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Autore: KrisJay    15/05/2013    6 recensioni
"«Papà…»
«Sì, tesoro?» mi osservò, aspettando che continuassi a parlare.
Battei un paio di volte le palpebre, concentrandomi sui suoi occhi scuri. «Il signor Carlisle ci aiuterà?» chiesi.
«Sì, tesoro, ci aiuterà.» mi rispose, baciandomi i capelli."
1887. Sono sempre di più gli italiani che abbandonano la loro patria in cerca di fortuna, di una vita migliore, salpando alla volta del nuovo continente.
Isabella e suo padre, Charlie Swan, fanno parte di questo gruppo di persone.
Insieme raggiungeranno il Brasile, dove una vecchia amicizia li sta aspettando... e lì, la loro vita cambierà radicalmente, specialmente per Isabella.
Isabella, che non voleva partire.
Isabella, che pian piano ha imparato ad apprezzare quel nuovo paese.
Isabella, che ha scoperto cosa vuol dire amare, anche se tutto non va proprio come lo abbiamo sempre immaginato...
Genere: Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Carlisle Cullen, Charlie Swan, Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Sotto un cielo coperto di stelle - Capitolo2

Salve a tutte!
Ecco qui il nuovo capitolo di “Sotto un cielo coperto di stelle” :D avrei voluto postarlo oggi pomeriggio ma EFP faceva i capricci, quindi ho preferito rimandare :)
Sono super contenta di come è cominciata questa storia, e anche delle 6 recensioni che mi avete lasciato! Non avevo mai ricevuto 6 recensioni in un prologo di una storia *-* – mi entusiasmo con poco, loso, ma voi non fateci troppo caso XD
Adesso vi lascio leggere, ci sentiamo in basso ;)

 
 

 

 
 

Sotto un cielo coperto di stelle

 
Capitolo due
 
Bella
Porto di San Paolo, 27 Febbraio 1887

Mi sembrava di star rivivendo lo stesso momento di due settimane prima, solo che le parti si erano invertite. Se prima avevamo lasciato il porto per salire su di una nave, adesso stavamo scendendo da essa per raggiungere il porto. C’era una sola e unica differenza, in tutto ciò: non c’era nessuno che ci stava salutando, o che stava aspettando il nostro arrivo.
Come mi aveva assicurato Antonio qualche ora prima, eravamo finalmente arrivati alla fine del nostro lungo viaggio ed avevamo raggiunto San Paolo, una delle più grandi e più importanti città del Brasile. Non avrei saputo dire se fosse una città bella, oppure se non mi piacesse: fino a quel momento avevo visto solo il porto dalla nave, ma ero sicura che una volta scesa avrei visto meglio il nuovo posto in cui ero appena arrivata.
Rimanendo accanto a mio padre, carichi dei nostri bagagli, avevo atteso il nostro turno di scendere e non avevo smesso per un istante di guardarmi intorno. Non c’era nulla di veramente interessante da vedere e ne ero consapevole, ma non ne potevo fare a meno. Sentivo molti parlare in portoghese, e molte delle parole che usavano non riuscivo a capirle…
Smisi di girare la testa di qua e di là solo quando vidi un uomo dalla carnagione ambrata, in completo elegante, venire incontro a me e a mio padre: stringeva un cappello scuro tra le mani e sembrava a disagio. Mi chiesi subito chi potesse essere.
«Scusatemi, siete per caso voi il senhor Charlie Swan?» l’uomo parlò in portoghese, ma rispetto a poco prima riuscii a capire cosa stesse dicendo. Quella, era una delle poche frasi complete che avevamo imparato durante il viaggio.
«Sì, sono io.» rispose papà, usando la sua stessa lingua.
L’uomo rivolse a me e a papà un grande sorriso. «Meno male! Ho chiesto a moltissime persone, e finalmente sono riuscito a trovarvi! Il mio nome è Marcelo, piacere di conoscervi.»
«Piacere mio, Marcelo.» papà strinse la mano che Marcelo gli stava porgendo. «Lei è mia figlia, Isabella.» aggiunse infine.
«Piacere, signorina. Lieto di conoscerla.» mi sorrise con calore dopo che mi ebbe baciato il dorso della mano, una riverenza che nessuno mi aveva mai concesso prima di allora. «Il senhor Carlisle vi sta aspettando poco lontano da qui, mi ha chiesto di venire a cercarvi. Venite con me…»
Intimorita, al pensiero che a pochissima distanza da noi ci fosse Carlisle, il grande amico di papà, mi strinsi nello scialle come per cercare calore, anche se non era necessario: lì faceva davvero molto caldo.
Io e papà seguimmo Marcelo, che si era offerto di prendere la mia valigia, lungo il porto, e presto entrammo in un grande stanzone pieno di persone; ne riconobbi alcune, che fino a poco prima si trovavano sulla nave insieme a noi.
Continuammo a camminare. Presa com’ero a guardarmi intorno, incuriosita stavolta, mi fermai solo quando sentii che mi ero scontrata contro qualcuno; quel qualcuno era mio padre.
«Oh papà, scusami!» mi affrettai a dire subito.
Lo feci ridere. «Non preoccuparti Bella, non preoccuparti. Non è successo nulla…» mi lanciò una rapida occhiata divertita prima di riprendere a camminare.
Finalmente raggiungemmo il fondo dello stanzone, dove c’erano meno persone, ma quelle che c’erano mi sembrarono, a prima vista, persone benestanti. Erano tutte vestite bene, alcune anche più di Marcelo.
Una di quelle persone, vestita con un semplice completo beige, si era distaccata dalle altre e stava camminando dalla nostra parte. Si tolse il cappello, dello stesso colore dell’abito, rivelando dei capelli biondi molto chiari pettinati all’indietro. Il sorriso emozionato che ci stava mostrando indicava che stava aspettando proprio noi.
Quindi… quel signore doveva essere senza dubbio Carlisle Cullen.
«Senhor Carlisle, li ho trovati!» lo informò Marcelo non appena gli fummo vicini.
Carlisle, senza smettere di sorridere, annuì alle parole di Marcelo ma non si voltò per guardarlo: era impegnato a guardare mio padre. Notai anche che aveva gli occhi lucidi.
«Charlie, amico mio!» disse, con voce pacata e intrisa di commozione. Si avvicinò a mio padre e lo avvolse in un caldo abbraccio, che venne ricambiato quasi subito. «Quanto tempo è passato!» mi accorsi solo in quel momento che stava parlando in italiano.
Sorrisi, stringendomi nello scialle. Stavo assistendo alla riunione di due grandi amici che la vita, per vari motivi, aveva diviso forse troppo presto. Papà mi aveva detto tantissime volte che erano soltanto dei bambini quando Carlisle partì e lasciò L’Italia insieme alla sua famiglia. Era… bello, vedere che dopo tanti anni la loro amicizia e il loro affetto era rimasto immutato.
«È una gioia vederti di nuovo, Carl.» sussurrò papà.
«Anche per me, non sai quanto.» i due uomini smisero di abbracciarsi e si sorrisero, anche se continuarono a restare vicini e a ridacchiare di tanto in tanto. Mi avvicinai a papà e gli carezzai una spalla, in un gesto di affetto, e lui subito coprì la mia mano con la sua mentre con l’altra si strofinava gli occhi.
Carlisle mi notò e mi sorrise calorosamente. «Charlie, lei è tua figlia?» domandò poi rivolgendosi a papà.
«Sì, è mia figlia. Isabella.»
«Isabella… un bellissimo nome italiano.» Carlisle mi porse la mano e non appena la presi con la mia mi fece un baciamano, come aveva fatto poco prima Marcelo. «Sono davvero molto contento di conoscerti, Isabella.»
Arrossii, annuendo. «Il piacere è tutto mio, signor Carlisle.»
Aggrottò le sopracciglia. «Non chiamarmi ‘signore’ cara, non ce n’è affatto bisogno.» ridacchiò. «È davvero una ragazza deliziosa, Charlie.» commentò.
«Non sei il primo che lo nota, Carl.»
Carlisle sorrise di nuovo. «Bene. Prima di andare via dobbiamo attendere ancora qualche minuto. Dobbiamo prima registrare il vostro arrivo e firmare qualche documento, me lo hanno spiegato prima… poi possiamo andare a casa. Esme è impaziente all’idea di conoscervi!»
Esme era la moglie di Carlisle, se non ricordavo male. E l’idea di conoscerla, pensai, piaceva molto anche a me.
 

***

 
Terminato il processo di registrazione e tutte le altre questioni, a cui non avevo mostrato particolare attenzione, per essere onesta, eravamo stati liberi di lasciare il porto. Da quel momento in avanti, potevo dire tranquillamente che stavo per cominciare la mia nuova vita da brasiliana! Mi divertiva vedere la situazione in quel modo.
Marcelo, seguito a breve distanza da noi e da Carlisle, ci aveva condotto verso una carrozza e, dopo averci fatto salire e dopo aver caricato le nostre valige, avevamo lasciato il porto.
Non avevo smesso un secondo di guardarmi attorno, spinta dalla curiosità morbosa di vedere con i miei stessi occhi come fosse la città in cui ero appena arrivata. Mi piaceva moltissimo, così piena di vita e di allegria. Ovunque guardassi c’era un particolare che mi spingeva a scoprire qualcosa in più.
Ero così impegnata a guardare le strade, le case, i negozi e le persone che riuscivo a stento a prestare attenzione a quello che si stavano dicendo papà e Carlisle. Anzi, forse era meglio dire che non li ascoltavo per nulla. Era come se mi fossi rinchiusa in uno spazio tutto mio, dove non c’era niente e nessuno che riuscisse a disturbarmi.
«Bella, mi stai ascoltando?»
La voce di papà mi fece sussultare e voltare verso di lui. Spaesata com’ero, non ero riuscita a capire cosa fosse successo. «Che… che cosa c’è?» chiesi, un po’ stupidamente.
«Non mi stavi ascoltando, vero?» domandò, riprendendomi bonariamente.
Arrossii. «Scusami, è solo che… che mi sono distratta…»
Carlisle, che era seduto di fronte a noi sulla carrozza, rise e si sporse per carezzarmi gentilmente una mano, che tenevo poggiata sul ginocchio. «È perfettamente comprensibile, mia cara. Ti piace la città, vero?»
Annuii, imbarazzata.
«Stavo appunto parlando di questo con tuo padre. Staremo in città soltanto per oggi, nella casa di mia suocera, poi domani raggiungeremo in treno la fazenda dove viviamo.»
«Fazenda?» chiesi, confusa. Era una delle tante parole portoghesi che ancora mi erano estranee.
«Puoi anche chiamarla ‘fattoria’, Bella. È li che viviamo, e sempre lì coltiviamo il nostro caffè. Sono sicuro che ti piacerà. So che ti piace molto la campagna, me lo ha raccontato tuo padre…»
«Beh, ho sempre vissuto in campagna… e ho imparato ad apprezzarla, con il tempo.»
«Spero tanto che riuscirai ad apprezzare anche la nostra, di campagna, mia cara.» Carlisle sorrise. «Non sarà come essere in Italia, lo ammetto… lì le cose sono molto diverse, o almeno lo erano molti anni fa, prima che venissi a vivere in Brasile. Però è un bellissimo paese, questo. Ci si abitua presto a viverci.»
«Sono sicuro che sarà così, Carl.» disse papà. Mi abbracciò, passandomi gentilmente il braccio lungo le spalle. Sorridendo, ricambiai il suo gesto e poggiai la testa sulla sua spalla, sospirando.
«Non appena arriveremo a casa potrete riposarvi. Esme stava preparando le vostre camere quando sono uscito, ormai deve aver finito…» Carlisle si voltò e osservò la strada, sorridendo. «E noi siamo quasi arrivati! Manca pochissimo.»
Alle sue parole, alzai la testa e mi misi a guardare anche io fuori della carrozza: notai subito che dovevamo trovarci in una zona della città molto ricca, benestante; le case che riuscivo a vedere erano tutte belle e ben curate, circondate da giardini altrettanto ben curati. Alcuni avevano anche delle piccole fontane…
La carrozza si fermò poco dopo, davanti a una casa che a prima vista mi sembrò più bella di tutte le altre. Era… enorme, con colonne bianche davanti alla porta di ingresso e una balconata, al piano superiore, nello stesso e identico stile. La facciata era tutta sui toni del bianco, e quel colore le donava eleganza e raffinatezza.
Il giardino, invece, rispetto alla casa era piccolo, ma a parte quel particolare era comunque carino. C’erano delle piccole siepi tutt’attorno alle ringhiere che lo delimitavano e lungo il vialetto che portava all’entrata, senza contare le piante di rose tutt’intorno alla casa… o almeno, a me da quella distanza sembravano rose.
«Che bella casa.» mormorai, ancora impegnata ad osservarla.
Carlisle rise. «Qui abita la mia suocera, Bella. Dovresti dirlo anche a lei, sono sicuro che apprezzerà. Vieni, ti aiuto a scendere…» dopo essere sceso dalla carrozza mi porse la mano, aiutandomi a scendere e a poggiare i piedi sul marciapiede.

Marcelo scaricò le nostre valige e ci precedette, aprendoci il cancello e facendoci entrare nel giardino. Carlisle fece passare me e papà per primi, indicandoci la porta di ingresso e guidandoci attraverso il giardino fino a raggiungerla. Era buffo, ma io in tutto quel tempo non potei fare altro che… guardarmi intorno. Sembrava che in quella giornata ero destinata a fare nient’altro che quello.
Ma c’erano così tante cose da vedere, ed io ero curiosa di scoprirle tutte e nel più breve tempo possibile.
E dopo aver studiato per bene il giardino, entrai in casa. Già l’ingresso mi fece capire che la proprietaria doveva essere una persona ricca, molto ricca. I pavimenti in legno, lucidati alla perfezione, e una cassettiera in noce sormontata da uno specchio dalla cornice dorata mi colpirono moltissimo. E alzando gli occhi verso il soffitto bianco, vidi un piccolo lampadario di cristallo.
«Beh, eccoci qui.» Carlisle si tolse il cappello dalla testa e lo poggiò sulla cassettiera, spostandosi lungo il corridoio d’ingresso. «Esme, tesoro, siamo qui!» chiamò successivamente.
Sentii subito alcuni passi affrettati e leggeri venire verso di noi, e qualche secondo dopo vidi arrivare una donna, vestita elegantemente, che si avvicinò a Carlisle. Lui, dopo averle sorriso, le prese le mani e le baciò una guancia.
«Tutto bene, tesoro?» le chiese dolcemente.
Esme, ridendo, annuì. «Sì, tutto bene. Stavo leggendo un libro mentre vi aspettavo, ma a dire la verità mi stavo annoiando molto.» si voltò, guardando verso il punto in cui ci trovavamo ancora io e papà, insieme a Marcelo, e strabuzzò gli occhi. «Sono loro?» domandò stupita.
«Sì, cara. Loro sono Charlie Swan, il mio vecchio amico di cui ti ho tanto parlato, e sua figlia Isabella.» le spiegò Carlisle, mentre si avvicinava a noi e faceva avvicinare a sua volta anche Esme.
Potei osservarla meglio da vicino, così. Esme era una bella donna, con i lineamenti del viso delicati e davvero molto dolci; ogni volta che sorrideva, le si formavano sulle guance delle piccole fossette. Aveva gli occhi verdi e i capelli castano chiaro, che in quel momento erano raccolti e tenuti sulla sommità della testa in un morbido chignon.
«Charlie, non sai quante volte mio marito mi ha parlato di te! Sono felicissima di incontrarti, finalmente.» disse emozionata, rivolgendosi a papà. «Scusami, ma il mio italiano non è molto buono!» rise nervosamente, arrossendo sulle guance.
«No, è perfetto. Siete molto brava, Esme. Lieto di conoscerla.» rispose lui, chinando la testa in segno di saluto.
Sempre sorridendo, Esme si voltò verso di me e, dopo essersi avvicinata, si sporse per abbracciarmi. Ricambiai timidamente il suo gesto, dato che non me lo aspettavo. Era una persona così gentile… cominciava già a piacermi soltanto alla prima impressione, proprio come era successo precedentemente con Carlisle.
«Benvenuta, piccolina.» la sentii sussurrare mentre continuava tenermi stretta nel suo abbraccio. Quando si allontanò, mantenne le mani ferme sulle mie spalle e mi sorrise calorosamente. «Stai bene? Hai l’aria stanca.»
«È per il viaggio…» mormorai, sentendomi un po’ in soggezione nel risponderle.
«È comprensibile, cara. Perché non andiamo a rinfrescarci un po’, ti va? Charlie, vieni anche tu.» propose Esme, comprensiva e sempre molto gentile.
«Certo, andate entrambi. Fate con calma: vi date una rinfrescata, riposate un po’… possiamo rivederci tranquillamente per l’ora di cena.» aggiunse Carlisle, che nel frattempo si era avvicinato a sua moglie e le aveva cinto le spalle con un braccio.
 

***

 
Esme, impeccabile nel ruolo di padrona di casa, ci fece salire al piano di sopra e ci mostrò le stanze che avremmo occupato per quella notte; non di più, perché da quello che avevo capito la mattina dopo avremmo lasciato tutti insieme la città per raggiungere la fazenda dove viveva la famiglia Cullen. Dopodiché, grazie a Anita, la governante che lavorava per la madre di Esme, aiutò me e papà ad accompagnarci nei bagni e a fornirci abiti puliti e tutto quello di cui avevamo bisogno per sistemarci.
Mi imbarazzai moltissimo per tutte le premure e le attenzioni che mi rivolsero. Abituata com’ero a fare tutto da sola, a casa, ritrovarmi in un bagno che non era il mio, assieme ad Esme che sistemava la biancheria pulita su di uno sgabello e con me immersa fino al collo nella vasca da bagno, era una gran bella differenza.
Non ricordavo nemmeno più quando era stata l’ultima volta che qualcuno mi aveva vista nuda… sicuramente dovevo essere ancora piccola, e con me doveva essere presente senza dubbio zia Victoria.
Esme molto probabilmente capì il mio imbarazzo, perché mi sorrise gentilmente e, sempre molto gentilmente, uscì dal bagno e mi lasciò da sola, assicurandosi che avessi tutto quello che mi serviva e che la avessi chiamata se avessi avuto bisogno di aiuto.
Ma non ne ebbi bisogno; mi lavai, asciugai e vestii tranquillamente. Scoprii anche che gli abiti puliti, che avevo indossato, non erano i miei e che sembravano essere del tutto nuovi, o se non lo erano appartenevano ad una persona che non li aveva indossati per molto tempo. Poi, ricordai che Esme aveva una figlia, più o meno della mia età, e che molto probabilmente quelli erano i suoi vestiti.
Mi sentii a disagio nell’indossare abiti che appartenevano a qualcun altro, ma sapevo anche che non potevo di nuovo indossare i miei, di vestiti. Avevano bisogno di una bella pulita e me ne rendevo conto persino io… dopotutto, restare quasi tre settimane su di una nave non era proprio il massimo della pulizia.
Pettinai i capelli, ancora umidi, e li sistemai dietro la nuca fissandoli con alcune forcine. Andai dritta nella camera che Esme mi aveva mostrato e che avrei occupato per quella notte, quando finii, ma non avevo alcuna intenzione di riposare. Ero stanca, ma non avevo sonno… forse era solo una sensazione quella che stavo provando.
Una volta chiusa la porta, restai con le mani strette sulla maniglia e poggiai la schiena contro il legno scuro, scrutando con occhio vigile la stanza; era bella, comoda e luminosa, grazie alla grande finestra e alle tende scostate. Ma era anche molto… elegante. Si vedeva lontano un miglio che faceva parte di una casa aristocratica e di proprietà di persone importanti. Avevo quasi il timore di toccare i mobili e di sedermi sulle lenzuola, impaurita che potessi rovinarli o sporcarli con il minimo tocco.
Alla fine, riuscii a lasciare la maniglia e a spostarmi, e cominciai a sfiorare con la punta delle dita qualsiasi oggetto, o mobile, al quale mi avvicinavo. Lo schienale di una sedia, la superficie della specchiera, l’anta dell’armadio… mi sembrava tutto così nuovo, anche se ero consapevole che non lo fossero in realtà.
Arrivata davanti alla finestra, chiusi gli occhi e lasciai che i raggi del sole, caldi e familiari, mi avvolgessero. Mi era sempre piaciuto stare al sole, quando lavoravamo nei campi spesso e volentieri restavo immersa nei miei pensieri, stando sdraiata sull’erba, e mi beavo dei raggi che mi riscaldavano.
Ero contenta di vedere che almeno quel piccolo dettaglio, per quanto poco importante, fosse ancora presente.
Così, spostai una delle sedie che erano presenti nella camera e la posizionai davanti alla finestra. Rimasi seduta lì davanti per gran parte del pomeriggio, senza fare nient’altro che non fosse osservare le altre case e le persone che percorrevano la via a piedi, o all’interno delle carrozze.
Il sole stava calando, e stava diventando meno caldo, quando qualcosa di nuovo attirò la mia attenzione: una carrozza che si fermò davanti al cancello della casa, e da cui scese una donna ben vestita.
Non capii chi potesse essere la nuova arrivata, cosa assolutamente normale, in fondo… conoscevo solo Esme e Carlisle, senza contare Marcelo e Anita. E non potei neanche vedere meglio chi fosse, perché non riuscivo più a scorgere la figura della donna dalla finestra.
Tornai a sedere composta, con la schiena dritta e con le mani strette sulle ginocchia. Esme mi trovò in quella posizione quando venne a chiamarmi pochi minuti dopo, annunciandomi che mancava poco meno di mezz’ora alla cena e che sarebbe stato meglio scendere.
«Mi piacerebbe molto presentarti mia madre.» annunciò, allegramente, mentre eravamo impegnate a scendere le scale; Esme teneva una sua mano poggiata sulla mia spalla, come per assicurarsi ulteriormente che fossi lì insieme a lei. «È appena rincasata, ha trascorso la giornata fuori…» continuò.
«Capisco…» mormorai, non sapendo bene cosa dire. Avevo scoperto grazie a lei, però, che la persona arrivata a casa prima era sua madre, ovvero la proprietaria della casa in cui mi trovavo in quel momento. Avrei potuto anche capirlo da sola, stando a quello che mi avevano detto prima, ma a quanto sembrava qualcosa doveva essermi sfuggito dalla mente.
Ma mi sembrava una buona idea conoscerla, anche perché in quel modo potevo ringraziarla per la sua gentile ospitalità, seppur di breve durata.
Guidata da Esme entrai nel grande salone, che si trovava accanto all’ingresso, e che era già occupato da un paio di persone: una era Carlisle, e l’altra invece era una signora di certa età, la madre di Esme. Il primo pensiero che mi venne in mente, osservandola, fu che aveva un aria altezzosa: me lo suggerì il fatto che sedeva sulla poltrona in maniera rigida, senza contare le labbra, che teneva strette come se si stesse astenendo dal pronunciare un commento pungente.
Non appena io e sua moglie facemmo il nostro ingresso nel salone, Carlisle sorrise e ci raggiunse, quasi sollevato nel vederci. «Oh, eccoti qui cara! Hai riposato bene?» mi domandò subito, apprensivo.
Annuii, regalandogli un piccolo sorriso. «Sì, grazie.» mormorai, non riuscendo a parlare con un tono di voce più alto. «Dov’è mio padre?» aggiunsi, poi.
«Sta ancora dormendo, ho pensato di farlo riposare ancora un po’.» mi spiegò lui, cingendomi le spalle con un braccio e facendomi avvicinare alla donna seduta sulla poltrona. «Allora, tesoro, lei è la signora Violante Oliveira, la mia cara suocera.»
La signora Violante scoccò un occhiata raggelante a Carlisle, come se avesse appena sentito qualcosa di sconveniente e non una normale quanto educata presentazione. Passò poi a guardare me, e sotto l’attenzione dei suoi occhi azzurri e freddi sentii un brivido percorrermi la schiena, ma cercai di reprimerlo.
«Violante, cara, lei è Isabella, la figlia del mio amico Charlie.» aggiunse poi, completando la presentazione.
Uno sbuffo uscì dalle labbra della signora Violante. «Altri italiani, come se non ce ne fossero già troppi in Brasile! L’unica cosa buona che ha è il nome, davvero grazioso, ma per il resto…» e poi aggiunse qualcos’altro in portoghese che non riuscii proprio a capire.
Ma Carlisle doveva aver capito, perché aggrottò le sopracciglia e fissò Violante con ostinazione, avvicinandosi ulteriormente a lei. «Non ti permetto di dire cose simili sui miei amici, Violante, è irrispettoso.»
La donna batté le ciglia lentamente, gli occhi puntati sul volto del genero, e alla fine si alzò dalla poltrona. «Difendi pure i tuoi compatrioti, Carlisle, fa pure tranquillamente. Non mi aspetto altro da te, sei identico a loro dopotutto.» disse, tagliente, e si incamminò verso l’uscita del salone, dove c’era Esme che, stringendosi le mani, guardava arrabbiata la madre. «Non mangio con la plebaglia, cara, dillo pure ad Anita.» aggiunse prima di sparire.
«Madre!» esclamò lei, seccata e punta sul vivo. Mormorò a me e a suo marito un veloce “scusatemi”, e poi corse via per raggiungere la signora Violante.
Sentii Carlisle sbuffare, al mio fianco. «Mi dispiace molto, Bella, ma Violante è un tipetto molto… particolare.»
Mi voltai verso di lui, poggiando una mano sul collo, a disagio. «Non è contenta di vederci qui.» dissi, e la mia era più un affermazione che una domanda.
Carlisle sospirò, carezzandomi piano la testa. «Non lo negherò, tesoro, non è contenta… ma è l’unica a non esserlo. Io ed Esme lo siamo, e lo sono anche gli altri. E poi domani andiamo via, e se sei molto fortunata non dovrai più incontrarla.»
Stupita per le sue parole, sgranai gli occhi e lo guardai: aveva un espressione molto buffa e divertita sul viso, e non riuscivo a capire se stesse scherzando o se stesse dicendo sul serio. «Ma… ma è tua suocera…»
Lo feci ridere. «Appunto, è la mia, mica la tua! Nessuno ti obbliga ad incontrarla ancora.»
Un esclamazione forte, pronunciata in portoghese e che non capii, ci raggiunse ed io di riflesso alzai il viso, guardando il soffitto bianco. Esme e sua madre dovevano essersi spostate al piano superiore e stavano continuando a bisticciare, a quanto sembrava.
«Ne avranno ancora per un bel po’, le conosco bene io!» disse Carlisle sconsolato, sospirando un'altra volta. Mi guardò alla fine, e schioccò la lingua. «Sai cosa facciamo adesso? Andiamo a svegliare tuo padre e poi andiamo a cenare in cucina… Anita sarà contenta di avere un po’ di compagnia, mangia sempre da sola poverina.»
Sorrisi, ascoltando il programma che aveva intenzione di svolgere. Carlisle mi piaceva sempre di più, ammisi a me stessa mentre, insieme a lui, mi incamminavo al piano di sopra.
 

***

 
Il mattino dopo, quando mi svegliai, notai che era davvero molto presto. Sdraiata su di un fianco, con le mani strette sotto al cuscino e con il viso rivolto verso la finestra, guardavo il leggero chiarore che penetrava dalle persiane e capii che doveva essere da poco passata l’alba. Mi stupii di quel fatto, visto che la sera prima avevo impiegato parecchio tempo prima di riuscire a prendere sonno… e per quanto cercassi di impegnarmi con tutta me stessa, non riuscii a dormire ancora.
Rimasi così con gli occhi fissi sulla finestra, vedendo come mano a mano che il sole si levava alto nel cielo la stanza diventasse sempre più luminosa e viva. Non sentivo nessun rumore, nessuna voce per la casa, quindi immaginai che fossero ancora tutti addormentati.
E alla fine, riuscii ad appisolarmi di nuovo anche io.
Un paio di ore dopo, Esme passò a chiamarmi, avvertendomi che la colazione era quasi pronta in cucina, e che ci saremmo messi in viaggio verso la fazenda non appena avessimo terminato di mangiare. Nel giro di pochi minuti ero già vestita e pronta per scendere, ma mi attardai insieme a lei per sistemare la mia valigia e i miei vestiti, che Anita aveva già provveduto a lavare, nonostante avesse avuto davvero poco tempo a sua disposizione.
Quando scesi al piano inferiore e andai verso la cucina, lì trovai già papà e Carlisle presenti, e impegnati a fare colazione. Stavano entrambi bevendo il caffè, o del tè, e alcune fette di pane imburrate si trovavano su un piattino disposto sul tavolo.
«Buongiorno, papà!» andai dritta verso di lui e lo abbracciai, lasciandogli un bacino sulla guancia.
Lui ridacchiò, ricambiando il mio gesto. «Buongiorno. Sei allegra stamattina! Hai dormito bene?» chiese, posando sul piattino la tazzina.
Annuii, prendendo posto a tavola, accanto a lui, e rivolsi un sorriso gentile a Carlisle, che mi osservava tranquillo e curioso standomi di fronte, dall’altra parte del tavolo. Esme si sedette al suo fianco e, dopo aver recuperato una teiera, si versò un po’ di tè.
«Ne vuoi un po’, cara? Oppure preferisci un po’ di latte?» mi domandò cortesemente.
«Il tè va benissimo, grazie.» risposi, prendendo cautamente tra le mani la teiera che mi stava passando. Non volevo farla cadere, era così bella, e dall’aria costosa, e non volevo rischiare di romperla.
«Non preoccuparti della teiera, Bella. Se si rompe, Violante ne ha già pronte un’altra dozzina con cui rimpiazzarla!» esclamò Carlisle, ridendo.
Esme lo guardò con aria severa. «Non dovresti dire così…»
«Perché no? Non ho detto nulla di male, in fondo… ed è la verità. Giusto, cara?» lui la guardò, divertito, e alla fine Esme alzò gli occhi al cielo come se fosse seccata, ma aveva un bel sorriso sulle labbra che non riusciva a camuffare bene.
«La signora Violante non scende?» domandai, prendendo la tazza tra le mani. Accidenti, anche quella sembrava costare molto! Avevo quasi paura di tenerla in mano.
«No, e si rifiuterà di farlo fino a quando non saremo andati via.» Carlisle scosse le spalle. «Non è la prima volta che succede, ci si fa l’abitudine con il tempo.»
Le sue parole si rivelarono vere: infatti, la signora Violante non scese a mangiare, preferendo farsi servire la colazione in camera da Anita. Carlisle la prese in giro per questo, guadagnandosi più di una volta le occhiatacce di sua moglie.
Neanche un ora dopo la fine della colazione, Marcelo aveva preso le nostre valige e le aveva caricate sulla carrozza. Ci trovavamo tutti insieme a lui, fermi sul marciapiede fuori dalla casa, e stavamo aspettando che Esme arrivasse per poter partire.
Stavamo per andare alla fazenda, che da quel momento in avanti sarebbe diventata casa mia, e da una parte ero emozionata di scoprire come fosse… dall’altra parte, invece, ero un po’ impaurita. Le novità mi spaventavano sempre, e molto.
«Tutto bene, Bella? Ti vedo un po’ tesa…» papà posò una mano sulla mia spalla e mi osservò, le sopracciglia inarcate.
«No, sto bene… stavo solo pensando.» lo rassicurai, e per tranquillizzarlo ulteriormente sorrisi. Sembrava che lo avessi convinto, perché sorrise anche lui e si chinò per baciarmi i capelli.
Una volta che Esme fu arrivata, cominciammo a salire tutti sulla carrozza, aiutati da Marcelo. Io fui l’ultima, e prima di raggiungere gli altri mi soffermai con lo sguardo sulla casa, pensierosa. Chissà se l’avrei rivista di nuovo, domandai tra me e me.
Gli occhi si posarono su una delle finestre del piano superiore, e scorsi una figura che, altezzosa, guardava in basso verso di me. La riconobbi subito, era la signora Violante. Se non avessi saputo che si trovava dentro casa, avrei potuto benissimo scambiarla per un fantasma.
Pochi secondi dopo, però, sparì dietro le tende.
«Bella, che fai? Non sali?»
Mi voltai, ancora più pensierosa di quanto non lo fossi stata poco prima di aver scorso la signora Violante. Esme, sorridendo, mi fece cenno con la mano di salire sulla carrozza e di raggiungerli, cosa che feci in fretta e quasi con sollievo.
 
 
 
 

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Eccomi di nuovo!
Mi scuso con voi se avete trovato questo capitolo un po’ noiosetto, ma diciamo che era necessario XD dal prossimo smetterò di presentare i personaggi principali e la trama si smuoverà, quindi c’è da portare solo un po’ di pazienza :3
Ah, per le parti in cui dovrebbero parlare in portoghese e non lo fanno… il motivo è che io non so un acca di portoghese XD spero che questa ‘svista’ non sia un grosso problema :)
Avete conosciuto Carlisle, il vecchio amico di Charlie, e sua moglie Esme: sono persone gentili, non trovate anche voi? E vabbé, inclusa nel pacchetto c’era anche Violante XD ma lei la togliamo subito di mezzo, non penso che la rivedremo ancora :D
Dal prossimo capitolo ci sposteremo alla fazenda, dove si svolgerà la storia vera e propria. Succederanno molte cose, alcune belle e alcune brutte, in alcuni punti sono sicura che avrete voglia di uccidermi seduta stante XD ma non fatelo, pls! Io vi voglio bene *w*
Bien! Vi ringrazio se siete arrivate a leggere anche queste mie note infinite, e vi levo ancora un secondo di tempo per lasciarvi il
link del mio gruppo Facebook ;)

A presto, e un bacione grande grande a tutte voi!
   
 
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