Rieccomi
con il secondo
capitolo della mia storia. Avete notato i titoli? Non era premeditato
ma quando
il secondo di fila mi è venuto con "stelle..." ho iniziato a
pensare
seriamente di includerle nel nome di ogni capitolo ^^ ,devo prima
capire se può
funzionare però...
Comunque,
la
storia ha vissuto un radicale (più o meno) stravolgimento,
di cui voi però non
saprete mai nulla (uha, uha, uha) quindi il cambiamento di trama non vi
causerà
alcun problema, e poi c'era solo un capitolo... certo, non conoscerete
Femi e
Tale ma potrei sempre creare dei capitoli extra... hmm...
perchè no?
Ma
tornando a noi: la
nostra Nakia è cresciuta, così come il suo amore
per il cielo, che condivide
tutti i giorni con una persona speciale di cui leggerete proprio qui,
una
persona con il ruolo di coprotagonista e magari anche altro...
Prossimo
aggiornamento,
causa stravolgimento trama (ho solo un altro capitolo già
pronto XD dopo tutti i miei cambiamenti) e scuola
(siamo a fine maggio dopotutto...) tra due settimane: buona lettura e
se vi piace,
avete suggerimenti, domande o critiche (sempre ben accette) recensite :)
2
“A'στερες
μέν αμϕί
κάλαν
σελάνναν
‘αѱ
απυρύκπτοισι
ϕάεννον
είδος,
όπποτα
πλήϑοισα
μάλιστα
λάμπη
γάν
επι
παίσαν.”
“Aѱ απυρύκπτοισι
ϕάεννον
είδος”
mormorava, “ma
perché nascondono il volto?”.
Erano
passati 13 anni da quel giorno e i melodiosi
endecasillabi cantati da nonna Lene ancora risuonavano nella sua testa.
Crescendo era diventata sempre più curiosa e ostinata, non
si arrendeva, doveva
trovare una soluzione alla sua domanda. Non poteva bastarle un semplice
motivo
poetico: la Luna rappresenta l’amata che è
così bella da offuscare le altre
ragazze; oppure una spiegazione scientifica: la Luna è
più luminosa delle
stelle quindi quando le sono vicino si notano poco e sembra che
scompaiano.
No,
le stelle di Saffo “si
nascondono. Può giocare a nascondino una stella? Si
può vergognare perché la
Luna è più grande di lei e più bella?
Le stelle possono pensare, hanno un’anima?” pensava.
“Se così fosse sarebbero ben poco fiere: nella
migliore delle ipotesi si nascondono dietro a chi è
più grande per essere
protette altrimenti potrei addirittura credere che hanno paura e si
nascondono
per non essere viste.”
“Che
stelle vigliacche …” si
lasciò sfuggire ad alta voce.
“Come?”
fece Manes “a che
altro stai pensando adesso? Ti sei fermata di colpo”.
“Scusami.
Stavo riflettendo.
Sai, è da quando ho sentito questa poesia per la prima volta
che… mi chiedo…
prometti di non ridere?”
“Ma
sì, tranquilla, ormai non
mi stupisco più delle tue assurde domande sulla
vita”.
“Non
sono assurde domande
sulla vita” lo bacchettò scherzando “
non ti farebbe male stare un po’ a
riflettere di tanto in tanto, riusciresti a capire molte più
cose. E poi come
ho detto non sono domande sulla vita ma sul cielo, le stelle: dovresti
saperlo ormai. Saffo dice che le
stelle << nascondono il volto luminoso >>,
beh, che mi dici?”
“Perché,
che dovrei dire?”
“Hai
capito benissimo: che
vuol dire secondo te che le stelle << nascondono il volto
luminoso >>
davanti alla Luna?”
“Intendi
dire metaforicamente?
Credo che significhi che la Luna è così bella che
davanti a lei le altre
luminosità del cielo notturno svaniscono
…”
Sospirò:
non era questa la
risposta che voleva da Manes, sperava in qualcosa di più
profondo, un po’ come
le sue riflessioni sull’anima delle stelle o sulla loro
codardia … lo sapeva
simile a lei come carattere: era proprio delusa da quella mancanza di
immaginazione.
Stava
per interromperlo ma
ecco che lui se ne uscì dicendo:
“Però
credo anche che quelle
stelle potrebbero essere… sì insomma: avere delle
qualità positive. Prendi la
Luna: lei è grande e luminosa e che fa? Se ne sta in mezzo
alle stelline,
sicura e tranquilla che è molto più bella di
loro. Non è un comportamento
onorevole, per questo le stelle si nascondono: per non
vederla… perché non la
sopportano, sono stelle arrabbiate, sdegnate…
o
almeno la penso così!”
concluse con un sorriso.
Nakia
era senza parole: in 13
anni di riflessioni sulle stelle vigliacche non aveva mai pensato che
la vera
vigliacca potesse essere la Luna, la Luna che se la prende con i
più piccoli,
che li sdegna al punto di spingerli ad andarsene per odio nei suoi
confronti.
Guardò Manes con i suoi occhi viola, gonfi di stupore. Le
aveva aperto tutto un
altro mondo, con poche parole, ancora una volta.
Era
sempre così: lei aveva
un’immagine, si teneva tutto dentro per giorni, mesi o come
in questo caso
anni, e la sviluppava, la trasformava in pensiero,
riflessione… poi quando la
credeva pronta la rivelava a quelle due o tre persone che amava davvero
e
puntualmente si trovava a bocca aperta: usciva sempre un altro pensiero
diverso
dal suo con il quale fare i conti. Non che la cosa le dispiacesse
più di tanto:
il suo animo un po’ malinconico era sempre pronto ad
accogliere e incoraggiare
nuove riflessioni, soprattutto sul cielo stellato, avido di sapere la
verità.
“Quindi
sarebbe la luna la
vigliacca…” disse quasi a bassa voce
”non ci avevo mai pensato.
Quindi
secondo te le stelle…
hanno un’anima?”
“Beh,
suppongo di sì, se
possono pensare e provare emozioni dovrebbero averla, ma stiamo
parlando di una
poesia: non è detto che sia davvero così, le
stelle non possono andare via,
lasciando il cielo scoperto, sono immobili no? Come dicono gli
scritti”.
Fece
una pausa un po’
imbarazzato: Nakia lo fissava con quel suo sguardo scettico come a
significare:
ma devo dirti proprio tutto io? È ovvio che non sono
immobili, gli antichi
scritti sono antichi e basta, niente più che favole. Manes
sospirò, sapeva di
non aver detto una cosa troppo intelligente agli occhi della ragazza,
non se lo
aspettava da lui dopo tutte le loro lezioni.
“Lo
so che pensi il contrario,
ti piace credere che tutto il firmamento abbia un’anima, che
sia vivo, si muova,
lo trovi così speciale per questo. Lo so bene che non
riuscirei ad allontanarti
dall’amore che provi per lui, però ti avverto di
non uscirtene in giro con
frasi del tipo << le stelle sono offese dalla Luna ogni
volta che è
piena >> e soprattutto sul fatto che abbiano
un’anima: non penso che
otterresti molto successo” concluse con un sorrisetto.
“Questo
lo so, ecco perchè
l’ho detto a te soltanto, neanche nonna Lene conosceva questo
mio pensiero”.
“Ah
già, dovevo capirlo che solo
quella donna avrebbe potuto insegnarti i versi di Saffo.
L’hai
più rivista?”
Nakia
restò immobile per un
istante, come in preda a un sogno, a un vortice di ricordi.
Aveva
più rivisto Lene?
Nonna
Lene?
“Non
temere piccola cara: ci rivedremo, abbi fiducia negli
dei del cielo”
Una
testolina bruna, poco convinta, annuì rassegnata, poi
alzò il viso: gli occhietti vispi, prima rivolti verso il
pavimento sabbioso di
quella che era una piccola, povera capanna, ma che per lei significava
gioia,
si alzarono, mostrandosi in tutto il loro vivissimo viola, lucidi e
gonfi di
quel pianto che la piccola cercava a stento di trattenere: voleva
mostrarsi
forte, incrollabile come le sue stelle.
“Io,
non
voglio…
dirti… a-addio”
Cercò
di dire con la voce il meno possibile rotta dai
singhiozzi che non riusciva più a fermare.
“Gli
addii non esistono” replicò con voce serena e
tranquillizzante la vecchia
“Tutto
ciò che sembra finire è un nuovo inizio, tutto
ciò che
se ne va, prima o poi ritorna. Così la piena del Nilo
sommerge il suolo e
sembra la fine per la terra, ma essa rinasce più forte di
prima grazie all’acqua,
così la Luna giorno dopo giorno sembra sparire, ma quando
scompare del tutto
ecco che ritorna e << risplende di nuovo piena su tutta
la Terra >>.
Io
e te ci rivedremo mia dolce Nakia, c’è un segreto
che deve
ancora essere svelato”
“Un
segreto sulle stelle?” chiese la piccola guardandola
speranzosa,
un po’ confortata dalle parole dell’anziana donna
“Sì,
un segreto che ti sarà svelato quando sarai pronta.
Ritornerai
da me un giorno, quando le stelle ti chiameranno”,
<< quando vorranno portarti via >>
pensò senza però dirlo.
“E
quando?”
“Dovrai
avere pazienza. Tu abbi fiducia, non dimenticare
quello che ti ho insegnato, crescendo capirai”.
Crescendo
capirai.
Stava
forse capendo? Non era
forse cresciuta abbastanza? Non passava giorno che non ci pensasse,
c’era un
che di misterioso nelle parole di Selene quella sera e lei ancora non
sapeva
cosa, anzi stava cominciando a dubitare perfino della loro
veridicità.
Tornò
alla realtà e a Manes,
che attendeva una risposta:
“No,
da quando abbiamo lasciato
Keruit non sono più tornata per vederla" fece una piccola
pausa.
"Sono
passati molti anni ma mi
piace pensare che sia ancora lì, al villaggio, seduta nella
sua stanza con il
latte vicino, circondata da bambini di tutte le età, pronti
a fare tesoro di
ogni più piccola parola che dice, che la assillano con
continue domande e richieste
e a cui lei dona sempre una carezza e una storia.
Ma
tornerò
un
giorno, e
nonna Selene mi dirà: ah, mia piccola Nakia, riconoscerei i
tuoi occhi viola
ovunque, sei diventata grande. Vieni, siediti accanto a me, ho
un’ultima storia
da raccontarti.”
Non
piangeva spesso, ma Manes
aveva visto che i suoi occhi si erano fatti più lucidi,
aveva amato quella
donna come una seconda madre, come fosse la vera nonna, e
più il tempo passava
più sentiva la sua mancanza.
La
fissava, non era sua
intenzione farle pensare a qualcosa che la rattristasse, non sopportava
di
vedere l’opaco velo grigio delle lacrime coprire quel viola:
non erano due
colori che stavano bene insieme, non se si trattava del viola di Nakia.
Sorrise,
e lei fece lo stesso,
era un momento di debolezza, nulla di più, presto i suoi
occhi avrebbero
ingoiato quel velo grigio, celando ogni traccia di
quell’istante di smarrimento
e insicurezza, e il suo viso sarebbe tornato a brillare del coraggio e
della fierezza
che la contraddistinguevano.
“Sono
sicuro che è ancora lì,
e ti aspetta. E magari un giorno me la presenterai, così
potrai dirle quanto
sia meno bravo di te ad ascoltare le sue storie”.
“Ah
ah, non è vero, sei un
ascoltatore modello, sapessi tutto il chiasso che facevano i bambini
nella
casetta di nonna Lene, tu in confronto sei perfetto davvero: non
interrompi,
non ti distrai, non ti agiti…”
Fece
una pausa, guardava di
nuovo nel vuoto, cercando di mettere a fuoco l’orizzonte, di
distinguere ciò
che c’era fra la striscia bruna della sabbia e
l’azzurro del cielo del primo pomeriggio.
Nulla,
riusciva solo a vedere
quella sorta di nebbia ondulata che fonde e allo stesso tempo separa i
due
colori nelle ore più calde del giorno, tutto intorno era
silenzioso, solo lei e
Manes, sul tetto di una casa vuota, ai margini di Tebe.
“Le piaceresti
sai? “
riprese “ ti adotterebbe subito come nipotino”.
“Promettimi
che quando sarò pronta a tornare da Lene, tu verrai con
me” il suo tono era
serio, quasi eccessivamente, certo per via del grande affetto e
rispetto che
Nakia provava per la donna ma c’era anche
dell’altro, Manes la conosceva troppo
bene per non intuirlo, e poi perché aveva detto
<< quando sarò
pronta >>? Cosa spaventava la ragazza dagli occhi viola?
“Ma
certo, te lo prometto”, disse reprimendo quei pensieri.
“Devo dire che
sono talmente tanti anni che mi
parli dei suoi insegnamenti, che sono proprio curioso di conoscerla di
persona,
e poi sai che non ti lascerei fare da sola un viaggio così
lungo.
È
un
periodo pericoloso per stare da soli”.
Nakia
cambiò di colpo espressione, abbandonando tutte le sue
fantasie e i suoi
ricordi per concentrarsi sulle ultime parole di Manes, allarmata:
“Che
intendi dire con questo?
Cosa
hai sentito a palazzo?” Lo interruppe prima che potesse
continuare. Accidenti,
forse non era il
caso di rivelarle adesso quello che oltretutto non avrebbe dovuto
sapere
neanche lui.
Dalla curiosità
di Nakia non si scappava,
sapeva che non era una frase buttata lì a caso e aveva
già indovinato qual’era
la fonte: ogni volta che si trattava di cose sentite a palazzo la
ragazza era
avida di sapere.
Avere
un amico altolocato si rivelava utile molte volte: Manes infatti non
era un
semplice frequentatore del palazzo reale, era l’unico figlio
del faraone.
Un
figlio di faraone nato in un piccolo
villaggio, lontano dalla capitale, negli anni difficili del dominio
persiano di
Achemene.
Non
era prudente per un giovane principe
andarsene in giro a declamare i propri nobili natali in quei tempi, per
questo
i suoi genitori avevano convenuto che restasse all’oscuro
della sua vera
identità, almeno finché la situazione non fosse
migliorata. Così nei primi anni
della sua vita era cresciuto in città come un semplice
bambino, ignaro delle
sue origini.
Per
loro non era stato facile mettere da parte
il proprio orgoglio e vivere da semplici sudditi, di un sovrano
straniero per
giunta, ma questo aveva consentito a Manes di trascorrere quegli anni
tra la
gente comune come un bambino comune. Ciò aveva segnato il
carattere del giovane
principe: anche una volta scoperta la verità, con l'ascesa
al trono del padre,
non era riuscito a sentirsi in nessun modo superiore ai suoi vecchi
amici, meno
di tutti a Nakia, anzi, spesso tra i due i ruoli si invertivano: la
maestrina
dagli occhi viola era sempre un passo avanti a lui.
Forse
erano stati proprio i suoi
insegnamenti dal sapore greco e filosofico a fargli dimenticare che un
giorno
avrebbe rappresentato gli dei in terra e guidato il popolo
d’Egitto, lo aveva
influenzato ed educato in questo senso al punto che ormai aveva smesso
di
prendere sul serio tutto ciò che gli veniva insegnato di
tradizionale dai suoi
precettori ufficiali.
Ciò
che diceva Nakia gli sembrava sempre
più sensato delle vecchie favole sul potere divino del
faraone, certo non fino
al punto da dubitare dell’esistenza degli dei e del valore
della figura di suo
padre, dopotutto neanche Nakia sembrava avere seri dubbi su questo
punto, però
sapeva anche molte altre cose e non esitava a mettere sempre in
discussione la
tradizione per capire la verità.
Manes
la vedeva come una sorta di meta,
doveva diventare come lei perché prima di diventare re
doveva riuscire ad avere
quelle qualità che Nakia possedeva in abbondanza. Sentiva
che era l’unica
persona che lo superava davvero, in determinazione, coraggio, sapere
… era
forse per questo che erano diventati amici? Il loro rapporto era una
sfida
continua? Non ne era sicuro, magari all’inizio era stato
così, ma poi aveva
smesso di tentare di superarla, l’avere al suo fianco
qualcuno migliore di lui
lo faceva restare coi piedi per terra, e poi adorava la sua compagnia,
stare
con lei, ad ascoltarla anche per ore…
Ore?
Ecco la scusa perfetta: era
tardi! Stava già per rassegnarsi a riferirle quelle poche
misteriose frasi che
aveva origliato, che si ricordò dei suoi doveri: le lezioni.
“Nakia,
si tratta di una
faccenda molto strana, che non conosco fino in fondo nemmeno io. Ora
è troppo
tardi per parlarne bene. Facciamo così: cercherò
di scoprire di più per la
prossima volta che ci incontriamo, ora devo proprio andare dai miei
maestri o
si insospettiranno”.
Era
lampante: se la stava
svignando di proposito con quattro frasi buttate a caso. Ma allo stesso
tempo
si fidava di lui e sapeva che se non le rivelava ora quello che sapeva,
era
perché non era davvero il momento opportuno. Dopotutto il
fatto del ritardo
poteva non essere completamente falso: un principe ha un sacco di
impegni e
doveri, quindi per questa volta si arrese subito, non che le andasse
molto a
genio dover aspettare qualche tempo prima di sapere questo segreto, ma
non
c’era altra scelta.
“D’accordo”
disse poco
convinta.
“Ci
rivedremo domani però e
voglio che tu mi dica tutto quello che sai. Voglio aiutarti se da come
ho
capito si tratta di una faccenda così seria …
perché è seria
non è vero?”
Annuì.
La guardò fisso con i
suoi occhi blu profondo: “ti prometto che non ti
nasconderò mai niente.
Domani
saprai tutto quello che
so”.
“Ci
vediamo domani alla
seconda ora della notte allora, ti aspetterò di nuovo
qui.”
Le
carezzò velocemente i capelli,
come avrebbe fatto un fratello affettuoso, e scappò via.
Nakia
guardò Manes che
scendeva agilmente dal tetto, continuò a seguirlo pensosa
con lo sguardo,
immobile, finché non divenne un puntino nero sulla lunga
strada principale
della città che cominciava alle sue spalle.
Non
avrebbe avuto problemi:
anche questa volta erano stati prudenti, avevano sfruttato le ore di
riposo
della giornata e nessuno li aveva visti insieme, e anche se fosse non
li
avrebbero riconosciuti scorgendoli da lontano sul tetto di una vecchia
casa. Ma
questa era normale routine, ormai non si preoccupava più da
tempo del fatto che
si venisse a sapere dei loro incontri: in tanti anni non era mai
successo,
figuriamoci se sarebbe venuto a galla quella volta.
No,
in realtà ciò che la preoccupava
erano le parole di Manes, quel fare sospetto e misterioso che aveva
turbato
l’ultima parte della loro conversazione, quel fantomatico
pericolo che sembrava
così serio e allo stesso tempo così assurdo. Cosa
mai poteva succedere ancora:
la pace era finalmente tornata in Egitto no? Dopo anni di dominazione
straniera
ora era stata restaurata la vecchia dinastia, suo padre finalmente
regnava: cosa
preoccupava Manes?
άστερες
μέν αμϕί
κάλαν
σελάνναν
“Datemi
una risposta:
che
significa?”
Lo
sguardo fisso verso il cielo, intento nell'impossibile impresa di
scorgere i misteriosi puntini splendendi che impreziosiscono e donano
luce allo scuro velo della notte. Ma ora era pieno giorno, ancora
presto per le stelle. Nakia però sentiva,
sapeva che loro erano sempre lì, anche quando non si
vedevano, e
per lei dunque
l’orario non faceva differenza. Ripensare alle stelle
l’aveva già riportata nel
suo mondo, nelle sue domande e nei suoi ragionamenti.
“Non
sarete mica offese perché vi ho dato delle vigliacche
vero?” pensava “dopotutto ho sempre detto che le
vigliacche erano le stelle della
poesia, non tutte quante, e poi ora credo che Manes abbia ragione: non
penso
più che siate delle codarde. Forse…
chissà, magari non l’ho mai pensato
davvero, magari era solo..”
non
sapeva fino a che punto credesse davvero in quello che
stava per mormorare:
“
…una riflessione inutile come tutte le altre. Tanto per
passare il tempo”.
Dopo
tutti quegli anni senza una risposta si sentiva più
sconfortata giorno dopo giorno, ma doveva andare avanti: non si poteva
vivere
di ricordi e fiabe per tutta la vita no? Eppure non riusciva a fare a
meno di
fantasticare e pensare alle stelle, sentiva come se… se
facessero parte di lei,
da sempre.
Fece
una pausa.
Aspirò
profondamente e si mise ad ascoltare il caldo vento di
Akhet che agitava i granelli di sabbia.