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Autore: Loda    18/05/2013    2 recensioni
Se non ti guardi allo specchio, non lo vedi che stai piangendo. Ma le lacrime ne hanno anche un altro di riflesso, che è tutto interiore, ed è più crudele di esse stesse, infinitamente.
Si tratta del sangue.
"Non si tratta di essere buoni o cattivi, non si è mai trattato di questo. Ci sono solo epoche da attraversare, scelte da compiere e personalità che crescono. Nessuno vive così poco da non cambiare volto nemmeno una volta"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 25
CAPITOLO XXV
IN PEZZI
 
 
 
I sentimenti erano in tumulto, i passi erano pesanti, un quarto di luna era nel cielo, sereno, così inspiegabilmente blu, spruzzato di tanti punti luminosi. 
La notte in cui erano andati da Camelio pioveva, Dubris lo ricordava ancora. Era così che doveva essere. Era così strano, quel bel cielo, ignaro, come se niente stesse per accadere.
“Davvero sarà così facile trovare Kaeso?” domandò Ramona, trascinando le scarpe sul sentiero ruvido e ciottoloso.
Dubris alzò il capo e lo sguardo vagò dritto, superando gli alberi e i massi. Poco più in alto, una silenziosa, grande casa li attendeva.
“Non avrai mica pensato che fosse difficile per dei vampiri cercare in un piccolo paese come Gressan?” fece.
Ramona non disse niente per un po’. Poi aggiunse: “Non è strano che abbia dimora fissa? Dovrebbe spostarsi continuamente, per non farsi trovare”.
“Sì, è strano” convenne qualcun altro.
“No che non lo è” intervenne Acilia.
Dubris si voltò subito a guardarla, e così fecero gli altri. Sentirla parlare quella notte era un evento raro. Era distante, come le notti scorse, ma il suo sguardo era come oscurato, chino verso il basso, come una ragazzina che non vuole far vedere che piange. Un’abitudine umana, che Acilia non poteva più avere… I suoi occhi si erano induriti come due pietre, cos’aveva paura di mostrare?
“Kaeso non vuole essere un fuggitivo, lui vuole essere il re del mondo” spiegò. Un lieve soffio di vento le mosse i capelli, fili neri, lunghi e lisci, che nel buio si nascondevano, nascondendole il volto. L’aria di montagna era fresca, e buona. Dubris assaporava il sapore, ma avrebbe voluto vedere Acilia.
“Forse lui addirittura desidera essere trovato da noi, cosicché possa sconfiggerci, noi, l’ultimo ostacolo” proseguì lei. Si voltò verso l’interno della montagna e alzò il viso, guardando in alto. Ma ancora Dubris non la vedeva. “Quello che troveremo non è un nascondiglio. È una fortezza”.
Le sue parole furono accolte nel silenzio, poi Homer disse, cercando di sdrammatizzare: “E smettila di essere così teatrale, per favore”.
Acilia non sorrise e non disse nulla. Riprese solamente a camminare.
Dubris la seguì, riflettendo. Se Kaeso immaginava il loro arrivo, si doveva essere preparato. Non un nascondiglio, ma una fortezza… Non dei fuggitivi ma un esercito…
Guardò i suoi compagni. Erano tutti decisi, e forti, ma non erano tanti.
Ramona… Durante il combattimento contro Camelio, l’aveva protetta Lyuben. Lyuben, che era stato ucciso da quel Kaeso, quell’essere immondo… E Dubris come avrebbe fatto a proteggerla, Ramona? Ne sarebbe stato in grado? Del resto, non riusciva a smettere di pensare ad Acilia. Anche lei andava protetta, da se stessa. Eppure, pensandoci, guardandole la schiena, dritta e sicura, non ne era poi così sicuro.
È giunta l’ora, Dubris?
Per cosa era più preoccupato? Perché non sarebbe stato capace di proteggere Ramona? Perché non avrebbe mai più visto Acilia? Perché forse lui stesso sarebbe morto?
Acilia? Lei vuole questo, lei vuole morire.
Del resto, cosa pretendeva lui? Accusava Acilia di non averlo mai voluto, di non averlo mai amato, e lui cos’aveva fatto per lei? Era un vampiro, proprio come lei, neanche lui era più in grado di dare nulla ad una donna. La sua era una stupida infatuazione per una persona che ammirava, e che l’aveva tirato fuori da un baratro di orrore, per una persona con cui condivideva l’età, il modo di pensare, il modo di vivere… Non voleva che morisse.
La verità è che vuoi morire anche tu. Se muore lei, vuoi morire anche tu.
Perché era quello che desideravano tutti i vampiri. Nessuno lo diceva mai, tutti lo sapevano ma nessuno lo diceva mai, ma d’altronde era per quello che si trascinavano avanti nelle loro inutili vite macchiandosi di delitti. Perché loro in realtà dovevano essere morti.
Allora che differenza fa se muori oggi in battaglia?
Non voleva andarsene se non sapeva che Ramona sarebbe stata al sicuro.
Se tu vuoi morire, se tutti i vampiri lo vogliono, allora lo vuole anche lei.
Forse stavano andando tutti verso l’autodistruzione – e non lo dicevano. Forse l’unico che voleva vivere davvero era Kaeso.
Allora che differenza fa se muori oggi in battaglia?
E lasciare vincere Kaeso? Lui, Dubris, poteva morire, ma voleva avere la certezza che il mondo non sarebbe andato a rotoli, che Kaeso non avrebbe attuato il suo piano… Ma a lui che importava poi? Era morto – sarebbe stato morto. Che gli importava di che fine avrebbe fatto il mondo?
Allora che differenza fa se muori oggi in battaglia?
Ormai erano in cima al sentiero. Che differenza faceva, pensava Dubris. Vorrei salutare Acilia, si disse, vorrei rivederla.
Che differenza fa?
Tutti lo sapevano ma nessuno lo diceva mai. Non sapevano cosa ci fosse dopo la morte e, per quanto potessero pensare di aver già visto cose terribili, avevano ancora paura.
Erano giunti, insieme, davanti alla villa. Avvolta dalla natura, circondata da un prato color verde smeraldo, che scintillava sotto le stelle, emetteva solo inquietudine, nel suo perturbante silenzio.
C’era troppo silenzio.
Dubris fece appena in tempo a vedere Acilia che alzava la testa verso l’alto, poi delle ombre saltarono fuori all’improvviso e tutti loro si trovarono accerchiati.
 
 
 
Roma, 410
 
Sai, non volevo farti male sul serio. Ero solo spaventata.
Acilia faticava a ricordare quel lontano giorno in cui aveva trasformato Kaeso. Ricordare stava diventando una cosa difficile, da quanto tempo viveva ormai? Eppure ricordava molto di più la sua vita da umana, così breve... Guardava i ricordi proiettati nella sua mente e sembravano appartenere a qualcun altro. Era davvero lei quella ragazza, triste, che non poteva coronare il suo sogno d’amore con Damiano?
Anche Damiano è tanto triste…
Il suo sangue, il primo che aveva assaggiato, oh, eppure quello l’aveva dimenticato.
Le era poi venuto in mente Marco, era lui che l’aveva abbandonata, no? Quel dolore al petto, quella sensazione, la polvere tra le dita. Era quello che sarebbe diventata lei, cenere. Poi…
Kaeso inizialmente le era sembrato un angelo. Non ricordava nulla, se non il suo viso in un fascio di luce. Era arrivato da lei per darle conforto, per farle compagnia.
No, te lo sei preso tu, con la forza.
La luce si faceva più fioca.
Davvero?
I ricordi, erano così confusi…
Era sangue quello che vedeva intorno a lei, non luce. Era sangue che non aveva nulla di luminoso, e loro erano intrappolati nelle tenebre.
“Kaeso” fiatò. Voleva ancora tentare, gli si avvicinò, gli toccò un braccio.
Lui le sorrise. “Hai trovato qualche preda che ti piace?”.
Stavano camminando, in quella serata tranquilla. Gli animi erano spenti a Roma, Acilia non la riconosceva più come sua quella città. Brutti tempi, dicevano, si potesse tornare indietro!
Si potesse tornare indietro…
“Kaeso” insitette Acilia “Troviamo una persona… Una sola. Basta la vita di un umano solo per sfamarci entrambi”.
Kaeso alzò gli occhi al cielo. Poi le puntellò un fianco. “Non è divertente così, lo sai”.
“Kaeso” tentò di nuovo di lei, sospirando “Sei troppo violento”.
Lui fece un’espressione strana e Acilia si fermò, prendendo un grosso respiro. Buffo come rimanessero certe abitudini, loro neanche avevano bisogno di respirare.
“Forse dovresti… dovresti pensare che sei stato anche tu umano”.
Lui ancora non disse niente e Acilia andò avanti: “Tua figlia era umana”.
Tutto il sangue, di tutti quei bambini. Le risate di lui in sottofondo, il riflesso delle stelle, affogate nel sangue.
All’improvviso Kaeso abbracciò Acilia, così in fretta che lei non fece in tempo neanche a vedere in quale follia la sua espressione si fosse mutata. La stringeva forte, e lei lo sentiva tremare. Gli occhi, non riusciva ad immaginare i suoi occhi… Lui sussurrò solo una parola: “Aiutami”.
Le sembrava di rivederlo, in ginocchio, davanti a lei, indifeso… Viridio, aveva detto di chiamarsi così.
Tua figlia era umana.
Possibile che Viridio fosse ancora lì dentro da qualche parte?
Acilia cercò di allontanarlo. Voleva vedergli il viso, l’espressione, doveva vedere cos’avesse la sua faccia… Ma lui non demordeva, e la stringeva fino a farle quasi male. “Ho voglia di sangue… Ho voglia di sangue, aiutami…”.
Cosa voleva dire? Che tentava di dire?! Che doveva aiutarlo a procurarsi del sangue? O doveva aiutarlo a smettere?
Smettere è impossibile, lo sai.
Ma Acilia era più forte di lui e riuscì a spingerlo via. In quel momento sentì un urlo e del fumo si levò nel suo orizzonte. L’odore di bruciato le fece storcere il naso.
Negli occhi di Kaeso brillavano due fiamme danzanti. Acilia si voltò, confusa. La gente gridava, fuggendo dall’incendio che era appena divampato. Strilli di bambini si univano confusamente al coro spaventato delle donne, a quello concitato degli uomini.
Strilli di bambini…
Le fiamme negli occhi di Kaeso parvero allargarsi e Acilia non riuscì a fermarlo, quando lui si lanciò tra la folla.
Ora no, ora no, si stava svegliando!
La gente fuggiva impaurita anche da Kaeso. Sembrava un nemico, un barbaro… Qualcosa di peggio… Non bruciava le carni, le divorava.
Ma quante volte ti è sembrato che si stesse svegliando?
Le persone cadevano a terra ma le urla aumentavano. Acilia indietreggiò, il fuoco correva inglobando più spazio. Eccola la luce che credeva di vedere, una luce d’orrore! Il fuoco le faceva paura e lei indietreggiò, mentre con lo sguardo cercava Kaeso, eppure vedeva solo sangue.
 
*
 
 
Dubris aveva prontamente puntato sui vampiri che aveva di fronte il suo fucile. Quelli ricambiavano il favore con altre armi.
Voleva contarli ma non riusciva a schiodare lo sguardo dai due che lo avevano nella mira. Erano alti e slanciati, con un gilè scuro addosso imbottito, che li rendeva più grossi e minacciosi.
Quanti erano? E i suoi compagni erano lì con lui?
Non c’è ancora stato nessuno sparo.
L’aria era tremendamente tesa.
Lui, che poteva sentire un qualunque basso suono anche a distanza, ora non udiva assolutamente niente. Forse avrebbe potuto sentire una cinquantina di cuori che battevano forte, all’unisono, per la paura. Forse…
“Nessuno si farà male” disse la voce di Acilia, da qualche parte dietro di lui “se ci consegnate Kaeso. Ci basta solo lui”.
Ottimo piano, pensò con sarcasmo Dubris, sicuramente cederanno.
I due vampiri che aveva di fronte fecero una risatina, guardansosi.
Dubris approfittò del momento senza pensarci due volte e sparò due colpi, uno per uno, puntando al petto di ciascuno.
Poi subito si voltò, convinto di aver fatto segno, per vedere quale fosse la situazione ma i nemici stavano reagendo e seguirono altri colpi, da entrambe le parti.
Era cominciata, ora non si poteva davvero più tornare indietro.
Non sei arrivato fino a qua per tornare indietro.
Dubris si proteggeva il petto con una mano mentre avanzava, il fucile saldo nell’altra. Faceva vagare il suo sguardo in cerca di qualcuno da aiutare, o da uccidere. Sentì Homer urlare e lo vide cadere a terra. Nel momento in cui il suo corpo toccò il suolo, quello esplose, come se non avesse potuto sopportare l’impatto.
“No!” gridò Dubris, correndo verso il suo assassino. Mentre correva vide con la coda nell’occhio i due vampiri che aveva colpito per primi. A terra, un poco sporchi di sangue, si stavano rialzando.
Dubris frenò la sua corsa, impietrito.
Non è possibile, li avevo colpiti!
Poi il suo sguardo si fermò sui grossi gilè che indossavano. Inorridito si rese conto che tutti loro li avevano, ed erano quelli che proteggevano il loro inerme cuore.
Dove accidenti li hanno trovati, pensò, furioso.
Dimenticatosi dell’assassino di Homer, cercò con lo sguardo Acilia e Ramona. I suoi occhi attraversarono corpi caduti a terra e sangue viscoso che colava sul prato… Stupidamente notò delle margherite, il loro biancore, imbrattato di sangue. Lo spicchio di luna intagliato nel cielo blu fasciava tutto, con la sua debole luce, eppure sembrava così intenso, tutto era così intenso, orribilmente accecante, ogni filo d’erba, su cui ci fosse stata anche una sola goccia di sangue…
Una scarpa marrone, che riconobbe essere quella di Ramona, affondò nel fango colloso di sangue. Gli schizzi le macchiarono i polpacci nudi, che si muovevano freneticamente, come le braccia, brandendo un’arma, furenti, sparando invano. Dubris fece per scattare in suo aiuto ma l’uomo che stava attaccando Ramona cadde a terra in ginocchio, in seguito ad un ennesimo sparo, ma non era stata la donna a sparare. Il vampiro nemico gridava, con una mano si teneva l’occhio, come se esso fosse potuto cadere da un momento all’altro. Una densa striscia di sangue gli colava sulla guancia, certo, il proiettile gli era arrivato dentro l’occhio… Acilia comparse dal nulla, con in mano un fucile automatico, pestando con energia il prato e dando un calcio all’uomo che, prima di scivolare su un fianco, appoggiò la mano sull’erba, per non cadere, lasciando scoperto l’occhio, che, tra gocce di sangue e frammenti, si stava ricomponendo, sotto una pupilla vibrante. Ma Acilia, andando dietro di lui e lasciando cadere il fucile a terra, gli aveva circondato il collo con un braccio, bloccandolo e per un momento Dubris pensò che lei gli volesse staccare la testa. Ma poi lei, con la mano che aveva libera, gli strappò il gilè con forza, conficcando le lunghe unghie nel tessuto. Lanciò l’indumento da parte e in un attimo raccolse da terra la sua arma, che subito premette contro il petto di lui.
“Kaeso è dentro?” domandò, ostentando una tranquillità incredibile.
“Sì! Sì!” gridò quello, con un barlume di speranza che gli usciva dagli occhi come il sangue.
Acilia non disse niente e sparò. La pelle del vampiro deflagrò, tutto il suo corpo si disgregò in brandelli di sangue coagulato e lei, con disinvoltura, cosparsa di grumi, si rivolse rivolse verso Dubris e Ramona.
“Io devo andare dentro a cercare Kaeso e ho bisogno che voi veniate con me” disse, in tono piatto “L’ho già detto a Victoire. Lei e gli altri rimarranno qui e cercheranno di fare piazza pulita”. Indicò il gilè accanto ai suoi piedi. “Uno di voi se lo metta”.
I due annuirono all’istante e Dubris fu mentalmente grato ad Acilia per aver preso la decisione di far venire Ramona con loro. Prese il gilè e lo porse insistentemente a Ramona, che scuoteva la testa, e che poi finalmente cedette e se lo infilò. Si sentiva più tranquillo se poteva tenerla d’occhio e difenderla, poi subito un altro pensiero lo colpì. All’interno della casa le cose sicuramente non sarebbero state più facili. Forse era addirittura più pericoloso…
Aspettò che Ramona fosse pronta e insieme corsero dietro ad Acilia, che si era già avviata verso l’ingresso della casa.
Né dentro né fuori è un posto sicuro, è inutile che continui a pensare a come proteggerla.
Forse il male minore era che stesse nello stesso posto in cui era Acilia. Era lei la più forte.
I tre varcarono la soglia e si trovarono nella prima stanza. Priva di illuminazione, come qualunque casa di vampiri, mostrava un atrio spazioso e pulito ma che celava un odore forte. Il pavimento era ricoperto di moquette, di un rosso irregolare, in alcuni punti più chiaro e in altri più scuro. L’unico mobile che c’era era un divano, amaranto, in fondo, apparentemente lontanissimo, angosciante nel suo essere così isolato. Sulla sinistra una porta aperta mostrava un corridoio buio e sulla destra, accanto alla grande finestra chiusa dalle imposte color nòcciolo, prendeva il via una scalinata di marmo, o forse di granito, lustra di bianco sporco. 
Dubris guardò Acilia, facendo cenno verso le scale. Lei si guardava freddamente intorno, come se si aspettasse – e senza paura – che qualcuno sbucasse fuori dal nulla. Poi annuì e tutti e tre avanzarono sulla moquette, che attutiva i loro passi. Ma altri passi stavano venendo verso di loro, nella direzione opposta e i tre si bloccarono sulle scale, pronti con le armi tese verso il nulla. Ben presto il nulla divenne un gruppo di vampiri che fu loro addosso con una scarica di proiettili. Dubris afferrò Ramona e si lanciò subito da un lato della scala. Entrambi rimasero sospesi, lei aggrappata a lui, ed entrambi risposero al fuoco. Ne colpirono due mentre Acilia planava prontamente su di loro, con le zanne in fuori, e con la sola forza delle mani staccò loro le teste, che rotolarono giù per le scale, in una striscia di sangue che andava a confondersi col rosso della maquette. Quelle esplosero, come i propri rispettivi corpi, e il colore del pavimento si fece più intenso.
Dubris e Ramona atterrarono ai piedi delle scale, affannati. Lui guardò la sua compagna. Gli occhi sgranati, la mano che impugnava la pistola tremava leggermente, e continuava a guardare il sangue che, goccia a goccia, cadeva giù dall’ultimo scalino.
Non sono Lyuben, Rami, ma sono il tuo creatore, ti puoi fidare di me!
D’altronde doveva davvero sentire la sua mancanza… La battaglia, la scalinata, la morte, il vasto salone sporco di sangue. Lyuben che combatteva al suo fianco, che non la lasciava sola.
Dubris si rendeva conto, si rendeva conto che mancava pure a lui. Gli mancava tutto quello che c’era prima della sua morte e gli mancava quel loro primo scontro, contro Camelio. Acilia che lo abbracciava, affranta e triste, nonostante avessero vinto… Avevano una prospettiva davanti e lui, Dubris, sapeva per cosa combattere!
Senza Acilia, non vorrai più combattere.
Ma i nemici continuavano ad arrivare e lui continuava a sparare, cercando di tenere il braccio il più fermo possibile, ma in realtà, anche se avesse mancato il bersagio, cosa gli importava? Se per caso, per errore, avesse colpito Acilia cosa sarebbe cambiato?
Davvero vuoi deluderla fino a questo punto?
Deluderle, si corresse Dubris, cercando di riprendere controllo di sé. Deluderli. Cosa gli stava succedendo? Non voleva più vendicare Lyuben? Lyuben, il più grande vampiro, sarebbe davvero morto invano?!
I suoi canini finalmente si allungarono e lui non sentì alcun male quando gli puntellarono il labbro inferiore. Ricordò la cattiveria che sentiva in corpo quando aveva ucciso Svetlana. Era tutta lì la rabbia, doveva solo farla uscire verso la direzione giusta, verso i nemici.
E non verso Acilia, per non rivedere più i suoi occhi freddi come il ghiaccio.
Si lanciò nel combattimento sparando colpi a destra e a manca. Puntava a tutto, braccia, gambe, occhi, collo… Li voleva vedere cadere a terra, strisciare mentre gli arti si ricomponeva, voleva saltare loro addosso, strappare quei gilè anti proiettili e moderli fino a staccare loro la testa.
L’hai capito che è la tua unica via d’uscita, combattere?
Qualcuno lo colpì e lui cadde a terra. Gridò di dolore, il sangue si espandeva a fiotti da una ferita all’addome. Strisciò in un angolo, sperando di avere il tempo per potersi rigenerare.
“Dubris!” urlò Ramona, correndo verso di lui.
No, pensò lui, allarmato, non venire verso di me, guardati le spalle, guardati le spalle!
A fatica cercò di alzarsi e vide che Ramona scivolava a terra per evitare degli spari. Il proiettile le colpì la fronte e il suo viso fu inondato di sangue. Lanciò un flebile grido ma era già pronta a difendersi, in piedi, scaricando la sua pistola intorno a lei.
Dubris strisciò verso il divano, con la moquette intorno a lui che si faceva sempre più rossa. Si nascose dietro lo schienale e si guardò la pancia. La ferita che si rimarginava faceva male, ma il sangue stava smettendo di uscire. Fece capolino dal divano con la testa e la mano armata. Sparò dei colpi, poi subito si nascose di nuovo, cercando di stare tranquillo. Ancora sbirciò e vide che i vampiri erano sempre più numerosi. Fortunatamente erano giunti nell’atrio anche Victoire e gli altri, e la battaglia si faceva sempre più fitta, e terribile.
Come finirà? Come finirà?!
Finalmente Dubris sentì le forze che gli tornavano e poté uscire allo scoperto ma uno sparo, proprio dietro di lui, lo fece nuovamente chinare a terra. Si voltò di scatto, il dito pronto a premere il grilletto ma, così come si era girato, all’improvviso si sentì frenato.
Davanti a lui stava una donna, tremante da capo a piedi, il volto stravolto e i capelli sporchi, rimescolati gli uni sugli altri, in un goffo caos fulvo. Impugnava una pistola ma il braccio teso tremava ancor più delle sue gambe.
L’ho già vista questa donna…
Era umana, era ovvio.
Piegò il viso in tante piccole rughe e, ad occhi sgranati, lanciò un grido strozzato e ancora sparò.
 
 
 
Kaeso osservava tutto, nel buio. Vedeva Acilia, oh, la vedeva, che continuava a colpire, ferire, crudele come lo era una volta.
Ma non voleva combattere contro di lei, non ancora.
A un certo punto dovrai farlo.
Non ancora.
Voleva eliminarla ed eliminarli, quei matti, ma prima voleva assicurarsi di una cosa. Lo tormentava, incredibilmente, lui doveva sapere una cosa, non poteva permettere che quella persona morisse.
Mi chiedo che senso abbia fare tutto questo caos in nome di qualcuno che forse neanche esiste.
Acilia lo guardava e gli chiedeva perché.
Gli chiedeva sempre perché. Ma lei, a lui, aveva mai risposto invece?
Io lo so cosa c’è dopo. Tu non lo sai. Tu avrai sempre paura.
Era così? Aveva davvero paura di morire?
Lo vedi, Kaeso, che anche tu hai bisogno di trasformare l’indistinto in qualcosa di definito?
Stai zitto, tuonò Kaeso nella sua mente, zitto, Lyuben, tu sei morto, morto!
Sentiva gli spari, ogni colpo gli faceva male… Ma se fosse stata colpita anche Acilia, non gli avrebbe fatto male? Gli avrebbe fatto male da morire…
Lei era lì, bella e assassina, non meno di quanto lo fosse lui, con quell’espressione orribile negli occhi, che trafiggevano la pelle non meno dei suoi denti.
Ti odio.
Intravide finalmente una cascata di ricci scuri, impiastricciati di sangue. Eccola, l’amante di Lyuben.
Come hai potuto, Lyuben, amare una donna sola per così tanti secoli?
L’avrebbe fatto forse anche lui, Kaeso. Con una sola donna, che non fosse Acilia, no, eppure non ricordava di aver mai amato nessun’altra.
Sei sicuro?
Kaeso provò un brivido e si aggrappò alla parete. Il corridoio che collegava la cucina al salone era stretto e buio, ma possibile che nessuno avesse notato la sua presenza?
Sembra quasi che non mi cerchino affatto, pensò, divertito. Massa di stolti, stupidi mentecatti, che avevano rinunciato al richiamo del sangue, come quell’Acilia, che quel giorno, a Roma, quando tutto andava in pezzi…
Patetici, che credevano di combattere per un qualche bene superiore e neanche sapevano cosa fosse. Che credevano di combattere per salvare gli umani, quando gli umani, se solo avessero avuto le zanne anche loro, oh, quanti danni avrebbero fatto! Perché loro, invece, ormai non erano più umani con le zanne, erano microbi che avevano perso la loro umanità, e insieme la loro crudeltà. Non erano nulla, solo qualcosa che strisciava per sopravvivere, e che qualcuno prima o poi doveva pur schiacciare.
Kaeso alzò il cappuccio per nascondere il volto e strinse con più vigore l’impugnatura della sua sciabola. Di scatto si lanciò nella sala, velocissimo, come spinto dai suoi stessi pensieri.
Nella sua visuale, campiture di sangue, come al solito, che cospargevano tutta l’ipocrisia nell’aria.
Ipocriti, ipocriti, urlava nella sua testa, predicate la pace con gli umani ma fate la guerra coi vampiri! Proprio come gli umani si tengono in casa cani e gatti e poi vanno a fare la guerra coi proprio simili! Siete stupidi, pensava, stupidi come loro, falsi, bugiardi, che sognate il nulla e stringete ancor meno.
Tu sei così, Aci, una maledetta ipocrita.
Si guardava intorno. Non vedeva più Acilia ma non era lei che cercava. E allora perché tutto dentro di lui urlava il suo nome? Quel maledetto sangue che scorreva nelle sue vene, apparteneva anche a lei.
E ora sei venuta a finirmi una volta per tutte?!
Uno sparo, e un proiettile fischiò minaccioso vicino al suo orecchio. Si voltò istantaneamente e con un movimento repentino di spada troncò la testa dell’individuo che aveva osato provare a colpirlo. Veloce, Kaeso scavalcò il cadavere, lasciandosi alle spalle l’esplosione. Con lo sguardo ritrovò Ramona e piombò su di lei, stringendole con forza il polso. Quella donna aveva la pelle – incredibilmente scura per appartenere ad un vampiro –  più vecchia della sua, ma Kaeso lo sapeva di essere molto più anziano di lei.
Le strinse il braccio così forte, quasi fino a romperlo, e Ramona, con un grido sommesso, lasciò cadere la sua pistola a terra.
Kaeso diede un calcio all’arma. “Che roba è?” fece, con una risatina “Dubris ti permette di usare solo armi-giocattolo?”.
Ramona gli lanciò uno sguardo sprezzante, stringendo i denti.
Lui allargò il sorriso, mostrando i suoi denti aguzzi. Poi afferrò saldamente Ramona per l’avambraccio, e prima che lei potesse dire qualunque cosa, la trascinò via, senza che nessuno – tutti così presi dalla battaglia – facesse caso a loro. Tenendola stretta, attraversò il corridoio coi piedi a qualche centimetro dal pavimento e, una volta arrivati in cucina, la lanciò per terra, prima di chiudere violentemente la porta.
Ramona, dolorante, si alzò in piedi, grondando sangue da un braccio.
Kaeso si levò il cappuccio, avvicinandosi alla donna.
“A che gioco stai giocando?” domandò lei, tradendo un certo nervosismo.
Lo so che hai paura.
Lui sorrise, giocherellando con la sciabola. Divertito, vedeva lo sguardo di lei come ipnotizzato dalla lama scintillante, che si muoveva, spaventosa, in qua e in là.
“Un’amica una volta mi ha detto che parlo troppo, e che faccio cerimonie inutili” disse, seriamente “Voglio darle ascolto, ora che è morta”.
“Un po’ tardi, mi pare” fece Ramona, mal celando il tremito della voce.
Kaeso la fulminò con lo sguardo. “Tu sai chi l’ha uccisa, vero?”.
“Non so di chi tu stia parlando” ribatté subito lei.
L’altro, rabbioso, le puntò l’estremità della spada alla gola, poi si trattenne. Lo sto facendo di nuovo, Svetlana, pensò, sto perdendo tempo.
“Non sei stata tu” ragionò Kaeso, scrutando la sua nemica “Non ne saresti capace. Ho visto come combatti, come se lo dovessi fare per forza”.
“È così” replicò Ramona “Non credere che mi piaccia essere qui, ma lo devo fare”.
“Per Lyuben, non è vero?” fece lui, con tono fintamente compassionevole.
Ecco, pensò, ecco un cambiamento nel suo volto. Un tremito delle ciglia, gli occhi che si allargano, la bocca che si schiude… Chi dice che i vampiri non hanno un cuore che batte?
Ha perso una persone che ama, dev’essere una cosa triste.
Lo so che è una cosa triste, disse una voce all’interno di Kaeso.
“Ti ho vista anche l’altra volta, ora che ci penso” disse con uno scatto, alzando la voce. Sospirò, recuperando la calma. “Nel castello di Camelio. Eri nascosta, piccola e fragile, dietro Lyuben, che ti proteggeva”.
“Sono cresciuta ora” fece Ramona con voce spezzata. Alzò il tono, più decisa. “Ora so cosa devo fare e lo farò perché devo. Ma non mi piace la violenza, non mi piace perché non è parte di me, ma è parte di te!”.
Kaeso, sei troppo violento.
Kaeso socchiuse gli occhi e strinse le labbra.
“Non pensare che ti stia biasimando” disse, quando l’incendio scoppiato nella sua mente si acquietò. Abbassò l’arma e si chinò verso di lei. “In mezzo a loro, sei la più vera”.
Lei si scostò immediatamente. “Stammi lontano, barbaro!”.
Barbaro.
Kaeso si mise a ridere, neanche capiva il perché. “Sai cos’è successo a Roma nel 410, Ramona?”.
Ramona non rispose, limitandosi a lampeggiare avversione dagli occhi.
“Sono entrati i barbari” proseguì lui “Ero lì, è stato un lungo assedio. Loro distruggevano tutto, oh sì, e per cosa? Io non distruggo niente, io mi prendo solo quel che mi appartiene”.
La donna aveva una faccia stranita. Poi scosse la testa, con uno sguardo timoroso ma anche concentrato. “Puoi nutrirti anche senza fare delle stragi! Se solo imparassi a controllare… Si può fare, è Acilia che ce l’ha insegnato!”.
Aveva alzato la voce, e con essa forse la speranza. Credeva forse che nominando la sua creatrice avrebbe fatto centro?
Kaeso le fu addosso e la spinse contro la parete. Lei gridò e lui le mise una mano intorno alla gola, per mozzarle il respiro, per farla smettere di urlare.
Perché ricordi sempre quella data?
“È buffo che tu lo dica” le bisbigliò, furiosamente “Perché, sai chi me l’ha insegnato a fare le stragi?”. Ramona scalciava e gli picchiettava sul petto, come fosse una bimbetta isterica. Avrebbe smesso, subito.
Quella data…
“Acilia”.
410, Roma.
Ramona si bloccò, come previsto. Kaeso sentiva il suo respiro affannoso e vedeva i suoi occhi sgranati.
Fa male la verità, non è vero?
“Voi tutti” sibilò ancora lui “andate dietro a colei che ha seminato il male”.
Lei gli conficcò lunghe unghie nella mano, fino a farla sanguinare e lui si ritrasse, con un’imprecazione.
“Ha seminato anche il bene!” esclamò la donna, una volta libera. Ma si vedeva che, in fondo, non era convinta.
Del resto chi mai è convinto fino in fondo di qualcosa?
“Sei proprio ottusa” ribatté Kaeso “Se il bene e il male hanno la stessa faccia, allora non esistono, nessuno dei due, non ti pare?!”.
Ramona parve guardasi intorno, disperata.
No, nessuno ti verrà a cercare…
“Che cosa vuoi da me?!” sbottò infine “Dicevi che non ti saresti perso in chiacchiere, eppure non hai fatto altro! Cosa vuoi?!”.
Ti hanno abbandonata?
Di nuovo Kaeso le puntò addosso la sciabola, questa volta contro il petto, cercando di ritrovare la concentrazione. Aveva il gilè, doveva averlo sottratto a qualcuno.
“Qual era il segreto di Lyuben?”.
Ramona aggrottò la fronte. “Ma di che parli?”.
“Non fare la finta tonta!” gridò Kaeso, sentendo la furia che galoppava dentro di sé “Lyuben sapeva qualcosa sull’origine dei vampiri, è impossibile
che non te l’abbia detto!”.
L’altra esitò. Poi scosse la testa e disse: “Non ti dirò niente”.
Non ti dirò niente a proposito del mio creatore, non ti darò la possibilità di dare un senso alla tua vita, non ti darò nessuna speranza di redenzione! 
Lyuben urlava nella sua testa e alla sua voce si univa quella di Ramona, sua complice.
Kaeso gridò di rabbia e con uno scatto di sciabola, le tagliò di netto il braccio destro, che cadde a terra in fiotti di sangue.
Lei urlò e si gettò per terra sulle ginocchia, tenendosi il braccio mozzato nella mano sinistra.
“La degna amante di Lyuben Vladimir” farneticò Kaeso, ilare e tremendamente furente allo stesso tempo “Ma se non parli… ti ucciderò”.
“Accomodati!” gridò l’altra, col viso deformato dal dolore, mentre nuovi strati di pelle e sangue fuoriscivano dal suo braccio monco “Non so se l’hai capito ma non me ne frega proprio niente di morire! Anzi, fallo! Uccidimi!”. Si rannicchiò sul pavimento, gli occhi fissi sul suo stesso sangue, con un fioco, doloroso affanno “Uccidimi…” continuò, con voce più flebile “E potrò rivedere Lyuben…”.
“Rivedere Lyuben?” ripeté Kaeso, allarmato. Rivedere… Rivedere le persone che erano già morte era un pensiero che lo perturbava, terribilmente. Allora era possibile? Allora c’era davvero qualcosa dopo la morte?
“Parla!” strepitò, fuori di sé.
“Piuttosto uccidimi!” strillò lei.
Kaeso lanciò un verso, furibondo. Non poteva ucciderla, non poteva… Non avrebbe mai saputo quello che disperatamente voleva sapere!
Ma perché ti interessa tanto?
Un posto dopo la morte… rivedere i morti… qual era il problema? Cosa gli faceva tanto paura?!
Chi hai seppellito nel mondo dei morti, Kaeso? Chi hai paura di rincontrare?
“Se non parli” fece, riabbassando la voce, serio come non lo era mai stato “ucciderò Dubris”.
“Non sai neanche dov’è!” esclamò l’altra, incredula.
“È stato lui a uccidere Svetlana, non è vero?” insistette lui.
Ramona sgranò gli occhi.
Centro.
“Credo che tu sia stata troppo sulla difensiva quando ho accennato a Svetlana, all’inizio della nostra chiacchierata” spiegò Kaeso, soddisfatto, ritrovando la sua sicurezza “E poi… Dubris è fatto così, no? Stupidamente impulsivo”.
“Non è stato lui” si affrettò a dire Ramona “Non è stato lui!”.
“Allora chi è stato?” domandò lui, cordialmente.
Lei fu colta alla sprovvista. Esitò e Kaeso poté mettere a tacere anche gli ultimi dubbi.
“Credimi, sono molto arrabbiato” disse, facendo oscillare la spada. Ramona di nuovo ne fu ipnotizzata, dallo scintillio o al sangue. “Ma ti prometto che gli risparmierò la vita, se mi dirai ciò che voglio sapere”.
“Non mi fido delle tue promesse” rispose lei, dopo un po’.
“Non mi pare che tu abbia molte alternative” ribatté lui.
Ramona digrignò i denti, mentre qualcosa di bianco spingeva per uscire dal suo avambraccio. L’osso stava ricrescendo e lei non ebbe la forza di trattenere le grida.
Kaeso, senza alcuna pietà, le troncò di nuovo il braccio che stava rigenerandosi.
Ramona urlò per un attimo, poi smise, sofferente, mentre non colava altro che sangue.
“Ti fa meno male se non si rimargina” disse Kaeso “Ora parla, prima che ricominci a urlare. Non ti darò un’altra possibilità”. La fissò, irremovibile.
Lei aveva un mare di calcoli negli occhi, Kaeso quasi riusciva a vederli. Sprigionavano dolore, conteggi, possibilità, speranza.
Uccidimi… così potro rivedere Lyuben…
Poi parlò.
 
 
 
Dubris si buttò di nuovo a terra, evitando il proiettile. Poi si mise in piedi, ritirò le zanne e alzò le braccia, in segno di resa, guardando l’umana.
“Ferma, ascolta…”.
Lei per tutta risposta sparò di nuovo e lui si spostò ancora, velocemente.
“Aspetta… Aspetta un attimo!” sbuffò.
La donna continuava, imperterrita, a sparare e lui prese il volo. Subito dopo le fu così vicino che lei indietreggiò gridando. Lui per precauzione coprì con la mano il foro della canna della pistola e fece per afferrare l’arma, e lanciarla via, quando lei fece partire un altro colpo ancora.
“Ahi! Maledizione!” imprecò Dubris, mentre la pistola cadeva a terra e lui si guardava la mano bucata.
L’umana lo fissava con occhi deformi e tra le labbra screpolate fuoriusciva il suo urlo: “Non ho paura!”. Singhiozzò mentre lo diceva, con le mani si toccava il ventre. “Non ho più paura…”. La voce abbassò il suo tono, sommersa com’era di singulti.
Dubris ignorò la propria mano dolorante e le si avvicinò, riconoscendo, forse per prima, proprio la sua disperazione.
“Sei viva” fiatò, incredulo.
Il pensiero di aver lasciato fuggire Kaeso lo logorava tutti i giorni. Il pensare che gli avrebbe potuto sparare, sacrificando due persone che sarebbero comunque morte, quel terribile pensare che Lyuben sarebbe potuto essere ancora vivo…
“Non ti voglio far del male” si affrettò a dire, vedendo che l’umana lo guardava spaventata e smarrita. Indicò il suo stesso volto. “Forse tu non mi riconosci ma io…”. Si bloccò.
Deve aver passato le pene dell’inferno, e vuoi che ora si ricordi di te?
“Non importa, non importa” disse poi.
Ma lo sguardo della donna era curiosamente concentrato sui suoi capelli, come se fossero un particolare importante.
“Salva mia figlia, ti prego… Salva mia figlia…” disse con un filo di voce.
Le grida della battaglia non riuscivano a sovrastare il suo debole pianto. Le urla, le esplosioni, la paura…
Non puoi lasciare la battaglia!
Dubris si voltò di scatto verso la mischia. I corpi ormai erano intrecciati tra loro e vedeva più sangue che pelle…
E Ramona? Vuoi abbandonare Ramona?
Ma se lui, Dubris, non aiutava quella donna e sua figlia, sarebbe stato tutto davvero inutile… Far fuggire Kaeso, la morte di Lyuben, il dolore di Ramona!
“Aiutaci, ti prego!” insistette l’umana, chinando il viso e piangendo.
Dubris, non è quello che vuoi? Predichi la convivenza con gli umani e preferisci fare la guerra piuttosto che aiutare uno di loro? 
“Dov’è?” domandò il vampiro.
“Al piano di sopra” rispose l’altra.
Lui l’afferrò per un braccio e le disse di aggrapparsi forte. Pensava che lei si opponesse e che lo allontanasse, invece subito obbedì, con espressione sofferta ma determinata.
È disperata al punto di fidarsi di un vampiro?
Eppure era una bella sensazione, sentire il calore di un umano, e la sua fiducia… Faceva sembrare tutto sensato; quello che aveva fatto, quello in cui credeva.
Dubris la prese tra le braccia e si librò in volo puntando alle scale. In un attimo fu al piano superiore ed entrambi atterrarono su un largo e silenzioso corridoio di moquette grigia.
Dubris fissò per un attimo il pavimento, stranito dal fatto che non fosse rosso ma poi vide che l’umana si stava allontanando, facendogli cenno di seguirla e lui obbedì all’istante.
Lo condusse ad una porta ed entrarono in una camera da letto. Una bambina con capelli appiattiti, che un tempo dovevano essere ricci, stava seduta sul letto, rivolta verso la finestra. Una volta entrati, si voltò con uno scatto verso di loro, con un viso pallido e sciupato. Non c’era nulla di fanciullesco nel suo volto e gli occhi grandi erano secchi di pianto, proprio come quelli di un vampiro.
 
 
 
“Lyuben apparteneva alla terza generazione di vampiri. Quelli più vecchi di lui sono morti tutti da tempo” disse Ramona, con voce apatica e amara.
Kaeso annuì. Certo, non aveva mai conosciuto un vampiro più vecchio di Lyuben… Perfino Camelio era più giovane. Ma non era abbastanza.
“Chi era il primo vampiro? Chi l’ha creato?”.
“Non era nessuno” rispose Ramona, stringendo i denti e con la mano che febbrilmente toccava il suo braccio monco, come se volesse fermare il flusso di sangue “L’ha creato la Divinità a sua immagine e somiglianza e l’ha mandato nel mondo dei mortali a mordere tre uomini. Uno di loro era il creatore di Lyuben”.
Divinità?
“Hai detto… mordere?”.
“Un tempo bastava un morso per trasformare un essere umano in un vampiro” spiegò ancora Ramona “I più vecchi hanno più potere semplicemente perché sono più vicini a essere una divinità… I più giovani sono più lontani da quel primo vampiro e quindi sono meno forti. I poteri scompaiono… I giovani di oggi non impareranno mai a volare, come voi, che pure siete vecchi, ma giovani di un tempo, non avete mai imparato a trasformare solo con un morso”.
Vicino a una divinità… Era dunque questa l’origine dei vampiri? Discendevano direttamente da una divinità?
Ramona fece una smorfia, di amarezza, di dolore e di sprezzo.
“Puoi immaginare perché Lyuben non avrebbe mai detto una cosa del genere… a un fanatico come te”.
Ma Kaeso si sentiva smarrito. “I poteri scompaiono? Scompariranno tutti, prima o poi?”.
“Lo spero” rispose Ramona, in tono di sfida “Tutte le razze prima o poi si estinguono. I vampiri più di tutti dovrebbero davvero sparire dalla faccia della terra”.
Kaeso stava riflettendo in fretta, stordito dalle nuove notizie. “Perché la divinità avrebbe mandato quindi questo essere tra di noi? Perché avrebbe fatto una cosa del genere?”.
Non riusciva a capire… Una divinità avrebbe dovuto avere a cuore il proprio mondo… O no?
L’ha creato la Divinità a sua immagine e somiglianza.
“Tu hai detto…” proseguì, prima che Ramona potesse rispondere “Quindi questa divinità è uguale a noi?”.
“Uguale al primo vampiro” precisò lei.
Quindi simile a loro, anche se con molto più potere! Ciò significava che niente, dopo la morte, l’avrebbe punito per quello che aveva fatto. O forse sì?
“C’è un altro mondo dopo la morte, non è vero?” domandò. Sentiva la sua voce così strana… Davvero stava interrogando qualcuno, così ingenuamente, senza minacce, solo per la sua sete di sapere?
Ramona scrollò le spalle e a Kaeso parve addirittura che qualcosa nel viso di lei si stesse addolcendo. “Non lo so, Kaeso… Io spero di sì…”. Socchiuse gli occhi e continuò, con voce lenta e faticosa: “Spero di avere ancora un corpo, e di non provare mai più la fame, e di poter versare le lacrime, tutte quelle che voglio…”.
Kaeso cadde sul pavimento accanto a lei, la spada ancora stretta in pugno.
“Spero che rivedrai Lyuben” disse, e si sorprese lui stesso della sua sincerità.
Ma Ramona aveva capito, e lo guardava con un triste sorriso. “Lo sapevo che non avresti mantenuto le tue promesse”.
“Devo vendicare la morte di Svetlana”.
“Te l’ho detto, non mi importa assolutamente nulla. Uccidimi”. Ramona aveva la voce sempre più fioca e la serenità che stava prendendo il sopravvento su di lei pareva farle scivolare sempre più giù, delicatamente, le palpebre. Il braccio aveva cominciato a rigenerarsi, ma lei sembrava non sentire più dolore.
“Non è te che voglio ferire” replicò Kaeso, sentendo l’antica rabbia tornare “Dubris ha ucciso la mia creata, e io ucciderò la sua. La mia vendettà sarà sentirlo urlare, e vederlo soffrire!”.
Mosse la lama così velocemente verso il collo di Ramona, non prima di aver visto i suoi occhi spalancarsi, angosciati, consci di quello che sarebbe stato il dolore di Dubris; e quando la testa della donna cadde, prima di esplodere, il suo viso aveva ancora quell'espressione.
 
 
 
La bambina continuava a fissarlo, senza timore. Neanche sbatteva le palpebre.
Dubris sgranò gli occhi e fu allora che lo sentì.
Quella fitta, e quello spasimo, che mai avrebbe voluto sentire, che lo costrinsero a cadere a terra, sulle ginocchia, lo sguardo fisso in quello vuoto della bambina, mentre pensava alla sua di bambina – avrebbe potuto chiamarla così? Eppure in quel momento non gli veniva altra definizione – mentre un incendio gli divampava nel petto e un grido di terreo, eterno dolore gli usciva dalla bocca. 
 
*
 
 
Le case bruciavano, tutto cadeva a pezzi e lui correva, le mani sporche di sangue.
Come al solito.
Le persone intorno a lui cadevano in laghi di sangue. Non importava se fossero romani o visigoti, pagani o cristiani oppure ebrei! Non importava, non gliene importava più nulla di quell’Impero che stava crollando a pezzi!
I pezzi… Pezzi di pelle, pezzi di legno, di marmo, pezzi infuocati o bruciati, tutto ridotto in pezzi! E tutto cadeva, crollava, esplodeva… E lui continuava a correre tra i frantumi, senza scivolare mai, tutto precipitava, ma lui mai, lui non sarebbe sprofondato, mai…
Tra i frammenti delle urla, le schegge di dolore, Kaeso cercava ancora altro. La vedeva ancora, vedeva il suo viso, circondata da fiamme. La vedeva col terrore negli occhi, scuoteva la testa mentre lo guardava e lui la vedeva sempre, ogni volta! Come in un sogno lontano…
Ma tu non sogni più, è sempre la realtà quella che tu vedi.
La realtà… Eppure sembrava tutto così finto.
Gli cadeva tutto addosso ma niente gli faceva male.
Cercava di raggiungerla. Ma Acilia, triste e sporca di sangue, gli aveva voltato le spalle e se n’era andata, allontanandosi per sempre da lui, triste e sporco di sangue.
Gli cadeva tutto addosso ma niente gli faceva male.








Fine aprile, come no! XD Questa volta non sono stata per niente puntuale.. XD 
Mi scuso per il mega ritardo, ho avuto un esame che mi ha risucchiato tutta la vitalità.. poi altre faccende.. e vedo periodi sempre più neri! Ma ce la farò, voglio finire presto questo libro!
Passando al capitolo.. Spero vi piaccia, l'azione non è il mio forte, si sarà capito : per quel che riguarda l'origine dei vampiri immagino abbiate le idee un po' confuse ma non vi preoccupate, non è finita qua ;)  
Infine grazie mille a Norine e a tutti coloro che leggono e non recensiscono e a tutti coloro che leggono e recensiscono in altre sedi! 
Spero di tornare presto, ma meglio non fare previsioni.. ad ogni modo putroppo mancano ancora tre capitoli alla fine! Ma possibile che in OGNI capitolo io dica che ne mancano ancora tre? Più ti avvicini al traguardo e più quello si allontana, eh sì.. O_O
Alla prossima! :) 
   
 
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