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Autore: LoonyW    27/05/2013    2 recensioni
Prima di essere arrestato per una strage non commessa, Sirius ha visto tra la folla il volto di una persona scomparsa da molto tempo, la sua Stella Polare. Tra salti avanti e indietro negli anni è ambientata la complicata storia di un amore nato in guerra, che resiste sebbene i chilometri e le vicende gli siano contro. Riuscirà l’amore di Sirius e Mary a camminare ancora agli albori di una seconda guerra, nonostante gli anni di lontananza, le calunnie, e un futuro nebuloso?
"Ti troverò. Dovessi cercarti dalla Stella Polare all’infinito."
«Sirius rimane qualche minuto a fissare quel nome, perso in tutto ciò che significa per lui: che Mary è viva, che è in Inghilterra, che è diventata una giornalista. Ha mantenuto la sua promessa a metà, eppure non riesce a portarle rancore.
Una nuvola gentile si sposta leggera nel cielo notturno, e la Stella Polare finalmente appare, quieta e immobile dove è sempre stata, segnando il Nord.»
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Mary MacDonald, Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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There’s no place like home.
 

 
 
 

«You’re my North Star, when I’m lost and feeling blue»
(Sei la mia Stella Polare, quando mi sento perso e depresso)
 

 
 
 
 
2 Novembre 1981, Francia
 
Era una giornata come tante, e Mary si sentiva tranquilla. Si era alzata con calma, aveva salutato con lo sguardo le stradine del suo paese e qualche vicino, e infine aveva preparato il the, come ogni mattina. Erano ormai tre anni che viveva in Francia sotto falso nome, come una babbana –mademoiselle Picard- senza alcun contatto con la magia e il mondo che le apparteneva, ormai parte solo del suo passato. Non c’era giorno in cui non sentisse la mancanza dell’Inghilterra, di Hogwarts, dei suoi amici e di Sirius, una costante fissa nei suoi pensieri, come la Stella Polare segna costantemente il Nord.
Mary cercava ogni notte quella dannata stella, aggrappandosi a quel piccolo punto luminoso come all’ultimo residuo della sua vita passata.
E sebbene quel giorno sembrasse uno dei tanti sempre uguali, non lo era affatto; e quando Mary aprì il giornale –che il postino aveva lasciato davanti la loro porta come ogni mattina- si rese conto che la sua vita sarebbe cambiata di nuovo, non in meglio.
L’articolo era nascosto in un angolo della sezione della cronaca nera cittadina, perché quello era pur sempre un giornale babbano –sebbene inglese- che non conosceva nulla di guerre magiche, né aveva mai sentito parlare di Voldemort.
La tazza cadde dalle mani di Mary e si infranse sul pavimento, disseminando la cucina di schegge di coccio e the ancora bollente. Dapprima Mary rimase immobile, poi si accasciò sulla sedia, senza parole.
La sua coinquilina, Colette, corse fuori dalla sua stanza, assonnata e scombussolata. «Marì, cos’è successo?» chiese nel suo inglese dall’accento storpio.
Mary continuò a fissare l’annuncio della morte dei suoi migliori amici, muta.
Colette, una giovane modella col viso e il cuore da bambina, accarezzò i capelli di Mary, preoccupata dalla sua espressione scioccata.
«Marì?» la chiamò di nuovo.
Mary scosse la testa, con sguardo vacuo. «Colette, devo andare».
Così dicendo, si alzò e si diresse nella sua stanza, cominciando a buttare alla rinfusa vestiti ed effetti personali in una vecchia valigia viola.
«Dove vai, Marì? Stai bene?» chiese Colette, seguendola nella stanza.
«Sto bene, ma devo tornare in Inghilterra» la rassicurò Mary, tentando un sorriso forzato. Chiuse la valigia e le porse dei soldi. «Sono per l’affitto dell’ultimo mese. Scusa, ma non posso più rimanere».
Colette aveva le lacrime agli occhi e i capelli castani scompigliati. In quel momento  più che mai, a  Mary sembrò una bambina indifesa.
«Ho fatto qualcosa che non va?» pigolò Colette «sei arrabbiata con me?»
«Oh, no, Colette! Come puoi pensarlo? Ti sono grata per essere stata mia amica in questi anni, sei stata un supporto e una sorella, per me!» mormorò frettolosamente Mary «non è colpa tua. Ti prego non pensarlo! Devo tornare alla mia vera casa. Quando me ne sarò andata, leggi il giornale che ho lasciato sul tavolo, e capirai. Io non posso spiegare, ora».
Concluse il discorso abbracciandola, sperando intimamente che capisse. «Grazie, Colette»
«Buon viaggio, Marì. Mi mancherai».
Mary si avviò verso la porta e la aprì, ma prima di uscire si voltò di nuovo. «Spero che ci rivedremo. Manderò delle lettere qui, se non cambierai casa»
Colette annuì e tirò su con il naso, accennando un sorriso triste «Non lo farò».
«Au revoir, Colette».
«Au revoir».
Mary chiuse la porta alle sue spalle col cuore che martellava, confusa e dispiaciuta per ciò che aveva appena fatto.
Trascinando la valigia con sé, entrò in un vicolo sporco e poco illuminato, guardandosi alle spalle.
Quello che stava per fare non era legale e ne era consapevole, ma non poteva aspettare. Pescò dalle tasche l’oggetto che aveva scelto –una pallina rimbalzante con un grande sorriso disegnato- e toccò, dopo un lunghissimo arco di tempo durato tre anni, la sua bacchetta.
Un fremito le percorse il bracciò quando la sfiorò, come se le sue dita avessero finalmente ritrovato la parte mancante.
Pronunciò a bassa voce l’incantesimo per trasformare un oggetto in Passaporta, e diede un’ultima occhiata furtiva nei paraggi, assicurandosi di essere sola e non vista.
Poi chiuse gli occhi, ben sapendo che da quella decisione non si tornava indietro. Avrebbe dovuto affrontare il caos, una guerra, e avrebbe lottato ancora contro i Mangiamorte e Voldemort.
Sto per tornare a casa, fu il suo ultimo pensiero prima di lasciare il suolo francese per sempre.
 
 

***

 
 
1993, Azkaban
 
Gelo. È da dodici lunghi anni che nonsento il vento freddo sulla pelle, che ti accarezza come a volerti consolare.
Sirius costringe il suo istinto canino a non ululare alla Luna. Non sarebbe raccomandabile, per un neo-evaso, farsi scoprire con così poca furbizia.
Sirius prende un lungo respiro e si tuffa nelle acque tempestose e gelide che circondano Azkaban. Le onde lo sommergono e la temperatura lo congela, ma la volontà di vivere è più forte.
Il cane nero si guarda intorno sperduto, e non sa che direzione prendere per tornare a casa.
Il fruscio del vento gli viene in aiuto, portandogli alla memoria ciò che un ragazza gli aveva detto tempo prima.
“Quando non sai dove andare e ti senti perso, alza gli occhi e cerca la Stella Polare. Ti indicherà la via verso casa, sempre.”
La Stella Polare è rimasta lì, in quei terribili dodici anni di reclusione. Ora lo riporterà a casa.
 
 
 

***

 
2 Novembre 1981, Inghilterra
 
Via Longbourn 103. Erano tre anni che Mary non visitava questo indirizzo, ma il ricordo era impresso vivido nella sua mente: il viale un po’ incolto, le finestre senza tende, le margherite selvatiche sparse qua e là nel giardino. L’unica differenza era nel colore delle pareti, ormai stinte in un giallo sbiadito.
Mary fissava la casa, con un dubbio martellante nel petto.
Non dovrei essere qui. Non devo andare fino in fondo, sono ancora in tempo.
Non sapeva cosa Sirius avrebbe detto vedendola, né cosa avrebbe detto lei a lui. Probabilmente si sarebbe arrabbiato, deluso e affranto, ma forse nel profondo del cuore sarebbe stato anche felice di rivederla.
Se ci penso ancora su, cambierò idea.
Mary prese un lungo respiro per calmarsi e si diresse a passi lenti lungo il vialetto, guardandosi intorno sospettosa. I Mangiamorte avrebbero potuto essere di guardia e aspettare il suo ritorno, pronti a catturarla per ucciderla.
Con mano tremante, Mary bussò alla porta bianca, con la vernice spezzata che lasciava intravedere il legno. Si torturò le mani e i capelli castani in quei lunghissimi minuti di attesa, cercando di preparare un discorso sensato, ma al tempo stesso era certa che avrebbe dimenticato ogni parola giusta nel momento in cui lo avrebbe rivisto.
Attese ancora altri dieci minuti bussando più volte, dapprima piano, poi violentemente, ma nessuno rispose.
“Sono Mary. Ho saputo ciò che è successo e sono tornata. Per favore contattami al più presto” scrisse su un foglietto con mano tremante, e infilò il messaggio sotto la porta.
Si voltò e si smaterializzò, cercando di focalizzare i suoi pensieri su ciò che doveva fare.
Senza rendersene conto si era materializzata da Remus, davanti a un vecchio appartamento in periferia. Non si sentiva pronta per andare a salutare Lily e James per l’ultima volta. Sapeva di non aver ancora realizzato la notizia appresa quella mattina; una parte di lei sperava che quei Lily e James Potter sul giornale non fossero altro che una coppia di giovani con lo stesso nome dei suoi amici di scuola, che per puro caso avevano anche lo stesso aspetto.
Le fotografie suoi giornali sono sempre molto sfocate, continuava a ripetersi.
Mary salì le scale del palazzo logoro e grigio, finché trovò il piano dove abitava il Signor Lupin.
Sull’orlo delle lacrime, suonò il campanello –tipico elemento dei palazzi babbani- e sperò con tutto il cuore che almeno lui fosse in casa.
Non passò molto prima che un uomo, dall’aspetto trascurato e stanco, si affacciasse alla porta mantenendola chiusa con il catenaccio di sicurezza.
«Remus» sussurrò Mary, sentendo un doloroso tuffo al cuore nel rivederlo e nel costatare quanto fosse cambiato.
Remus dapprima la guardò diffidente, poi perplesso, infine stupito. «Non può essere..»
Mary accennò un sorriso lacrimoso «Remus, sono io.. Mary».
Remus richiuse la porta in fretta, e per un attimo Mary sentì una stretta al cuore, accompagnata da senso di colpa, ma si rese conto che il suo vecchio amico stava semplicemente togliendo le catene e i lucchetti, i cui suoni metallici rimbombarono nel silenzio del pianerottolo; spalancò la porta e si sporse sospettoso, senza un accenno di sorriso. Mary stava per abbracciarlo, ma senza preavviso Remus la afferrò per il braccio e le puntò contro la bacchetta, trascinandola nell’atrio del suo appartamento e richiudendo velocemente la porta.
«Remus!» esclamò lei scioccata.
Lui non diede credito alla sua espressione sinceramente ferita, e la sbatté contro il muro per bloccarla, puntandole la bacchetta alla gola.
«Ti manda lui, non è vero?» urlò, stringendola più forte.
Mary tentò di divincolarsi, ma non poteva contrastare la sua forza. «Remus, che diamine ti prende?!»
«Ti ha mandata lui!» gridò Remus con rabbia, scuotendo i capelli ormai lunghi e incolti.
«Lui CHI?» si difese Mary, piangendo «Mi stai facendo male, Remus!»
«SIRIUS! Ti ha mandata a cercarmi!».
Mary sgranò gli occhi, tanto che il suo stupore parve evidente anche a Remus, che allentò la presa sulla sua gola.
«Di che stai parlando?» chiese Mary attonita «sono appena tornata dalla Francia.. io.. ho letto la notizia..». Qui la sua voce si incrinò e scoppiò definitivamente a piangere.
Remus la guardò senza capire, liberandola dalla stretta e abbassando la bacchetta.
Mary singhiozzò più volte e si appoggiò al muro coprendosi il viso. «Lily e James sono…». Non riuscì a finire la frase.
Remus si voltò verso la finestra alla sua destra, e Mary intuì che non voleva che qualcuno lo vedesse piangere.
«Ho sperato fino all’ultimo che non fosse vero, Remus» singhiozzò Mary.
Remus strinse i pugni, e sospirò a lungo. «Lo è, Mary»
Mary poggiò la testa contro il muro e pianse in silenzio.
Non parlarono per qualche minuto, nella penombra dell’appartamento disordinato e sporco, oltre che piuttosto piccolo e stretto.
«Perché hai nominato Sirius?» domandò Mary, con voce nasale a causa del pianto.
Remus si voltò di scatto e la scrutò a lungo negli occhi, senza parlare. «È stato Sirius» disse infine, con una lentezza dolorosa.
Mary lo guardò e per poco non rise, certa che stesse scherzando.
«Sono successe molte cose in questi tre anni, Mary» continuò Remus con sguardo risentito e un tono di implicita accusa che non sfuggì a lei «Sirius era la spia. È stato lui a tradirli, lo so. Lo stiamo cercando»
«Stai delirando» mormorò Mary allibita, facendo un passo indietro.
«Ne avremo le prove. Era Sirius il protettore dell’Incanto Fidelius. Chi altro potrebbe essere stato, se non lui? LUI LI HA UCCISI!»
Mary sussultò e negò con il capo. «Cos’è l’Incanto Fidelius?» chiese confusa «che stai dicendo, Remus?! Sirius era il suo migliore amico!»
«Cosa vuoi saperne, tu?» urlò Remus fuori di sé «tu non ci sei stata in questi anni, sei scappata! Pensi forse di poter tornare da un momento all’altro e sapere meglio di noi quello che è successo?!»
Mary non seppe che rispondere, mentre le lacrime le rigavano le guance. Aveva sognato il momento del suo ritorno tante volte, immaginandosi accolta dagli amici con sorrisi e lacrime di gioia. La realtà, invece, faceva a pugni con le sue aspettative così illuse e infantili.
Davanti alle sue lacrime, Remus sospirò nervosamente e si voltò, tirando al muro un pugno che fece staccare dei pezzi dell’intonaco già scheggiato.
«Remus, io..» tentò Mary, avvilita.
Remus proruppe in una piccola risata senza gioia, eco di pazzia o di un rancoroso dolore.
«Sirius non può essere un assassino, Rem» sussurrò lei, avvicinandosi timorosa di un passo.
«Tu non lo conosci, Mary. Tu non sai cos’è davvero» fu l’amara risposta di Remus.
Mary si sentì più ferita da quest’ultima frase che da tutte le affermazioni precedenti. Lei sapeva di conoscere Sirius meglio di chiunque altro, come sapeva che non poteva essere un assassino.
«Ti porterò le prove, Remus» dichiarò determinata, voltandosi e avviandosi verso la porta.
Remus non rispose né la salutò, aspettando che se ne andasse per prendere a calci l’armadio.
Appena fuori dal palazzo, Mary si accasciò a terra, con un capogiro che le fece pensare di essere prossima allo svenimento.
Calma, Mary, calma.
Una pozzanghera davanti a sé le rimandò il suo riflesso traballante: un volto dai lineamenti docili, la bocca piccola e le guance paffute, accompagnate da due grandi occhi castani, come quelli di una bambina.
Chi sei tu?, pensò guardandosi riflessa nell’acqua torbida. Non riconosceva più sé stessa, non riusciva a distinguere tra vita vera e immaginaria, tra passato e presente. Le sembrò che i suoi anni in Francia non fossero stati altro che un lungo sogno dal quale si era svegliata bruscamente, dovendo scontrarsi subito con la dura realtà. Ed era così, anche se in senso metaforico.
Aggrappandosi di nuovo alla bacchetta, Mary chiuse gli occhi e si lasciò trasportare nelle tenebre, verso la casa dell’ultima persona a cui si sarebbe rivolta, ma che in quel momento era anche l’unica a sapere la verità.
Era ormai sera quando Mary riuscì a smaterializzarsi nel viale giusto. La confusione e lo stato di shock avevano scombussolato i suoi poteri, e di conseguenza si era spostata più volte nei posti sbagliati.
Quando finalmente trovò il quartiere esatto, si rese conto che c’era più confusione del normale. Una piccola folla era radunata in un punto, e la strada dissestata in più zone, come a causa di un forte terremoto. Man mano che si avvicinò, cominciò a sentire urla e pianti disperati, oltre che uno stato di confusione allarmante.
La folla cresceva di secondo in secondo, e Mary dovette sgomitare per avvicinarsi e capire cosa stesse succedendo. Solo quando scorse un corpo steso scompostamente a terra, tra fumo e macerie, capì cos’era successo.
Le parole “strage” e “assassino” si ripetevano di bocca in bocca, affollandosi nella mente di Mary come immagini sovrapposte. Il suo istinto la portò a sporgersi tra le teste dei curiosi per cercare Sirius. Infiltrandosi tra spalle e braccia, Mary riuscì finalmente a sbucare davanti, dove lo spettacolo la fece ammutolire. Dodici corpi erano accasciati sull’asfalto, al centro della strada c’era un enorme vuoto, e detriti ovunque. Un urlo profondamente vivido e straziante la riportò alla realtà, facendole alzare lo sguardo.
Gli uomini della Squadra Speciale Magica apparvero dai lati della strada, circondando la scena del crimine. Nel bel mezzo di quell’orrore, in piedi e con uno sguardo allucinato, c’era Sirius, quasi soffocato dalla sua folle risata.
Mary lo guardò incredula. Gli uomini della Squadra Speciale Magica lo buttarono a terra e lo disarmarono, bloccandolo per poi trascinarlo con loro, mentre Mary assisteva immobile alla scena.
Un uomo si sporse dalla folla e si avventò su Sirius, colpendolo con un calcio allo stomaco e poi alla mascella, buttandolo giù. Gli uomini della Squadra lo allontanarono e rialzarono Sirius da terra, dolorante e insanguinato.
Per un solo attimo, gli sguardi di Sirius e Mary si incontrarono, prima che lui venisse immobilizzato dai maghi con un incantesimo –sempre assicurandosi di non essere visti dai babbani presenti- per trasportarlo con loro, ad Azkaban.
Mary cercò un sostegno accanto a sé, ma non trovò nulla a confortarla. Cadde a terra, e lì rimase piangendo.
Non perché aveva avuto la prova di non conoscere davvero Sirius, ma perché nello sguardo di lui aveva letto la sua innocenza e il dolore per essere punito ingiustamente.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: salve a tutti! Ho dovuto fare una piccola correzione nel prologo riguardo la data, dato che, informandomi meglio, ho scoperto che in realtà Sirius si è scontrato con Peter ed è stato arrestato il 2 Novembre, quindi due giorni dopo la morte di Lily e James.
Ho immaginato che Mary avesse richiesto di farsi recapitare un giornale inglese e non francese dal postino, e che di conseguenza avesse scoperto della morte dei suoi amici lì, tramite un articolo “insignificante” di cronaca cittadina. Specifico che – se non si fosse capito – Mary non ha dunque ancora appreso della fine di Voldemort.
 
  
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