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Autore: Taiga89    30/05/2013    1 recensioni
Lei è Monica.
Io sono Anna.
Sorelle, di più, gemelle eterozigoti.
L'ennesimo schiaffo della vita nei miei confronti.
Gemelle, noi?
Perché c'è bisogno di infierire? Io lo so già quale abisso mi separa da lei.
Lo vedo ogni giorno. Lo vedrò per sempre.
Anche quando lei non sarà più vicino a me.
Lei è in ogni sguardo che mi si posa addosso, lei è in ogni persona che incontro.
Lei è la mia gemella, lei è la mia condanna.
//Prima storia che pubblico, spero vi piaccia. L'ispirazione, e lo segnalo perché è importate, viene da un contest, Le sfumature del dolore, a cui non ho potuto partecipare. Ringrazio lo stesso phoenix_esmeralda per avermi dato questa idea^^ Buona lettura :) //
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Anna, che ne dici di questo?”

Monica mi mostra l'ennesimo vestito che prova, l'ennesimo che sembra fatto su misura per lei. Non ci sono colori o forme di abiti che le stiano male e nemmeno che le stiano meno bene di altri: è perfetta, in ogni occasione, in ogni momento. Apparentemente, lei è l'unica che non sembra accorgersi di questo fatto.
“E' carino. Ma preferivo quello nero."
“Sempre con il nero tu! Un altro colore no, eh? Dai, ne provo ancora un altro e poi esco.”
Il mio mondo fa schifo. Io faccio schifo. Quale colore potrebbe accordarsi con il mio essere, se non il nero?
La commessa mi lancia un'occhiata eloquente, quella che si potrebbe riservare ad un sacco di immondizia. Ma io non ho più la forza di arrabbiarmi, e il suo sguardo mi scivola addosso. La cosa pare indispettirla, infatti mi chiede di alzarmi dalla sedia che, come dice lei, “non è mica lì per chi aspetta, cosa crede?”
No infatti, presumo sia lì per bellezza. Perché, davvero, non so a cosa servano delle sedie fuori dai camerini e sistemate vicino agli specchi, in modo che chi ci sta seduto possa vedere chi esce dal camerino senza coprire lo specchio. Davvero, saranno lì giusto per.
“Scusi”. Dico soltanto, mentre mi alzo.
Dalla parte opposta, un uomo, seduto su una sedia identica alla mia, mi guarda senza capire. Alzo le spalle. Lui capisce che non mi importa.
E non dice nulla.
Perché dovrebbe?
Se cercassero di uccidermi per strada, scommetto che nessuno farebbe niente. E non parlo di azioni eroiche, penso che non alzerebbero nemmeno un sopracciglio, che nemmeno per un secondo resterebbero turbati o almeno sorpresi dalla visione della mia imminente morte.
Per i miei, sarebbe come se fosse morto il pesce rosso. Il pesce, per Dio, il pesce.
Un suono metallico e il fruscio di una tenda che si apre mi riportano alla realtà, insieme alla luminosa figura di mia sorella che spunta dal camerino.
“Andiamocene, mi sto annoiando.”
Lei. Si annoia. Lei.
Non faccio in tempo a meditare di impiccarmi all'asta del camerino che Monica mi prende sotto braccio e mi porta via dal negozio. Ah chiaro, dopo l'inevitabile coda chilometrica alla cassa.

Se Dio esiste, è bene che si prepari delle risposte, perché ho molte, molte domande da fargli. E non penso gli piaceranno.

 

“Dai, non è possibile che non ti piaccia nessuno! Avrai rifiutato le dichiarazioni come al solito...sei troppo selettiva!”
Mia sorella beve un frullato con un tasso glicemico che basterebbe ad accoppare tutti i diabetici presenti nel raggio di 5 chilometri. Io sorseggio il mio schifoso tè senza zucchero. Verde, puro. Masochismo ai massimi livelli.
“No, Monica, non è che sono selettiva, è che non ho ricevuto dichiarazioni. E non mi piace nessuno.”
“Su, non dire assurdità! Credi che io sia scema come mamma e papà?”
Scema magari no, ma in quanto a cattiveria o a cecità, che dir si voglia,ecco...
“Sì, hai ragione. Ho ricevuto qualche dichiarazione, ma erano tutti troppo...immaturi.”
Ditemi che non l'ho detto per davvero.
E invece sì, perché mia sorella annuisce compiaciuta, con aria di intesa.
Ho appena sputato fuori uno stereotipo bello e buono sui ragazzi. Ragazzi che, ovviamente, non mi si sono mai dichiarati. Perché dovrebbero, poi? Non sono attraente, non sono intelligente, non mi vesto bene. Sono ricca, ma a quest'età conta davvero poco. Non sono neanche abbastanza brutta da suscitare chissà quali emozioni. Se suscito qualcosa è indifferenza, cioè nulla. Lo schifo, lo suscito solo a me stessa a quanto pare.
E la mia famiglia e i miei professori, tutte le persone che vivono intorno a me, vedono solo quello che vogliono vedere.
Non sono sola, no, è che amo stare per i fatti miei.
Non è che non ho amici, è che ho interessi particolari e sono troppo intelligente per la mia età.
Non è che non mi integro con i compagni di classe, no, è che la gente non ama i secchioni. Immaturi sì, sono immaturi questi giovani d'oggi.
Non è che non piaccio a nessuno, è che sono molto selettiva e chiusa.
Sono timida. Sono particolare.
Strana già, è una parola che nessuno vuole usare. Solo qualche mio compagno di classe, in rare occasioni, usa questo appellativo. Mi prendessero per il culo, almeno. No, manco le prese in giro, nessun atto di bullismo.

Io sono insignificante.

 

A cena, invece, abbiamo un po' di varietà.
C'è un dolce della pasticceria, ma non è il compleanno di nessuno.
Guai in arrivo, lo so.
“Anna, senti, ci hanno consigliato una persona con cui...potresti parlare delle tue...momentanee difficoltà.”
Ah-ah, ecco. Lo strizzacervelli. Mancava qualcosa, in effetti, a questo ridicolo quadretto.
“Non è un medico, è un amico, devi vederlo come un amico. Qualcuno con cui puoi confrontarti e chiedere consiglio. Qualcuno che non ha pregiudizi.”
Oh, no, per carità, non ha pregiudizi, figuriamoci! In compenso è molto interessato a spillare soldi a dei ricchi imbecilli.
“Certo papà. Ci andrò volentieri. Mi aiuterà di sicuro.”
Sorriso generale, si alzano pure per stringermi la mano. Si commuovono pure un po'.
No, sono solo particolare. Non ho problemi.
Ma nel dubbio, lo strizzacervelli ci vuole sempre.
Mangio tre fette di dolce, finiti i pasti principali.
Non devo neanche aspettare che si addormentino o che lascino la cucina o la sala da pranzo per andare in bagno ad infilarmi due dita in gola, perché potrei vomitargli anche davanti che non cambierebbe nulla.
Sì, lo sanno che vomito regolarmente.
E' l'ansia per la scuola, dicono.
Torno a letto con lo stomaco vuoto e mi chiedo la stessa cosa che mi chiedo ogni notte, da anni: quanto durerò, così? Quanto tempo mi ci vorrà, prima di diventare come loro?

  
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