Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: sistolina    02/06/2013    12 recensioni
E' difficile camminare a testa alta nei corridoi di Hogwarts quando tuo padre è Draco Malfoy, il Traditore.
E' difficile essere all'altezza quando tuo padre è Harry Potter, il Salvatore del Mondo Magico.
E' difficile incontrarsi nel mezzo, quando alla Scuola di Magia e Stregoneria infuriano i fantasmi del passato, gli strascichi della Guerra e la sete di potere, e di vendetta, di chi ancora rimane.
Ed è difficile essere Lily Potter, e non odiare più Scorpius Malfoy.
Venticinque anni dopo, le colpe dei padri ricadranno sui figli, e non ci sarà più nessuno, a Hogwarts, al sicuro dalla propria eredità...
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Lily/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Non c'è niente che io possa fare, anche solo lontanamente, per spiegarmi, farmi perdonare, o implorare il vostro perdono. decisamente niente. E' più di un anno che non aggiorno, e non è la prima volta che siete costretti ad interporre una pausa lunghissima e insensata fra un capitolo e l'altro. Me la sono cavata con un escamotage narrativo, la prima volta, ma non ho intenzione di farlo questa volta. Non ha senso, e toglierebbe continuità alla storia.
Quindi non vi chiederò nella maniera più assoluta di scusarmi o di leggere questo capitolo, men che meno di commentarlo, perchè avreste tutte le ragioni del mondo per mandarmi ai troll. 
Quindi mi limiterò a fare un riassunto delle "puntate precedenti" e lasciarvi quello che sono riuscita a fare, a più di un anno dal febbraio 2012 nella speranza che vorrete accoglierlo e farne quello che volete.
Sinceramente grata a tutti voi,

sistolina

Dove eravamo rimasti: Hogwarts è flagellata: da una parte i Traghettatori, che rapiscono e attaccano le famiglie di maghi Purosangue che ritengono non essere stati adeguatamente puniti dalla giustizia magica ai tempi della Battaglia di Hogwarts, dall'altra la Lega per la Salvaguardia delle Antiche Famiglie, capeggiata dal mellifluo Theodore Nott, acquista sempre più potere all'interno della Scuola, sfruttando la paura e accusando il Ministero della Magia di non prendere sufficienti provvedimenti in merito.
Theodore Nott entra definitivamente, de facto, a far parte dell'organizzazione della scuola, e tramite la Guardia dei Protettori, squadra di maghi scelti assieme al Ministero per proteggere gli studenti di Hogwarts, di cui fanno parte anche Draco Malfoy e Jimmy Potter.
Coinvolti nella vicenda sembrano essere anche i sospetti licantropi della riserva delle Smookey Mountaines, la cui "sacerdotessa" Wahya Show, sembra avere un piano ben preciso che riguarda "Aquila Rossa", ma che sembra dalla parte dei buoni, aiutando Louis a controllare la sua licantropia senza l'ausilio della Pozione Antilupo. Le cose si complicano quando un membro della tribù viene trovato morto nella Foresta Proibita.
Il professor King, fuggito dalla scuola dopo che Rose lo ha accusato di aver liberato il Dissennatore che ha attaccato Scorpius, prende in ostaggio la ragazza e Incubus Mortimer, prima che il Serpeverde, grazie ad una bacchetta nascosta fra gli abiti di Rose, riesce a salvare entrambi Smaterializzandosi nella sua vecchia casa, in Romania, dove anni prima a sua famiglia è stata massacrata da maghi ignoti. Lì Incubus sembra volerle confessare la verità, ma le sue bugie sono difficili da stanare.
Alla Scuola, nel frattempo, Scorpius scopre che la madre, rapita assieme a Draco a Natale, secondo molti dai Traghettatori, è sana e salva, e va dicendo in giro che è stato Draco a ordinare di rapirla e che vorrebbe uccidere Scorpius. Sembra vicina alla Lega come non mai, e ordina a Scorpius, "per la sua sicurezza", di terminare l'anno a Durmstrang, dove sostiene che Krum lo proteggerà.
Scorpius è indeciso, ma dopo aver definitivamente lasciato la Resistenza Purosangue e aver attirato le ire di Incubus su di sè respingendo Lily in modo da non poter in nessun modo portare a termine in piano, pensa che lasciare la Scuola sia l'unico modo per lasciarsi alle spalle il passato e il suo nome. A Durmstrang le cose non sembrano migliorare troppo, specialmente perchè dimenticare quello che sa di Hogwarts e il suo legame con le persone lasciate indietro non è semplice come sembra.
Albus, nel frattempo, sembra aver scoperto che qualcosa non torna in Frances Ilbys, Ardhesia Nott e Incubus Mortimer, e dopo aver spiato una conversazione ambigua, è sempre più sospettoso. In realtà non sa che la cugina e Incubus non sono nella scuola, perchè altre due persone, probabilmente grazie alla Pozione Polisucco, hanno preso le loro sembianze temporaneamente, per non insospettire nessuno.
Che ci sia quindi la Resistenza Purosangue dietro il loro rapimento, dato che Incubus li ha lasciati quando ha scoperto che Ardhesia aveva parlato del gruppo a suo padre, Theodore Nott?
Durante la cerimonia funebre del licantropo ucciso nella tribù di Wahya, Scott Warrington, in preda ad un attacco di convulsioni, sembra improvvisamente ricordare chi, mesi prima, lo ha rapito assieme alla sua famiglia per poi abbandonarlo nella Foresta Proibita poco prima che Lily lo ritrovasse, Confuso e con la memoria cancellata: Scorpius e Incubus.
La resa dei conti sembra quindi vicina.


 

Le dovute dediche non hanno mai altro nome
ma per questa, questa speciale dedica cosparsa di cenere
e inginocchiata sui ceci
A Giulia va' sempre l'immensa riconoscenza
a chi sa ispirare e ridestare, a volte anche contemporaneamente,
e a Elle, perchè iniziare una storia come questa,
con un Draco Malfoy come questo,
per una Dramione dev'essere assai dura.
Spero di non deludere nessuna di voi,
preziose compagne di avventura 

 

Acque Torbide


 
Ed elli a me: «Tu lasci tal vestigio,
per quel ch'i' odo, in me, e tanto chiaro,
che Leté nol può tòrre né far bigio. 
Ma se le tue parole or ver giuraro,
dimmi che è cagion per che dimostri
nel dire e nel guardar d'avermi caro».  
(Divina Commedia, Purgatorio, Canto XXVI, vv 106-111)

 
Non aveva mai amato la Sala Comune silenziosa e deserta. Fingeva di cercare il silenzio, ma in realtà voleva solo un rumore che le fosse affine. 
Quell'assenza di morbido caos la destabilizzava. 
Non una risata, parole sussurrate ridendo da dietro un palmo aperto, scacchi che si frantumavano.
Quel silenzio innaturale permetteva al frastuono nella sua testa di riecheggiare senza ostacoli contro le pareti.
Le parole di Scott, vergate nella sua mente con la stessa bruciante efficacia della piuma di Dolores Umbridge, non smettevano di scavarle nella mente scenari di devastazione e inganno.
Avrebbe voluto credere di poterlo prevedere.
Avrebbe voluto che quelle parole colpissero un bersaglio che lei stessa aveva creato.
Ma erano esplose in aria, nella completa e inaspettata sorpresa.
Lily non era riuscita a respingere l'idea, ma nemmeno a ritrovarla fra i propri sospetti. Di tutto, di tutta la follia che Scorpius Malfoy aveva ricamato nella sua vita, quel disegno non lo aveva mai tracciato.
Era rimasta accovacciata sulla sua poltrona preferita, la molle e cicciotta poltrona della Sala Comune, per tutta la notte. L'alba, quella mattina, l'aveva colta totalmente impreparata.
Così come la figura sinuosa di suo cugino che rientrava al Castello dalla Stamberga Strillante dopo l'ultima luna piena. Louis aveva sollevato lo sguardo sulla torre e l'aveva scorta con i suoi sensi iper sviluppati da licantropo. Si erano incontrati a metà della scalinata, e Lily aveva zittito la Signora Grassa con un sonoro “Pasticche Vomitose” gettato in faccia senza tanti complimenti. Il ritratto l'aveva fissata con disappunto, ma non aveva commentato la presenza di un Corvonero nella Sala Comune all'alba.
Ad un certo punto anche i ritratti avevano smesso di fare domande alla famiglia Potter Weasley & Affini.
La fissava senza parlare, l'orecchino di corno che giocava pigramente con la luce nella stanza, a malapena accennata. Nuvole grigie minacciavano pioggia, ma il vento soffiava dal Lago Nero con un rassicurante pronostico di sereno.
A Lily non sarebbe potuto importare di meno nemmeno se Albus Silente fosse apparso vestito solo di un gonnellino hawaiano e il cappello a punta.
“Come sta Scott?” Louis sorrise a quella domanda di circostanza, ma rispose con l'educata empatia di sempre
“Dice che l'Infermeria diventa più piccola ogni volta che ci finisce” sorrise “Fortuna che fra un paio di mesi ci sono i MAGO, altrimenti chi lo sopporta un altro anno” l'amarezza che gli attraversò lo sguardo non colò minimamente sulla pelle di Lily, che avvertì la malinconia a stento trattenuta, ma decise di ignorarla. Se si fosse aggrappata alla complicata quotidianità di Lou non avrebbe più avuto il coraggio di confessargli la verità
“Cosa ti ha detto?” a nessuno dei due servivano precisazioni
“Solo che la sbronza gli ha appannato il cervello” ma Lou non si limitava mai a credere ciecamente a Scott, era una regola aurea della loro strampalata vita insieme. C'erano ancora delle ombre nella vita del Serpeverde, che Louis Weasley aveva deciso di affrontare un po' alla volta, in lente e profonde bracciate.
“E basta”
“E basta”
Louis si stiracchiò, rivelando piccole ferite già rimarginate sul collo e il torace. Trasformarsi nella Stamberga Strillante era più sicuro di una corsa nella Foresta Proibita, ma le esercitazioni con Wahya Show lasciavano sul suo corpo più segni che piacere.
Eppure suo cugino sembrava sereno, se non felice, conscio di aver afferrato una sfida assolutamente inaffrontabile per la maggior parte delle altre persone, ma vitale. Aveva o no convinto Scott Musone Warrington ad uscire allo scoperto, e a frequentare la masnada disorganizzata dei suoi cugini strampalati?
Accorgersi di aver affibbiato a qualcuno un nomignolo le punse il palato fino al cervello. Era qualcosa che lui faceva sempre.
Scorpius.
Il motivo per cui si trovava lì. 
Intrecciò nervosamente gli indici, tormentandosi le unghie già corte e martoriate.
“C'è la possibilità, che ne so, che tu non esplodi come uno Schiopodo Sparacoda dopo che ti avrò detto quello che sto per dirti?” Lou sorrise, sempre bello e apparentemente noncurante
“Dipende, stai per raccontarmi dettagliatamente di come Scott si è calato un po' di peyote e si è lasciato guidare nel viaggio da un nativo muscoloso e sudato?”
Lily rimase zitta. Il peyote, quella lezione di Divinazione con Fiorenzo, Wahya Show seduta in un angolo ad osservarla, e il peyote di nuovo, quella droga visionaria e antica che avrebbe permesso, se assunta con esperienza e metodo, di spalancare le porte della percezione. Capace di scavare talmente a fondo nella mente di qualcuno da contrastare perfino un incantesimo di memoria.
Era stata lei.
Lily non sapeva ancora a che scopo, ma Wahya Show aveva dato il peyote a Scott in modo che lui ricordasse, che sapesse, e anche lei.
Tornò a fissare Louis, che ricambiò il suo sguardo con un nervosismo malcelato. Dovevano essere passati secoli da quando le aveva posto quella domanda spinosa, un accenno di ironia e una velata ansia.
“Lils...ci ho preso o...”
“NO! No no no no Lou, ma dai...” gesticolò lei con il formicolio alla spina dorsale che non accennava a lasciarla andare. “E' peggio, in un certo senso...ma anche meglio...” inspirò, “non ha a che vedere con te, non...direttamente” espirò, cercando di rilassarsi. Lou le afferrò le mani, impedendo all'indice di scavare una ferita profonda e dolorosa senza che lei se ne rendesse conto. La fissò senza parlare, con un sorriso
“Lils, non è per fare del protagonismo spicciolo, no davvero, ma sono un dannato Lupo Mannaro, fottuta Morgana! Credi davvero che ci sia qualcosa-”
“Scorpius ha rapito Scott. E Incubus Mortimer. Scott ha visto i loro volti nella Foresta Proibita che gli lanciavano un incantesimo di memoria. Non sa perché, non sa se abbiano qualcosa a che fare con le altre sparizioni o cos'altro. Ma sono stati loro a portarlo lì” confessò tutto così, d'un fiato. Fu spaventoso ma non letale.
Louis s'irrigidì.
Imprecò, si alzò e si mise a camminare come un felino in trappola per tutto il perimetro della Sala Comune
“Perchè?”
“Non lo sa”
“Perchè non me l'ha detto?”
“Gli ho chiesto io di non farlo” si bloccò a metà di un passo, schiantandole addosso uno sguardo ambiguo
“Per Malfoy?” non aveva senso, a quel punto, mentire.
Annuì
“E' una cosa che dovevo fare io, da sola. Devo” esitò “ancora capire. Parlargli” suo cugino sbuffò rumorosamente
“Pensi veramente che possa spiegarsi? È un fottuto-” lo vide rabbrividire, osservò il suo corpo assecondare quel tremito animalesco. Gli occhi gialli si dilatarono fin quasi a diventare quelli di un lupo.
Lily fremette, ma attese. Se Louis non era in grado di trattenersi nemmeno in quella situazione, non c'era speranza per Scorpius di tornare a casa intero.
Com'era emersa, la natura lupesca di Lou defluì.
“Lo so. Insomma, non lo so, ma posso immaginarlo. Ma devo sentirle da lui tutte le schifezze che immagino abbia fatto. Non so come ma...”
“Prova con il camino della Maxime” Albus e il suo pigiama a righine sottili non si sposavano bene con la luce dell'alba che inondava la stanza. La sua espressione, e quella di Hugo, non avevano nulla di caldo, o luminoso.
Era la prima volta che suo cugino la guardava in quel modo in tutta la vita. Sembrava ferito, deluso, arrabbiato e solo, desolatamente solo.
Lo sguardo di Albus, d'altra parte, non era che una copia carbone di qualsiasi altro le avesse lanciato da quando Scorpius-lo-divorasse-un-Ippogrifo era entrato nella sua vita.
“Hei” tentò a vuoto, poi si rese conto di un dettaglio “Tu come accidenti fai a sapere come arrivare da Malfoy, per tutti i folletti della Cornovaglia?!” la risposta di suo fratello non ebbe bisogno di venir tracciata nell'aria dal suono.
Prima che le urla di Lily sovrastassero qualsiasi soglia dell'accettabilità, Louis intervenne
“Devo parlare con Scott. Albus, vieni con me? Sono troppo stanco per pensare...” se Lily non fosse stata sicura di non aver visto l'espressione di suo cugino mutare, avrebbe giurato di averlo visto ammiccarle. Hugo rimase immobile in mezzo alla stanza, una larga porzione delle sue caviglie massicce in bella vista sotto l'orlo del pigiama con i Boccini.
“Allora, che notizia eh?” ma Hugo non si limitò ad adagiarsi su quella falsa noncuranza. Al contrario, incrociò le braccia al petto e sbuffò
“Quel figlio di un'Acromantula velenosa ti ha rimbambito il cervello cugina. Ma dico, ha rapito Scott e voleva cucinarselo per bene nella Foresta Proibita, e tu che fai? Te ne vai fino a Durmstrang per parlarci? Quale cavolo di Pozione Confondente ti sei bevuta?” Lily si mordicchiò il labbro
“Hu...io...non lo so. Devo andarci e basta” l'altro scosse la testa leonina con disappunto. Un disappunto misto alla delusione più autentica
“Non so più chi cavolo sei cugina. Non lo so davvero...” fece per andarsene, ciondolando su per le scale con un peso indicibile sulle spalle larghe che Lily era convinta fossero in grado di sopportare qualsiasi notizia. 
“HU!” l'altro si voltò “scusa” non sorrise, ma ci provò
“Sei ancora la mia cugina preferita Rossa, ma non farmene pentire...” i suoi passi pesanti frammentarono un detestabile silenzio in un inaffrontabile caos.
Hugo non l'avrebbe mai abbandonata davvero. Nemmeno Albus, Teddy, James. Ma lei aveva smesso di preoccuparsi per gli altri da quando Malfoy era entrato nella sua vita senza dire Alohomora. Aveva smesso di pensare a Hugo, a Rose a Roxanne, a come si sentivano. Aveva smesso di essere una Potter e aveva cominciato ad essere solo Lily. Aveva guadagnato a morsi un'identità, libera dai confortanti abbracci della sua famiglia, ma non era riuscita a toccarli. Sembrava destinata a barcamenarsi fra il rimanere inevitabilmente aggrappata alla sua numerosa e chiassosa famiglia, e spingerli via, come se essere se stessa con loro non rappresentasse un'opzione.
Scorpius Malfoy l'aveva sfidata più di chiunque altro, mettendola alla prova anche con la sua sola presenza.
Ma la persona che era diventata, l'individualista Lilian Luna Potter capace di passare sopra i sentimenti di chiunque pur di non lasciarsi scivolare di mano le sue scelte, non era la persona che lei voleva essere. Non quella che i suoi genitori, cugini, fratelli e amici amavano, non quella che Teddy voleva proteggere, non quella che i suoi compagni di Grifondoro avevano imparato a conoscere. Solo qualcuno disposto a grattare via dagli altri quello che serviva per costruire se stesso.
I colori accesi l'avevano costretta a ripararsi dalla luce così tenacemente da chiudere gli occhi di fronte al resto, inebetita e incapace di capire.
Non era quella la Lily che voleva varcasse i cancelli di Hogwarts per le vacanze estive.
Ma quella persona, ideale o meno che fosse, aveva bisogno di risposte. E se l'unico camino capace di portarla da Scorpius Malfoy era davvero quello di Madame Maxime, allora l'ufficio della Preside sarebbe stato l'ultima stanza di Hogwarts ad ospitare quella Lily ostinata, immatura ed egoista. Al suo ritorno, disse a se stessa respirando profondamente, la persona che voleva essere sarebbe sbucata fuori ricoperta di fuliggine.
 
***
 
Era il terzo.
Bolide.
Contro una spalla, una gamba, il torace.
Non farsi disarcionare dalla scopa, a quel punto, acquistava quasi il sapore di una sfida contro i suoi stessi compagni di squadra. Molto più di una partita, o di un meticoloso scontrarsi di vedute su come un scopa da corsa avrebbe dovuto volare. Molto più di una semplice questione di “provenienza” magica o di “educazione”.
Era proprio Durmstrang, erano i “fieri ed integerrimi” figli di Durmstrang, che volevano la sua testa. O la sua virilità, pensò impennando il manico di scopa per evitare un altro Bolide ad altezza inguine.
Non erano semplicemente barriere linguistiche, era proprio un massacro.
Decifrare i loro nomi sulle divise era stata un'impresa titanica. Ma per uno che di secondo nome faceva Hyperion, notò ironicamente lanciandosi in un giro della morte quasi contro il fondo del campo, rocce affilate e terra brulla, aveva sulla lingua il gusto della metafora.
Non si trattava semplicemente di una partita di Quidditch. 
Era Scorpius Malfoy contro Durmstrang, Hogwarts e il suo gioco da “ragazzina spaventata”, contro il precipitare a cento all'ora vicino ad un masso di pietra calcarea levigata dal vento del Nord e la siccità terrosa dell'estate senza pioggia.
Si trattava, nonostante lui dubitasse seriamente che qualcuno di quei troll imbizzarriti lo avesse intuito, di una prova d'iniziazione bella e buona.
E come ogni sfida a cui la vita avesse mai sottoposto Scorpius, era intrisa di scricchiolii di ossa rotte, sangue dal naso e inenarrabili avvitamenti sulla scopa da corsa.
Aveva anche il sapore di fumo dell'Espresso sul Binario 9 e ¾, di neve, di terra e di frittelle.
Una sciarpa incompleta sferruzzata all'ultimo momento, e il rombo di una motocicletta sul ghiaccio incrinato.
Il Battitore della squadra avversaria, un grugno inespressivo che sbraitava direttive in quella lingua rigida e senza vocali, quasi gli sbatté contro nella foga di mettere alla prova i suoi riflessi.
Niente, niente era capace di scatenare il narcisismo aristocratico di un Malfoy come un tizio anonimo dall'aspetto di una creatura che Hagrid il barbuto sgrammaticato di Hogwarts avrebbe adottato all'istante.
Virò all'ultimo istante, beandosi per una frazione di secondo dell'espressione corrucciata che probabilmente era il modo di Durmstrang di manifestare il panico, del Battitore bardato come un muflone delle praterie e altrettanto profumato.
La scopa dell'altro sfiorò il terreno e s'impennò, disarcionandolo.
Scorpius saettò in aria, al di sopra del campo, dei Bolidi che gli ringhiavano vicino alle orecchie, degli altri giocatori che sembravano aver messo da parte per un attimo lo spirito competitivo del Quidditch per disprezzarlo in una ferma linea compatta.
“Quando si dice farsi amare dal prossimo” sogghignò Scorpius osservando la febbrile preoccupazione con cui l'altro Cercatore scrutava il campo.
Il Boccino non gli si sarebbe materializzato davanti al grugno solo perché strizzava gli occhi, disse a se stesso mentre librava lentamente nell'aria in affusolate spirali.
“Devi amarlo quel coso, amico, amarlo e odiarlo, e desiderarlo. Non è solo un oggetto, è vivo, è impregnato di una Magia antica e senza nome che si tramanda da generazioni. Non è una palla tanto carina con le ali. È tutto quello che deve servirti, a cui pensi, che cerchi, che vuoi disperatamente”
C'era così poco sentimento in lui, così tanta energia lasciata defluire fra le spalle tese e la schiena dolorante. C'era quel modo di stare in sella che a Scorpius ricordava gli interrogatori del Ministero di cui suo padre gli parlava sempre quand'era piccolo. Rigido, preoccupato, spaventato.
Non era vivere, non era respirare. Era arrangiarsi, era tossicchiare, era soffocare.
Lo diceva con quello sguardo, perso chissà dove, che lui aveva imparato ad associare al dolore. Draco Malfoy non aveva mai avuto molti amici, di questo suo figlio era stato pateticamente certo da sempre. Ma mai come quel giorno, al Wizengamot, era stato così fragile. E solo.
Non andava bene a nessuno Draco, perché era stato troppo crudele con chi avrebbe dovuto proteggere, e troppo codardo per essere abbastanza crudele da diventare un Mangiamorte. Aveva avuto paura quando era stato il momento di decidere, ed aveva semplicemente lasciato che altri lo facessero per lui.
Ma nessuno aveva dimenticato, mai, il ghigno di suo padre dietro le spalle della Umbridge, mentre dispensava punizioni con il fregio di quella carica straordinaria di cui aveva abusato. Nessuno aveva dimenticato la supponenza, l'alterigia, il classismo e il viscido arrivismo.
Nemmeno Harry Potter, che pure gli aveva salvato la vita nella Stanza delle Necessità.
Aveva rischiato la condanna a vita ad Azkaban, con o senza Dissennatori, era arrivato ad un soffio dall'essere il mago più odiato dai Mangiamorte di tutto il Mondo Magico. Dopo Harry Potter, Draco Malfoy era quello che aveva tradito, chiunque, dovunque, mai abbastanza.
Scorpius aveva vissuto con l'infamia del suo nome per sette anni, ed era fuggito. A Durmstrang, dove i Bolidi gli sfioravano le orecchie, colpiti a cento all'ora dai suoi stessi compagni di squadra in una danza al massacro in cui a sopravvivere, forse, sarebbe stato solo il suo manico di scopa.
Draco era rimasto, e ne aveva pagato il prezzo. Tutti loro l'avevano fatto.
Il Boccino d'Oro luccicò fremendo a due metri da lui, saettò scompostamente a destra e a sinistra, come un Promemoria del Ministero della Magia colpito dalla Tarantallegra. Non era come ad Hogwarts, dove anche nelle giornate più cupe e fredde, anche quando il sole si nascondeva scialbo dietro una coltre di nubi e non illuminava le sue ali dorate, il Boccino si stagliava luminoso contro il cielo e l'erba tagliata di fresco, contro la neve, il fango, le pozzanghere sul terreno. Lì, in quella terra brulla e gelida nelle profondità del nord, doveva lottare contro la polvere che si alzava in mulinelli pruriginosi contro la pelle e negli occhi, impastava la bocca e il respiro. Sapeva di sale e di fuoco, di sole raro e trasparente, di freddo e solitudine.
Giorni che erano notti ininterrotte e piccoli sprazzi di luce discontinua e malinconica.
La luce timida del Boccino quasi si arrendeva alla notte.
Si lanciò in un duello incrociato con il Cercatore dell'altra squadra, e metà della sua che tentava in ogni modo di ostacolarlo.
Sorrise, quando il Portiere alle sue spalle si sporse per nascondere il Boccino alla sua vista.
Ma nessuno aveva davvero capito cos'era in ballo in quel momento. Perché si trovavano tutti lì a rincorrere una pallina dorata stregata allo scopo di essere inafferrabile. Con il Boccino d'Oro, Scorpius Malfoy avrebbe afferrato Durmstrang. Amara, chiusa, ancora rigida, l'intera Scuola di Magia e Stregoneria di quei rozzi barbuti dalle espressioni ebeti sarebbe stata sua.
Non lo avrebbero idolatrato inneggiando alla sua nomina di Caposcuola, e probabilmente sarebbe sempre stato il tizio di Hogwarts con “la faccia da ragazza”, ma sarebbe stato il tizio di Hogwarts con la faccia da ragazza che faceva il culo a zucca a due squadre di Quidditch. Contemporaneamente.
Il Cercatore avversario, occupato a grugnire delle sue sventure atletiche sul manico di scopa, non aveva notato il Boccino che saettava ad un paio di metri alla sua destra, evitando un Bolide lanciato appositamente contro Scorpius che aveva seguito inaspettatamente la traiettoria di un mulinello di polvere e detriti sollevati dal campo.
Scorpius deviò, lanciandosi dalla parte opposta, attirando l'attenzione degli altri giocatori su un punto imprecisato sul fondo del campo. Nei tre secondi successivi due Bolidi vennero scagliati nella sua direzione, uno dei quali lo colpì in pieno ad un ginocchio. Le ossa scricchiolarono e la presa cedette costringendolo ad avvitarsi su se stesso per non essere disarcionato. 
Perse la presa e sfregò il gomito contro la nuda roccia del campo. Gemette, mentre un fendente lacerante gli pulsava dal gomito alla gola, al petto e alle tempie. 
Imprecò e si rimise in sella, un altro Bolide che lo mancò per poco e il Battitore della sua stessa squadra che lo fissava ottusamente, probabilmente sorpreso che fosse ancora vivo.
Il Boccino era scomparso, il ginocchio probabilmente rotto, e il dolore gli appannava la vista in disomogenee macchie fluorescenti.
Serrò la mandibola con una tale testardaggine da sentirla sfrigolare, serrò le dita intorpidite attorno al manico di scopa, e provò a virare in direzione dell'altro Cercatore, lanciato all'inseguimento di qualcosa che somigliava preoccupantemente al Boccino.
Poi accadde.
Fu semplicemente un istante di distrazione, uno di quelli che costano così cari solo in un duello all'ultimo sangue. Si deconcentrò per seguire l'ipotetica traiettoria di un Boccino che non riusciva a vedere, la bile che si rimescolava nello stomaco per l'agitazione, fendenti letali al ginocchio, al torace e alla spalla, il gomito che sanguinava copiosamente, il calore vischioso che gli faceva scivolare via le dita, la parte destra del corpo apparentemente insensibile. 
Ad Hogwarts, se un giocatore avesse riscontrato ferite come quelle, Alicia Spinnett avrebbe interrotto il gioco all'istante per spedirlo in infermeria con un calcio nel sedere. 
Apparentemente, a Durmstrang il sangue era compreso nel prezzo.
“Ora sì che mi sento a casa”, bofonchiò a mezza bocca tentando vanamente di mantenere il controllo della scopa, ammaccata quanto lui.
Il Bolide lo colpì in pieno sul fianco, in una carambola di arti scomposti e dolore lancinante, disarcionandolo.
Fu una caduta tutto sommato indolore, considerando che metà di lui era già martoriata e l'altra sembrava non rispondere più ai comandi.
Ma l'impatto, quello sì che gli fece esplodere l'intera scorta di Fuochi Forsennati Weasley contro le tempie. Schiena, nuca, spalle, anche. Il suo corpo sembrò sfracellarsi come una Bolla Bollente contro il campo di roccia acuminata di Durmstrang.
Per un attimo la vista annebbiata coprì totalmente il sole impietoso che ogni tanto sferzava perpendicolarmente il campo. 
Nella polvere, nelle narici, in gola, sul palato, negli occhi, Scorpius Malfoy riconobbe il gusto metallico del sangue. 
Sangue e bile.
Sangue e vergogna.
Sangue e rabbia.
Krum, che non disdegnava un bell'incontro con qualche ammaccatura, gli si avvicinò con la sua andatura ciondolante. A vederlo in quel momento, il mantello a svolazzargli attorno agli arti sgraziati, nessuno avrebbe mai potuto immaginare quanta grazia e bellezza sapesse evocare semplicemente montando su una scopa da corsa.
Ma Scorpius era troppo occupato a tentare strenuamente di non svenire per riportare alla mente l'emozione di averlo visto giocare per l'ultima volta, prima che decidesse di ritirarsi e prendere in mano le redini di una Durmstrang dilaniata dalle faide interne e abbandonata a se stessa dopo l'abbandono del terzo Preside rinunciatario dalla fuga di Karkaroff. Silente aveva cercato di mediare, pare, con un paio dei suoi milioni di amici sparsi per il Mondo Magico, ma nessuno aveva davvero avuto il fegato di spiumare l'Ippogrifo di Durmstrang. Troppe famiglie Purosangue interessante a mantenere i propri privilegi, troppi Mezzosangue che percorrevano mezzo Mondo Magico per iscriversi a scuole che permettessero loro di conseguire i loro MAGO nonostante il sangue misto.
Troppe lobby che spingevano in ogni direzione per ingurgitare la tradizione fiera di Durmstrang e innestarvi i propri interessi economici e politici.
Victor Krum aveva stretto le sue lunghe dita affusolate da Cercatore attorno alle mura e i torrioni della Scuola e aveva messo a tacere con quel primo e unico Editto da Preside ogni lamentela sibilata e strisciante sotto le pietre brulle di quel posto dimenticato da Salazar. 
Nessun limite di sangue avrebbe mai più precluso ai figli di Babbani di studiare a Durmstrang, e che i Purosangue indignati trovassero un altro posto dove instillare nei propri pargoli viziati inutili valori di purezza e incontaminata nobiltà.
Non un solo mago o strega aveva osato opporsi. 
Non dopo la Battaglia di Hogwarts e la morte di Voldemort. Non con il Ministero della Magia in mano a Kingsley Shacklebolt.
Non con Harry Potter e i suoi Auror.
Non con il Wizengamot che aspettava solo un passo falso per spedire intere famiglie in esilio ad Azkaban. 
Jus in bello.
“Epismendo” sussurrò Krum con un tono di voce che era quasi un brontolio. La ferita al gomito di Scorpius si rimarginò in pochi istanti, ma le ossa fratturate del suo corpo avrebbero richiesto un po' di sano soggiorno in infermeria.
Scorpius si lasciò trasportare senza lamentarsi fino all'Infermeria di Durmstrang, nella torre Ovest, una stanza circolare dalle pareti spesse e l'arredamento scarno tipico di tutto il Castello. 
Malgrado il nuovo Preside avesse apportato alla struttura una quantità necessaria di aggiustamenti, il vecchio spirito da apparato militare non avrebbe mai abbandonato del tutto la Scuola. 
Nemmeno le citazioni dei Guaritori famosi che inneggiavano alla resistenza di fronte al dolore e alla forza che un mago deve mostrare di fronte alle ferite e alla morte.
Non erano esattamente aforismi incoraggianti sulla salute del malato.
Julia Vorobjova lo accolse con una smorfia, ma dopo l'esperienza annale con Katie Bell, a Scorpius Malfoy parve quasi un sorriso incoraggiante.
“Io curo te. Tu smamma” sorrise a quelle parole, così faticosamente apprese in qualche gangster movie Babbano di quarta categoria.
Annuì, lasciando che il dolore scemasse e gli intorpidisse i sensi.
Krum bofonchiò qualcosa riguardo ad una “bella parlata” con i giocatori, che evidentemente voleva essere una “bella chiacchierata”, e si allontanò a grandi passi disomogenei. 
La donna si occupò di ogni pozione, ogni fasciatura ed ogni incantesimo in silenzio, mentre Scorpius si aggrappava alle lenzuola già stropicciate per non imprecare ad ogni osso sistemato.
Alla fine anche lei uscì silenziosamente, lasciandolo solo con le massime di vita e di sopravvivenza dei suoi predecessori, e un ronzio incessante dietro le palpebre.
Dopo quella che sembrò un'eternità, la porta cigolò di nuovo contro i cardini.
Lily Luna Potter lo fissava a braccia incrociate dall'altra parte della stanza.
 
Close your eyes
let me touch you now
 
“Ma per favore, maledetto Merlino, anche le allucinazioni...” imprecò a denti stretti alla sagoma dai capelli rossi e aggrovigliati che si avvicinava. 
“Peccato. Durmstrang mi ha tolto metà del divertimento di fare a pezzi il tuo nobilissimo culo di Serpeverde” curioso, si disse, che la Rossa Potter lo insultasse anche nelle sue assurde fantasie da fallito sull'orlo della perdita di conoscenza.
Già che aveva la Tarantallegra, tanto valeva ballare.
“Dolente, ho provato a dirgli di lasciartene un pezzo, ma lo sai quanto va di moda farmi il culo ultimamente...” tentò di voltarsi verso di lei, ma le fasciature lo immobilizzavano, e la Pozione Rilassante parecchio potente della Vorobjova lo aveva costretto a collassare fra le coltri.
Lily Potter continuò a camminare nella sua direzione, il passo incerto ma determinato, una Converse sfilacciata davanti all'altra, e le braccia incrociate per il freddo.
Non avrebbe avuto freddo nella sua mente. Né paura. Non ci sarebbe stato altro di lei se non qualcosa a cui arrendersi. 
Ma lei sembrava così vera, e reale, e stravolta.
I suoi capelli erano più lunghi, le clavicole in evidenza, le ginocchia esili.
Non sarebbe stata stanca, arrabbiata, e sola.
Solo quando l'orlo della sua gonna a pieghe ricoperta di fuliggine ingrigì il lenzuolo spiegazzato, Scorpius Malfoy realizzò incontrovertibilmente che lei era lì.
“Potter”
“Malfoy”
 
let me give you 
something that is real
 
***
 
Close the door
leave your fears behind
 
Il giorno aveva seguito la notte. Una, due, dieci volte.
E lei era ancora lì.
Non perché la trattenesse davvero, o perché volesse essere davvero lì. Ma perché l'aveva privata, semplicemente, della volontà. 
Alla fine aveva ceduto, Rose Weasley, a quella verità. Perché voleva, era più facile.
Semplicemente, una certezza spaventosa era stata meglio di ogni domanda dall'esito incerto.
Costruire il mostro, solo per lei. Edificarlo, renderlo grande, maestoso e imperscrutabile.
Non la verità, quella no, non avrebbe potuto davvero sopportarla.
Da allora l'aveva solo osservata ritrarsi sempre di più nel silenzio, nella rassegnazione, nel vuoto d'aria di pensieri sconcertanti e addii a labbra serrate.
L'aveva ascoltata piangere nella notte, l'eco a spandersi come acqua gelida sul pavimento e gli archi, lungo i muri e negli anfratti. Solo Incubus era rimasto impermeabile a quel dolore, contando i giorni, i minuti e le ore che lo separavano dalla sua vendetta.
Rose Weasley non era mai entrata nei piani. A stento l'aveva guardata, a stento sapeva di lei, a stento ci aveva pensato. 
Ma non esiste piano di riserva che non contempli il sacrificio di qualcuno, Incubus lo sapeva. Da quando l'Avada Kedavra aveva sibilato accanto al suo orecchio quella notte, Incubus aveva riposto un'insaziabile fiducia nel sacrificio degli inermi.
Rose Weasley non era mai stata inerme. Forse gli era piaciuto crederlo, forse, nel profondo, ci aveva sperato, anche quando si era ritratta istintivamente da lui. 
Aveva sbagliato, Incubus Mortimer, a riporre nella sua tattica tutte quelle speranze. Aveva sbagliato ogni cosa fin da quando, compiaciuto, l'aveva designata senza premurarsi di osservarla. Ma per quanto coraggiosa, non aveva davvero speranza.
Non c'era modo di lasciarla vivere, nemmeno rispettandola.
Provare quel fastidio era fonte d'inesauribile piacere per Incubus. Un piacere quasi struggente, quasi dolorante sul fondo del petto.
In una casa vuota dalle mura divenute frammenti, provava un piacere malsano nel dispiacere e nell'imperfetto esito di quel piano.
Ucciderla non sarebbe stato indolore come aveva creduto, non così semplice. E solo la consapevolezza di quella ferita, impercettibile e bruciante, era capace di esaltarlo come nient'altro.
La guardò anche in quel momento, raggomitolata in se stessa sul tappeto logoro, il vestito impolverato, il fuoco che scoppiettava ormai allegro, il camino che aveva ormai scaldato piacevolmente quella stanza come un vero soggiorno.
Mangiava a stento, non riposava mai, non parlava. Non lo guardava, nemmeno per rispondere alle sue domande a monosillabi.
Solo una notte, in preda al delirio per la febbre, aveva sussurrato
“Morirò qui vero?” prima di piombare nuovamente nell'oscurità. 
“Sì Rosie” le aveva promesso con le dita dalle unghie troppo lunghe e scheggiate dall'incuria “morirai...” lei aveva debolmente sorriso, quasi rassicurata, quasi in pace.
Condurre qualcuno così vicino alla follia e tirarlo via all'ultimo istante era una prova che nemmeno lui era certo di aver superato senza conseguenze. Quella ragazza, il cui cipiglio combattivo era stato fonte di più di una sorpresa per il suo orgoglio monolitico, stava morendo molto prima che lui pronunciasse la sua sentenza.
Si sedette sui talloni accanto a lei, fingendo di ravvivare il fuoco, lo sguardo fisso sulle braci incandescenti.
“Mi avevi promesso una notte intera Rosie” all'oscurità compatta della notte innevata, il grigio aveva già sottratto la supremazia. Strisciante e infida l'alba cominciava a irretirgli i sensi affaticati, a giocare con la percezione e imbrogliare la ragione.
“Quante notti vuoi ancora da me Incubus Mortimer? Quando la smetterai e la faremo finita?” era la prima frase di senso compiuto da quando si era ripresa dalla febbre. Da quando il calore aveva fatto evaporare da lei anche la testarda determinazione che era stato il suo marchio di fabbrica.
Masticò quelle parole senza assaporarle, senza più metterlo alla prova.
Si rannicchiò lontano, a disagio. Tremò leggermente, e per la prima volta Incubus domandò a se stesso se avesse definitivamente varcato quella soglia fra l'attrazione e la repulsione, senza poterla più richiudere dietro di sé.
Era la morte, l'odore marcescente della menzogna, il gelo della paura ad averli portati lì. Non un incantesimo, non la prigionia, non la follia di King. L'odore della cancrena del senso comune che andava sgretolandosi.
La morte li aveva condotti lì, e da lì li avrebbe strappati.
 
let me give you what you're giving me
you are the only thing
that makes me want to live at all
 
E Rose Weasley, con le sue ginocchia strette al petto e il terrore desolante sagomato sulle spalle, era ancora una tentazione. Qualcosa di pesante al centro dello stomaco, e contro la spina dorsale. 
Ma così no, così sarebbe stato come la maledizione Imperius. Una bambola rotta, una bacchetta difettosa, un incantesimo pronunciato male.
Un errore di giudizio.
“Presto Rosie. Presto sarà finita” lei sospirò, avvicinandosi di una manciata di centimetri. Forse a lui, forse solo al fuoco
“Perché non mi uccidi e basta? Puoi dare la colpa a King, raccontare di come eroicamente mi hai salvata dalle sue grinfie, ma di come sono inevitabilmente rimasta vittima del duello” inspirò, gli occhi vuoti, ridotti ad enormi pozze scure “puoi essere l'eroe del momento, e smettere di cercare la tua vendetta.” Incubus rimase in silenzio, e lei sorrise di una tristezza quasi solida “Ma non basterà mai vero? Non ti fermerai mai”
Si strinse nelle spalle, Incubus Mortimer, senza che quella promessa di gloria eterna sfiorasse nemmeno la sua pelle. Qualcos'altro però lo fece, silenziosamente, una consapevolezza nuova e diversa di una prossimità a cui non aveva mai fisicamente prestato orecchio.
“Ti ho già detto cosa voglio Rosie, non farmelo ripetere”
“Orrore” ribatté lei irrigidendosi visibilmente. Qualcosa della Rose Weasley che si divertiva a terrorizzare nei corridoi di notte, rispose al suo richiamo quasi animale.
“Equilibrio” precisò “il ristabilirsi di un antico ordine” lei rise così amaramente da tossire
“Il tuo ordine. Assoluto e irrevocabile. Che bravo, ci riuscirebbe anche un troll di montagna a stabilire un ordine in cui crede solo lui” Incubus sorrise, senza gioia, ma con piacere
“C'è una vaga giustizia in quello che ti aspetti da me. Ma dimentichi che non credo nella giustizia, non quella del Ministero, o quella dei tuoi genitori, o di Harry Potter” Rose sistemò una piega inesistente del vestito lacero. Quel piccolo vezzo gli era familiare, e sconcertante fu riconoscerlo in qualcuno che credeva morto.
“Ognuno ha la sua giustizia, ma se perseguissimo i nostri piani calpestando gli altri, non rimarrebbe niente per nessuno” fu allora che si rese conto che lei era ancora lì, sotto i capelli aggrovigliati, i vestiti logori e la pelle pallida. 
Senza rendersene conto, provò quasi sollievo. Trionfo. Desiderio.
Si alzò di scatto, quasi sopraffatto dal disgusto, l'elettricità statica, e qualcosa di difficile da identificare per una persona come lui. Il dubbio. Una piccola sillaba di debolezza fra le scapole.
 
when i am with you
there's no reason to pretend
that when i am with you i feel flames again
 
Rose non sembrò accorgersene.
“Per questo solo alcuni di noi si appropriano del diritto di farlo, e altri obbediscono all'autorità senza fare troppe domande” lei lo osservò muoversi nella stanza, con una punta di curiosità sotto i troppi strati di rassegnazione di cui andava velocemente spogliandosi.
“E voi cosa siete, un'avanguardia?” sembrò scettica. 
Rilasciava elettricità statica il suo essere scettica.
Elettricità che titillava dolorosamente la sua giugulare.
“Io, Rosie, ci sono solo io”
Le voltò le spalle, fissando lo sguardo su un punto a caso della parete. Un'incrostazione particolarmente resistente, una macchia di umidità maleodorante che focalizzasse la sua attenzione su qualsiasi cosa non fosse il tono di scherno di Rose Weasley, e quella scarica dolorosamente piacevole che gli provocava.
Lei si alzò camminando così lentamente da costringerlo ad ascoltarne ogni attimo
“E cosa sei tu?” non era una domanda, solo un sussurro appena udibile.
E Incubus sogghignò, al di sotto di ogni altra nota dolente nel suo petto, perché lei era sua. Davvero.
Completamente.
Crollata.
Si voltò con quello stesso sogghigno spaventoso inondato dalla luce tremolante del camino, e rispose.
“Tutto quello che vorrai” 
Fu un istante in cui nessuno dei due esitò. Fu qualcosa di diverso da qualsiasi cosa Incubus conoscesse. Fu un combattimento senza tregua né possibilità di resa. Di labbra, denti, pelle e arti scomposti.
Abiti logori e difese che crollarono a terra senza cedere. Unghie nella pelle, manciate di polvere strette fra le dita. Un pavimento cosparso di foglie secche entrate dalla finestra rotta in autunno, un tappeto sdrucito dalla trama irriconoscibile. Una copia del Paradiso Perduto dalle pagine arricciate e macchiate di umidità.
Rose Weasley non lo lasciò mai, nemmeno per un secondo, prendere il sopravvento. Non si arrese, non rinunciò ad attaccarlo serrando le dita fredde attorno alla sua gola per allontanarlo, osservarlo, sfidarlo a vincere in quel modo, senza il controllo che tanto vantava. Non qualcosa di meccanico da svolgere senza pensare, limitandosi ad accontentare le richieste di qualcuno la cui opinione non era altro che un marginale segnalibro ai margini della razionalità. Non un esercizio di retorica epidermica, affabulazione e soddisfazione vuota e meccanica.
Ingaggiò contro la sua pelle e le ossa sporgenti del bacino una battaglia di intenti, un massacro di intenzioni, una guerra di posizione in cui ogni centimetro guadagnato lo sorprendeva e indeboliva.
Uno scontro alla pari di volontà.
E Rose Weasley si fermò. Quando Incubus Mortimer credette di aver vinto, finalmente, le sue resistenze, lei lo trattenne in una presa decisa e tremolante fra i capelli 
“Chi sei tu?” non più cosa, solo chi.
Chi sono io? 
Non fu Incubus a trovare la risposta a quella domanda.
Forse, nemmeno ne esisteva una.
 
Just put me inside you
i would never ever leave you
 
Un momento di sorpresa. Nell'inconciliabilità di quel momento con la realtà, nell'incoscienza spaventata che muoveva i suoi polpastrelli, le ossa spigolose sotto la pelle, la stessa epidermide a scontrarsi contro di lei, Incubus serrò le dita contro i palmi e lasciò che il suo corpo la incontrasse.
Il dolore, il fremito, la scoperta.
Il sangue del traditore versato con consenso. Un consenso strappato a morsi e grattato via con le unghie insanguinate. Un prezzo che non era più sicuro di poter pagare.
Ma non incontrò nessuna resistenza. Nessuna espressione di dolore sui suoi lineamenti così vicini e irriconoscibilmente conosciuti. Appena un attimo di esitazione in quel contatto, una pressione che lo destabilizzò per quanto sembrò leggera e naturale.
Nessuna resistenza.
Rose lo fissò negli occhi attentamente, in attesa. Registrò ogni cambiamento della sua postura, ogni mancato contatto, ogni silenzio. Misurò le distanze e le perdite di quella battaglia così scoordinata e disarticolata. Nessun vincitore.
Terrore, sguarnito di ogni difesa, provò solo terrore. E quel lancinante sollievo nascosto negli anfratti dello sterno.
Sollievo. Così accecante da costringerlo a chiudere gli occhi e deglutire, ispezionarsi febbrilmente il petto alla ricerca del battito perduto.
“Non c'è ordine” sussurrò più a se stesso che a lei “nessun equilibrio” 
Incredulo terrore.
Incredibile sollievo.
Terrore.
E sollievo.
“Hai perso ancora, Incubus Mortimer” sussurrò lei con quella fulgente fiamma di testarda determinazione che non era mai riuscito nemmeno ad acquietare.
Sconfitto.
Quasi rise. Follemente, disperatamente.
Il sangue del traditore non poteva essere versato, non da lui. 
Non così.
______________________________________________________________________
 
Angolo di un'autrice che fate bene a disprezzare totalmente perchè se lo merita: spero che il riassunto iniziale vi sia stato d'aiuto, spero altrettanto che questo capitolo vi sia piaciuto, e che non vi abbia straniti più di tanto, dopo tutto questo tempo.
Non l'ho riletto troppo, quindi mi scuso per eventuali ripetizioni o errori, ma ero troppo entusiasta ed eccitata di averlo finito che sono proprio partita a razzo :D
La mia scrittura è cambiata, ma ho cercato il più possibile di uniformarmi al modo in cui ho sempre scritto, pur dedicando ampio spazio alla descrizione, visto che era importante principalmente capire dove eravamo arrivati, dove ci trovavamo e dove saremo andati a parare^^ Niente di così eclatante è successo, ma non potevo riprendere da dove avevo iniziato con flashback a tutto spiano ed eventi che si susseguivano a ruota. Non avrebbe avuto senso^^

Spero sia tutto chiaro, col cuore...

Preciso solo che Julia Vobjova, l'Infermiera di Durmstrang, è questa Julia qui che si credeva fosse una maga e una guaritrice ai tempi della Russia sovietica^^ 
E niente, volevo ringraziare con il cuore tutti coloro che mi hanno letta, seguita e recensita fino a qui. Posso solo assicurarvi che una cosa del genere non accadrà mai più, e che questa long troverà la sua fine nel modo migliore in cui riuscirò a guidarla fino al traguardo^^
Potete trovarmi qui, se ancora non mi odiate abbastanza da volermi dare fuoco ahahahah

   
 
Leggi le 12 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: sistolina