso quello che
era il mio rifugio segreto.
Mi
sdraiai sopra la
panchina situata oltre delle siepi e mi accesi l’ennesima
Lucky Strike.
Chiusi
gli occhi e la
voce di Sigur Ros ebbe il potere di rilassarmi.
L’amore.
Improvvisamente
risi,
risi e piansi contemporaneamente fumando in maniera quasi compulsiva.
L’amore
fa schifo.
L’amore
non esiste e
non guarisce le ferite, per lo meno non le mie
di ferite.
Chi
vorrebbe mai amare
una alla quale hanno rubato l’infanzia?
Chi
vorrebbe mai amare
una che dalla vita ha solo ricevuto dolore?
Chi
vorrebbe mai amare
una che, giorno dopo giorno, si dirige con falcate sempre
più sicure verso
l’autodistruzione?
Chi
vorrebbe mai amare,
me?
Le
risate sparirono,
per lasciar spazio ai pianti.
Eccola,
la donna menefreghista
senz’anima.
-Edward.
«Buongiorno
caro
ragazzo! Potresti aiutarmi nella scelta di un libro per mia nipote, per
favore?»
Mi
voltai, stando
attendo a non cadere dalla scala mobile e, dopo aver posato il libro al
suo
posto secondo il genere, scesi.
Incontrai
il sorriso di
una donna sulla sessantina, con un sorriso dolce e degli occhi che
trasmettevano amore.
L’amore.
Risi
al solo pensiero,
restando imperscrutabile all’esterno.
«Certamente,
mi dica
che tipo è all’incirca sua nipote.»
Risposi alla domanda posta in precedenza
dalla Signora, «nel frattempo, desidera un the?»
continuai altrettanto dolce.
Per
qualche assurda e
arcana emozione, sentivo che doveva trattarla con altrettanta dolcezza.
«Sì,
ti ringrazio..?»
lasciò la domanda in sospeso.
«Edward».
«Edward,
io sono
Marie.» si presentò l’arzilla signora,
allungandomi la sua mano ruvida ma
allo stesso tempo morbida al tatto.
Mi
seguì fino al
bancone dove le preparai il
the.
«Lei
è bellissima,
Edward. Semplicemente bellissima. E’ una di quelle bellezze
dannate, figliolo.
Ha due occhi verdi che sono delle pozze di dolore purtroppo e, con il
passare
del tempo, questa sua tristezza si instaura sempre di più il
lei e mi dispiace
Edward, davvero. Non so cosa posso fare per lei, tu hai qualche
idea?»
Restai
completamente
spiazzato, non solo dalla descrizione della ragazza ma per la domanda
finale di
Marie.
Cosa
avrei potuto
risponderle?
Con
quale tra le tante
bugie a disposizione, mentirle?
Quella
parte piccola di
me, che si fidava di Marie, mi spinse a dirle la verità.
«Se
solo lo sapessi, lo
applicherei anche su me stesso, signora. Ma non lo so e, di
conseguenza, lei
può soltanto guardare sua nipote morire dentro giorno dopo
giorno, senza far
nulla.»
«E
se le proponessi di
trasferirsi in po’ qui da me, a Londra? Credi che potrebbe
aiutarla in qualche
modo?».
La
vidi sorride e la
speranza accendersi nei suoi occhi di un incredibile azzurro chiaro,
terso…
Come
il cielo di Liverpool.
Scacciai
il pensiero
con forza e non me la sentii di dirle che non sarebbe cambiato un cazzo.
Se
il dolore ce l’hai
dentro, dentro ti rimane.
Se
il dolore si è
instaurato in te, tu puoi anche andare
al Polo Nord, ma non cambierà ugualmente un cazzo.
«Uhm,
credo che possa
esser un aiuto, Marie. Ecco a lei il the.»
«Grazie
Edward. Ti
dispiacerebbe se te la presentassi? Sai, vi vedrei fin troppo bene
assieme.»
Sbam.
Rimasi
completamente
spiazzato per ciò che aveva appena detto.
Solitamente,
le signore
quando vedevano le proprie figlie o parenti lanciarmi degli sguardi
compiaciuti, le istigavano a girarsi e le suggerivano di non guardarmi.
Questa,
invece, stava
spingendo sua nipote da me.
E,
secondo la
descrizione, era una gran bella nipote.
Perché
no?
«Come
vuole lei, per me
non è di certo un problema.» Risposi, senza
nascondere il sorriso malizioso che
mi era nato istintivamente sul volto.
Rise,
gettando il capo
all’indietro e mentre mi seguiva tra gli scaffali della
libreria la udii
mormorare:
«Sono
sempre più
convinta che questi due siano fatti per stare insieme.»
Scossi
il capo
lentamente.
Volevo
dirle che erano
inutile, che per un tipo come me che storceva la bocca alla parola amore, non avrebbe mai potuto avere una
relazione stabile con sua nipote, neanche sessualmente parlando.
Ma
non volli ferirla e
semplicemente tacqui, come tante volte nei miei ventun anni.
«Allora,
un libro di
Nicholas Sparks? Di solito queste cose piacciono alle
ragazze.»
Marie
rise nuovamente,
sorseggiando con lentezza il the.
«Di
solito» si limitò a
rispondere.
«Di
solito» ripetei.
«Uhm,
avventura?»
«Lo
è già la sua vita.»
Mi
incuriosiva sempre
di più questa fantomatica nipote.
«Storico
non credo,
erotico neanche.»
Mormorai
sovrappensiero.
«La
storia l’annoia
terribilmente e per quanto riguarda l’erotico, non credo che
le serva un libro,
con tutti quelli che le vanno dietro.»
Lessi
la costernazione
mista a divertimento nel suo sguardo.
Rivalutai
sua nipote.
Forse
e dico forse qualcosa
avremmo potuto farla con piacere,
insieme.
«Sua
nipote mi sta
mettendo in difficoltà, lo ammeto Marie.» Dissi
ridendo.
Rise
anche lei.
Era
un suono musicale,
quasi come quello di mia nonna.
«E
ancora non la
conosci, pensa a quando la conoscerai.»
Ridemmo
ancora, finché
non mi imbattei in un libro.
«”Noi
i ragazzi dello
zoo di Berlino”. Droga e quant’altro, un libro a
mio avviso davvero bello e
toccante. Cosa ne pensi? A tua nipote potrebbe piacerle?»
Chiesi, incrociando
segretamente le dita.
«Uhm,
direi di sì!
Grazie Edward!»
Sospirai,
e mi sentii
profondamente soddisfatto.
Ero
riuscito nell’impresa
del libro impossibile, per la nipote impossibile.
Le
dissi il conto e
pagò più del necessario, dicendo che il resto era
per me.
«Ci
rivedremo Edward! E
sappi che quando verrò, accanto a me ci sarà la
ragazza che ti rovinerà e ti
salverà, tesoro!»
Non
avrei potuto
immaginare quanto veritiere si sarebbero dimostrate quelle parole,
inseguito.