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Autore: Nivees    03/06/2013    5 recensioni
{ Dieci storie tratte dalle canzoni più belle dei Kagamine | Len/Rin ♥ }
Ogni volta che Rin non riesce a dormire la notte, corre sempre nel lettone di Len il quale, finché la sorella non chiude gli occhi, le sussurra una dolce favola della buona notte, stringendola a sé.
First night ~ «C'era una volta...» ...una bambola. [Dolls]
Second night ~ «C'era una volta...» ...una principessa. [Sword of Drossel]
Third night ~ «C'era una volta...» ...una parola. [Hello Again]
Fourth night ~ «C'era una volta...» ...un robot. [Kokoro]
Fifth night ~ «C'era una volta...» ...un prigioniero. [Paper plane]
Sixth night ~ «C'era una volta...» ...un sogno. [Dreamy Dance Party]
Genere: Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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Oh? Chi c'è qui?
... Scusatemi! Dico davvero, non immaginate quanto mi dispiaccia di questo terribile ritardo con cui pubblico questo capitolo, e quanto mi dispiace dirvi che non sarà l'ultima volta perché, ahimé, tra scuola e esami incombenti il tempo di correggere i capitoli successivi non c'è nemmeno a pregarlo. *sigh*
Ma ce l'ho fatta. Vi ho fatto aspettare un'eternità, ma la Niv torna sempre - presto o tardi. Questo tanto atteso quinto capitolo è preso da una canzone che non è tra le mie preferite in assoluto, ma la cui storia mi ha fatto piangere come un'idiota per un quarto d'ora pieno, quindi si è meritata un posticino in questa long.
Btw, godetevi il capitolo! Sperando tanto di non metterci DUE MESI per correggere il sesto D:
E ringrazio infinitamente quelle anime pie che mi hanno supportata, che hanno atteso con pazienza, chi ha messo la long nelle preferite/seguite/ricordate e chi, ovviamente, recensisce e anche chi legge in silenzio. E' solo per voi che faccio i salti mortali per pubblicare, sappiatelo! ♥




 

La dolce favola della buona notte

Fifth night ~ Paper plane

 

La notte dopo arrivò troppo in fretta per Len. Ormai doveva essere sincero con se stesso: stava diventando un'abitudine arrivare al letto – stanco e assonnato – accompagnato da una Rin pinpante che di voler dormire non ne aveva la più pallida intenzione. E quella sera, proprio come le altre, stesa accanto a lui c'era la sorella, che attendeva trepidante la sua favola quotidiana.
«Non avevamo detto che ieri era l'ultima?» ripeté ancora una volta Len, non molto convinto di ciò che stesse dicendo. Era diventato un ragazzo diviso in due: da una parte, voleva che quella routine finisse per non rischiare di fare qualche stupidaggine; dall'altra, per tutto il giorno non riusciva a pensare ad altro che al momento in cui sarebbe potuto restare solo con lei.
«Certo, l'avevamo detto» gli diede ragione Rin, ma il ghigno con cui glielo diceva non lo rassicurava per niente, «Ma vedi, onii-chan, ieri mi sono di nuovo persa metà della mia storia – non lo faccio apposta, giuro! – e oggi Miku mi ha confessato di quanto è gelosa di me, perché anche lei vorrebbe qualcuno che le raccontasse una favola per farla addormentare e quindi... beh, quindi... Ne voglio un'altra, ecco».
La guardò con gli occhi a mezz'asta, mentre lei ridacchiò sotto i baffi. Osservò le sue guance arrossire, le sue labbra seminascoste dalle dita stirarsi in un sorriso e i suoi occhi chiusi tremare leggermente a causa delle risa. Anche in quelle condizioni, era dannatamente bella – o forse era solo lui a vederla troppo irrestistibile, perché ormai... ormai...
«Neh, Len!» lo chiamò lei, vedendo che lui stesso non accennava a fare niente, troppo perso nei suoi pensieri, «Ti ricordi quella storia che ci raccontava Kaito nii-chan quando eravamo piccoli? Quella degli aeroplanini di carta?».
«Sì, me la ricordo» annuì, ricordando vagamente brevi momenti passati in compagnia del ragazzo, tempo fa – quando ancora non era occupato a farsele dare da Meiko – che canticchiava loro delle canzoncine per farli stare buoni, dato che toccava sempre a lui fare da babysitter. «E ricordo anche che era una storiella talmente stupida che probabilmente fu allora che capimmo che lui era, e lo è ancora sia chiaro, stupido».
«Già. Dieci minuti a canticchiare di come lui creava gli aeroplanini di carta a scuola e li lanciava verso la maestra, centrandola persino in un occhio. Hey, però era divertente ascoltarlo!».
Len sorrise, «Se lo dici tu. Io però ho un'altra storia, che ha decisamente molto più senso di quella di Kaito».
«Aaah~ Proprio questo stavo aspettando, Len Len! Su, sono tutta orecchi!» si rianimò tutt'a un tratto, mettendosi comoda abbracciando il cuscino e facendo segno al fratello di mettersi steso accanto a lei.
E Len, come ormai tutte le sere, acconsentì con un sospiro annoiato – che camuffava la sua effettiva felicità – e cominciava a narrare: «C'era una volta...».

...un prigioniero. Era un giovane ragazzo di all'incirca la sua stessa età, che continuava a guardare il cielo e i gabbiani che volavano liberi.
Rin lo osservava da lontano, nascosta dagli alberi. Si recava lì ogni giorno e lo osservava quel poco che faceva ingabbiato in quel posto, pensando a cosa potesse mai aver fatto di male per essere finito lì, quanto tempo sarebbe passato prima che potesse riavere indietro la sua libertà che, forse, tempo addietro aveva e che adesso aveva perso – e che bramava tanto di riaverla, e Rin lo poté giurare, perché i suoi occhi cerulei non mentivano, e brillavano malinconici ogni volta che guardava il cielo sopra di lui.
Voleva conoscerlo, non riuscì a non ammetterlo a se stessa. Voleva parlargli almeno una volta, e fargli tutte le domande che le vorticavano nella testa dalla prima volta che lo aveva visto.
Eppure, ogni volta che si avvicinava un po' di più a quelle spine di ferro che lo dividevano da lei, le parole le si fermavano in gola, e non riusciva più a parlare.
Che fare? Ormai il suo desiderio non la faceva nemmeno più dormire la notte; continuava a sognare il momento in cui avrebbe scoperto il suo nome, che avrebbe finalmente sorriso – solo e soltanto a lei – e avrebbe potuto accarezzare in suo volto, anche se si sarebbe poi fatta male a causa delle spine di ferro. Non le importava.
Durante quelle notte insonni, Rin scrisse.
Scrisse quello che sentiva in fondo al proprio cuore, quello che provava per quel ragazzo sconosciuto, arrivando a comporre delle vere e proprie lettere. E fu in quel momento, che Rin capì come fare per poter comunicare con lui, nonostante gli ostacoli, nonostante la sua voce che le si bloccava in gola.
Gli avrebbe lanciato quelle lettere, da quel giorno in poi.
Così, nascosta dietro un albero, Rin lo guardava ancora, prendendo ampi respiri per infondersi coraggio. Strinse al petto quel misero pezzo di carta che conteneva tutto ciò che provava, ormai tutto stropicciato dalle sue dita che continuava a muovere nervosamente. Fece un passo, poi un altro. Continuò così finché non gli fu davanti.
Lui la vide, e la guardò con i suoi grandi e bellissimi occhi cerulei.
Rin gli sorrise, e lanciò l'aereoplanino di carta che aveva creato con la sua lettera, sperando in cuor suo che il ragazzo non ignorasse quel gesto, che leggesse il suo contenuto e che le ricambiasse il sorriso.

E così fu.
Giorno dopo giorno, Rin gli lanciava aereoplanini di carta che contenevano pezzi del suo cuore, e lui rispondeva con sorrisi e con parole gentili, che Rin conservava nella sua mente con tanto amore. Ma giorno dopo giorno, lei continuava a volere di più, e ad essere sempre di più innamorata di lui, tanto da rifugiarsi spesso nei suoi sogni per potergli restare accanto almeno lì.
Il suo comportamento non restò incompreso da suo padre, però. L'uomo capì perfettamente cosa stesse accadendo alla figlia, tanto da arrivare a prendere quelle lettere che scriveva e stracciagliele davanti ai suoi occhi. Ma Rin non capiva, non riusciva a comprendere cosa ci fosse di sbagliato ad amare una persona. Forse perché era un prigioniero? Forse perché lei era proprio la figlia del capo delle guardie? O forse perché non le era permesso proprio di amare, a causa della sua condizione fisica?
Non riuscì mai a darsi spiegazioni, e le sue lacrime di dolore non scalfirono minimamente il genitore.

Arrivò presto il momento che Rin non riuscì più a camminare stabilmente. La sentiva, la ragazza. Sentiva la morte avvicinarsi a lei sempre di più, ma non aveva paura. O almeno, aveva solo paura di lasciarlo, di lasciare quel ragazzo che la stava ancora aspettando, come tutti i giorni, con i suoi sorrisi e con le sue calde parole che le scaldavano il cuore.
E se proprio per loro non c'era alcun destino, voleva almeno dirgli addio.
Così raccolse le ultime forze che le restavano e si mise in piedi, alzando da quel letto dell'ospedale che stava diventando troppo freddo per lei, si vestì velocemente ed indossò il suo cappello preferito, che sapeva che lui adorava. Prese carta e penna, e scrisse poche e semplici parole, ma che contenevano più di quanto lei potesse dire ad alta voce.
ʻDevo andare in un posto lontano, ma starò bene. Ti amo.ʼ
Arrivò davanti a lui affaticata, stanca ma felice di poterlo vedere almeno un'ultima volta. Non lo guardò subito, lanciò soltanto l'ultimo aereoplanino di carta e attese che lui l'avesse letto, prima di mostrare il suo volto prima celato dal capello e sorridegli contenta, mandandogli un bacio con la mano.
Lui non disse niente, e forse fu meglio così. Gli diede le spalle e con passo lento riprese la sua strada verso l'ospedale, verso un posto troppo freddo che sapeva di solitudine e morte, ma la sua voce la fermò.
«Perché te ne vai? Tu sei la mia ragazza, giusto? Devi restare con me, io voglio restare con te!».
Rin non gli rispose, né di voltò. Il suo cuore si strinse in una morsa, come se qualcuno lo stesse stringendo così forte da fargli un male tremendo.
«Ti aspetterò finché non tornerai, Rin. Stringerò le tue lettere ogni giorno, attendendo il tuo ritorno».
Scoppiò a piangere, la ragazza, un po' per contentezza un po' per tristezza. Era così contenta che lui l'amasse così tanto da aspettarla anche per sempre, ma si sentì così male al pensiero di doverlo far aspettare davvero per l'eternità, perché lei non sarebbe mai più tornata.
Corse via per quanto le sue forse glielo permettessero.
E quella fu l'ultima cosa che ricordava, perché...
«... il giorno dopo, la ragazza si aggravò e non si svegliò più dal suo sonno, finché non morì poco tempo dopo. Suo padre fu l'uomo che pianse più di tutti per la scomparsa prematura della figlia, perché in fondo al suo cuore sapeva che se avesse liberato l'altro ragazzo e avesse permesso alla figlia di essere felice, forse la malattia che aveva non l'avrebbe divorata, ma quando se ne rese conto fu ormai troppo tardi».
«Ma...» lo interruppe Rin, seminascosta dalle coperte e con il viso quasi completamente premuto contro il petto del fratello, «Il ragazzo che fine ha fatto?».
«Si dice che il padre della ragazza abbia dato la colpa a lui per la sua morte, probabilmente perché non riusciva a darsene una completa colpa. Chi lo sa, del ragazzo non si seppe più nulla. Forse è ancora lì, ad attendere invano il ritorno la ragazza» spiegò Len, poi sbadigliò, stanco e assonnato. Era così tardi e aveva un sonno incredibile.
Rin ridacchiò leggermente, «Neh, Len...».
«Mh?».
«Se anche io dovessi andarmene via – che so, forse in un viaggio in America con Miku e Luka – anche tu mi aspetterai, vero? Anche se ci metterò tanto tempo, vero?» chiese, con voce timida e facendosi sempre più piccola contro il suo petto.
Ma Len scosse il capo, prendendola in contropiede, «No, non ti aspetterò» disse, con voce tremendamente seria che per un attimo Rin ebbe paura che dicesse il vero, ma dovette aspettare poco prima che le sue paure ebbero fine, sentendo le parole che seguirono: «Non ti aspetterò, perché io sarò semplicemente lì con te, Rin».
«Ah, Len! Mi hai fatto prendere un colpo! Baka Len!», gli diede un debole ceffone tra i capelli, «Però sono contenta di questa risposta», rise, «Grazie per essermi vicino, Len Len!», gli schioccò un bacio sulla guancia e gli diede la buonanotte, stringendosi forse a lui – come tutte le sere. E come tutte le sere, Len le ricambiò il bacio tra i capelli e le diede la buonanotte...
... Sperando e pregando di non combinare un casino durante la notte, con Rin così vicina.
  
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