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Autore: Emerson    10/05/2013    4 recensioni
Martina ha quasi 15 anni, Leonardo quasi 18.
Leonardo è uno degli amici più fidati di Riccardo, fratello di Martina.
Martina dice sia una cosa sbagliata, ed impossibile, a volte lo dice anche Leonardo. Ma sbagliando s’impara, forse no.
Forse in amore anche se si sbaglia non si impara mai. Leonardo e Martina non imparano.
‘’Forse è una cosa sbagliata, forse insieme siamo sbagliati.’’ Dissi, mentre le lacrime incominciavano a salire, e gli occhi già lucidi.
Lui si girò e mi guardò, perso. Io intanto mi persi nei suoi occhi. Poi si girò nuovamente e rivolse il dito al panorama dinanzi, buio ma tempestato da tante piccole luci appartenenti a sua volta a tante piccole case. Martina aveva sempre amato quel posto, e Leonardo ce la portava spesso. Poi rivolse il dito in alto, e indicò l’imponente cielo e le innumerevoli stelle. Rivolse il capo verso di me, e mi guardo negli occhi.
‘’Noi siamo molto, molto di più, di tutto questo.’’
E’ un romanzo, scritto dalla stessa Martina, la stessa quattordicenne, con la fantasia e l’immaginazione un po’ fuori limiti. Martina, ama sognare.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: Bondage
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‘Livino, Livino! Sta ascoltando la lezione?!’ Le urla della Morvani mi scrosciarono via da tutte le mie solite fantasie, anche se quella volta nella mia mente si ripeteva, e ripeteva quel bacio inaspettato del giorno prima. Ci misi un po’ per mettere a fuoco quelle parole, o meglio urla.
Scattai all’attenti, mentre presa ancora dal mio viaggio mentale mi toccai le labbra e sorrisi, quando ancora le strazianti riprese della professoressa rimbombavano nelle mie orecchie. Sentii Giada di fianco a me sussurrarmi un veloce ‘vuoi rispondere o no?’ fu allora che spalancai gli occhi e mi resi conto della situazione.
‘Ma certo prof, m-mi scusi.’
‘Si, certo. Livino, le conviene stare più attenta, se non vuole vacanze inaspettate.’ Disse con acido tono.
‘Ma magari, una vacanza.’ Sussurrai tra me e me.
‘Prego?!’ Mi fulminò con lo sguardo, seppure attraverso i suoi occhiali spessi e rotondi, appuntiti sull’angolo superiore. Molte volte mi ritrovavo a pensare le appartenessero, erano terrificanti anche quelli.
Io spalancai gli occhi, e forse incrinai le sopracciglia.
‘Nulla.’ Mi dissi che probabilmente non lo avevo detto poi tanto ‘tra me e me.’
Mi guardò severa –credetti che a poco avrebbe abbaiato, o ringhiato- poi si girò verso la classe, e proseguì con sua solita voce stridula: ‘Il sistema solare, quindi, è un insieme di corpi celesti che gravitano int..’
Di grado in grado la lezione e quel fiume interminabile di parole si andò sfumando, fino a non lasciare traccia.
Ero di nuovo nel mio mondo, tra i miei pensieri. Tra quel bacio, quel sorriso, quel verde smeraldo che brillava nei suoi occhi, e intanto faceva brillare tutto questo mondo.
Finii dopo una manciata di minuti strappata di nuovo via da Leonardo dal suono stridulo e meccanico della campanella, che in compenso dava a tutti un grande sospiro di sollievo.
‘A cosa pensavi questa volta, bella sognatrice?’ Disse Giada ridendo, io mi girai e sorridendo le dissi: ‘Al mio mondo perfetto.’ Ammiccai, Giada tirò un lungo ‘uuh’ e poi prese a farmi il solletico. Risi a crepapelle, e dimenandomi, caddi anche dalla sedia.  Giada è una ragazza solare, la tipica ragazza che va d’accordo con tutti, e i ragazzi le sanno volere bene. E’ una ragazza spontanea e sa comportarsi, anche se a volte esagera con i pregiudizi, ma alla fine nessuno fa a meno di giudicare, giusto? Quindi si può sopportare.
I suoi capelli sono lunghi e castani con sfumature che degradando finiscono sul biondo. Gli occhi vanno sul castano chiaro ma a volte appaiono verdi e la bocca di un rosa molto scuro. Si vestiva semplice, camicette e cardigan, magliette e cardigan, e tante volte usava la sciarpa. Il suo fisico non era mai stato tanto male ma ricordo di una volta in cui la presero in giro per le sue cosce, adesso so frequenta la palestra.
Sa studiare e prende ottimi voti, quello che non riesco a fare io. Probabilmente è una delle cose che più detesto di me stessa. Giada ha una relazione a distanza, lei ne è felicissima. Ogni giorno mi racconta delle lunghe telefonate, e di quanto non stia nella pelle per l’estate e per i tre mesi in cui potrà vederlo, nei primi tempi mi stancavo, ma non facevo parola per la luce che splendeva nei suoi occhi e il sorriso che mostrava solo al suo nome. Giada è innamorata, eccome. Penso lo sia anche lui, o almeno si capisce che le vuole molto bene. Si può dire che stanno insieme, anche se il suo ragazzo (Roberto) agli altri dice di no, ma questo ancora non ho avuto il coraggio di dirglielo.
‘Vuoi qualcosa al bar?’ Mi disse mentre in mano faceva saltare tante monete dorate. ‘No Giada, grazie’ ‘Va bene.’ Sorrise a andò via.
Io chinai il capo giacchè non sapevo a chi rivolgere parola, quando non ero mai stata in buoni rapporti con quasi metà della classe.
Sentii ridere poco lontano da me e mi ripromisi di non girarmi, quel gruppetto di stronze non stavano parlando di me, dovevo solo convincermi di questo.
‘..già, magari sognava qualcuno la contasse..’  delle risate arrivarono dritte al mio udito.
‘Ma scherzi? Neanche nei sogni.’ La scena si ripete.
Come non detto mi girai, e come non detto mi guardavano, ridendo.
Carolina dice di rispondere, reagire. Dice che non lo merito. Forse ha ragione, ma ormai sono quasi abituata, mi ripeto posso conviverci. Che convivenza di merda, pensai poi tra me e me.
Decisi di prendere le cuffie e dare una sana colonna sonora, poteva consolarmi.
Chiusi gli occhi e lasciai tutto al suo posto, io me ne andai, ma solo mentalmente.
Sentii picchiettare poco dopo sulla mia spalla e aprii gli occhi, dinanzi a me Giorgia, Fabiola e la  regina, Adriana. Adriana era famosa, sembrava tutti la invidiassero, con quel fisico perfetto, gli abiti firmati e il composto viso fresco, apparentemente innocente, che tutti amavano.
Non era famosa solo Adriana, lei era famosa con le sue avventure, la gente fremeva quasi di ascoltare le sue piccole storielle, storielle di cuori spezzati altrui, e la sua inesistente e chissà, provocante pietà. Era una stronza, una fottuta e bastarda stronza. Fui suo bersaglio solo una volta, ma me la cavai con poche battute disprezzanti, da parte sua. Erano i primi mesi di scuola, quella volta era sotto le sue ridicole coglionate.. mi sembra si chiamasse Maria, fa parte, sempre se ricordo bene, del quarto ginnasio, sezione C. Era una ragazzina minuta, con degli occhiali rotondi che la rendevano graziosa, fragile e delicata. Erano degli occhiali rosa, me lo ricordo bene perché stranamente mi ricordavano insieme ai suoi capelli biondi, un grande prato con fiori rosa accecati da un forte sole, mi rendo conto che è strano, però mi dava questa sensazione. Ho sempre pensato che, con solo un po’ di accortezze poteva mostrare la sua bellezza, ma non lo faceva. Si nascondeva sotto pesanti maglioni, larghi jeans e un quasi imponente e soffocante piumino verde. Ci trovavamo in uno spogliatoio, lei si stava cambiando per l’ora di educazione fisica e ricordo la umiliò così tanto che in pochi risero: ‘anoressica, sfigata, cesso,’ probabilmente tutte le altre cose le mia memoria rifiutò di memorizzarle. Intanto mi faceva schifo e ripudio quella situazione. Mi sentivo marcia dentro io che probabilmente non avevo colpe ma mi sentivo responsabile per questo mondo. Sicuramente faccio la mia parte, tutti fanno la loro parte. Sputai un ‘bastarda’ quasi inorridita guardando dritto verso Adriana, così i centri di bersaglio diventarono due, ma non mi pentii mai di averla insultata. Maria sorrise e sembrò di poco sollevata al mio tentativo d’ ‘eroe’.
‘Ciao, Martina. Ti chiami così, giusto?’
Alzai il capo. ‘Si.’
‘Ah, io sono Adriana.’ Le altre incominciarono a ridere.
Io le feci un evidente sorriso forzato. Abbassai lo sguardo e quest’ultimo cadde sulla bottiglietta d’acqua che teneva nella mano destra. Incominciai a dare panico. Riflettevo sul da fare, sicuramente non mi avrebbe chiesto da bere. Presa dalla confusione borbottai ‘devo andare’ e feci per alzarmi, avanzai di un passo quasi e mi bloccò da un braccio. Sentivo l’ansia salire e io la cercavo di reprimere, inutilmente. Sentii alcuni suoi capelli che avanzarono con la sua mano solleticare la mia pelle.
‘Aspetta, tu qualche mese fa mi hai prestato dei soldi per una bottiglietta d’acqua, dopo una lezione di educazione fisica, ci stavamo cambiando nello spogliatoio, ecco, adesso ricordo anche meglio, eravamo con le ragazze della quarta C in gioco. Tu ricordi?’
‘N-non lo so.’ Le prestai dei soldi, ma non quella volta, quella volta le diedi un’altra cosa, della bastarda.
‘Ma come non lo sai?’ Replicò con tono raffinato e ingenuo.
‘Non me lo ricordo, d-devo andare.’ Non mollò la presa.
‘Non scappare, carina. In qualsiasi caso ho pensato di restituirtela..’
Con la coda dell’occhio vidi il suo braccio destro alzarsi, Fabiola intanto roteò il polso sul sull’orlo della bottiglia minuta, stappandola.

La mia maglietta e una parte dei pantaloni finirono completamente bagnati.
Sgomentai di colpo, strattonando il mio braccio: ‘Dio, ma che cazzo fai?’
Mille risate inondarono l’aula, seguite poi dagli altri che entrarono.
‘Ops, mi devi perdonare.’ Rabbuiata la ignorai, tornando al mio posto.
Che merda. L’ultima ora non fini mai, e quando finì, mi fiondai fuori. Con passo svelto allungai passo dopo passo. Pestai veloce la ghiaia, traballai per un secondo, scesi i gradini e mi fiondai verso casa.
‘Martì!’ No, no, no! Leonardo, era la voce di Leonardo. Intuii dal rumore meccanico fosse sulla vespa.
Continuai a camminare.
‘Marti! Fermati!’ Continuai a camminare.
‘Ti vuoi fermare?!’ Replicò ancora confuso.
Mi fermai. ‘Cosa cazzo vuoi?’ Stetti attenta a scandire ogni singola parola.
Ormai girata notò la maglia fradicia. ‘Cosa è successo alla maglia?’ Alzò un sopracciglio, quando io stavo già pensando di ripartire veloce verso casa.
‘Non voglio parlarne.’
‘Perché?’
‘Perché no.’
‘Vuoi un passaggio?’
‘No.’ Girai e tornai al mio passo. Lui mi seguì piano con la vespa.
‘E invece io voglio dartelo, sali su.’
‘Vattene via.’
Sentii spegnere il motore, e le sue scarpe camminare veloci per raggiungermi.
D’un tratto sentii da dietro una calda felpa avvolgermi le spalle, poi girò e venne davanti, chiudendola. Delle mani avvolsero la mascella e il mento, alzandoli. Mi guardò negli occhi e morsi il mio labbro inferiore per trattenere le lacrime che davanti a quei cristalli non riuscivano adesso a rimanere dov’erano.
‘Smettila di fare la stupida, e fatti dare un passaggio.’ Mi prese la mano e mi guidò fino alla vespa, prese il casco e fece per metterlo. Io lo precedetti. ‘Faccio io.’ Presi il casco e lo indossai. Lui fece lo stesso con il suo. Poi partì.
Mi aggrappai forte alla sua vita come se dovessi tenermi su, perché a me sembrava non ne fossi più capace. Era l’unica cosa mi andasse bene, strinsi forte come a non volerlo lasciare andare, se un giorno se ne sarebbe andato anche lui, io mi sarei frantumata in mille pezzi irreparabili.
Attraversammo veloce il corso, bloccandoci poi nel traffico, scese i piedi sull’asfalto per controllare meglio l’equilibrio della moto.
Guardavo il vuoto mentre incominciavo a sentire freddo e la maglietta bagnata attaccarsi alla mia pelle congelando il mio stomaco.
‘Chi è stato?’ Sentii la sua voce scavalcare il trambusto comune, in seguito, le sue mani accarezzare le mie strette sul suo stomaco. Poi dissociarle e incrociare le sue dita tra le mie. Una parte di me si rilassò a quel gesto.
‘Nessuno, parti adesso.’ Lo sentii cacciare aria dal naso e stringere forte la mascella, potevo immaginare le stesse sopracciglia aggrottate della volta in cui mi disse serio di non pensare neanche per scherzo mi stesse usando.
La sua mano si staccò, posandosi sull’acceleratore, strinse le dita sul manubrio e la moto partì. Chiusi gli occhi e inalai forte il suo profumo, così che una volta separati potesse rimanere con me una sua parte.
La vespa rallentò e io sollevai le palpebre che nascondevano un marrone forte e scuro.
Lo sentii smorzare delle parole, poi capii bene: ‘T-ti lascio qui..’
‘Tranquillo, puoi risparmiarti l’imbarazzo. Vado io, sarebbe strano vedermi sulla tua vespa. Ho capito, lo capisco.’ Non lasciai fuoriuscisse alcuna espressione.
‘Scusami.’
‘Niente.’
Ero ormai sulla strada grigia, tolsi il casco e glielo porsi.
‘Allora, ciao.’ Dissi frastornata, non passarono secondi quando mi girai per proseguire il piccolo percorso mi rimaneva per l’arrivo.
Scattai in avanti e i passi vennero smorzati dalla stretta sul mio polso.
‘Aspetta.’ Mi girai e i miei capelli color pece si spostarono sulla spalla e sul seno.
‘Vieni qui.’ Disse mentre mi avvicinava al suo petto. Posò le grandi mani sulle mia guance e si avvicinò lasciandomi un bacio colmo di speranza sul rassicurarmi, almeno con quel gesto. Non sapeva cosa fosse successo, ma cercò di rassicurarmi, e probabilmente quel bacio fece un po’ di effetto. Forse bastò per eliminare quella parte grigia di me che mi stava opprimendo. Cercai di strapparmi quel momento e archiviarlo nella mia memoria per rivederlo ogni volta mi era possibile, riprendermi un po’ di quella sicurezza che aveva lasciato adesso sulle mie labbra. La sicurezza di non essere soli.
‘La felpa, me ne stavo dimenticando.’
‘Tienila.’
‘Ma..’
‘Tienila.’
‘Okay.’ Dissi sconfitta.
‘Ciao.’ Disse sorridendomi compiaciuto.
‘Ciao.’
Svoltai e subito dopo sentii la vespa partire, io arrivai a casa.
Salii sul marciapiedi e premetti sul pulsante segnato da ‘Livino.’ Una voce meccanica e sonora rispose: ‘Chi è?’ Riconobbi la voce di Riccardo. ‘Apri.’ Avevo l’orribile e imbarazzante vizio di non dire neanche il mio nome.
Strisciai i piedi fino all’ascensore posto al centro del grande portone e con debolezza aprii la porta, la chiusi e nuovamente premetti il piccolo pulsante di plastica fiancheggiato da un ‘4’ color porpora.
Trovai il portoncino di casa prontamente già aperto.
‘Ciao Riccardo.’
‘Ciao!’ Disse mentre lasciava un grande morso su una mela.
‘E quella felpa?’ Disse stranito, e con la bocca piena.
‘Niente, Giada per sbaglio mi ha bagnata e mi ha prestato la felpa.’ Mi diedi i complimenti per la scusa.
‘Maschile?’ Ritirai i complimenti.
‘Mh si, le piaceva e l’ha comprata comunque.. mamma?’
‘Turno di notte, sta dormendo.’
‘Papà?’
‘Ancora a lavoro.’
‘Perfetto, come sempre. ’ Buttai acida. Continuai: ‘Mi piace, perché lui non ha un turno di notte, ma resta lì comunque.’
Mi diedi della stupida per averlo chiesto. Un turno extra in famiglia mio padre, mai.


Ciao bellissime! c: 
Innanzitutto vi ringrazio perchè voi stiate leggendo la mia storia, ci tengo molto!
Spero tantissimo vi piaccia, e spero tanto di commentare ogni capitolo con voi, sapere le vostre idee e pensieri, e non mi dispiacerebbe neanche leggere qualche critica, so che non sono l'eccellenza ma faccio di tutto per migliorare.
Bene, vi ringrazio di nuovo, e vi mando un bacio.
Se avete tempo lasciate una recensione ne sarei assolutamente felicissima e sprizzerei gioia ovunque ahahah 
Al prossimo capitolo! 
Un grandissimo abbraccio dolcezze! <3

Taaanti saluti, Martina. :)

  
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