Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Achernar    30/05/2013    1 recensioni
"Ritornerai da me un giorno, quando le stelle ti chiameranno” "quando vorranno portarti via..."

Qual'è il motivo che lega Nakia alle stelle? Una bambina di 5 anni gioca con i suoi amici e la notte dorme, ma Nakia no, lei passa le notti sotto il cielo stellato dell'Egitto di 2400 anni fa e trascorre il suo tempo nella buia casetta dell'anziana e misteriosa Selene...
Ora Nakia ha 18 anni e si troverà ad affrontare un destino incredibile, un destino che la lega al cielo, a un essere misterioso e a un antico e oscuro rito...
(non mi sono ancora arresa su questa storia, sto per riprenderla in mano, rimodernarla e hopefully terminarla)
Genere: Introspettivo, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Salve, vi ho fatto attendere per questo capitoletto eh? direte: ma mi aspettavo almeno una lunghezza da Divina Commedia, invece è più corto del precedente! Sì, avete ragione, il fatto è che ho tagliato tutta una parte perchè come ho già accennato ho deciso di cambiare un po' la trama, però vi assicuro che mi ci sono impegnata ugualmente, tanto tempo.
Ma veniamo al capitolo in sè: Manes è il protagonista assoluto di queste righe, righe in cui accenno ad altri due personaggi e vi pongo un enigmatico scambio di battute fra i due. Il nostro principe sembra aver capito cosa vogliono dire: e voi? Se avete ipotesi sul significato delle loro parole fatemelo sapere che sono curiosa ^^ (mio fratello ad esempio si è rifiutato di pensarci...).
Allora buona lettura, spero vi piaccia e mi raccomando: recensite, spero di poter aggiornare tra una settimana stavolta.








capitolo3

3

 

 




“Quello che mi dici è grave”, la voce solenne anche se acuta del faraone era appena percettibile nell’ampio cortile colonnato del palazzo di Tebe

“Molto grave” ripeté con tono ancora più basso e severo.  

“Se si trattasse di semplici coincidenze o superstizioni non avrei ardito scomodare la tua mente con delle sciocche favole, o mio re. 
Purtroppo sta accadendo davvero”.

 Un uomo sulla cinquantina seguiva il sovrano guardando con umiltà (o forse rassegnazione?) il pavimento di pietra bruna, rispettando l’andatura composta e lenta di colui che lo precedeva. Parlava dosando le sue parole con lucidità ma anche lui molto flebilmente: orecchie indiscrete non dovevano udire la loro conversazione.

Eppure le paia di orecchie drizzate in quel momento non erano due come auspicato.
Un certo principe in anticipo sulle sue lezioni, che si apprestava a fare quattro passi nel giardino, a riflettere filosoficamente sotto il suo amato salice, aveva scelto quello stesso corridoio come strada: l’alto tetto e le grandi colonne offrivano riparo e fresco dal caldo umido del primo mattino.

Riconobbe subito l’andatura del padre e del suo visir Edfu, ma invece di raggiungerli e salutarli con garbo prima di proseguire per la sua strada, decise di fermarsi a fare qualcosa che non normalmente non avrebbe mai fatto : origliare. Era strano infatti che parlassero di cose così importanti da necessitare un tono di voce basso, in un luogo diverso dalle stanze del faraone.

 

“Speravo che dopo tutti questi anni avesse dimenticato.

Che si fosse accontentata” proseguì il re. “Quante persone hai detto?”

“Otto, o sire”

“La giustizia…” mormorò fra i denti il sovrano.“Ne mancano quattro,

  sai chi”

“Lo immagino” fece il visir cupo.

“Ma non fallirò:  sono un dio, io sono Horus ormai, sono Aton il sole e non temo la notte nè i suoi signori! 

 Io la ritroverò in tempo!”

La voce di suo padre si era infiammata all’improvviso: cosa stava succedendo? Chi erano quegli 8? Chi andava ritrovata?

 

<< Domani saprai tutto quello che so >>

Quante erano più o meno? 36 ore? Aveva 36 ore per scoprire i segreti di quella oscura conversazione. 36 ore per scoprire la verità, o parte di essa, e riferirla a Nakia.

E poi?
Non sapeva di quale verità si trattasse, non ne aveva idea, ma sentiva il pericolo e il mistero delle parole del padre.
Aveva cercato di dimenticare quella strana conversazione mattutina col visir ma era bastato un niente per farla tornare a galla parlando con la ragazza.

“Riflettiamo” si disse.

“E' accaduto un fatto grave, di cui nessuno deve venire a conoscenza, altrimenti non si spiegherebbe tanta segretezza e affermazioni così allusive” cercava di ricordare ogni singola frase del discorso udito quella mattina

“Una certa << Lei  >> non ha dimenticato qualcosa, come invece mio padre sperava. Poi si è rivolto a Edfu e ha detto << quante persone? >>. lui ha risposto 8 e mio padre ha commentato << la giustizia… >>. Forse perché questi 8 non hanno rispettato la giustizia? Sono abbastanza sicuro che si tratti di un affare recente e inoltre sanno già chi saranno i prossimi 4 bersagli e che saranno gli ultimi.
<< Non temo la notte nè i suoi signori >>, << la ritroverò in tempo >>… forse intende ritrovare questa lei per placare i signori della notte? 
E chi mai sarebbero? Chi può temere un faraone? 
Poi però ha detto anche << purtroppo lei non ha dimenticato >>. Dunque << Lei >> prova rancore? È malvagia? Perché doveva accontentarsi?...”

 

Rimuginò su quella conversazione sibillina per buona parte delle 36 ore, non riuscendo mai a ricavarne una soluzione o un’ipotesi soddisfacente. Sembravano, a suo parere, frasi totalmente sconnesse tra loro, ma non legate a un avvenimento così grave all’apparenza: forse suo padre e il visir si erano parlati usando un codice? Era a quello che servivano i numeri?
Ma scartò anche quell'idea: l'uso di un codice segreto non spiegava assolutamente l'improvvisa collera del padre.

C’era una frase in particolare poi, che mandava all’aria tutte le sue congetture ogni volta che la riesaminava: << speravo che dopo tutti questi anni avesse dimenticato. Che si fosse accontentata >>.

Non riusciva a darle un senso, non in rapporto all’intera conversazione. La sua ipotesi più salda, o forse sarebbe meglio dire meno incerta, era che la << Lei >> che il padre doveva ritrovare fosse la stessa che non aveva dimenticato. Ma allora perché quella da ritrovare sembrava fosse legata a qualcosa di positivo e  l’altra a un che di negativo?

Odiava ammetterlo ma non ci si raccapezzava più, era costretto a sottoporre il problema a qualcun altro per cavarci fuori una minima idea, e quel qualcun altro non poteva essere che lei.

“Dannazione!” esclamò seccato

“Possibile che da solo non riesca mai a fare niente?!” 

Odiava dover dipendere dagli altri, aveva un bel caratterino non c’è che dire: orgoglioso, cocciuto, determinato… anche se ormai non si sentiva più in sfida con Nakia, l’idea di doversi affidare a lei per risolvere i suoi problemi non gli piaceva affatto. Lui era indipendente. Voleva dimostrarle di essere in grado di ragionare, di essere scaltro, di essere come lei, la sua meta.

 Si calmò un attimo. Era nella sua stanza, illuminato dalla luce rossa del tramonto che ormai giungeva alla fine, presto sarebbero sorte le stelle. 
No, ecco cosa non andava. Non era quello il posto giusto per pensare.

 

Si precipitò lungo gli immensi e scuri colonnati, corse fino alla parte più amena del palazzo, salì le lunghe rampe di scale, in fretta, come se la soluzione lo attendesse lì e stesse per fuggire, come il sole che proprio ora si trovava appena sopra la linea dell’orizzonte. Non sapeva neanche lui il motivo di tutta quella fretta, forse semplicemente aveva voglia di muoversi dopo tutto quel tempo passato seduto ad arrovellarsi.

 

La luce rossa lo avvolse all'improvviso, dopo tutto quel correre nella penombra..
Si arrestò, sulla soglia di un piccolo spazio aperto, un giardinetto di modeste dimensioni, soprattutto se rapportato a quelle degli altri cortili del palazzo, quasi del tutto spoglio: era il suo giardino, nessuno ci andava mai oltre a lui, l'unico a trovarlo bello e speciale nella sua semplicità. 
Un grande salice era proprio nel mezzo, con i suoi rami flosci che pendevano verso terra, sempre più giù a ogni anno che passava, da lì si godeva di un grande, incredibile panorama sul deserto. Il cortile infatti era all’estremità dell’ala più esterna del palazzo, quasi fuori città, ed era sopraelevato proprio come i terrazzi delle case di Tebe. 

Ansimando ancora un po’ per la corsa, Manes mutò improvvisamente stato e si avviò a passi lenti, come avesse paura di deturpare la pace di quel piccolo luogo, verso il sottile parapetto di mattoni rossi. Eccolo, il sole era di fronte a lui, che dava gli ultimi addii prima di sparire fino al mattino seguente, allungando la sue calde braccia verso tutte le creature della terra. Aton, che splende di luce infinita e inonda l'Egitto con il suo calore, donando la vita. Aton il disco lucente, Aton Ra, il dio sole.

Forse era per questo che aveva corso tanto, stava perdendo il suo appuntamento con il dio, con il creatore del mondo?
Osservò in silenzio il disco rosso fuoco che emanava le sue ultime scintille, come un tizzone che pian piano si spegne ma è ancora in grado di illuminare chi gli è intorno, e sa che se ravvivato da un po’ di legna potrà rinascere a nuova vita. Così il sole sarebbe rinato il giorno dopo, riportando la gioia di vivere nei cuori della gente del paese.

<< Tutte le creature del mondo sono nelle tue mani,
proprio come tu le hai fatte.
Con il tuo sorgere, esse vivono.
Con il tuo tramontare, esse muoiono. >>

All'improvviso gli erano venuti in mente i versi dell’inno ad Aton di re Amenothep.

Lo trovava buffo: con Nakia parlava della notte e delle stelle e da solo del giorno e del sole. Decisamente non sapeva da che parte stare. 
Sorrise: ma bisognava proprio scegliere? 
In momenti come questi capiva quanto amava la sua terra, quanto le fosse legato. La amava di notte, quando la calma e il silenzio avvolgono ogni cosa e solo la flebile luce degli astri permette di distinguere la propria mano dal resto nell'oscurità; la amava di giorno, quando sotto i caldi raggi di Aton  la vitalità e la bellezza dell’Egitto  e dei suoi abitanti erano più tangibili, quando udiva le grida della gente nei giorni di mercato e le risate dei bambini, quando sentiva lo stormire  degli uccelli che volavano in cerchio lungo le sponde del Nilo.

Era in momenti come questi che pensava al suo futuro, anche se non riusciva a immaginarsi faraone. 
Non ancora.

Rivolse di nuovo il pensiero al misterioso scambio di battute di quella mattina. No, se non riusciva a risolvere problemi così piccoli voleva dire che non era pronto.
Strinse gli occhi blu un po’ amaramente. Aton aveva lasciato il cielo, rimanevano solo alcune nubi sparse qua e là graffiate di rosa e arancio.

 
 

Era notte inoltrata quando finalmente decise di alzarsi. Non che avesse ricavato molto anche da quelle ore  passate sotto il vecchio salice, ma se non altro aveva pensato all’aria aperta.
Si era quasi rassegnato a dormirci su, aveva ancora tempo prima del loro prossimo incontro, al limite, poteva sempre  raccontarle semplicemente tutto ciò che aveva udito (per paura di alterarlo  o dimenticarlo lo aveva addirittura scritto su un pezzo di papiro).

“Non ti nasconderò mai niente, domani saprai tutto quello che so”

 "Per quanto poco possa essere..." mormorò deluso.

Stava uscendo dal giardino, si mise a pensare alle lezioni dell'indomani, per distrarsi dalla delusione personale di non aver cavato niente da una giornata intera di lavoro di meningi:

"Conosco una certa persona a cui piacerebbe l'argomento del giorno, filosofia pitagorica. Con tutti quei numeri, la loro simbologia..."

"Simbo, logia...." ripetè lentamente. Un piccolo, timido sorriso soddisfatto cominciò pian piano a farsi spazio sul suo volto, facendosi strada fra i due angoli della bocca:

 "Ma certo, come ho fatto a non pensarci?"

 

 

 

 

 

 

 

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Achernar