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Autore: rekichan    02/12/2007    4 recensioni
Chissà cosa lo aveva spinto a credere che gli Uchiha fossero tutti uguali.
Lo avrebbe dovuto comprendere subito che Obito, col suo sorriso incancellabile, perfino nella morte, aveva costituito una tanto improbabile quanto meravigliosa eccezione.
Così come doveva comprendere che quel ragazzino dagli occhi neri e il broncio sul volto non sarebbe mai stato come lui.
E non avrebbe più riso, perché le risate dei bambini, quelle che si rompono e si trasformano in etere fate, si erano perse per strada allo svoltare dei suoi sette anni.
No.
Decisamente, a Kakashi, quel Sasuke adolescente non piaceva.
Forse, perché erano troppo simili.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kakashi Hatake, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Oh, what did you see, my blue-eyed son?

I saw a newborn baby with wild wolves all around it

Kakashi vedeva solo da un occhio: il destro.

Questo perchè, quando si scopriva il sinistro, era come aprire una finestra tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti.

Ed Obito guardava attraverso quell'occhio.

Sempre. Sempre. Sempre.

Così, Kakashi aveva preso l'abitudine di portarlo coperto e di usarlo solo se strettamente necessario.

In fondo, era soltanto un modo più semplice per convincersi che Obito era morto.

Morto. Morto. Morto.

Come tutti gli Uchiha.

O quasi.

Ma, in fondo, quel bambino che arrancava per strada trascinando una busta della spesa troppo pesante per lui non si poteva definire un Uchiha, no?

In un modo o nell'altro, finiva sempre per incrociarlo.

Forse, perché aveva preso l'abitudine di passare di fronte al quartiere degli Uchiha.

Forse, perché chiunque, nel villaggio, avrebbe riconosciuto quello stemma sulla felpa blu del piccolo, e avrebbe scosso il capo in segno di compatimento.

Non si può essere Uchiha a soli nove anni.

A nove anni, sei solo un bambino cui dovrebbe essere permesso di frignare in braccio alla mamma.

Eppure, Kakashi, ogni volta che osservava quello che tra sé e sé continuava a chiamare "moccioso", si chiedeva se non fosse possibile essere già adulti a nove anni.

Allora guardava gli occhi del bambino.

Neri, come tutti gli Uchiha.

Incendiati, come tutti gli Uchiha.

Decisi, come tutti gli Uchiha.

Kakashi, guardava i suoi occhi, poi fissava i graffi sul viso, sulle mani troppo magre e troppo callose per essere solo quelle di un bambino.

Allora, Kakashi, doveva spostare lo sguardo sulla piccola schiena curva e sul suo lento ansimare per la fatica di trascinare le buste, per ricordarsi di avere di fronte solo un bambino.

Solo ed esclusivamente un bambino.

Nient'altro.

Perché, allora, gli prudeva l'occhio sinistro, mentre lo guardava?

Ogni volta che doveva andare a fare la spesa, era un dramma.

Ostinato com'era, non si sarebbe mai fatto aiutare da nessuno.

In fondo, lui, era un Uchiha.

Tuttavia, non aveva neanche il tempo di andare spesso a comprare gli alimenti, così, quando riusciva a ritagliarsi un'ora nel suo programma d'allenamento (e solo se la dispensa era completamente vuota, perché non poteva permettersi di perdere tempo.), faceva la spesa per tutto il mese.

Così, si ritrovava a trascinare buste su buste, perché non avrebbe mai permesso a nessuno di entrare nel quartiere Uchiha, neanche se era per aiutarlo a portare la spesa.

Sarebbe stato da deboli, e lui non lo era [debole].

Lui era un Uchiha [debole].

Avrebbe preferito trascinarsi, piuttosto che chiedere una mano.

Se non riusciva a svolgere neanche le mansioni più semplici come avrebbe fatto a uccidere [ritrovare] Itachi [suo fratello]?

Così camminava, cercando di mantenere la postura dritta e il viso alto; ignorando tutti gli sguardi pettegoli che si posavano sulla sua schiena [su di lui], dove troneggiava il simbolo del [decaduto] Clan.

In fondo, lui era un Uchiha.

Anche se aveva solo nove anni.

«Quel bambino torna sempre a casa da solo.»

«Già, povero piccolo… una così grande tragedia…»

«Bisognerebbe fare qualcosa.»

«Mi chiedo perché non lo abbiano affidato a qualcuno.»

«In fondo, tutti a Konoha sarebbe onorata di accogliere un Uchiha nella propria famiglia.»

«Un Uchiha? Andiamo, in fondo è solo un bambino. E non ha mai neanche dimostrato particolare talento rispetto ad Itac…»

«Ssssht! Così ti sente.»

Sasuke passò oltre, non dando segno di aver sentito alcunché e mantenendosi ben eretto, nonostante le mani gli dolessero per il peso della spesa.

Non avrebbe dato loro la soddisfazione di aver ragione.

In fondo, bastava ignorarli.

Bastava tirare avanti, con la schiena dritta e lo sguardo fiero di ogni Uchiha.

Bastava aspettare e sarebbe cresciuto, perché non sarebbe rimasto un bambino per sempre.

No. No. No. No.

Per il momento, doveva solo farsi vedere forte, come ogni Uchiha.

Bastava solo fingere di essere grande.

In fondo, le apparenze sono quelle che contano, e non il peso delle buste della spesa, che puoi posare appena svolti l’angolo e sei sicuro che nessuno ti guardi.

Oh, what did you see, my blue-eyed son?

I saw guns and sharp swords in the hands of young children

Ogni volta che si fermava a guardare quel giardino, rabbrividiva.

Il sangue se ne era andato, ormai, ma l'odore, l'odore!, era restato.

Impregnava l’aria e lui, incauto visitatore, non poteva fare a meno di inalarlo.

Si chiese perché fosse tornato lì [di nuovo].

Si domandò perché avesse varcato quella soglia [ancora una volta].

In fondo, non aveva più niente da fare al quartiere Uchiha, no?

Obito era morto.

Il Clan era morto.

Tutti erano morti.

Anche quel bambino che lanciava ostinatamente shuriken contro un albero, accanendosi contro il povero vecchio tronco che subiva la rabbia e l’insofferenza di un cucciolo d’uomo.

Ancora una volta, si era fermato a guardarlo.

Ancora, studiava il fisico minuto del bambino, reso ancora più magro e scarno dagli abiti larghi cui sembrava non volersi separare e che, comunque, gli impicciavano i movimenti, rendendo la presa sulle armi incerta e goffa.

Stupido moccioso che si allenava indossando la maglia troppo grande del fratello maggiore, illudendosi di poter diventare bravo come lui.

Allora, Kakashi scuoteva il capo e gli dava mentalmente dell’idiota.

Perché si impegnava, se ormai erano già tutti morti?

Per sentirsi vivo, no?

Sasuke aveva un programma giornaliero molto fitto.

La mattina, quando si alzava, faceva colazione, si lavava il viso, i denti e si vestiva, tentando poi di pettinarsi i capelli ribelli.

A Kaa-san sarebbe dispiaciuto, vederlo in disordine.

Andava all’Accademia, premunendosi di essere il primo della classe, perché era così che un Uchiha doveva essere: sempre il migliore. E lui lo era.

Anche perché così Tou-san sarebbe stato orgoglioso di lui.

Non si fermava a giocare con gli altri bambini, dopo la scuola: lui non aveva bisogno di giocare.

Non era più un moccioso, quindi se ne andava, fissando con disprezzo [invidia], i coetanei che fingevano di fare i ninja.

Lui era diverso: lui era un ninja.

Non aveva tempo per i giochi.

Quindi, tornava a casa, procedendo sempre con la schiena dritta e lo sguardo alto.

Proprio come avrebbe fatto Itachi: lui non abbassava mai lo sguardo di fronte a nessuno. Ma proprio a nessuno nessuno!

Lì, cominciava ad allenarsi, accarezzando il freddo metallo degli shuriken; acquistandovi familiarità.

Le piccole dita passavano sui bordi affilati, e quando fissava le sottili strisce bianche che l’acciaio lasciava sulla pelle, si sentiva soddisfatto di se stesso.

Allora sorrideva, con la sua bocca da gatto [cucciolo], e cominciava ad allenarsi.

Peccato che verso sera sentisse sempre freddo, anche se cercava di non farci caso.

Era un Uchiha, non poteva permettersi di badare alle temperature.

Solo quando il sole era ormai tramontato e il vento gelido del nord cominciava a soffiare, cominciava a pensare che, forse, ma proprio forse, si sarebbe potuto permettere una maglia in più.

Quindi, saliva in camera e tirava fuori la sua felpa pesante, lasciando però che lo sguardo cadesse su un altro pezzo di stoffa sgualcita tra le coperte.

Lo fissava, e fissava poi la propria felpa, pronta a farsi infilare e a scaldarlo.

La indossava, ma lo sguardo tornava sempre al pezzo di stoffa.

Usciva, ma poi indugiava e tornava in dietro, finché non si decideva a prenderla in mano, lasciandola cadere subito dopo, come ustionato dal contatto con la consistenza del tessuto.

Alla fine, si convinceva che quella felpa buttata sul letto era più comoda, più calda, e che non era importante che fosse appartenuta ad Itachi.

Si toglieva la propria e indossava quella dell’assassino [del fratello], rigirando più volte le maniche troppo lunghe per le sue braccia da bambino.

Dopo di che, usciva ad allenarsi di nuovo, ma era come se, con la felpa, Itachi fosse tornato lì con lui e giudicasse con aria critica i tiri sbilenchi che faceva, le posizioni sbagliate e il labbro inferiore che tremava infantilmente ogni volta che mancava un colpo.

Alla fine di quell’allenamento disastroso, Sasuke rientrava.

Quel giorno era stato il primo della classe e si era allenato duramente, proprio come il padre avrebbe voluto.

Cenava, sparecchiando e lavando i piatti; si lavava i denti come ogni bravo bambino e si metteva il pigiama, proprio come sua madre avrebbe voluto.

Infine, si coricava e allora, solo allora, sfogava tutta la sua rabbia e la sua frustrazione sull’indumento che, fino a poco prima, lo aveva scaldato, solo perché conservava, ancora!, l’odore velenoso di Itachi.

Dopo di che, si addormentava, stringendo quella stessa maglietta, proprio perché conservava ancora l’odore rassicurante di suo fratello.

Se ne stava tranquillamente a sfogliare le pagine di quel libro.

Come al solito, lo sguardo scorreva sulle parole, senza realmente vederle.

In fondo, leggere era solo un modo poco evidente di distogliere lo sguardo dal resto del mondo.

Perché, ormai, questo non gli interessa più e la realtà fittizia delle pagine intrise di inchostro è molto più bella di quella esterna.

Però, a volte, non si può fare a meno di ignorare quel fruscio di passi lenti che, con cadenza impacciata e irregolare, calpestano l'erba.

Neanche il sordo rumore del metallo sul legno, a pochi metri di distanza.

Kakashi alzò, a malincuore, lo sguardo.

Di fronte a lui, soltanto il simbolo del clan Uchiha, indossato da spalle troppo fragili per sopportarne il peso.

Era lontano, quel ventaglio rosso e bianco, eppure spiccava così tanto nel verde del fogliame che, Kakashi rabbrividì al pensiero, avrebbe potuto distinguerlo in mezzo ai più intricati grovigli.

In fondo, gli Uchiha erano fatti per evidenziarsi tra le altre foglie.

Peccato che, di quel maestoso albero, ne fosse rimasta solo una che, lenta, cominciava a seccarsi.

Una decadenza che aumentava in diretta proporzione ai lanci che colpivano il bersaglio.

«Ragazzino, dovresti essere a casa, a quest'ora.»

Sibilò, diretto al bambino che, ostinatamente, continuava a lanciare shuriken contro i tronchi.

Il rumore lo disturbava, impedendogli di concentrarsi sulla lettura.

«Moccioso, si presta attenzione quando un adulto ti parla.»

Evidentemente, non lo aveva udito.

Perché i colpi continuavano a rimbombare, minacciosi, nella foresta.

«Mi ascolti?»

Allora, solo allora, il bambino si fermò.

Posò gli shuriken, voltandosi verso il disturbatore e squadrandolo da capo a piedi, come per valutare se quell'adulto fosse o meno degno del suo rispetto.

Lo studiò a lungo, soppesando con quegli occhi scuri e attenti - animaleschi, pensò Kakashi - ogni dettaglio che gli si presentava di fronte.

Per poi soffermarsi sull'unico occhio visibile del ventunenne.

«Non vedo motivo per farlo.»

Kakashi trattenne un ringhio, di fronte all'impertinenza.

Chissà perché, quella minuscola caricatura di un Uchiha finiva sempre lungo la sua strada.

Non sopportava quel bambino.

Forse, perché non era Obito: l'unico Uchiha che mai avesse tollerato.

Gli altri, per lui, erano invisibili.

«Dovresti essere a casa.»

Ripeté, come se quella verità sacrosanta potesse valere per chi, la casa, è diventata soltanto un freddo cimitero.

«Tanto non c'è più nessuno.»

Apatia raggelante, nella risposta.

Un disinteresse completo verso chi lo poteva attendere tra le mura domestiche e, allo stesso tempo, crudele dimostrazione che non era un illuso, non era un bambino.

Era soltanto drammaticamente consapevole.

«Ma se proprio ci tieni...»

Il bambino raccolse le armi taglienti, proprio come se fossero i giocattoli di cui era stato privato troppo presto.

Kakashi ebbe l'orribile sensazione che, quella del piccolo, non fosse una dimostrazione d'obbedienza di fronte ad un adulto, ma soltanto una concessione che gli faceva.

Così, fu con perplessità e attonimento che osservò allontanarsi l'ultimo degli Uchiha.

Membro silenzioso di un villaggio che, però, faceva pesare la sua piccola e innocua presenza.

Perché un Uchiha è sempre un Uchiha, a prescindere dall'età.

A poco, a poco, cominciò a piovere.

And it’s a hard, it’s a hard, it’s a hard, it’s a hard,
It’s a hard rain’s a-gonna fall

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Chiedo scusa a tutti per i ritardi negli aggiornamenti, ma ho alcuni piccoli problemi di tempo con l'università e con internet.

Comunque, anche questo capitolo è andato.

Vi ringrazio tutte per la pazienza.

Ainsel: Eh, nee-chan. Purtroppo questi due riesco ad elaborarli solo al passato. Ma se noti c'è un sottile filo conduttore tra un capitolo e l'altro, parte la ripresa, ogni volta, di scene di vita quotidiana^^. A te trovarlo XD!

Darkrin: Non hai mai trovato un motivo per vederli assieme prima d'ora? O_O! Ma guardali! Sono nati l'uno per l'altro! Sia caratterialmente che fisicamente (immagini =ççç=)! Insomma, sono fantastici assieme ù_ù. Spero che, comunque, questo capitolo sia stato di tuo gradimento; come puoi vedere il nostro piccolo Sasuke continua a giocare all'adulto, purtroppo riuscendoci.

Rukia: dai, non sarai brava a recensire, ma fa sempre piacere trovare un tuo commento XD!

Sirius: purtroppo le KakaSasu sono più rare delle mosche bianche. Riguardo ai flash-back, semplicemente non riesco a pensare che, con la presenza di Obito, si siano incontrati solo quando Kakashi è diventato il sensei di Sasuke. Personalmente, credo che abbiano avuto parecchi incontri casuali, prima: semplicemente, Sasuke era troppo piccolo e troppo preso a fare altro per ricordarseli.

   
 
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