Salve a tutte!
Ecco qui il nuovo capitolo di “Sotto
un cielo coperto di stelle” :D avrei voluto postarlo oggi pomeriggio ma EFP
faceva i capricci, quindi ho preferito rimandare :)
Sono super contenta di come è
cominciata questa storia, e anche delle 6 recensioni che mi avete
lasciato! Non avevo mai ricevuto 6 recensioni in un prologo di una
storia *-* – mi
entusiasmo con poco, loso, ma voi non fateci troppo caso XD
Adesso vi lascio leggere, ci sentiamo
in basso ;)
Capitolo due
Bella
Porto di San Paolo, 27 Febbraio 1887
Mi
sembrava di star rivivendo lo stesso momento di due settimane prima, solo che
le parti si erano invertite. Se prima avevamo lasciato il porto per salire su
di una nave, adesso stavamo scendendo da essa per raggiungere il porto. C’era
una sola e unica differenza, in tutto ciò: non c’era nessuno che ci stava
salutando, o che stava aspettando il nostro arrivo.
Come
mi aveva assicurato Antonio qualche ora prima, eravamo finalmente arrivati alla
fine del nostro lungo viaggio ed avevamo raggiunto San Paolo, una delle più
grandi e più importanti città del Brasile. Non avrei saputo dire se fosse una
città bella, oppure se non mi piacesse: fino a quel momento avevo visto solo il
porto dalla nave, ma ero sicura che una volta scesa avrei visto meglio il nuovo
posto in cui ero appena arrivata.
Rimanendo
accanto a mio padre, carichi dei nostri bagagli, avevo atteso il nostro turno
di scendere e non avevo smesso per un istante di guardarmi intorno. Non c’era
nulla di veramente interessante da vedere e ne ero consapevole, ma non ne
potevo fare a meno. Sentivo molti parlare in portoghese, e molte delle parole
che usavano non riuscivo a capirle…
Smisi
di girare la testa di qua e di là solo quando vidi un uomo dalla carnagione
ambrata, in completo elegante, venire incontro a me e a mio padre: stringeva un
cappello scuro tra le mani e sembrava a disagio. Mi chiesi subito chi potesse
essere.
«Scusatemi, siete per caso voi il senhor
Charlie Swan?» l’uomo parlò in portoghese, ma rispetto a poco prima riuscii
a capire cosa stesse dicendo. Quella, era una delle poche frasi complete che
avevamo imparato durante il viaggio.
«Sì, sono io.» rispose papà, usando la sua
stessa lingua.
L’uomo
rivolse a me e a papà un grande sorriso. «Meno male! Ho chiesto a moltissime
persone, e finalmente sono riuscito a trovarvi! Il mio nome è Marcelo, piacere
di conoscervi.»
«Piacere
mio, Marcelo.» papà strinse la mano che Marcelo gli stava porgendo. «Lei è mia
figlia, Isabella.» aggiunse infine.
«Piacere,
signorina. Lieto di conoscerla.» mi sorrise con calore dopo che mi ebbe baciato
il dorso della mano, una riverenza che nessuno mi aveva mai concesso prima di
allora. «Il senhor Carlisle vi sta
aspettando poco lontano da qui, mi ha chiesto di venire a cercarvi. Venite con
me…»
Intimorita,
al pensiero che a pochissima distanza da noi ci fosse Carlisle, il grande amico
di papà, mi strinsi nello scialle come per cercare calore, anche se non era
necessario: lì faceva davvero molto caldo.
Io
e papà seguimmo Marcelo, che si era offerto di prendere la mia valigia, lungo
il porto, e presto entrammo in un grande stanzone pieno di persone; ne
riconobbi alcune, che fino a poco prima si trovavano sulla nave insieme a noi.
Continuammo
a camminare. Presa com’ero a guardarmi intorno, incuriosita stavolta, mi fermai
solo quando sentii che mi ero scontrata contro qualcuno; quel qualcuno era mio
padre.
«Oh
papà, scusami!» mi affrettai a dire subito.
Lo
feci ridere. «Non preoccuparti Bella, non preoccuparti. Non è successo nulla…»
mi lanciò una rapida occhiata divertita prima di riprendere a camminare.
Finalmente
raggiungemmo il fondo dello stanzone, dove c’erano meno persone, ma quelle che
c’erano mi sembrarono, a prima vista, persone benestanti. Erano tutte vestite
bene, alcune anche più di Marcelo.
Una
di quelle persone, vestita con un semplice completo beige, si era distaccata
dalle altre e stava camminando dalla nostra parte. Si tolse il cappello, dello
stesso colore dell’abito, rivelando dei capelli biondi molto chiari pettinati
all’indietro. Il sorriso emozionato che ci stava mostrando indicava che stava
aspettando proprio noi.
Quindi…
quel signore doveva essere senza dubbio Carlisle Cullen.
«Senhor Carlisle, li ho trovati!» lo
informò Marcelo non appena gli fummo vicini.
Carlisle,
senza smettere di sorridere, annuì alle parole di Marcelo ma non si voltò per
guardarlo: era impegnato a guardare mio padre. Notai anche che aveva gli occhi
lucidi.
«Charlie,
amico mio!» disse, con voce pacata e intrisa di commozione. Si avvicinò a mio
padre e lo avvolse in un caldo abbraccio, che venne ricambiato quasi subito.
«Quanto tempo è passato!» mi accorsi solo in quel momento che stava parlando in
italiano.
Sorrisi,
stringendomi nello scialle. Stavo assistendo alla riunione di due grandi amici
che la vita, per vari motivi, aveva diviso forse troppo presto. Papà mi aveva
detto tantissime volte che erano soltanto dei bambini quando Carlisle partì e
lasciò L’Italia insieme alla sua famiglia. Era… bello, vedere che dopo tanti
anni la loro amicizia e il loro affetto era rimasto immutato.
«È
una gioia vederti di nuovo, Carl.» sussurrò papà.
«Anche
per me, non sai quanto.» i due uomini smisero di abbracciarsi e si sorrisero,
anche se continuarono a restare vicini e a ridacchiare di tanto in tanto. Mi
avvicinai a papà e gli carezzai una spalla, in un gesto di affetto, e lui
subito coprì la mia mano con la sua mentre con l’altra si strofinava gli occhi.
Carlisle
mi notò e mi sorrise calorosamente. «Charlie, lei è tua figlia?» domandò poi
rivolgendosi a papà.
«Sì,
è mia figlia. Isabella.»
«Isabella…
un bellissimo nome italiano.» Carlisle mi porse la mano e non appena la presi
con la mia mi fece un baciamano, come aveva fatto poco prima Marcelo. «Sono
davvero molto contento di conoscerti, Isabella.»
Arrossii,
annuendo. «Il piacere è tutto mio, signor Carlisle.»
Aggrottò
le sopracciglia. «Non chiamarmi ‘signore’ cara, non ce n’è affatto bisogno.»
ridacchiò. «È davvero una ragazza deliziosa, Charlie.» commentò.
«Non
sei il primo che lo nota, Carl.»
Carlisle
sorrise di nuovo. «Bene. Prima di andare via dobbiamo attendere ancora qualche
minuto. Dobbiamo prima registrare il vostro arrivo e firmare qualche documento,
me lo hanno spiegato prima… poi possiamo andare a casa. Esme è impaziente
all’idea di conoscervi!»
Esme
era la moglie di Carlisle, se non ricordavo male. E l’idea di conoscerla,
pensai, piaceva molto anche a me.
Terminato
il processo di registrazione e tutte le altre questioni, a cui non avevo
mostrato particolare attenzione, per essere onesta, eravamo stati liberi di
lasciare il porto. Da quel momento in avanti, potevo dire tranquillamente che
stavo per cominciare la mia nuova vita da brasiliana! Mi divertiva vedere la
situazione in quel modo.
Marcelo,
seguito a breve distanza da noi e da Carlisle, ci aveva condotto verso una
carrozza e, dopo averci fatto salire e dopo aver caricato le nostre valige,
avevamo lasciato il porto.
Non
avevo smesso un secondo di guardarmi attorno, spinta dalla curiosità morbosa di
vedere con i miei stessi occhi come fosse la città in cui ero appena arrivata.
Mi piaceva moltissimo, così piena di vita e di allegria. Ovunque guardassi
c’era un particolare che mi spingeva a scoprire qualcosa in più.
Ero
così impegnata a guardare le strade, le case, i negozi e le persone che
riuscivo a stento a prestare attenzione a quello che si stavano dicendo papà e
Carlisle. Anzi, forse era meglio dire che non li ascoltavo per nulla. Era come
se mi fossi rinchiusa in uno spazio tutto mio, dove non c’era niente e nessuno che
riuscisse a disturbarmi.
«Bella,
mi stai ascoltando?»
La
voce di papà mi fece sussultare e voltare verso di lui. Spaesata com’ero, non
ero riuscita a capire cosa fosse successo. «Che… che cosa c’è?» chiesi, un po’
stupidamente.
«Non
mi stavi ascoltando, vero?» domandò, riprendendomi bonariamente.
Arrossii.
«Scusami, è solo che… che mi sono distratta…»
Carlisle,
che era seduto di fronte a noi sulla carrozza, rise e si sporse per carezzarmi
gentilmente una mano, che tenevo poggiata sul ginocchio. «È perfettamente
comprensibile, mia cara. Ti piace la città, vero?»
Annuii,
imbarazzata.
«Stavo
appunto parlando di questo con tuo padre. Staremo in città soltanto per oggi,
nella casa di mia suocera, poi domani raggiungeremo in treno la fazenda dove viviamo.»
«Fazenda?» chiesi, confusa. Era una delle
tante parole portoghesi che ancora mi erano estranee.
«Puoi
anche chiamarla ‘fattoria’, Bella. È li che viviamo, e sempre lì coltiviamo il nostro
caffè. Sono sicuro che ti piacerà. So che ti piace molto la campagna, me lo ha
raccontato tuo padre…»
«Beh,
ho sempre vissuto in campagna… e ho imparato ad apprezzarla, con il tempo.»
«Spero
tanto che riuscirai ad apprezzare anche la nostra, di campagna, mia cara.»
Carlisle sorrise. «Non sarà come essere in Italia, lo ammetto… lì le cose sono
molto diverse, o almeno lo erano molti anni fa, prima che venissi a vivere in
Brasile. Però è un bellissimo paese, questo. Ci si abitua presto a viverci.»
«Sono
sicuro che sarà così, Carl.» disse papà. Mi abbracciò, passandomi gentilmente
il braccio lungo le spalle. Sorridendo, ricambiai il suo gesto e poggiai la
testa sulla sua spalla, sospirando.
«Non
appena arriveremo a casa potrete riposarvi. Esme stava preparando le vostre
camere quando sono uscito, ormai deve aver finito…» Carlisle si voltò e osservò
la strada, sorridendo. «E noi siamo quasi arrivati! Manca pochissimo.»
Alle
sue parole, alzai la testa e mi misi a guardare anche io fuori della carrozza:
notai subito che dovevamo trovarci in una zona della città molto ricca, benestante;
le case che riuscivo a vedere erano tutte belle e ben curate, circondate da
giardini altrettanto ben curati. Alcuni avevano anche delle piccole fontane…
La
carrozza si fermò poco dopo, davanti a una casa che a prima vista mi sembrò più
bella di tutte le altre. Era… enorme, con colonne bianche davanti alla porta di
ingresso e una balconata, al piano superiore, nello stesso e identico stile. La
facciata era tutta sui toni del bianco, e quel colore le donava eleganza e
raffinatezza.
Il
giardino, invece, rispetto alla casa era piccolo, ma a parte quel particolare
era comunque carino. C’erano delle piccole siepi tutt’attorno alle ringhiere
che lo delimitavano e lungo il vialetto che portava all’entrata, senza contare
le piante di rose tutt’intorno alla casa… o almeno, a me da quella distanza
sembravano rose.
«Che
bella casa.» mormorai, ancora impegnata ad osservarla.
Carlisle
rise. «Qui abita la mia suocera, Bella. Dovresti dirlo anche a lei, sono sicuro
che apprezzerà. Vieni, ti aiuto a scendere…» dopo essere sceso dalla carrozza
mi porse la mano, aiutandomi a scendere e a poggiare i piedi sul marciapiede.
Marcelo
scaricò le nostre valige e ci precedette, aprendoci il cancello e facendoci
entrare nel giardino. Carlisle fece passare me e papà per primi, indicandoci la
porta di ingresso e guidandoci attraverso il giardino fino a raggiungerla. Era
buffo, ma io in tutto quel tempo non potei fare altro che… guardarmi intorno. Sembrava
che in quella giornata ero destinata a fare nient’altro che quello.
Ma
c’erano così tante cose da vedere, ed io ero curiosa di scoprirle tutte e nel
più breve tempo possibile.
E
dopo aver studiato per bene il giardino, entrai in casa. Già l’ingresso mi fece
capire che la proprietaria doveva essere una persona ricca, molto ricca. I
pavimenti in legno, lucidati alla perfezione, e una cassettiera in noce
sormontata da uno specchio dalla cornice dorata mi colpirono moltissimo. E
alzando gli occhi verso il soffitto bianco, vidi un piccolo lampadario di
cristallo.
«Beh,
eccoci qui.» Carlisle si tolse il cappello dalla testa e lo poggiò sulla
cassettiera, spostandosi lungo il corridoio d’ingresso. «Esme, tesoro, siamo
qui!» chiamò successivamente.
Sentii
subito alcuni passi affrettati e leggeri venire verso di noi, e qualche secondo
dopo vidi arrivare una donna, vestita elegantemente, che si avvicinò a
Carlisle. Lui, dopo averle sorriso, le prese le mani e le baciò una guancia.
«Tutto
bene, tesoro?» le chiese dolcemente.
Esme,
ridendo, annuì. «Sì, tutto bene. Stavo leggendo un libro mentre vi aspettavo,
ma a dire la verità mi stavo annoiando molto.» si voltò, guardando verso il
punto in cui ci trovavamo ancora io e papà, insieme a Marcelo, e strabuzzò gli
occhi. «Sono loro?» domandò stupita.
«Sì,
cara. Loro sono Charlie Swan, il mio vecchio amico di cui ti ho tanto parlato,
e sua figlia Isabella.» le spiegò Carlisle, mentre si avvicinava a noi e faceva
avvicinare a sua volta anche Esme.
Potei
osservarla meglio da vicino, così. Esme era una bella donna, con i lineamenti
del viso delicati e davvero molto dolci; ogni volta che sorrideva, le si
formavano sulle guance delle piccole fossette. Aveva gli occhi verdi e i
capelli castano chiaro, che in quel momento erano raccolti e tenuti sulla
sommità della testa in un morbido chignon.
«Charlie,
non sai quante volte mio marito mi ha parlato di te! Sono felicissima di
incontrarti, finalmente.» disse emozionata, rivolgendosi a papà. «Scusami, ma
il mio italiano non è molto buono!» rise nervosamente, arrossendo sulle guance.
«No,
è perfetto. Siete molto brava, Esme. Lieto di conoscerla.» rispose lui,
chinando la testa in segno di saluto.
Sempre
sorridendo, Esme si voltò verso di me e, dopo essersi avvicinata, si sporse per
abbracciarmi. Ricambiai timidamente il suo gesto, dato che non me lo aspettavo.
Era una persona così gentile… cominciava già a piacermi soltanto alla prima
impressione, proprio come era successo precedentemente con Carlisle.
«Benvenuta,
piccolina.» la sentii sussurrare mentre continuava tenermi stretta nel suo
abbraccio. Quando si allontanò, mantenne le mani ferme sulle mie spalle e mi
sorrise calorosamente. «Stai bene? Hai l’aria stanca.»
«È
per il viaggio…» mormorai, sentendomi un po’ in soggezione nel risponderle.
«È
comprensibile, cara. Perché non andiamo a rinfrescarci un po’, ti va? Charlie,
vieni anche tu.» propose Esme, comprensiva e sempre molto gentile.
«Certo,
andate entrambi. Fate con calma: vi date una rinfrescata, riposate un po’…
possiamo rivederci tranquillamente per l’ora di cena.» aggiunse Carlisle, che
nel frattempo si era avvicinato a sua moglie e le aveva cinto le spalle con un
braccio.
Esme,
impeccabile nel ruolo di padrona di casa, ci fece salire al piano di sopra e ci
mostrò le stanze che avremmo occupato per quella notte; non di più, perché da
quello che avevo capito la mattina dopo avremmo lasciato tutti insieme la città
per raggiungere la fazenda dove viveva la famiglia Cullen. Dopodiché, grazie a
Anita, la governante che lavorava per la madre di Esme, aiutò me e papà ad
accompagnarci nei bagni e a fornirci abiti puliti e tutto quello di cui avevamo
bisogno per sistemarci.
Mi
imbarazzai moltissimo per tutte le premure e le attenzioni che mi rivolsero.
Abituata com’ero a fare tutto da sola, a casa, ritrovarmi in un bagno che non
era il mio, assieme ad Esme che sistemava la biancheria pulita su di uno
sgabello e con me immersa fino al collo nella vasca da bagno, era una gran
bella differenza.
Non
ricordavo nemmeno più quando era stata l’ultima volta che qualcuno mi aveva
vista nuda… sicuramente dovevo essere ancora piccola, e con me doveva essere
presente senza dubbio zia Victoria.
Esme
molto probabilmente capì il mio imbarazzo, perché mi sorrise gentilmente e,
sempre molto gentilmente, uscì dal bagno e mi lasciò da sola, assicurandosi che
avessi tutto quello che mi serviva e che la avessi chiamata se avessi avuto
bisogno di aiuto.
Ma
non ne ebbi bisogno; mi lavai, asciugai e vestii tranquillamente. Scoprii anche
che gli abiti puliti, che avevo indossato, non erano i miei e che sembravano
essere del tutto nuovi, o se non lo erano appartenevano ad una persona che non
li aveva indossati per molto tempo. Poi, ricordai che Esme aveva una figlia,
più o meno della mia età, e che molto probabilmente quelli erano i suoi
vestiti.
Mi
sentii a disagio nell’indossare abiti che appartenevano a qualcun altro, ma
sapevo anche che non potevo di nuovo indossare i miei, di vestiti. Avevano
bisogno di una bella pulita e me ne rendevo conto persino io… dopotutto,
restare quasi tre settimane su di una nave non era proprio il massimo della
pulizia.
Pettinai
i capelli, ancora umidi, e li sistemai dietro la nuca fissandoli con alcune
forcine. Andai dritta nella camera che Esme mi aveva mostrato e che avrei
occupato per quella notte, quando finii, ma non avevo alcuna intenzione di
riposare. Ero stanca, ma non avevo sonno… forse era solo una sensazione quella
che stavo provando.
Una
volta chiusa la porta, restai con le mani strette sulla maniglia e poggiai la
schiena contro il legno scuro, scrutando con occhio vigile la stanza; era
bella, comoda e luminosa, grazie alla grande finestra e alle tende scostate. Ma
era anche molto… elegante. Si vedeva lontano un miglio che faceva parte di una
casa aristocratica e di proprietà di persone importanti. Avevo quasi il timore
di toccare i mobili e di sedermi sulle lenzuola, impaurita che potessi
rovinarli o sporcarli con il minimo tocco.
Alla
fine, riuscii a lasciare la maniglia e a spostarmi, e cominciai a sfiorare con
la punta delle dita qualsiasi oggetto, o mobile, al quale mi avvicinavo. Lo
schienale di una sedia, la superficie della specchiera, l’anta dell’armadio… mi
sembrava tutto così nuovo, anche se ero consapevole che non lo fossero in
realtà.
Arrivata
davanti alla finestra, chiusi gli occhi e lasciai che i raggi del sole, caldi e
familiari, mi avvolgessero. Mi era sempre piaciuto stare al sole, quando
lavoravamo nei campi spesso e volentieri restavo immersa nei miei pensieri,
stando sdraiata sull’erba, e mi beavo dei raggi che mi riscaldavano.
Ero
contenta di vedere che almeno quel piccolo dettaglio, per quanto poco
importante, fosse ancora presente.
Così,
spostai una delle sedie che erano presenti nella camera e la posizionai davanti
alla finestra. Rimasi seduta lì davanti per gran parte del pomeriggio, senza
fare nient’altro che non fosse osservare le altre case e le persone che
percorrevano la via a piedi, o all’interno delle carrozze.
Il
sole stava calando, e stava diventando meno caldo, quando qualcosa di nuovo
attirò la mia attenzione: una carrozza che si fermò davanti al cancello della
casa, e da cui scese una donna ben vestita.
Non
capii chi potesse essere la nuova arrivata, cosa assolutamente normale, in
fondo… conoscevo solo Esme e Carlisle, senza contare Marcelo e Anita. E non
potei neanche vedere meglio chi fosse, perché non riuscivo più a scorgere la
figura della donna dalla finestra.
Tornai
a sedere composta, con la schiena dritta e con le mani strette sulle ginocchia.
Esme mi trovò in quella posizione quando venne a chiamarmi pochi minuti dopo,
annunciandomi che mancava poco meno di mezz’ora alla cena e che sarebbe stato
meglio scendere.
«Mi
piacerebbe molto presentarti mia madre.» annunciò, allegramente, mentre eravamo
impegnate a scendere le scale; Esme teneva una sua mano poggiata sulla mia
spalla, come per assicurarsi ulteriormente che fossi lì insieme a lei. «È
appena rincasata, ha trascorso la giornata fuori…» continuò.
«Capisco…»
mormorai, non sapendo bene cosa dire. Avevo scoperto grazie a lei, però, che la
persona arrivata a casa prima era sua madre, ovvero la proprietaria della casa
in cui mi trovavo in quel momento. Avrei potuto anche capirlo da sola, stando a
quello che mi avevano detto prima, ma a quanto sembrava qualcosa doveva essermi
sfuggito dalla mente.
Ma
mi sembrava una buona idea conoscerla, anche perché in quel modo potevo
ringraziarla per la sua gentile ospitalità, seppur di breve durata.
Guidata
da Esme entrai nel grande salone, che si trovava accanto all’ingresso, e che
era già occupato da un paio di persone: una era Carlisle, e l’altra invece era
una signora di certa età, la madre di Esme. Il primo pensiero che mi venne in
mente, osservandola, fu che aveva un aria altezzosa: me lo suggerì il fatto che
sedeva sulla poltrona in maniera rigida, senza contare le labbra, che teneva
strette come se si stesse astenendo dal pronunciare un commento pungente.
Non
appena io e sua moglie facemmo il nostro ingresso nel salone, Carlisle sorrise
e ci raggiunse, quasi sollevato nel vederci. «Oh, eccoti qui cara! Hai riposato
bene?» mi domandò subito, apprensivo.
Annuii,
regalandogli un piccolo sorriso. «Sì, grazie.» mormorai, non riuscendo a
parlare con un tono di voce più alto. «Dov’è mio padre?» aggiunsi, poi.
«Sta
ancora dormendo, ho pensato di farlo riposare ancora un po’.» mi spiegò lui,
cingendomi le spalle con un braccio e facendomi avvicinare alla donna seduta
sulla poltrona. «Allora, tesoro, lei è la signora Violante Oliveira, la mia
cara suocera.»
La
signora Violante scoccò un occhiata raggelante a Carlisle, come se avesse
appena sentito qualcosa di sconveniente e non una normale quanto educata presentazione.
Passò poi a guardare me, e sotto l’attenzione dei suoi occhi azzurri e freddi
sentii un brivido percorrermi la schiena, ma cercai di reprimerlo.
«Violante,
cara, lei è Isabella, la figlia del mio amico Charlie.» aggiunse poi,
completando la presentazione.
Uno
sbuffo uscì dalle labbra della signora Violante. «Altri italiani, come se non
ce ne fossero già troppi in Brasile! L’unica cosa buona che ha è il nome,
davvero grazioso, ma per il resto…» e poi aggiunse qualcos’altro in portoghese
che non riuscii proprio a capire.
Ma
Carlisle doveva aver capito, perché aggrottò le sopracciglia e fissò Violante
con ostinazione, avvicinandosi ulteriormente a lei. «Non ti permetto di dire
cose simili sui miei amici, Violante, è irrispettoso.»
La
donna batté le ciglia lentamente, gli occhi puntati sul volto del genero, e
alla fine si alzò dalla poltrona. «Difendi pure i tuoi compatrioti, Carlisle,
fa pure tranquillamente. Non mi aspetto altro da te, sei identico a loro
dopotutto.» disse, tagliente, e si incamminò verso l’uscita del salone, dove
c’era Esme che, stringendosi le mani, guardava arrabbiata la madre. «Non mangio
con la plebaglia, cara, dillo pure ad Anita.» aggiunse prima di sparire.
«Madre!»
esclamò lei, seccata e punta sul vivo. Mormorò a me e a suo marito un veloce
“scusatemi”, e poi corse via per raggiungere la signora Violante.
Sentii
Carlisle sbuffare, al mio fianco. «Mi dispiace molto, Bella, ma Violante è un
tipetto molto… particolare.»
Mi
voltai verso di lui, poggiando una mano sul collo, a disagio. «Non è contenta
di vederci qui.» dissi, e la mia era più un affermazione che una domanda.
Carlisle
sospirò, carezzandomi piano la testa. «Non lo negherò, tesoro, non è contenta…
ma è l’unica a non esserlo. Io ed Esme lo siamo, e lo sono anche gli altri. E
poi domani andiamo via, e se sei molto fortunata non dovrai più incontrarla.»
Stupita
per le sue parole, sgranai gli occhi e lo guardai: aveva un espressione molto
buffa e divertita sul viso, e non riuscivo a capire se stesse scherzando o se
stesse dicendo sul serio. «Ma… ma è tua suocera…»
Lo
feci ridere. «Appunto, è la mia, mica la tua! Nessuno ti obbliga ad incontrarla
ancora.»
Un
esclamazione forte, pronunciata in portoghese e che non capii, ci raggiunse ed
io di riflesso alzai il viso, guardando il soffitto bianco. Esme e sua madre
dovevano essersi spostate al piano superiore e stavano continuando a
bisticciare, a quanto sembrava.
«Ne
avranno ancora per un bel po’, le conosco bene io!» disse Carlisle sconsolato,
sospirando un'altra volta. Mi guardò alla fine, e schioccò la lingua. «Sai cosa
facciamo adesso? Andiamo a svegliare tuo padre e poi andiamo a cenare in
cucina… Anita sarà contenta di avere un po’ di compagnia, mangia sempre da sola
poverina.»
Sorrisi,
ascoltando il programma che aveva intenzione di svolgere. Carlisle mi piaceva
sempre di più, ammisi a me stessa mentre, insieme a lui, mi incamminavo al
piano di sopra.
Il
mattino dopo, quando mi svegliai, notai che era davvero molto presto. Sdraiata
su di un fianco, con le mani strette sotto al cuscino e con il viso rivolto
verso la finestra, guardavo il leggero chiarore che penetrava dalle persiane e
capii che doveva essere da poco passata l’alba. Mi stupii di quel fatto, visto
che la sera prima avevo impiegato parecchio tempo prima di riuscire a prendere
sonno… e per quanto cercassi di impegnarmi con tutta me stessa, non riuscii a
dormire ancora.
Rimasi
così con gli occhi fissi sulla finestra, vedendo come mano a mano che il sole
si levava alto nel cielo la stanza diventasse sempre più luminosa e viva. Non
sentivo nessun rumore, nessuna voce per la casa, quindi immaginai che fossero
ancora tutti addormentati.
E
alla fine, riuscii ad appisolarmi di nuovo anche io.
Un
paio di ore dopo, Esme passò a chiamarmi, avvertendomi che la colazione era
quasi pronta in cucina, e che ci saremmo messi in viaggio verso la fazenda non
appena avessimo terminato di mangiare. Nel giro di pochi minuti ero già vestita
e pronta per scendere, ma mi attardai insieme a lei per sistemare la mia
valigia e i miei vestiti, che Anita aveva già provveduto a lavare, nonostante
avesse avuto davvero poco tempo a sua disposizione.
Quando
scesi al piano inferiore e andai verso la cucina, lì trovai già papà e Carlisle
presenti, e impegnati a fare colazione. Stavano entrambi bevendo il caffè, o
del tè, e alcune fette di pane imburrate si trovavano su un piattino disposto
sul tavolo.
«Buongiorno,
papà!» andai dritta verso di lui e lo abbracciai, lasciandogli un bacino sulla
guancia.
Lui
ridacchiò, ricambiando il mio gesto. «Buongiorno. Sei allegra stamattina! Hai
dormito bene?» chiese, posando sul piattino la tazzina.
Annuii,
prendendo posto a tavola, accanto a lui, e rivolsi un sorriso gentile a
Carlisle, che mi osservava tranquillo e curioso standomi di fronte, dall’altra
parte del tavolo. Esme si sedette al suo fianco e, dopo aver recuperato una
teiera, si versò un po’ di tè.
«Ne
vuoi un po’, cara? Oppure preferisci un po’ di latte?» mi domandò cortesemente.
«Il
tè va benissimo, grazie.» risposi, prendendo cautamente tra le mani la teiera
che mi stava passando. Non volevo farla cadere, era così bella, e dall’aria
costosa, e non volevo rischiare di romperla.
«Non
preoccuparti della teiera, Bella. Se si rompe, Violante ne ha già pronte
un’altra dozzina con cui rimpiazzarla!» esclamò Carlisle, ridendo.
Esme
lo guardò con aria severa. «Non dovresti dire così…»
«Perché
no? Non ho detto nulla di male, in fondo… ed è la verità. Giusto, cara?» lui la
guardò, divertito, e alla fine Esme alzò gli occhi al cielo come se fosse
seccata, ma aveva un bel sorriso sulle labbra che non riusciva a camuffare
bene.
«La
signora Violante non scende?» domandai, prendendo la tazza tra le mani.
Accidenti, anche quella sembrava costare molto! Avevo quasi paura di tenerla in
mano.
«No,
e si rifiuterà di farlo fino a quando non saremo andati via.» Carlisle scosse
le spalle. «Non è la prima volta che succede, ci si fa l’abitudine con il
tempo.»
Le
sue parole si rivelarono vere: infatti, la signora Violante non scese a
mangiare, preferendo farsi servire la colazione in camera da Anita. Carlisle la
prese in giro per questo, guadagnandosi più di una volta le occhiatacce di sua
moglie.
Neanche
un ora dopo la fine della colazione, Marcelo aveva preso le nostre valige e le
aveva caricate sulla carrozza. Ci trovavamo tutti insieme a lui, fermi sul
marciapiede fuori dalla casa, e stavamo aspettando che Esme arrivasse per poter
partire.
Stavamo
per andare alla fazenda, che da quel momento in avanti sarebbe diventata casa
mia, e da una parte ero emozionata di scoprire come fosse… dall’altra parte,
invece, ero un po’ impaurita. Le novità mi spaventavano sempre, e molto.
«Tutto
bene, Bella? Ti vedo un po’ tesa…» papà posò una mano sulla mia spalla e mi
osservò, le sopracciglia inarcate.
«No,
sto bene… stavo solo pensando.» lo rassicurai, e per tranquillizzarlo
ulteriormente sorrisi. Sembrava che lo avessi convinto, perché sorrise anche
lui e si chinò per baciarmi i capelli.
Una
volta che Esme fu arrivata, cominciammo a salire tutti sulla carrozza, aiutati
da Marcelo. Io fui l’ultima, e prima di raggiungere gli altri mi soffermai con
lo sguardo sulla casa, pensierosa. Chissà se l’avrei rivista di nuovo, domandai
tra me e me.
Gli
occhi si posarono su una delle finestre del piano superiore, e scorsi una
figura che, altezzosa, guardava in basso verso di me. La riconobbi subito, era
la signora Violante. Se non avessi saputo che si trovava dentro casa, avrei
potuto benissimo scambiarla per un fantasma.
Pochi
secondi dopo, però, sparì dietro le tende.
«Bella,
che fai? Non sali?»
Mi
voltai, ancora più pensierosa di quanto non lo fossi stata poco prima di aver
scorso la signora Violante. Esme, sorridendo, mi fece cenno con la mano di salire
sulla carrozza e di raggiungerli, cosa che feci in fretta e quasi con sollievo.
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Eccomi di nuovo!
Mi scuso con voi se avete trovato
questo capitolo un po’ noiosetto, ma diciamo che era necessario XD dal prossimo
smetterò di presentare i personaggi principali e la trama si smuoverà, quindi c’è
da portare solo un po’ di pazienza :3
Ah, per le parti in cui dovrebbero
parlare in portoghese e non lo fanno… il motivo è che io non so un acca di
portoghese XD spero che questa ‘svista’ non sia un grosso problema :)
Avete conosciuto Carlisle, il vecchio
amico di Charlie, e sua moglie Esme: sono persone gentili, non trovate anche
voi? E vabbé, inclusa nel pacchetto c’era anche Violante XD ma lei la togliamo
subito di mezzo, non penso che la rivedremo ancora :D
Dal prossimo capitolo ci sposteremo
alla fazenda, dove si svolgerà la storia vera e propria. Succederanno molte
cose, alcune belle e alcune brutte, in alcuni punti sono sicura che avrete
voglia di uccidermi seduta stante XD ma non fatelo, pls! Io vi voglio bene *w*
Bien! Vi ringrazio se siete arrivate a
leggere anche queste mie note infinite, e vi levo ancora un secondo di tempo
per lasciarvi il link del mio gruppo Facebook ;)