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Autore: misslittlesun95    12/05/2013    0 recensioni
Bologna, 2 agosto 1980, la preparazione all'esame di maturità di un giovane viene bruscamente interrotta da una bomba.
Puglia, primavera 1978, gli ultimi giorni d'amicizia di un trio che si conosce da sempre coincidono con il rapimento di Aldo Moro.
Torino, 18 dicembre 1978, Riccardo è innamorato di Isabella, ma la voglia di rivoluzione chiama e l'amore viene messo da parte.
Roma, 14 maggio 1977, sono passati due giorni dalla manifestazione che ha visto morire una studentessa liceale, un gruppo di ragazzi ragiona su quello che sta distruggendo le loro vite.
Quattro storie, quattro date, quattro luoghi.
Unica cosa in comune l'essere giovani in un periodo drammatico della storia nazionale, gli anni di piombo.
Ecco perché loro sono i Ragazzi di Piombo.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Ora siamo qui

Roma, sabato 14 maggio 1977.

La pallina ruotava nel campo del calcetto Balilla finendo una volta nella porta della squadra blu e una in quella rossa.
I blu, Mauro e Luisa, e i rossi, Roberta e Franco, erano in una situazione di totale parità, un quattro a quattro che snervava Marina e Pietro, gli ultimi due presenti, che aspettavano la fine della partita per sfidare la coppia vincitrice.
Il giradischi passava Venditti, mentre Pietro cercava di suonare un pezzo del suo cantautore preferito, Stefano Rosso, con una chitarra scordata.
Marina era rannicchiata su una poltrona, stanca morta come tutte le sere.
Studiava medicina, e lo studio occupava la maggior parte del suo tempo.
Un venticello fresco, ben voluto in quel maggio Romano tremendamente caldo, entrò dalla porta-finestra aperta rinfrescando tutto il piccolo monolocale di via Gaspare Gozzi, proprio sopra il tratto di metropolitana che collegava la loro zona, San Paolo, con l'Eur.
- Fra' fottiti! Hai rullato!- La voce di Luisa ruppe il silenzio che si era creato.
Era sempre così, Luisa si attaccava a tutto pur di discutere con il ragazzo. Chissà perché, poi.
Erano amici da anni, non avevano mai dato segni di provare qualcosa l'uno per l'altra, non parevano esserci motivi per cui si stuzzicassero tanto. Eppure anche quella sera lì lei era stata la prima ad accusarlo, tra l'altro per una stupidaggine.
Stanca di quei modi e di quelle discussioni inutili ed infantili, Marina lasciò perdere il desiderio di riposare e andò a sedersi sul balcone della piccola casa.
Il venticello che poco prima era entrato nella stanza lì era costante, e si stava bene.
Era una notte di luna piena, il cielo completamente sgombro da nubi era illuminato da tante stelle e pochi lampioni.
Marina si riaccese una canna e iniziò a fumare tranquilla.
In quel periodo di stress per lo studio e gli esami che avrebbe dovuto dare di lì a un paio di settimane quel piacere proibito era una delle poche cose che la rilassavano.
Mentre fumava il suo sguardo cadde sulla prima pagina de “Il messaggero”
Uno degli articoli riguardava la ragazza morta due giorni prima durane una manifestazione, con tanto di foto.
Convinta da un paio di amici anche Marina quel giorno era andata a quel corteo, uno dei tanti, e pensare che al posto di quella ragazza potevano trovarsi lei o qualche suo amico era tremendo.
Tremendo e assurdo, perché in uno stato libero e democratico, quale avrebbe dovuto essere l'Italia, non era ammissibile una cosa del genere.
Manifestare era un modo per dimostrare a tutti che loro erano lì, c'erano, esistevano e dovevano essere presi in considerazione.
Non si poteva rischiare la vita, non era giusto.
- Buona la canna, Marina?- Pietro non aspettò neanche una risposta per uscire sul balcone e sedersi accanto all'amica.
- A che pensi?- Le aveva domandato cambiando subito argomento.
- A niente.- Rispose distrattamente lei.
- Bugia, e lo sai.-
Marina allora gli indicò la foto sul giornale con un rapido gesto della mano con la quale teneva la canna.
- Pensavo a quella ragazza.- Sospirò. - Pensavo alla sua famiglia, ai suoi amici. E anche alla mia famiglia, e a voi. -
- Alla faccia del niente.- Rise Pietro. - Un po' ti capisco, anche io ci ho pensato. Credo lo abbiamo fatto tutti, no? Specialmente noi che eravamo lì.-
Marina annuì. - Probabilmente è stato il caso a scegliere, ma non è questo che importa. È che non è giusto, non è normale, non è democratico.-
Sospirò nuovamente e riprese a fumare.
- Che si racconta di bello compagni?-
La voce di Mauro annunciò, anche se non direttamente, la fine della partita a calcetto. Di fatti i quattro sfidanti uscirono tutti insieme sul balcone e si andarono a sedere accanto agli altri due, quasi tutti con del fumo, legale o meno che fosse.
- Niente, stavamo pensando a quello che è successo due giorni fa.- Rispose Marina sapendo che il “compagni” era diretto più a lei che a Pietro.
Lei era di sinistra, abbastanza estremista, ma si trovava bene anche con Roberta e Franco che, invece, erano fascisti.
Non le importava molto di quelle differenze ideologiche, l'amicizia era un'altra cosa.
E lo stesso valeva quando si parlava di ingiustizie.
Di fatti Roberta fu la prima ad esporre idee con cui tutti erano d'accoro.
- Che razza di bastardi.- Commentò. - A me di quella manifestazione non fregava nulla, era roba vostra di sinistra. Ma cazzo, anche io ogni tanto scendo in piazza, e non posso pensare che potrei non tornare a casa.-
- Io credo che a questo punto dovremmo addirittura mettere in conto di non andarci più, alle manifestazioni.- Disse Luisa, che tra tutti era quella più facilmente suggestionabile.
Ma Mauro aveva un'altra idea. - Però così facendo faremmo il loro gioco, gliela daremmo vinta. Forse bisogna continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto.-
- Per essere uccisi, Ma'?- Domandò Franco.
- No, per dimostrare che non ci avranno mai. -
- E se t'ammazzano? -
- Hai smesso di prendere il treno dopo il '74 o di andare in banca dopo il '79?- Rispose Mauro con aria di sfida.
- No, ma che c'entra?-
- Forse Mauro vuole dire che è un po' la stessa cosa, non dobbiamo avere paura.- Disse Roberta.
- Grazie Robi, hai compreso.- Le sorrise il ragazzo.
- Non avete paura di morire?- Li stuzzicò a quel punto Franco.
- Te c'hai paura di vivere e vieni a domandare a me se ho paura di morire? La gente che vuole vivere in un posto migliore deve mettere in conto di morire, o no? Marina, tu che hai tirato fuori il discorso che ne pensi?- Disse poi Mauro rivolgendosi alla ragazza che aveva finito ormai di fumare ma continuava a tacere.
- Eh? Ah, sì. No, io credo che abbia ragione Mauro, che se smettiamo di scendere in piazza per paura facciamo il loro gioco. Però è difficile, sapete? Cioè, non sarebbe assurdo se noi sei che siamo qui ora tra una settimana fossimo cinque perché in questo paese di merda non vi è per nulla libertà? E poi pensa alle famiglie. Manifesto da quando ho quattordici anni, ora ne ho ventidue, ma solo due giorni fa ho chiesto a mia madre se ha mai avuto paura per me. E mi ha risposto che sì, sempre, ma ormai sono grande e non può dirmi nulla. È stato terribile, ragazzi, davvero. È terribile pensare che mia madre debba avere costantemente paura. E che purtroppo quelle paure per qualcuno ora sono realtà.-
I ragazzi tacquero dopo le parole di Marina.
Il pensiero di tutti andò alle famiglie, agli amici.
Forse per la prima volta nella loro vita era arrivato il cruciale momento di una scelta seria.
Non come quando avevano scelto la scuola superiore o cosa fare dopo la maturità, una scelta seria davvero, qualcosa di importante.
Dovevano decidere se darla vinta a loro, a quelli che sparavano e in ogni caso se ne fregavano dei giovani e di cosa pensassero, oppure continuare a combattere, a qualsiasi costo, anche il peggiore.
Rimasero in silenzio, forse in quel momento non pensavano tutti alla stessa cosa.
Poi Luisa, proprio quella che per prima aveva fatto intendere di aver paura, si alzò e fissò tutti negli occhi. - Mauro ha ragione, dobbiamo continuare a fare ciò che facevamo prima. E dobbiamo sempre, dovremmo andare avanti anche se qualcosa di orribile accadesse a uno di noi. Perché? Perché se smettiamo non avremmo mai ciò per cui combattiamo. Se smettiamo siamo complici! Io non so quanti di noi avranno figli, un giorno, ma so che è anche per loro che dobbiamo andare avanti.
Di tutta questa merda di paese noi giovani d'oggi siamo le uniche vittime, e non solo se moriamo. Tutto pare esistere per distruggerci, per farci diventare un giorno ciò che loro vogliono. E se li facciamo fare così domani saremo noi a sparare sui nostri figli, e loro sui loro. È un circolo vizioso e va fermato, anche a costo di soffrire.-
Gli altri applaudirono.
Un applauso non troppo forte, data l'ora, ma applaudirono.
Luisa aveva centrato il punto, tutte le lotte andavano fatte per il futuro, erano progetti a lungo termine.
Sì, bisognava andare avanti.
Sì, non dovevano essere spaventati.
Un treno passò sotto l'appartamento e i ragazzi gli rivolsero lo sguardo.
Poi fissarono il cielo limpido.
- Ragazzi io non so cosa accadrà, non so se quando tutto questo finirà ne usciremo vivi, insieme e vincitori. - Sospirò Franco, convinto anche lui dalle tesi di Luisa. - Ma so che è la nostra possibilità, forse l'unica. Quella ragazza, come il ragazzo morto a Bologna a Marzo nello stesso modo, non devono metterci paura, avete ragione. Forse devono addirittura darci un motivo per continuare. Non so nulla, non sappiamo nulla di ciò che ci riserva il futuro, in nessun punto.
Ma ora siamo qui, e se questa è la nostra scelta lo sarà sempre. Fino alla fine.-



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Sono oggi, 12 maggio 2013, trentasei anni da quando Giorgiana Masi è stata uccisa da un colpo d'arma da fuoco durante una carica della polizia.
Probabilmente a sparare è stato un agente in borghese, ma i nomi degli assassini non sono mai venuti fuori.
Nel 2007 Francesco COSSIGA, ai tempi dell'omicidio ministro degli interni, dichiarò di essere uno dei cinque a conoscenza del nome di chi sparò quel giorno.
Cossiga è morto nel 2010, portandosi con se quel nome.
Giorgiana studiava al liceo scientifico Pasteur e aveva diciotto anni.
Era una ragazza come tante, se vi guardate in torno ne vedrete mille, io stessa ho ora quasi diciotto anni.
Non c'è da fare molta retorica su casi come questi, l'importante è tenere sempre a mente il dramma di un paese, il nostro, che spara sui suoi figli.
Oggi non accade più, ma chi manifesta sa che il pericolo e la paura sono costanti.
La storia non è venuta bene come speravo, ma non mi interessa, io volevo solo far ricordare.
Lo dico sempre, è solo la memoria che salva.


Grazie a chi è arrivato fino qua, a chi ha letto questi quattro racconti, a chi ha magari scoperto cose che non sapeva.
Noi non siamo più ragazzi di piombo, siamo anzi giovani che potranno aiutare una volta per tutte questo maledetto e magnifico paese.
Buona fortuna, ragazzi, buona fortuna, Italiani.

- Francesca.



 

   
 
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