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Autore: PeaceS    03/06/2013    7 recensioni
Da un Malfoy ci si deve aspettare tutto, anche che ti renda la vita un inferno per noia. Specie per noia. I Malfoy annoiati, di solito, erano più pericolosi di un Potter arrabbiato. Ma Lily avrebbe dovuto saperlo… le migliori storie iniziano alle tre di notte e in quel momento, la lancetta più piccola, si posò proprio sul tre.
[ ... ]
Perché, se Scorpius Malfoy decide di renderti la vita un inferno e tu te ne innamori perdutamente, mentre la tua migliore amica è nelle mani di un certo Zabini - famoso per essere un porco - e cerca di conquistare un Nott di tua conoscenza anche se - alla fin fine - quel certo Zabini non è molto felice, non puoi fare altro che chiederti perché la vita ha deciso di renderti le cose così difficili.
Insomma, tutto quello, però, avrebbe dovuto aspettarselo: era o non era una Potter?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy, Un po' tutti | Coppie: Lily/Scorpius
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo primo –
You

 

“Siamo perennemente attratti da tutto ciò che ci può fare del male.
Ed il vero problema è che ne siamo perfettamente coscienti.”

 
 



 
« Oh, sei tu J.S  »
Joanne non sapeva se avrebbe dovuto offendersi per il tono deluso che aveva usato il ragazzo o essere felice per essere stata brava a nascondere qualsiasi indizio riconducesse a lei. Forse Dalton non era così contento di rischiare l’espulsione per trovarsi fuori dal letto a quell’orario indecente per colpa sua: forse avrebbe preferito venire espulso per qualcuno che non portasse le mutande così grandi da doversele alzare fin sopra lo stomaco.
« Chi ti aspettavi, Zabini, il primo Ministro? » sbuffò acida, incrociando offesa le braccia al petto e trattenendosi dal fargli la linguaccia come una bambina di tre anni.
« Ti prego, Smith, dimmi che hai intenzione di violentarmi o – maledizione – dammi un motivo valido per non ucciderti e approfittare lo stesso di te » disse Dalton, alzando gli occhi al cielo e poggiandosi con disinvoltura al muro alle sue spalle. Joanne aggrottò le sopracciglia, chiedendosi se fosse serio o se veramente avesse intenzione di ucciderla. « La morte non rientra nei miei piani, almeno non per questa notte » rispose Jo, sorvolando ingenuamente sulle parole precedenti come “violentare” e “approfittare di te” sicura che l’avesse detto per intimidirla: sapeva che Dalton provava ribrezzo per quelle come lei, quindi l’ultima cosa che la preoccupava e che lui volesse metterle le mani addosso o altre cose del genere.
« E allora, dolcezza, qual è l’affare che vuoi propormi? » domandò, mentre la sua pelle sembrava quasi confondersi con il buio di quella notte. Ma gli occhi, erano gli occhi che le fecero tremare le membra: erano azzurri ed era quello il motivo per cui, metà fauna femminile di Hogwarts, sospirava al suo passaggio.
Aveva la pelle color moka e gli occhi azzurri e obliqui, come quelli di suo padre, ma di un colore che cozzava sulla carnagione scura; le labbra carnose, forse un po’ troppo per essere quelle di un ragazzo, si stesero in un sorrisetto strafottente e le mostrarono la schiera bianca di denti che aveva fatto più di una conquista tra quelle mura. Gli zigomi alti rimpicciolirono gli occhi quando si tesero verso l’alto, mentre il naso – piccolo e dritto – si arricciava appena. « Il tuo aiuto, mi serve il tuo aiuto, Zabini e so che è incredibile, ma so che solo tu puoi darmi una mano e non mettermi in ridicolo davanti a tutta la scuola » disse Joanne, mordendosi le labbra per il nervosismo e giocando con una ciocca di capelli neri, ora portati lisci sulle spalle coperte ancora dalla divisa scolastica.
« Chi ti da la sicurezza che io non lo faccia? » domandò Dalton, alzando sarcastico un sopracciglio e continuando a guardarla, soffermandosi sul volto pallido e privo di trucco e mettendola in soggezione. Joe si strinse le braccia al petto, abbracciandosi e cercando di infondersi coraggio da sola – come aveva sempre fatto – e alzando orgogliosamente il mento come, da piccola, le aveva insegnato suo padre per affrontare i nemici e non mostrare mai una debolezza: nascondere i sentimenti agli occhi di tutti era un passo avanti per non venire colpita.
Se nessuno conosce il tuo punto debole, bambina, nessuno può ucciderti” diceva, ma con il tempo aveva imparato che anche lui mentiva. Quei bambini dispettosi, quelle ragazzine che traevano piacere nel vederla piangere e quei ragazzi che provavano disgusto anche solo al pensiero di poterla avere tra le loro braccia, non conoscevano il suo punto debole, ma avevano avuto sempre il potere di ferirla fin nel profondo.
Dalton la guardò attentamente, inclinando il capo e lasciando che la luce fioca delle candele la illuminasse completamente: Joanne aveva gli occhi troppo grandi e due piccoli buchi sugli zigomi pieni o “ciccioni”, come li definiva mezza Hogwarts; il labbro superiore era nettamente più carnoso di quello inferiore e le donava un aria perennemente imbronciata, mentre – si accorse – che il naso era piccolo, certo, ma lungo e dritto, quasi imperfetto, come non lo erano i lineamenti marcati che designavano un volto perfettamente a cuore. La vide prendere un grosso sospiro e il suo sorriso divenne sempre più grande.
« Sei un Serpeverde intelligente, il tuo scopo è ricavare un utile in tutto quello che fai e mettermi in ridicolo non ti aiuterà di certo ad avere quello che voglio offrirti » rispose Joanne, guardandolo in modo eloquente e ricambiando il sorriso, sorniona.
Dalton sogghignò: gli piaceva come ragionava quella ragazza e, silenziosamente, si guadagnò parte della sua approvazione. « Ebbene? » l’esortò, curioso.
Joanne si stropicciò il maglione con le mani sudate e fece un ennesimo lungo respiro prima di cominciare a parlare.
« Sono stanca di essere considerata quella “grassa” o semplicemente l’amica “pazza” di Lily, anche se pure lei non è che godi di un ottima reputazione… comunque, ho bisogno di cambiare per cominciare ad accettarmi e lasciar perdere il giudizio degli altri. Per stare bene con me stessa, mettiamola così.
Ne ho il diritto, capisci? E ho pensato di chiedere aiuto a te perché… beh, sei uomo e hai un buon gusto in fatto di donne; sai cosa piace agli altri e non ti interessa quello che pensano di te, anche se tutto ciò che pensano è più che positivo. Tutta Hogwarts pensa che tu sia perfetto e chi più di te può aiutarmi?
In cambio ti farò i compiti e – come Prefetto – cercherò di coprire più malefatte possibili e aiutarti come posso » finì, arrossendo sulle guance e sperando di cuore che lui non le scoppiasse a ridere in faccia e la mandasse allegramente nel dolce mondo dei “vaffanculo”. Dalton la fissò, interessato, mentre la sua testolina cominciava già a macchinare piani su piani.
« Affare fatto » soffiò, porgendole la mano che lei – presa dalla foga – strinse con un sorriso. Con uno strattone, Zabini, l’avvicinò a sé, poggiando le labbra sul suo orecchio e stirando la bocca in un sogghigno che preludeva tempesta.
« Non esserne così felice, Joanne, perché le cose non vanno mai come ci si aspetta » mormorò, mentre lei arrossiva dalla punta dei capelli fino a quella delle scarpe e si allontanava di scatto, quasi scottata dal suo profumo di cocco e dopobarba.
E, quel venti ottobre del duemila ventitré alle tre di notte, iniziò quello che Joanne – più avanti – avrebbe definito il patto che le avrebbe reso la vita un vero e proprio inferno.
 

***

 
 
« Tu. Hai. Fatto. Cosa? »
Joanne quasi rimpicciolì sulla sedia quando la sua migliore amica, sillaba per sillaba, quasi facendo lo spelling di ogni parola, le intimò quella domanda che sembrava più un “dimmi che è uno scherzo o ti crucio” piuttosto che un “ripeti, cara amica mia, non ho di certo capito”. Qualcuno, nella biblioteca, sibilò un “shh” stizzito, venendo fulminato da un occhiata furiosa della Potter che si sedette nuovamente con un botto, sorridendo in un modo così spaventosamente cattivo che, se Lord Voldemort l’avesse vista, non ci avrebbe pensato due volte a designarla sua erede.
« Ripeti quel “shh” e giuro che quel dito con cui me lo intimi te lo ficco su per il cu… » sibilò, bloccandosi furiosa solamente quando Joanne le mise una mano sulla bocca, impedendole di finire la frase.
« Lily, calmati! » bisbigliò Joe, mentre l’occhio di lince di Madama Prince le osservava da lontano, aspettando un altro minimo movimento per, sicuramente, cacciarle dalla biblioteca a pedate nel sedere.
« Mi dici che ti è saltato in mente, Joe? Tutta Hogwarts sa’ che Zorro usa la sua spada solo per affondare in qualcosa e tu, che non hai mai dato nemmeno il tuo primo bacio, ti sei permessa di chiedere aiuto proprio a lui? » mormorò Lily con foga, chiedendosi perché diavolo avesse aperto il libro di Pozioni se poi, quando lo faceva, succedeva sempre qualcosa che distoglieva la sua attenzione dallo studio; non che prima fosse concentrata al massimo, certo, ma almeno ci stava provando a memorizzare qualche nozione.
« Zotto? » domandò Joe, accigliandosi e chiedendosi cosa fosse.
« Zorro, Joe, Zorro. D’ora in poi sarà il nome in codice per chiamare quel troglodita di Zabini » sussurrò Lily, alzando gli occhi al cielo quando, per la seconda volta, Joe le tappò la bocca con entrambe le mani. Ecco, appunto.
« Ehm… comunque, non ho chiesto a Zotto lezioni di sessuologia, ma solo un aiuto in più per non assomigliare a mia nonna che – presa dall’Alzheimer – si avvolgeva nella tenda di velluto prugna del salone di casa e pretendeva di andare al gran ballo » disse Joe, roteando gli occhi e facendosi guardare male da Lily.
« È Zorro, non Zotto, maledizione! Comunque, fa come vuoi, ma fa attenzione: quello non sa tenere la spada nella fodera » sbuffò Lily, guardando di traverso un bigliettino infilarsi tra le gambe della sua migliore amica. Ecco, odiava ripetersi: ma appunto.
Joe arrossì e afferrò di slancio il biglietto, stringendoselo al petto e guardandosi circospetta attorno: non c’era nessuno nei dintorni e nessuno sembra aver notato il suo movimento brusco; sospirò, rilassandosi, e lesse con molta attenzione l’unica riga scritta in una calligrafia elegante e sinuosa: “Alle tre, Stanza delle Necessità, non vedo l’ora. D.Z”ecco, quella notte avrebbe dovuto affrontare la sua prima “lezione”, quella che l’avrebbe cambiata e – forse – le avrebbe insegnato a ignorare le voci che le ronzavano attorno e ad amare con più forza se stessa.
« Andrà tutto bene, Lils » mormorò, sicura, sorridendo a piene labbra all’amica e dandole un delicato buffetto sulla guancia per rassicurarla.
« Questo è il mio posto! » il sopracciglio di Lily saettò così in alto che, per un attimo, Joe lo vide sparire all’attaccatura dei capelli rosso scuro. « Non vedo scritto “Molly Weasley” su queste sedie, cugina, quindi niente è tuo di diritto! » rispose Lily, alzando gli occhi bruni sulla ragazza alle sue spalle, ritta e rigida come un pezzo di ghiaccio; Molly era uguale a Lucy, la sua gemella: i capelli rossi portati sempre in una coda alta, gli occhi azzurri e le lentiggini sul viso: un marchio Weasley indistinguibile che Lily cominciava ad odiare. Cominciava ad odiare tutti quei segni che la riconducevano a loro, che la disprezzavano fin nel profondo.
« Ho già avuto una “T” di Troll per colpa tua, Potter, non farò in modo che accada di nuovo! » sbottò Molly, arrossendo sulle guance e donandosi un pizzico di colore.
“Ancora con quella storia?” pensò Lily, disgustata dalla facilità con cui la incolpavano di qualsiasi cosa; se Molly aveva perso il compito di Trasfigurazioni la sera prima di consegnarlo non era di certo colpa sua! Nemmeno ci poteva entrare nei dormitori dei Corvonero, come avrebbe fatto a rubare il suo compito per farle avere una “T”?
« Oh, Weasley… ma Troll è un complimento che si addice perfettamente a te! » rispose una voce alle loro spalle, completamente estranea alla situazione.
Scorpius sorrise, mostrando una schiera di denti bianchi e un visetto angelico che non si addiceva affatto alla sua espressione ironica e un po’ incattivita. Lily aveva sentito più volte nominare Lucifero da sua zia Hermione ed era sicura: Malfoy era la sua reincarnazione.
L’angelo più bello del paradiso… cacciato per i suoi complessi di superiorità e la sua arroganza, la sua boriosità e la stronzaggine che ci stava tutta. Perfetto, gli calzava a pennello!
« Nessuno ha chiesto il tuo parere, sporco figlio d’unMangiamorte! » sputò Molly, tappandosi la bocca subito dopo. Madama Prince, che stava quasi per intervenire, si bloccò di scatto alle spalle del gruppetto, raggelata.
La faccia di Scorpius divenne una maschera di cera e  Joanne sbiancò. Lily si alzò di scatto, indignata: era quello il patto, lo aveva sempre saputo Molly e anche tutti gli altri. Per vivere in pace e in armonia com’era successo fino a quel momento, nessuno avrebbe più dovuto nominare Mangiamorte e Signore Oscuro. Nessuno. Tutti conoscevano la storia e molti nutrivano ancora dei pregiudizi verso i Serpeverde, ma la preside era stata chiara: il passato era passato, mentre il futuro era ancora tutto da scrivere; le strade non sarebbero state tracciate da sole… ed erano le scelte a determinare quel che erano, non la loro provenienza.
« ‘Fanculo » sibilò Lily, sapendo che si sarebbe beccata l’ennesima punizione: a pugni chiusi – e prendendosi tutte le soddisfazioni del mondo – colpì la cugina proprio sullo zigomo con una forza che, molto probabilmente, non sapeva nemmeno di possedere.
Molly urlò, cadendo, e Madama Prince balzò all’indietro: Scorpius proruppe in un « Cazzo, che gancio! » mentre Joe spalancò la bocca disegnando una perfetta “o”.
Maledizione, quella volta era nei guai e in guai seri. La Mcgranitt avrebbe fatto il diavolo a quattro e oltre a chiamare i suoi genitori per quella scazzottata alla Babbana l’avrebbe espulsa dalla scuola e addio diploma.
« Merda, le hai fatto l’occhio nero » bisbigliò Joanne, mentre Rose – che era appena arrivata in biblioteca – aiutava Molly ad alzarsi.
« Lily! » disse, esasperata, schiaffeggiandosi la fronte con un sospiro melodrammatico.
« Ha cominciato lei » borbottò Lily, soffiandosi sulle nocche escoriate e guardandola colpevole; certo, i suoi cugini si erano beccati parecchi incantesimi da parte sua, ma erano sempre stati lanciati con l’intento di sfiorarli appena, mai ferirli veramente e Rose lo sapeva, ecco perché non le aveva mai girato la faccia.
In realtà tutti sapevano che i cugini Weasley si comportavano in quel modo non perché Lily fosse veramente una traditrice, ma solamente perché non aveva scelto. Tutti sapevano ciò che aveva dovuto passare la famiglia Weasley durante la seconda guerra magica e le persone care che avevano perso durante quel tragitto impolverato e sanguinoso… e lei non si era opposta alla scelta del cappello, lasciando che la smistaste nel dormitorio di chi – in parte – aveva causato il dolore della loro famiglia.
« La Mcganitt ci ucciderà » disse Rose e la sua fu quasi una premonizione, perché, apparsa dal nulla e avvolta nel suo mantello verde scozzese, apparve la vecchia preside. La crocchia severa le tirava il volto raggrinzito e furioso, mentre le narici fremevano per la rabbia e la bocca diventava una sola linea sottile.
Era nei guai.
 
E due ore dopo si ritrovò seduta nell’ufficio della Mcgranitt con suo padre – chiamato con urgenza dal lavoro – sua madre e i suoi zii. E proprio perché aveva deciso di rendere la vita un inferno a tutti, all’incontro aveva presenziato anche Scorpius con i suoi genitori.
« È inammissibile un comportamento del genere nella mia scuola!  » stava sbraitando la Mcgranitt, mentre suo zio Percy annuiva, suo padre la guardava come se si fosse appena trasformata in un polipo e Draco Malfoy la fissava con pressione, quasi come se volesse leggerle nel pensiero.
Lily sospirò, mentre Molly non apriva bocca: sembrava essersi resa conto di quello che aveva fatto e – molto saggiamente – aveva deciso di chiudersi in un silenzio da tomba.
« La Potter l’ha colpita per difendere me » la interruppe Scorpius, catalizzando l’attenzione su di sé, Lily si trattenne dal pestarlo: era stato in silenzio fino a quel momento, prolungare il momento no, eh?
Harry si rizzò a sedere e lo guardò curiosamente, mentre Draco alzava un sopracciglio albino, chiedendosi perché mai la figlia di Potty-Potty avesse colpito sua cugina per difendere quello che sarebbe dovuto essere il suo nemico secolare.
« Difendere? Difendere? A meno che la signorina Weasley non l’abbia attaccata con la magia, non vedo il motivo di tanta barbaricità, signor Malfoy! » sbottò la Mcgranitt, mentre Astoria Greengrass inclinava in capo e si chiedeva perché mai suo figlio era stato difeso… da una donna, poi.
« Con tutto il rispetto, signora preside, ma la cosa stava cominciando a sfiorare il ridicolo: una sua studentessa non può starsene seduta per affari suoi che qualcuno l’accusi di essere una Serpeverde? » sibilò Scorpius, mentre Molly sbiancava notevolmente sotto lo sguardo inquisitorio dei suoi genitori.
Lily si morse il labbro, scegliendo il silenzio.
« Lily mi ha semplicemente difeso: sua cugina mi ha chiamato – molto carino da parte sua, devo dirlo – “ sporco figlio d’un Mangiamorte” e sembra che abbia ritenuto saggio chiuderle la bocca, come meritava di essere chiusa! » e a quelle parole lo studio cadde nel silenzio.
Silente, accanto a Piton nel quadro in alto, guardò il passato e il presente con espressione soddisfatta: le cose erano cambiate e c’era qualcosa in quei giovani che lo portò a sorridere bonariamente, con un emozione che non credeva più di poter provare; sarebbe nato qualcosa e lui non vedeva l’ora di scoprire cosa.
« Bell’insegnamento che impartisci a tua figlia, Weasley, complimenti! » sibilò Draco, trattenendosi dallo strozzare quella mocciosa seduta stante. I suoi peggiori timori si stavano avverando: suo figlio veniva accusato di qualcosa che non aveva fatto, di cui non aveva nemmeno coscienza e tantomeno colpa. Ma, a discapito di quel che credeva, c’era stato qualcuno a difenderlo: Lily Potter roteò il capo, fissando il soffitto con aria assorta; era totalmente diversa dal padre e dalla madre, non sembrava aver ereditato niente da quella famiglia.
Aveva i capelli color del rubino che le accarezzavano la schiena esile e il volto scarno pallido, macchiato appena da qualche efelide; gli occhi bruni erano contornati da grandi ciglia scure e Draco ci lesse strafottenza, noia e – alla fin fine – come ogni Serpeverde che si rispetti, l’ambizione, sentirsi dalla parte della ragione sempre e comunque, anche quando non ci stava affatto.
Sorrise: quella ragazzina era un bel rompicapo e – a costo di far venire un infarto a Potter – ce l’avrebbe vista alla perfezione accanto a suo figlio. Erano uguali persino nel modo di porsi e il modo di guardare gli altri dall’alto in basso, senza nemmeno accorgersene.
« Io non le ho insegnato proprio niente, Malfoy… è la storia che parla, non io! » disse Percy, alterato, balzando all’in piedi con un espressione irosa.
« La storia non dice un bel cazzo di niente e tua figlia, Weasley, non deve nemmeno osare parlare di qualcosa che non conosce! » sbraitò Draco, seguendo il suo esempio. Si fronteggiavano con gli occhi fiammanti, quasi pronti ad azzannarsi.
« Moderate i termini se non volete che vi sciacqui la bocca con dell’acido, impertinenti, e ora seduti, immediatamente » la Mcgranitt aveva alzato così tanto la voce che Lily si era tappata le orecchie, ancora ostinata nel suo silenzio. Guardò Scorpius di striscio e lo vide stringere con forza l’appoggio di legno della sedia su cui era seduto.
E il problema di una Serpeverde con il cuore Grifondoro era che sì, poteva anche ignorare affari che non erano suoi, ma c’era sempre qualcosa che le impediva di pensare completamente a se stessa e così, sotto gli occhi sorpresi di sua madre e Astoria, spinse il braccio di Scorpius e lo fece cadere dal bracciolo della sedia, afferrando la sua mano dal basso e stringendola con forza.
Scorpius la guardò sorpreso, sbattendo ripetutamente le palpebre.
Lily si limitò a sogghignare. « L’hai detto stesso tu… Troll si addice perfettamente a loro » bisbigliò a bassa voce, facendogli l’occhiolino e ricevendo lo stesso sogghigno in cambio.
Le migliori storie iniziano alle tre di mattina e, Scorpius, era sempre più sicuro della decisione che aveva preso: quello era il suo ultimo anno e non si sarebbe fatto sfuggire per nulla al mondo l’occasione di infastidire la Potter.
Gli piaceva troppo il modo in cui gli teneva testa!
 
Quella lite aveva fatto il giro di Hogwarts in men che non si dica, alimentando vecchi pettegolezzi e creandone altri: la storia che la Potter avesse una relazione segreta con Malfoy e che l’avesse difeso proprio per quel motivo, girava di bocca in bocca, facendo venire il volta stomaco a Crysantha e Joe,  sedute in Sala Grande in attesa del ritorno dei due idioti, rispettivi amici di l’una e l’altra.
Dalton sorrideva beato, osservando la Smith al tavolo dei Grifondoro con occhio indagatore, pensando al modo di migliorarla: ci sarebbe stato da divertirsi, ne era sicuro, e non vedeva veramente l’ora che arrivasse quella notte per giocare un po’ al gatto e al topo. « Sembra che tu voglia mangiartela con gli occhi, Dalton, smettila di fissare la Smith! » la voce infastidita di Thomas lo raggiunse e Dalton distolse lo sguardo da Joe solo per fissarlo in quello blu dell’amico.
« Perché mai dovrei farlo? » domandò con tono innocente, facendo spallucce e incrociando le braccia dietro la testa. Thomas storse le labbra, assottigliando gli occhi in un espressione contrariata.
« Perché, con mia somma soddisfazione, lei sarà l’unica che non te la darà » sibilò Tom, sorridendo angelico e affondando con forza la forchetta nel roast beef nel suo piatto.
Un sopracciglio scuro di Dalton s’inarcò, mentre diventava improvvisamente serio.
« Tu dici? Io non ne sarei così sicuro, amico mio » rispose Dalton, in segno di sfida.
Sentiva aria di gelosia, nell’aria.
Non avrebbe mai immaginato che a Tom piacesse la Smith: non che i gusti dell’amico fossero così buoni, ma non l’aveva mai sorpreso nemmeno a guardarla.
Oh, oh… le cose cominciavano a farsi interessanti.
« Sembra che Hogwarts sia a corto di inservienti, perché io e la Potter dovremmo pulire ogni fottuto angolo di questo castello senza magia » sbottò Scorpius, interrompendo i pensieri di Dalton e sedendosi di botto accanto a Thomas, con un diavolo per capello.
Lily, con l’espressione di chi non gliene frega una beata mazza, si sedette ad un posto di distanza da Crysantha, intimando a Joe – con un gesto della mano – che avrebbero parlato dopo.
« Carini… davvero carini. E dimmi, caro Scorpius, la tua dolce metà pulirà Hogwarts con solo un grembiule addosso? Perché, in questo caso, lascerò perdere le mie solite azioni quotidiane per darvi una mano » disse Dalton, guardando Lily lascivo e beccandosi un calcio da sotto al tavolo da parte di Scorpius.
« L’unica cosa che pulirai, se non chiudi il becco, sarà il tuo sangue da questo pavimento » sibilò Malfoy in risposta, chiedendosi perché diavolo suo padre gli avesse imposto l’amicizia – fin da bambino – con quell’idiota d’uomo.
« Spero che la Potter ti accoppi e che ci guazzi tu, nel sangue, barbaro! » sbottò Dalton, massaggiandosi la gamba e guardandolo con astio.
« Per amor di Merlino, state zitti, tutti e due! Sembra che la Potter abbia superato dopo sei lunghissimi anni – finalmente – la prova del fuoco! » disse Crysantha, caratterizzando l’attenzione dei Serpeverde sull’ultimogenita di Harry Potter.
Lily la guardò come se avesse dei serpenti al posto dei capelli, chiedendosi di che diavolo stesse parlando. « Dopo aver affrontato quelle iene dei miei genitori, essermi subita tre ore di urla da parte della Mcgranitt, il mio cervello è notevolmente in fumo… quindi, di grazia, mi spieghi cos’è questa prova del fuoco? » sbuffò Lily, mentre Albus, seduto al tavolo dei Grifondoro, cercava il suo sguardo.
« Di solito avviene al primo anno: i Serpeverde si guadagnano la fiducia degli altri compagni compiendo un azione particolarmente… eroica, che avviene una sola ed unica volta nella vita.
In questo modo accogliamo i compagni di casa… non bene, non siamo a Grifondoro, dolcezza, ma almeno non li tormentiamo fino al loro diploma. Comunque, tornando a noi, difendendo Scorpius e colpendo tua cugina, hai dimostrato… a chi sei fedele e di conseguenza hai superato la prova del fuoco » spiegò Crysantha e Lily si sarebbe data a testate nel muro fino a perdere coscienza.
Punto primo: solo ora glielo dicevano? Tipo sei anni prima non sarebbe andata bene? Maledetti tutti i Serpeverde e la loro progenie!
Punto secondo: fedele? Non era mica un cane, per la barba bianca di Merlino, quella parola le metteva i brividi d’orrore! Maledetti tutti i Serpeverde e pure lei, che ci stava tutta.
« Spero che bruciate tutti vivi all’inferno con Malfoy che vi punzecchi con un tridente di fuoco » sibilò a bassa voce e fregandosene di passare per una squinternata.
Maledetti tutti i Serpeverde, avevano aspettato sei anni per dirle che bastava difendere quello scemo di Malfoy per smettere di essere tormentata!
 
***
 
 
« Nuda, Smith, quale sillaba di questa parola non conosci? » Dalton si spaparanzò meglio sul divanetto di pelle nera che la Stanza aveva fatto comparire, mentre Joe sbiancava notevolmente.
Erano le tre e la stanza aveva dato loro ogni aiuto possibile: c’era uno specchio alto un metro, delle grucce che mantenevano vestiti di diversi tipi e delle scarpe.
Che Merlino lo aiutasse, quello era più che divertente, era esilarante.
« Che bisogno c’è? » balbettò Joe, rossa per l’imbarazzo.
« Ho bisogno di vedere le tue… doti, dolcezza, per sapere almeno da dove iniziare e quanto lavoro c’è da fare » sbuffò Dalton, spaparanzandosi ancor di più.
Joe ingoiò a vuoto.
Calciò via le scarpe, tolse la gonna, il maglione e la camicia, rimanendo in intimo: stesse mutande che le arrivavano allo stomaco e reggiseno di cotone bianco. Dalton scoppiò a ridere, quasi soffocando con la saliva.
Joe gonfiò le guance come una bambina, soffiando arrabbiata. « Merlino, Smith, ma non ti hanno mai detto che quelle sono passate di moda? » rise Dalton, quasi asciugandosi gli occhi dalle lacrime che premevano per uscire.
Quelle mutande non le portava nemmeno più sua nonna, che era stata sotterrata otto anni prima!
« Sono comode » mormorò Joe e Dalton decise che era arrivato il momento di calmarsi e osservare bene: Joe aveva i fianchi larghi e un po’ di pancetta, niente di eccessivo, in realtà; le gambe erano corte, ma non di certo ciccione e il suo punto forte – quello che quasi gli fece venire un infarto – fu il seno.
« Per i perizoma leopardati della Mcgranitt, ma che taglia porti? » sbottò, facendola trasalire.
Il sogno di un intera vita, maledizione, era davanti ai suoi occhi: delizia, assoluta delizia!
« Affari miei, Zotto » sibilò Joe, coprendosi il seno con un braccio e facendogli la linguaccia. Dalton aggrottò le sopracciglia: Zo-che?
« Va bene, va bene! Rivestiti, dolcezza. Cominceremo a lavorare sul portamento e solo alla fine rivoluzioneremo il tuo modo di… - Merlino, bruceremo quelle mutande, stanne certa – vestire » borbottò Dalton, sorridendo sornione.
Quella storia cominciava a diventare sempre più… interessante e tutti sapevano che quando c’era una sfida da vincere, Dalton Zabini non si tirava di certo indietro!
 

***

 

Venticinque ottobre duemila ventitré

 
Erano appena le otto di mattina e – tutti – sapevano che alle otto di mattina Lily Potter non ragionava nemmeno con una bacchetta puntata alla tempia: si limitava a girare per Hogwarts con gli occhi semi-chiusi e l’espressione di chi non sa nemmeno come si chiama, rispondere con grugniti degni di un Russo ubriaco e sbadigliare ogni due secondi, come se non avesse dormito nemmeno due ore di fila quando – in realtà – lo aveva fatto tutta la notte.
Figurarsi, poi, intavolare una discussione decente: la sua bocca aperta la diceva tutto su quello che pensava, ma Albus se ne strafregò, ignorando le occhiate scandalizzate dei Serpeverde e sedendosi accanto a sua sorella: guardava la sorella con gli occhi verdi penetrati, mentre lei si limitava a versarsi il caffè nella tazza. « Sta uscendo tutto fuori, Lily » sbuffò, bloccando il polso della sorella e rompendo il silenzio che si era creato. Naturale per lei e forzato per lui.
« Oh, al diavolo, mi dici come stai? » sbottò Al, mentre Scorpius si chiedeva se davvero Potter volesse intavolare un discorso con sua sorella in quelle condizioni.
Lily alzò gli occhi dalla tazza di caffè che aveva preso tra le dita, quasi sorpresa di trovarselo affianco: che ci faceva Albus seduto al tavolo dei Serpeverde? « Eh? » domandò, sbadigliando.
Scorpius si schiaffeggiò con una mano la fronte e Al alzò gli occhi al cielo.
« Ho saputo quello che è successo ieri e Molly ti manda le sue scuse » disse Al, guardandola dolcemente. Scorpius arricciò le labbra: era lui che aveva insultato, non la Potter, doveva scusarsi con lui, non con lei! E che diamine!
« Ah, si » borbottò Lily, sorseggiando il suo caffè tranquillamente, quasi come se fosse in pace con il mondo. Al roteò gli occhi, chiedendosi perché sua sorella alle otto di mattina fosse così inattiva e fulminando Malfoy con uno sguardo: che davvero avesse una storia con lui? Che la tenesse sveglia di notte, impedendole di riposare? « Smettila di fissarmi, Potter, mi consumerai se continui in questo modo » sbottò Scorpius, servendosi di una porzione abbondante di bacon.
« Ti tengo d’occhio, Malfoy… ti tengo d’occhio » disse Albus, indicandosi gli occhi con due dita e indicandolo la bellezza di tre volte.
« Paura, Potty! » sibilò Scorpius, sogghignando alla vista delle sue braccine esili e ridendo al solo pensiero che avrebbe potuto fargli qualcosa. Non che lui fosse un egrumero di due metri per cento chili, ma Albus Potter pesava quarant’otto chili ed era magro come un chiodo, figurarsi se poteva ferirlo anche solo volendolo.
Al ringhiò, mostrandogli il dito medio con tutta la simpatia possibile. Baciò sua sorella su una guancia e gli diede le spalle, tornando al suo covo di Grifoni.
« Hai per caso sentito quello che voleva? » sbadigliò Lily, guardando Scorpius come se l’avesse visto solo in quel momento. Il ragazzo si trattenne dal ridere per l’espressione sconvolta della rossa, scuotendo il capo. « Ritorna nel mondo dei sogni, Potter, tuo fratello è passato per un saluto » rispose Scorpius e lei lo fece, riprendendo a bere il caffè e mangiucchiare un po’ di marmellata con delle fette biscottate.
« Domani ci sarà la partita contro i Grifondoro, tu verrai? » domandò Crysantha, rivolgendosi a Lily con lo stesso tono trasognato che aveva utilizzato lei per chiedere a Scorpius che diavolo avesse detto Albus.
« Si, partita » mugugnò Lily, mentre Crys sbadigliava. Thomas, per caso, si chiese se quella notte qualcuno avesse dormito decentemente o avevano organizzato un festino privato alle sue spalle.
« Bene, bene » acconsentì Crys, guardando Dalton di sbieco, appena arrivato. Quest’ultimo si sedette con nonchalance accanto a Thomas, che – con un sopracciglio alzato – si chiedeva cosa avesse da essere così felice.
« Perché sorridi? » proruppe, infatti, dopo due secondi che quel sorrisetto cominciava a farsi irritante. Dalton sogghignò, versandosi una generosa dose di caffè corretto e chiedendosi cosa ci fosse di meglio che palpare le tette della Smith con la scusa di dover “tastare il territorio”.
« È per caso vietato? » domandò, accavallando le gambe e lanciando uno sguardo al tavolo dei Grifondoro: Joe era lì, persa in un mondo tutto suo.
“Delizios…” iniziarono i suoi pensieri, venendo interrotti da una manata di Thomas sbattuta con violenza sul tavolo. « Guardami quando ti parlo » sbottò, mentre Dalton si tratteneva dal ridere.
« Ti sto guardando » disse lascivo e Scorpius soppesò l’opzione di ficcarsi due dita in gola per vomitare.
« Merlino vi sotterri, maledizione! Sono le otto, mettete da parte gli ormoni maschili e pensate alla giornata che dovete affrontare » sibilò Crysantha, minacciandoli – con una forchetta – di morte cruenta.
« Mestruazioni? » domandò Dalton, angelico, beccandosi dietro un coltello e un bestemmione che avrebbe fatto rabbrividire persino Sirius Black.
Niente di anormale, comunque. La giornata era iniziata come tutte le altre: in modo tranquillo e disinteressato.
Lily non poté confermare per il resto: tra Pozioni, Trasfigurazione, Incantesimi e Cure delle Creature Magiche non aveva visto Joe nemmeno di striscio e non aveva potuto chiederle com’era andata la sera prima; aveva solamente visto la sua faccia pallida e l’espressione soddisfatta di Zabini e – non perse occasione – di mettere le cose in chiaro appena ebbe un attimo per respirare. Afferrò Zorro per le corna e lo prese in disparte, sbattendolo con violenza sotto le arcate che davano sul giardino di Hogwarts ed erano a pochi passi dalla Sala Grande.
Scorpius e Thomas si avvicinarono di poco per sentire bene la conversazione.
« Sentimi bene, animale: so del patto e so quello che stai facendo, ma non so quello che sta macchinando il tuo cervelletto da quattro soldi… sappi solo, comunque, che un solo passo falso e ti ritroverai nei pressi del Lago Nero a far compagnia alla piovra gigante » sibilò, ad un metro di distanza dal ragazzo.
« Non sai quanto mi piacciono le ragazze violente, Potter » sogghignò Dalton, guadagnandosi un occhiataccia da Scorpius.
“Ehi, ognuno si tenga il proprio giocattolo!” pensò, imbronciandosi.
« Di violento tra di noi, Zabini, ci sarà solo la tua faccia spiaccicata sotto le mie scarpe nuove, quelle di vernice » sibilò Lily, sorridendo velenosa e scuotendo la chioma rossa. Gli diede le spalle con un movimento brusco, mentre Dalton mormorava  « Touché » godendosi il panorama del suo fondoschiena.
Lily si strinse i libri sotto il braccio, ignorando il solito brusio che l’accompagnava e lasciando che la giornata trascorsa le scivolasse lungo la spina dorsale con un grosso e lungo sospiro: aveva due temi da consegnare per il giorno seguente, ma non aveva affatto voglia di chiudersi in biblioteca dopo quello che era successo; si recò verso il parco, restando distante dal Lago Nero, e si sedette sotto il solito Salice Piangente. Adorava quel posto, aveva un ché di magico che riusciva a toglierle di dosso qualsiasi ansia l’avesse accompagnata fino e lì. Era come tutto il resto: ovunque girasse il capo la magia le entrava dentro, fin sotto le ossa, e Lily non ne avrebbe mai fatto a meno.
Lei era nata per essere magica e sarebbe morta così, nella magia.
Aprì la borsa a tracolla, lasciando che i libri e le pergamene scivolassero sull’erba alta insieme ad una scatoletta di legno; era intarsiata da tante piccole rifiniture dorate e tanti fiori si susseguivano su ambedue lati. Lily l’afferrò tra le dita e sorrise: all’interno c’erano tre sigarette alla menta, una alla rosa e una foto con tutti i cugini Weasley, scattata un paio d’anni fa.
C’era Rose, che con i suoi ricci ribelli e i vispi occhi castani, bacchettava suo fratello Hugo, la sua fotocopia al maschile e con qualche anno in meno, tranne per gli occhi azzurrissimi e le efelidi, che gli macchiavano il viso infantile e vivace.
Molly e Lucy, trecce uguali, occhiali dalla stessa montatura, ma i sorrisi di chi aveva appena combinato un guaio e aveva intenzione di tenersi stretto il segreto più a lungo.
Dominique, maledizione, quanto le mancava Dominique! La sua piccola e ribelle cugina, sempre pronta a contestare le scelte dei genitori, sempre pronta a distinguersi dalla massa: i capelli biondi e setosi sciolti sulle spalle piccole e fragili, simili a tanti fili d’oro, gli occhi chiari, ma tanto chiari, quasi di ghiaccio, che guardavano l’obiettivo in modo malandrino e la pelle chiara quasi spiccava sotto il sole estivo.
Lei era l’unica, l’unica che si era complimentata con lei quando aveva saputo che era stata smistata a Serpeverde. Peccato che avesse deciso di studiare a Beauxbatons insieme a Louise, abbracciato proprio alla sorella nella foto; i capelli biondo-ramati portati in un codino, gli occhi azzurri made in Weasley e la bellezza di chi per un decimo ha il sangue Veela nelle vene.
Poi, infine, Roxanne e Fred. Entrambi con la pelle mulatta e con i capelli scuri, tranne per Freddie, la cui chioma tendeva al rosso-arancio; avevano entrambi gli occhi bruni ed erano Grifondoro – come ci si aspettava dai figli di George Weasley – e, ai tempi, erano stati i suoi cugini preferiti. Facevano entrambi parte dei Malandrini, che, insieme a suo fratello James, erano rinati grazie a quest’ultimo.
Ma era andato tutto distrutto, loro non la guardavano più con affetto e non volevano più saperne di lei. Ora la sua famiglia era Joe e basta, nessun altro.
« Può non essere rassicurante, certo, ma ora la tua famiglia siamo noi » Crysantha sembrava averle letto nel pensiero perché, prima di sedersi sull’erba, sussurrò quelle parole.
Con le dita lunghe e pallide sfilò una sigaretta dal pacchetto di legno, accendendo l’unica alla rosa con la piccola fiammella che era apparsa dalla bacchetta. « Io non sono stata smistata a Serpeverde per trovare una famiglia, Nott.
La mia famiglia crede che io l’abbia tradita, ma ho scelto solo quello che ritenevo giusto per me e a questo mai nessuno ci ha pensato; il cappello parlante mi aveva dato una vasta scelta, ma solo due dormitori ricadevano a pennello per me.
Grifondoro, per accrescere il mio coraggio, per la mia audacia e il mio sprezzo per le regole; sarei potuta diventare la fotocopia sputata dei miei genitori e soddisfare appieno le aspettative di tutti.
Poi… Serpeverde. Oh, Serpeverde. Perché per la mia ambizione serviva un grande dormitorio che avrebbe soddisfatto appieno le mie aspettative. La mia furbizia, quella che mi ha evitato parecchie punizioni e aiutato a superare parecchi ostacoli.
E poi l’astuzia: quella che mi ha portata tra di voi; diffidenti, estranei alla massa, così simili a me, eppure così distanti.
Ho scelto Serpeverde per una mia vittoria, per la mia gloria personale, per non dar credito a tutte quelle voci che già mi collocavano – che già mi gemellavano, dandomi per scontata – a Grifondoro.
Questo nessuno l’ha mai capito » mormorò Lily, guardando con la coda dell’occhio Crysantha appoggiarsi contro la corteccia dell’albero, aspirando dal filtro e bagnandolo appena contro le labbra.
« Tutti i Serpeverde sono stati smistati per una vittoria personale, Potter, non lo sapevi? » rise Crys, ciccando sull’erba e storcendo le labbra in un sogghigno: oramai gli amici di Malfoy avevano assunto persino il suo modo strambo e cattivo di sorridere. Ma solo lui era irritante quando lo faceva.
« Ora lo so’ » rispose Lily, ricambiando il sorriso.
« Non siamo la tua famiglia… diciamo che siamo il mezzo per arrivare allo scopo finale: diventare qualcuno che non sia riconducibile al cognome Potter o Weasley » disse Crysantha e sembrava più un patto che una constatazione.
« Ehi Nott, mi serve l’ultima firma per quella cosa » la voce squillante di Elinor Turner le raggiunse a metri di distanza, venendo immediatamente raggiunte dalla sua figura slanciata: Corvonero, capelli bruni e lisci, lunghi fino alla vita, occhi verdi e labbra perennemente tese in un sorriso. Elinor era quella che un tempo era stata Luna Lovegood, una totale svitata, con la testa tra le nuvole e l’espressione sognante che sembrava non poter essere distrutta nemmeno dal più cinico essere umano esistente sulla terra.
Elinor faceva parte di un gruppo chiamato Flower e mezza Hogwarts si divertiva a soprannominarli i figli dei “fiori”, attinente al nome e al comportamento assolutamente pacifico dei ragazzi.
Erano l’anima di Hogwarts: organizzavano festini privati e illegali – come li apostrofava Joe – facevano i compiti richiesti dagli studenti in cambio di favori, truccavano alcune partite di Quidditch rubando alcuni “ingredienti” dalla dispensa di Lumacorno e così via, dando vita ad una vera e propria associazione a delinquere.
Elinor era il capo, a suo seguito c’erano Abgail, una tappa di appena un metro dai corti capelli biondi – Grifondoro – poi Lysander e Lorcan Scamandro, i due gemelli con la passione per le piante. In poche parole i figli di Luna coltivavano grandi distese di Marijuana senza sapere che nel mondo babbano li avrebbero arrestati e messi in gattabuia per poi buttarne la chiave. Anche loro Corvonero.
Destiny Hill e Marissa Brown, due cugine dall’animo pacifista, Tassorosso e infine Terence Steeval, capelli rossicci e occhi azzurri, figli di Terry Steeval, che a suo tempo aveva anch’esso partecipato alla seconda guerra magica: Corvonero come il resto della famiglia.
Sette persone che di normale non avevano niente, ma che formavano il numero magico perfetto: strambi nel modo di vestire, parlare e porsi, si erano conquistati l’amore di tutti gli studenti e volgevano tutto quello a loro favore.
« Ne parlerò con Dalton, Turner, sai che i Grifondoro sono incorruttibili e avere la loro firma è quasi impossibile… non c’è una via di mezzo? » domandò Crys, mentre Elinor si sedeva sull’erba accanto a loro e sfilava una bustina dalla borsa a tracolla rosso fuoco.
« La firma di un Prefetto e siamo pace » disse, passando la bustina a Crys e accettando con un sorriso i molteplici galeoni che lei le diede. Lily non provò nemmeno a contarli.
« Questi sono per il servizio e la festa  » mormorò Crys, ammiccando e riavviandosi i capelli neri con un gesto secco.
Elinor annuì, alzandosi e spazzolandosi la gonna, sorridendo. « Ci vediamo questa sera per la firma, Nott e fidati… non rimarrai affatto delusa, domani » disse, facendo un piccolo inchino e andandosene, mentre Lily arcuava le sopracciglia scure.
« Da cosa non rimarrai delusa, domani? » domandò Lily, guardando Crysantha curiosamente. L’altra sorrise in risposta, spegnendo definitivamente la sigaretta nel terriccio appena umido.
« La festa. Domani è il compleanno di mio fratello e fidati, Potter, sarà un vero e proprio delirio »
E Lily non ne dubitò: quando i Flower decidevano che qualcosa doveva andare per il verso giusto… ci andava eccome.
   
 
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