Ma veniamo al capitolo in sè: Manes è il protagonista assoluto di queste righe, righe in cui accenno ad altri due personaggi e vi pongo un enigmatico scambio di battute fra i due. Il nostro principe sembra aver capito cosa vogliono dire: e voi? Se avete ipotesi sul significato delle loro parole fatemelo sapere che sono curiosa ^^ (mio fratello ad esempio si è rifiutato di pensarci...).
Allora buona lettura, spero vi piaccia e mi raccomando: recensite, spero di poter aggiornare tra una settimana stavolta.
3
“Quello
che mi dici è
grave”, la voce solenne anche se acuta del faraone era appena
percettibile
nell’ampio cortile colonnato del palazzo di Tebe
“Molto
grave” ripeté
con tono ancora più basso e severo.
“Se
si trattasse di semplici coincidenze o
superstizioni non avrei ardito scomodare la tua mente con delle
sciocche
favole, o mio re.
Purtroppo sta accadendo davvero”.
Un
uomo sulla
cinquantina seguiva il sovrano guardando con umiltà (o forse
rassegnazione?) il
pavimento di pietra bruna, rispettando l’andatura composta e
lenta di colui che
lo precedeva. Parlava dosando le sue parole con lucidità
ma anche lui
molto flebilmente: orecchie indiscrete non dovevano udire la loro
conversazione.
Eppure
le paia di orecchie
drizzate in quel momento non erano due come auspicato.
Un
certo principe in
anticipo sulle sue lezioni, che si apprestava a fare quattro passi nel
giardino, a riflettere filosoficamente sotto il suo amato salice, aveva
scelto
quello stesso corridoio come strada: l’alto tetto e le grandi
colonne offrivano
riparo e fresco dal caldo umido del primo mattino.
Riconobbe
subito
l’andatura del padre e del suo visir Edfu, ma invece di
raggiungerli e
salutarli con garbo prima di proseguire per la sua strada, decise di
fermarsi a
fare qualcosa che non normalmente non avrebbe mai fatto :
origliare.
Era strano infatti che parlassero di cose così importanti da
necessitare un
tono di voce basso, in un luogo diverso dalle stanze del faraone.
“Speravo
che dopo tutti
questi anni avesse dimenticato.
Che
si fosse
accontentata” proseguì
il re. “Quante
persone hai detto?”
“Otto,
o sire”
“La
giustizia…” mormorò
fra i denti il sovrano.“Ne
mancano quattro,
sai chi”
“Lo
immagino” fece il
visir cupo.
“Ma
non fallirò:
sono un dio, io sono Horus ormai, sono Aton il sole e non temo la notte
nè i
suoi signori!
Io la ritroverò in tempo!”
La
voce di suo padre si
era infiammata all’improvviso: cosa stava succedendo? Chi
erano quegli 8? Chi
andava ritrovata?
<<
Domani saprai
tutto quello che so >>
Quante
erano più o
meno? 36 ore? Aveva 36 ore per scoprire i segreti di quella oscura
conversazione. 36 ore per scoprire la verità, o parte di
essa, e riferirla a
Nakia.
E
poi?
Non
sapeva di quale
verità si trattasse, non ne aveva idea, ma sentiva il
pericolo e il mistero
delle parole del padre.
Aveva
cercato di
dimenticare quella strana conversazione mattutina col visir ma era
bastato un
niente per farla tornare a galla parlando con la ragazza.
“Riflettiamo”
si disse.
“E'
accaduto un fatto
grave, di cui nessuno deve venire a conoscenza, altrimenti non si
spiegherebbe
tanta segretezza e affermazioni così allusive”
cercava di ricordare ogni
singola frase del discorso udito quella mattina
“Una
certa <<
Lei >> non ha dimenticato qualcosa, come invece
mio padre sperava.
Poi si è rivolto a Edfu e ha detto << quante
persone? >>. lui ha
risposto 8 e mio padre ha commentato << la
giustizia… >>. Forse
perché questi 8 non hanno rispettato la giustizia? Sono
abbastanza sicuro che
si tratti di un affare recente e inoltre sanno già chi
saranno i prossimi 4
bersagli e che saranno gli ultimi.
<<
Non temo la
notte nè i suoi signori >>, <<
la ritroverò in tempo >>… forse
intende ritrovare questa lei per placare i signori della
notte?
E
chi mai sarebbero?
Chi può temere un faraone?
Poi
però ha detto anche
<< purtroppo lei non ha dimenticato >>.
Dunque << Lei
>> prova rancore? È malvagia?
Perché doveva accontentarsi?...”
Rimuginò
su quella
conversazione sibillina per buona parte delle 36 ore, non riuscendo mai
a
ricavarne una soluzione o un’ipotesi soddisfacente.
Sembravano, a suo parere,
frasi totalmente sconnesse tra loro, ma non legate a un avvenimento
così grave
all’apparenza: forse suo padre e il visir si erano parlati
usando un codice?
Era a quello che servivano i numeri?
Ma
scartò anche
quell'idea: l'uso di un codice segreto non spiegava
assolutamente l'improvvisa
collera del padre.
C’era
una frase in
particolare poi, che mandava all’aria tutte le sue congetture
ogni volta che la
riesaminava: << speravo che dopo tutti questi anni avesse
dimenticato.
Che si fosse accontentata >>.
Non
riusciva a darle un
senso, non in rapporto all’intera conversazione. La sua
ipotesi più salda, o
forse sarebbe meglio dire meno incerta, era che la << Lei
>> che il
padre doveva ritrovare fosse la stessa che non aveva dimenticato. Ma
allora
perché quella da ritrovare sembrava fosse legata a qualcosa
di positivo e l’altra
a un che
di negativo?
Odiava
ammetterlo ma
non ci si raccapezzava più, era costretto a sottoporre il
problema a qualcun
altro per cavarci fuori una minima idea, e quel qualcun altro non
poteva essere
che lei.
“Dannazione!”
esclamò seccato
“Possibile
che da solo
non riesca mai a fare niente?!”
Odiava
dover dipendere
dagli altri, aveva un bel caratterino non c’è che
dire: orgoglioso, cocciuto,
determinato… anche se ormai non si sentiva più in
sfida con Nakia, l’idea
di doversi
affidare a lei per risolvere i suoi problemi non gli piaceva affatto.
Lui era
indipendente. Voleva dimostrarle di essere in grado di ragionare, di
essere scaltro, di essere come lei, la sua meta.
Si
calmò un
attimo. Era nella sua stanza, illuminato dalla luce rossa del tramonto
che
ormai giungeva alla fine, presto sarebbero sorte le stelle.
No,
ecco cosa non
andava. Non era quello il posto giusto per pensare.
Si
precipitò lungo gli
immensi e scuri colonnati, corse fino alla parte più amena
del palazzo, salì le
lunghe rampe di scale, in fretta, come se la soluzione lo attendesse
lì e
stesse per fuggire, come il sole che proprio ora si trovava appena
sopra la
linea dell’orizzonte. Non sapeva neanche lui il motivo di
tutta quella fretta,
forse semplicemente aveva voglia di muoversi dopo tutto quel tempo
passato
seduto ad arrovellarsi.
La
luce rossa lo
avvolse all'improvviso, dopo tutto quel correre nella penombra..
Si
arrestò, sulla
soglia di un piccolo spazio aperto, un giardinetto di modeste
dimensioni,
soprattutto se rapportato a quelle degli altri cortili del palazzo,
quasi del
tutto spoglio: era il suo giardino, nessuno ci andava mai oltre a lui,
l'unico
a trovarlo bello e speciale nella sua semplicità.
Un
grande salice era
proprio nel mezzo, con i suoi rami flosci che pendevano verso terra,
sempre più
giù a ogni anno che passava, da lì si godeva di
un grande, incredibile panorama
sul deserto. Il cortile infatti era all’estremità
dell’ala più esterna del
palazzo, quasi fuori città, ed era sopraelevato proprio come
i terrazzi delle
case di Tebe.
Ansimando
ancora un po’
per la corsa, Manes mutò improvvisamente stato e si
avviò a passi lenti, come
avesse paura di deturpare la pace di quel piccolo luogo, verso il
sottile
parapetto di mattoni rossi. Eccolo, il sole era di fronte a lui, che
dava gli
ultimi addii prima di sparire fino al mattino seguente, allungando la
sue calde
braccia verso tutte le creature della terra. Aton, che splende di luce
infinita
e inonda l'Egitto con il suo calore, donando la vita. Aton il disco
lucente,
Aton Ra, il dio sole.
Forse
era per questo che
aveva corso tanto, stava perdendo il suo appuntamento con il dio, con
il
creatore del mondo?
Osservò
in silenzio il
disco rosso fuoco che emanava le sue ultime scintille, come un tizzone
che pian
piano si spegne ma è ancora in grado di illuminare chi gli
è intorno, e sa che
se ravvivato da un po’ di legna potrà rinascere a
nuova vita. Così il sole
sarebbe rinato il giorno dopo, riportando la gioia di vivere nei cuori
della
gente del paese.
<<
Tutte le creature del mondo sono nelle tue
mani,
proprio come tu le hai fatte.
Con il tuo sorgere, esse vivono.
Con il tuo tramontare, esse muoiono. >>
All'improvviso
gli erano venuti in mente i versi dell’inno ad
Aton di re Amenothep.
Lo
trovava buffo: con Nakia parlava della notte e
delle stelle e da solo del giorno e del sole. Decisamente non sapeva da
che
parte stare.
Sorrise:
ma bisognava proprio scegliere?
In momenti
come questi capiva quanto amava la sua terra, quanto le fosse legato.
La amava
di notte, quando la calma e il silenzio avvolgono ogni cosa e solo la
flebile
luce degli astri permette di distinguere la propria mano dal resto
nell'oscurità; la amava di giorno, quando sotto i caldi
raggi di Aton la
vitalità e la bellezza dell’Egitto e dei
suoi abitanti erano più tangibili, quando udiva le grida
della gente nei giorni
di mercato e le risate dei bambini, quando sentiva lo stormire degli uccelli che volavano
in cerchio lungo le
sponde del Nilo.
Era
in momenti come questi che pensava al suo futuro,
anche se non riusciva a immaginarsi faraone.
Non ancora.
Rivolse
di nuovo il pensiero al misterioso scambio di
battute di quella mattina. No, se non riusciva a risolvere problemi
così
piccoli voleva dire che non era pronto.
Strinse
gli occhi blu un po’ amaramente. Aton aveva
lasciato il cielo, rimanevano solo alcune nubi sparse qua e
là graffiate di rosa
e arancio.
Era
notte inoltrata quando finalmente decise di
alzarsi. Non che avesse ricavato molto anche da quelle ore passate
sotto il
vecchio salice, ma se non altro aveva pensato all’aria aperta.
Si
era quasi rassegnato a dormirci su, aveva ancora
tempo prima del loro prossimo incontro, al limite, poteva
sempre
raccontarle semplicemente tutto ciò che aveva udito (per
paura di
alterarlo o
dimenticarlo lo aveva
addirittura scritto su un pezzo di papiro).
“Non
ti nasconderò mai niente, domani saprai tutto
quello che so”
"Per
quanto
poco possa essere..." mormorò deluso.
Stava
uscendo dal
giardino, si mise a pensare alle lezioni dell'indomani, per distrarsi
dalla
delusione personale di non aver cavato niente da una giornata intera di
lavoro
di meningi:
"Conosco
una certa
persona a cui piacerebbe l'argomento del giorno, filosofia pitagorica.
Con
tutti quei numeri, la loro simbologia..."
"Simbo,
logia...." ripetè lentamente. Un piccolo, timido sorriso
soddisfatto
cominciò pian piano a farsi spazio sul suo volto, facendosi
strada fra i due
angoli della bocca:
"Ma certo,
come ho fatto a non pensarci?"