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Autore: Chuck    05/05/2013    5 recensioni
Quel giorno avevi la bocca secca di chi ha sorriso per tutta una vita per finta, e gli occhi di chi ha trattenuto troppe lacrime.
Ti abbracciai, di un abbraccio che entra sotto la pelle, come quelle schegge di legno che si infilano lì sotto e tu, nonostante sai dove si trovano, non riesci a toglierlo.
Mi sei entrato dentro le ossa, dentro il cuore, mi sei entrato come una scheggia di legno sotto al cuore, amore.

Isabella Swan, figlia del magnate dell'economia Charlie Swan e della stilista di fama mondiale Renée Dwyer; indossa una maschera di perfezione per nascondere le sue ferite.
Edward Cullen, figlio di famiglia che non accetta, lavora in una libreria; si reputa senza speranza.
Entrambi, a un passo dall'autodistruzione si incontrarono.
Riusciranno a salvarsi? Riusciranno ad essere Edward e Bella?
Genere: Drammatico, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Salve.

Già, sono io.

So che molte di voi saranno rimaste spiazzate, visto che non trovavano più il mio account ma...è stato cancellato da una persona che ritenevo importante, a mia insaputa.

Ora son tornata e che dire, spero di trovare ancora coloro che mi leggevano! :3

Un bacione!

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#1

Rumori sordi.

 

 

 

 

 

-Edward

 

Caos calmo.

Ero circondato da questo, da rumori sordi che urlavano, bestemmiavano, impazzivano.

Serrai gli occhi con più forza.

Il porto di Liverpool, l’odore del mare al mattino.

I gabbiani che volavano in un cielo chiaro; subito dopo l’alba.

“Puttana, ALZATI!”, il rumore di uno schiaffo ricevuto e dato.

Uno schiaffo che si infrange sulla guancia di lei.

Una lacrima che si infrange con le altre sulle mie, di guance.

Mare calmo, cielo terso, aria fresca.

“ALZATI TI HO DETTO!” urla, un corpo che si ribella; un corpo che opprime.

L’immagine del mare calmo viene distorta da quella del mare frastagliato… di una tempesta.

Ora, i rumori sordi, rappresentano grida di liberazione, di aiuto e di sofferenza.

Portai i pugni alle orecchie.

Basta, basta!

Basta rumori! Basta sofferenza! Basta, per favore.

Un corpo che si dibatte, un corpo che opprime; lacrime, lacrime e ancora lacrime.

Il porto Edward.

Il porto.

Altri rumori che portano il marchio di una violenza inflitta e subita.

Non sei al porto Edward.

Ti trovi nella tua vita di merda.

Ti trovi nell’inferno Edward.

“Per favore, basta” mormorò una voce dalla stanza affianco, stremata.

“Ti accontento puttana, solo perché ho una riunione!” Un altro schiaffo, un corpo che cadde a terra.

Sentii la porta della mia cameretta aprirsi e attraverso uno spiraglio di luce vidi il carnefice.

“Tesoro” mi accarezzò  il capo con dolcezza.

Non mi ritrassi, ero fin troppo spaventato e disgustato per fare qualunque movimento.

“Vai da mamma e curala, per favore” mi lasciò un bacio sulla fronte e sorrise quando annuii inerme.

“Bravo bambino”.

Chiuse la porta e urlai.

Non potei far altro se non urlare e piangere.

Presi un orsetto di peluche e una coperta.

Aprii la porta con timore e aspettativa; ormai sapevo in che condizioni si trovava la mamma, non era di certo la prima volta.

Andai da lei, la coprì e le diedi il peluche che strinse tra le braccia piene di lividi e graffi.

Chiuse gli occhi, poi sorrise tristemente accarezzandomi il capo.

Le sorrisi tra le lacrime e portai il suo capo sulle mie gambe.

Canticchiai un motivetto a noi conosciuto.

Sorrise, ricordando la nostra ninna nanna.

“Sei un bravo bambino,  Edward”.

Chiuse gli occhi, sorrise…e non gli riaprì più.

 

 

11 anni dopo.

Dicono che la vita è difficile e che, la morte invece, facile.

Beh, è una cazzata.

La vita è difficile, una lotta continua dove le strade più semplici sono le più tortuose, e le più tortuose… sono un tunnel di dolore senza fine.

Ma la morte, oh! La morte è peggio o meglio, dipende dai punti di vista.

Per chi se ne va dopo aver vissuto una vita lunga e felice, è un bene.

Ha già avuto tutto dalla vita, l’ha vissuta davvero.

Per chi, come mia madre, se ne va dopo aver vissuto una vita di merda, è ugualmente un bene.

Ha smesso di soffrire lei.

Ha smesso.

Ora ovunque stia, sta bene.

In pace.

Da sola.

Ma questo concetto vale per chi se ne va.

E per chi resta?

Chi resta, cosa prova?

Dolore.

Un oceano infinito di dolore e sofferenza.

Ed è inutile prendersela con Dio, con il destino o con chissà cos’altro.

Tu soffri.

Chi resta soffre.

Ed è una sofferenza che ti si instaura dentro, che diventa parte di te, che ti distrugge e ti sputtana la vita.

Bene per chi se ne va.

Male per chi resta e vorrebbe in realtà andarsene.

Ai bambini piccoli che hanno avuto un’infanzia si diceva, per rassicurarli: “Va dagli angeli”, “va in cielo”, “starà bene”.

E io, io che un’infanzia non l’ho mai vissuta e che mi è stata rubata, penso:

“Per quale cazzo di ragione doveva andare proprio lei dagli angeli?”.

E’ la vita, dicono.

Una vita di merda, dico.

Ed è la stessa cosa che penso stando ora a questo tavolo, circondato da persone  che mi hanno rovinato la vita.

 

 

«Allora figliolo, come prosegue il tuo lavoro alla libreria?» mormorò disgustato quel viscido.

«Molto bene, uomo d’affari.» Tono in risposta altrettanto disgustato.

«Non ti azzardare ad utilizzare quel tono con me, signorino!» urlò battendo un pugno sul tavolo.

Vidi mia sorella sobbalzare impaurita e pregarmi con lo sguardo di calmarmi.

Accanto a me, mio fratello continuava a mangiare senza curarsi, in apparenza, di ciò che stava accadendo.

Guardai nuovamente Alice, e le chiesi scusa con gli occhi.

«Se per questo io dovrei dirti di non azzardarti a…»

«Signor Masen, una lettera da parte del Signor Swan.» Marie interruppe la schermaglia tra me e quell’essere.

«Oh, ti ringrazio cara» le accarezzo lascivamente il braccio.

Mi alzai di scatto dalla tavola e nonostante i richiami di Alice e Emmett continuai imperterrito.

Accesi l’auto e partii.

140, 150, 160, 180… spingevo i piedi sul pedale sempre più a fondo, sempre con più forza e rabbia.

Sterzai bruscamente sul ciglio della strada e vomitai l’anima, poco prima di intraprendere la strada che mi avrebbe portato dall’unica persona che abbia mai amato.

Mi pulii le labbra con un fazzoletto e andai verso di lei.

Ogni passo e sentivo la sofferenza aumentare.

Ogni passo e sentivo i ricordi affiorare.

Ogni passo e odiavo quel mostro di padre che mi ritrovavo.

Ogni passo…e finii per raggiungere mia madre.

Mi sedetti, non prima di aver pulito con cura la sua lapide.

Appoggiai il capo su di essa e ascoltai il martellante rumore del silenzio.

Buon compleanno Edward, hai compiuto ventuno  anni il giorno dell’anniversario della morte di tua madre.

Ma ovviamente,  attorno a me, il vuoto.

 

 

 

-Mallory.

 

Bum, bum, bum, bum.

Il ritmo della musica House, pressante e martellante, è il degno accompagnatore di tutti quei corpi sudati e ammassati che a tempo di musica, o meglio dell'alcool e droghe ingerite, si muovono freneticamente.

 

Bum, bum, bum, bum.

 

Ho caldo. Cerco di farmi un varco tra la calca soffocante di persone.

 

Bum, bum, bum, bum.

 

La vista si appanna sempre più e la testa mi gira vorticosamente.

 

Bum, bum, bum, bum.

 

Esco dalla folla e, con passo barcollante, mi siedo su una delle tante panchine della Metropolitana.

 

Bum, bum, bum, bum.

 

L'eroina sta facendo il suo effetto nel mio sistema nervoso e nel sangue.

 

Bum, bum, bum, bum.

 

Mi sento bene. Libera dai mille pensieri e dai mille problemi.

 

Bum, bum, bum, bum.

 

«Vuoi un goccio di Vodka? Ti aiuterà a sentirti meglio».

Mi volto verso la voce ruvida e calda che ha pronunciato queste parole e vedo Stefan.

Oggi sembra più bello del solito, il mio migliore amico.

O forse è la droga, a farmi credere questo.

 

«Perché no» gli prendo la bottiglia di Vodka dalle mani e bevo avida, fregandomene delle gocce che sfuggono dalle mie labbra, che percorrono un percorso immaginario lungo la mia gola, per poi  terminare nell'incavo dei seni.

 

Mi volto e mi fissa con sguardo dolce... triste.

 

Si porta alle labbra la canna per aspirarne il fumo con una boccata profonda.

È  così... bello, il mio migliore amico.

Scoppio a ridere senza motivo, con spensieratezza.

Mi fissò con i suoi occhi verdi intensi, le pupille che erano due spilli.

« Mallory, sei un disastro.», continuò a fissarmi intensamente, per poi scrollare le spalle e bere la sua Vodka.

Sentivo la testa vorticare senza controllo, mentre la vista si era appannata per l’ennesima volta, ma la sensazione di spossatezza, allo stesso tempo di iperattività che ti dava la cocaina, era fantastica.

 

Fantastica per il semplice motivo che non riuscivo a pensare alla merda che mi circodava.

«Mi dai un goccio, per favore?».

Mi guardò nuovamente e, sorridendomi di sbieco, mi allungò la bottiglia da cui bevvi avidamente.

«Si può sapere cosa ci fa una bella donzella ricca sfondata, in questa merda?» domandò, aspirando dalla nuova canna appena rullata, dopo aver indicato con un ampio gesto di mano la metropolitana.

«La stesso che stai facendo tu, gentleman».

Ci fissammo negli occhi e scoppiamo a ridere a crepapelle per diversi minuti, senza fermarci.

Ero felice nella finta patina di felicità che la droga e l’alcol creavano.

Il problema sarebbe arrivato dopo, quando avrei ripreso le piene facoltà mentali e fisiche.

Finii la bottiglia di Vodka.

 

 

 ----------

 

 

«Isabella, dovrebbe svegliarsi, sono le sette del mattino», la voce di una delle mie inservienti arrivò distante  e indecifrabile. La testa continuava a pulsarmi vorticosamente. La sera precedente era un pallido ricordo nebuloso e l'unica cosa che rammentavo erano due occhi verdi come uno smeraldo.

Niente di più, niente di meno.

Aprii gli occhi, togliendo la visiera che li oscurava per la notte.

Lasciai vagare lo sguardo lungo la mia camera da letto e mi stupii di come ero riuscita, anche stavolta, a tornare in casa.

Mi alzai e andai di fronte allo specchio orizzontale posizionato dietro alla porta dell'enorme bagno.

Guardai i miei capelli arruffati, le mie occhiaie profonde, il trucco sbavato e iniziai a pettinarmi e a sistemarmi... per l'ennesima giornata dedicata alla finzione.

 

   
 
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