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Autore: Zaratustra    11/05/2013    0 recensioni
Vittorio è una storia che è nata due anni fa nella mia mente, ma con il passare del tempo ha subito molte variazioni. Il fatto di dover raccantora la storia da un punto di vista così diverso dal mio ha creato non pochi problemi alla costruzione dell'opera, ma adesso penso di essere arrivata ad un compromesso fra la voce di Vittorio e la mia, lasciando che tutte e due le voci coincidano.
Vittorio è un soldato di Roma, ma una Roma lontana dai fasti della tarda età repubblicana o imperiale; siamo nell periodo dell'assediuo di Mediolanum da parte dei romani per sottrarre il territorio ai galli. Vittorio è il migliore soldato dell'esercito stanziato in quella zona, perchè è l'unico che non vuole tornare a casa, vuole, forse, morire lì.
Nulla riesce a smuoverlo dalla volontà di non tornare mai più nella sua casa di campagna, dal suo dolore. Il problema è che il dolore che pensa di aver racchiuso dietro la porta di legno di casa sua ora vuole raggiungerlo e costringelo a combatterlo, o a disintegrarsi con esso.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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2

 
“Indovina amore” chiese una voce dolce alle mie spalle.
Ero seduto su uno sgabello a tre gambe sotto il porticato bianco di casa mia.
La casa era spartana ed era situata sulla cima di una collina.
Costruita su un piano e non molto estesa in ampiezza, con cinque stanze unite da archi che aprivano i muri di separazione.
Una stanza era l’ampio sala d’ingresso, un’altra stanza era la nostra stanza da letto, la terza stanza era la cucina, la quarta una piccola armeria ed era lì che conservavo le mie attrezzature militari: armi, armatura, bauli da viaggio.
La quinta stanza era invece inutilizzata, ancora vuota era però abbastanza ampia di volume.
Claudia ed io speravamo di farla diventare presto la camera di un bambino.
 Anche la casa era arredata molto spartanamente.
Quasi tutto l’arredamento era fatto di legno, tutto intagliato a mano da me.
Adoravo intagliare il legno lo trovavo rilassante e la maggior parte dei mobili li avevo costruiti cercando di dimenticare gli orrori della guerra.
Davanti ai miei occhi si stagliava il mare argenteo che diventava azzurro e poi trasparente se ci si avvicinava. Gli scogli plumbei creavano una netta divisione fra mare e cielo.
Il terreno circostante la casa era ricoperta di un’erba verde brillante e crescevano rigogliosi alberi di alloro, ulivo e alberi di limone. Le foglie degli ulivi riflettevano la luce calda del sole dentro la casa dando alle stanze una sfumatura argentea che le rendeva custodi di grandi tesori.
Un limone giocava a nascondino con la folta chioma verde del suo albero e il suo cangiante colore giallo intenso si vedeva solo quando il vento lo permetteva, ma il suo odore era impossibile nasconderlo.
Se si guardava il paesaggio dal retro della casa, questo cambiava immensamente. Ai piedi della collina si estendeva una piana ricoperta per tutta la sua estensione da campi di grano. Se si aguzzava la vista, si poteva anche vedere la città più vicina.
Era il posto più bello del mondo, era pace, era amore, era casa nel significato più puro della parola.
“Cosa?” chiesi con voce accondiscendente, quando la conversazione iniziava così, voleva dire che Claudia aveva combinato qualcosa.
“Non rispondermi così!” mi reguardì dolcemente lei e prendendomi per le spalle mi fece voltare.
I suoi occhi ambrati brillavano d’amore e quando il sole la illuminò, pensai che Venere fosse scesa sulla terra.
“Allora cosa vuoi dirmi?” gli chiesi.
“Sai, -disse lei- oggi ho scoperto una cosa molto interessante.” “Che cosa?” chiesi incuriosito.
“Dovrai incominciare a lavorare a ritmi forzati se vuoi che tutto in questa casa sia costruito da te” mi rispose ambiguamente.
“Senti amore, se volessi avere risposte criptiche, andrei dalla Sibilla a Cuma.” Ero stanco e non avevo voglia di scoprire cosa mi nascondeva.
“Va bene. Allora penso che sia arrivato il momento di arredare la stanza vuota vicino alla nostra” disse lei con un sorriso che trabocca felicità.
“Davvero?” chiesi incredulo.
Claudia annuì ed io saltai in piedi facendo cadere la sedia.
Non m’importava di niente se non di stringerla.
Avvicinai il viso al suo e la baciai con una forza.
Sapeva di limone e pesca e la sua pelle era morbida e chiara, e i suoi capelli soffici mi solleticavano sensualmente le spalle.
La sollevai con una violenza da terra e la feci roteare in aria, mentre tenevo i suoi occhi allacciati ai miei.
Solo quando l’ebbi riposata a terra, mi accorsi che poteva essere pericoloso quello che avevo appena fatto.
“Stai bene? Il bambino?” chiesi preoccupato.
“Entrambi stiamo benissimo, grazie papà” rispose lei sorridendo.
Passammo il giorno a festeggiare in casa, tra coccole, baci e appassionati amplessi.
Arrivata la sera eravamo accoccolati sulla spiaggia, raggiunta apposta per vedere il tramonto, parlando del più e del meno. Era bellissimo averla li vicino dove solo io potevo toccarla, dove solo io ero a conoscenza dei suoi segreti, dove solo io potevo amarla.
“Stavo pensando amore. -disse Claudia mentre faceva maliziosi segni circolari sul mio petto nudo- Come vuoi chiamarlo?”
“Se fosse un maschio Marcos come mio padre, se fosse femmina, decidi tu.” risposi pigramente.
“Silvia come nome mi è sempre piaciuto” disse lei.
“Silvia … si mi piace. Aggiudicato!” e in cominciai a ridere sonoramente, mentre lei incominciava a baciarmi …
 
Un urlo potente mi svegliò. Tutto intorno a me era buio. Dov’ero?
Poi capì.
Ero nella mia tenda nel campo in Gallia cisalpina.
Vidi alla mia sinistra una sagoma femminile rannicchiata in posizione fetale coperta dalla stoffa di lino che le avevo dato la sera prima.
Nel sonno dovevo essermi agitato molto, perché ero completamente sudato. Le goccioline di sudore che scendevano dal collo sul petto mi facevano rabbrividire.
Tenevo ancora stretta al petto la coperta di lana, ormai tutta stropicciata.
Mi alzai velocemente dal mio giaciglio, con la coperta stretta in un pugno, e mi diressi con passo deciso verso il baule da dove l’avevo presa.
Aprì il baule con più forza del necessario.
Le immagini del sogno si rincorrevano ancora nella mia mente, erano troppo vivide. Scaraventai la coperta dentro il baule, con tanta rabbia da provocarmi spavento, non ero mai stato incline a farmi sopraffare dalle emozioni violente.
Abbassai lo sguardo sulla coperta che si ritrovava appallottolata sulla pelliccia marrone, con le due lettere che come due occhi mi fissavano.
Una lacrima scese lentamente sulla mia guancia per poi andare a bagnare la coperta, e poi un’altra e un’altra ancora. Quei due occhi immaginari piangevano con me, nel più assoluto silenzio.
Con molta cura raccolsi la coperta e la piegai, dando un bacio a ogni lettere, per poi riporla con cautela nel baule, prima di ricominciare a piangere.
Riposi la coperta e chiusi il baule con calma, e chiusi i dolorosi, preziosi, vitali ricordi della mia famiglia nel mio cuore.
  
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