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Autore: lady hawke    20/05/2013    1 recensioni
Piccolissima, per ora, raccolta di brevi drabble o flash originali, scritte grazie all'istigazione di amiche e di ottimi prompt proposti. Brevi flash slegati, senza filo conduttore ed apparentemente senza un vero perchè, per uscire ogni tanto dalla via seminata dei fandom e camminare con le proprie zampette.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Piccola flash sul controverso e abusato tema dell’amore. Prompt: Mai abbastanza. Amore e tosse non si possono nascondere Ovidio.
Parole 146.

Te lo dicono spesso: non è mai abbastanza.
Te lo dicono tutti, in realtà, i poeti in special modo, da Ovidio a Shakespeare, da Platone a Goethe. L’amore è quello che non trattieni, quello che ti uccide, che ti distrugge, che ti completa. Non lo puoi nascondere, e per questo finisci per rigettarlo sempre fuori come un colpo di tosse, finisci per cercarlo ovunque, per raccoglierlo ovunque; perché non è mai abbastanza e passerai la vita a cercarne ancora e ancora. Anche se non ti fa dormire come la tosse, anche se ti tormenta come un incubo, anche se lo cerchi perché in fondo è ciò che desideri, dell’amore non te ne libererai mai, per tutta la vita, perché è un veleno, e di quelli dal sapore dolce. Perché non è mai abbastanza, ti dicono, e imparerai a rincorrerlo prima ancora di sapere cosa voglia dire.





Note: Monna Lisa da una prospettiva diversa dal solito! Pacchetto: Rosmarino Pistacchi. Monna Lisa. Prompt:  Finestra chiusa. Introspettivo. Parole: 213.

*Perché quel sorriso, Monna Lisa?*

Perché questa domanda, distratto ammiratore? Che c’è nelle mie labbra da intrigarti tanto? Perché mentre sfili davanti al vetro che mi protegge non fai che chiedermi questo? E’ l’unica cosa che mi vuoi chiedere? Sono molte le domande che potresti farmi.
Chi sono, io? Perché Leonardo mi amava tanto, perché ti fisso con tanta insistenza?

*Perché quel sorriso, Monna Lisa?*

Perché non c’è niente di vero, turista di fretta? Ti importa saperlo? Porterai a casa una cartolina presto sgualcita e agli amici dirai solo “Non me l’aspettavo così piccola”, come se l’arte si valutasse a metri quadri.

*Perché quel sorriso, Monna Lisa?*

Perché tu me lo chiedi? So cosa pensi, pensi che io non sia degna della mia fama, che non mi meriti quest’ammirazione, né questa folla. Però sei qui, e cadi, come tutti, sul semplice.

*Perché quel sorriso, Monna Lisa?*

Perché il vetro  che mi protegge è come la mia finestra, quella che avevo a casa mia. La mia barriera rispetto al mondo. Perché non vista osservo tutto e tutti. Perché mentre la gente si perde in domande sciocche io rido. Perché io sono eterna, e voi no. Perché Leonardo vi ha tirato uno scherzo, e io con lui. Perché io sono arte, e vivrò per sempre.




 

Note: Questa è la storia più personale, perché i fatti narrati sono realmente accaduti alla mia persona. Abbiatene pietà! Pacchetto Dragoncello. Prompt: mani in tasca parole: 410.

Mi piaceva la casa in campagna. Un po’ fuori mano, un po’ antica e un po’ no. La torre medievale era stata restaurata da mio nonno a suo modo, e a suo modo voleva dire fregandosene delle richieste della Soprintendenza da lui consultata, perché erano troppo lagnosi. I coppi del Seicento spostati durante il restauro però regalavano emozioni, così come l’odore dei mattoni bagnati mentre sgocciolavi per sbaglio l’annaffiatoio, tentando di bagnare i gerani. La parte antica era un po’ così, aristocratica e rustica, con la scala coperta, le cantine che ti inghiottivano, i fiori sempre a rischio di seccare. La parte più nuova era gialla, con la pittura da sempre scrostata. Una piccola porta d’ingresso, un corridoio e stanze che si aprivano ai lati. Poi le scale, altre stanze e altre inquietudini. Come il solaio, in cui stazionavano cassepanche che a me ricordavano sarcofagi, e la sola idea di sostare nella stanza ricavata lì accanto era fonte di terrore.
Ma il peggio era il corridoio d’ingresso, piccolo, angusto, tappezzato di foto di parenti morti da almeno un secolo. Foto di contadini, di gente seria, in bianco e nero. Donne baffute con fazzoletti in testa e aria da streghe, uomini baffuti più delle donne con cappelli e aria truce. Non erano tanto le facce, il problema, quanto gli occhi. Nessuno mi toglierà mai dalla mente la certezza che quegli occhi fossero vivi, che mi seguissero e spiassero. A me non piacevano e di sicuro io, più giovane discendente di famiglia, dovevo piacere poco a loro. Non dovevo piacergli per forza, o non mi avrebbero mai guardato così male.
Passare di lì era sempre una prova di coraggio. Ci provavo, a fingere noncuranza, con le mani in tasca e l’aria risoluta, ma da bambina ero una cagasotto più di ora, e l’aria da donna vissuta non mi si addiceva. Puntualmente, finivo per correre per il corridoio e lanciarmi sulle scale, non guardando niente se non il mio obiettivo: i gradini della salvezza. Non guardavo i morti negli occhi, perché se io non vedevo loro, loro non vedevano me. Dopo, una volta al sicuro, potevo rimettere le mani nelle tasche dei miei pantaloncini di cotone e considerarmi sopravvissuta. Sconfitta ma viva, fino al successivo attraversamento.
Dovessi rimetterci piede ora, in quella casa, non scapperei più, ma e osserverei quelle facce con aria curiosa, per capire chi sono. E avrei le mani in tasca, ovviamente, come la donna vissuta che ancora non sono.

  
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