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Autore: Cheche    05/06/2013    1 recensioni
Diversi momenti di due vite legate tra loro, dalle origini all'età adulta. Piccole storie autoconclusive che seguono una linea temporale ben definita.
[Blue & Silver, Chosenshipping; accenni di altre coppie.] [Rating variabile]
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blue, Silver
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga
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Prima infanzia. Parte prima o dell’Incontro

 

 
I.
Attraverso le fessure della maschera, la piccola Blue tentava di scrutare le espressioni degli altri presenti. Erano forse spaventati come lei? Qualcuno avrebbe mai potuto abbracciarla e starle accanto, dicendo che sarebbe andato tutto per il meglio? Tentava di cogliere in loro tracce del suo stesso smarrimento, ma quei bianchi oggetti coprivano i loro volti, rendendo impossibile tra loro lo scambio e la condivisione delle emozioni.
Erano solo piccole pedine senza un’individualità, senza un’identità. Blue era la più piccola di tutte, era l’unica che, nella breve fila dei ‘prescelti’, non riusciva a smettere di tremare vistosamente di freddo e di terrore.
Aveva soltanto cinque anni e già la situazione la costringeva a prendere coscienza della sua posizione. Per quanto ottimista di natura, dovette capire che era una bambina più sfortunata degli altri, che forse la sua mamma e il suo papà adorati non sarebbero tornati a prenderla. Ne assunse la consapevolezza e sentì il suo mondo di fiabe spensierate accartocciarsi, crollarle addosso e ferirla. Se le fosse rimasta in corpo un po’ di voce, se non avesse urlato già così tanto, avrebbe continuato a gridare, ad erigere un maledetto muro di suono attorno alla sua presenza. Una parete assordante che avrebbe tenuto lontani quegli estranei, che non avrebbe permesso a nessuno di toccarla e percuoterla.
Ricordava benissimo le mani di Maschera di Ghiaccio – così aveva detto di chiamarsi il suo rapitore e il loro capo. Erano così fredde, così rudi, avevano stretto le sue membra senza alcun riguardo, incitandola con veemenza a muoversi, mentre quella voce severa e gelida d’adulto tuonava: ‘Vedi di non deludere le mie aspettative!’.
Le sue erano mani capaci di colpire, la personalità era quella di qualcuno in grado di uccidere. Se ciò fosse servito ad ottenere l’oggetto del suo desiderio, Maschera di Ghiaccio non si sarebbe fatto scrupoli. Aveva già iniziato ad usare persone innocenti, isolandole nell’oscura prigione che aveva predisposto.
Blue capì, dal modo in cui gli altri se ne stavano spavaldamente immobili, che avrebbe dimenticato cosa fosse l’affetto. Nessuno le avrebbe regalato un abbraccio.
Si sarebbe ammalata per il freddo, magari sarebbe anche morta e quel pensiero la fece sorridere. Come avrebbe reagito Maschera di Ghiaccio accorgendosi del decesso di uno dei suoi bambini prodigio? Magari avrebbe percepito un acuto senso di colpa, avrebbe risvegliato qualche sentimento umano lasciando fuggire tutti?
Se fosse deceduta, però, non avrebbe potuto andare con gli altri verso la libertà. Voleva rivedere i suoi genitori, lo desiderava con tutto il proprio tenero cuore di bambina.
La sua vista fu offuscata dalle lacrime e lei singhiozzò in silenzio, tremando ancora più visibilmente. Nessuno se ne accorse, continuando a guardare in avanti. Quando piangeva, una volta, erano sempre pronti a zittirla, magari consolandola con un regalo oppure insegnandole l’educazione con una sgridata. Adesso tutti erano sordi al suo grido d’aiuto.
Guardatemi, almeno!
Blue piangeva, tutto il viso era cosparso di lacrime che nessuno avrebbe potuto vedere, neanche se lo sguardo degli altri si fosse posato per sbaglio sulla sua piccola e fragile figura.
Guardatemi! Ho bisogno di essere guardata… di essere… abbracciata.
Tremava ancora, avrebbe forse continuato finché non fosse caduta senza energie in un sonno profondo. Dischiuse gli occhi e si accorse che Maschera di Ghiaccio era tornato. Altre gocce fuoriuscirono copiose dai suoi occhi gonfi, più rossi della pelle che si era fatta improvvisamente pallida.
Quando però si accorse di un dettaglio importante, sentì il pianto fermarsi. Tra le mani dell'uomo un bambino mascherato si dimenava, incapace di urlare, privo di voce. Era l’ultimo prigioniero, il Numero Sei.
 
II.
Era piccolo, più giovane di lei senza alcun dubbio. Aveva un’aria tanto fragile da suscitare in Blue un acuto senso di fastidio. Probabilmente era più bisognoso di lei delle cure a cui la bambina anelava fino a pochi istanti prima. Cosa ci faceva lì? Avrebbe retto le pressioni e la crudeltà di quell’uomo?
Un infante così piccolo da non reggersi neppure in piedi; così appariva ai suoi occhi bagnati di lacrime. E ora Maschera di Ghiaccio, dopo averlo spinto rudemente a terra, lo stava rimettendo in piedi afferrandolo dalla testa, tirando e strappando alcuni dei lunghi capelli rossi del bimbo.
Questi si sollevò forzatamente, tacendo rassegnato, tremando sulle piccole gambe poco sviluppate. Tentennò qualche volta, ciondolò malfermo sui propri piedi.
“Piccolo smidollato, raggiungi ora la tua compagna.” Ordinò spietato il rapitore, indicando Blue.
Prima che il bambino potesse voltarsi verso di lei, sussultò e collassò a terra con un tonfo, sbattendo la maschera sulla fredda pietra del pavimento. La piccola non poteva vedere il suo viso, ma forse stava piangendo. Non ne era sicura, perché lui pareva completamente muto, piuttosto che privo di voce.
“Questo Numero Sei è un incapace.” Lamentò Maschera di Ghiaccio in tono sprezzante. “Un addestramento mirato saprà porre rimedio ai suoi evidenti handicap motori.”
Handicap motori? Blue rabbrividì, tendendosi e sentendo una cieca rabbia percorrere il proprio corpicino. Ma avrà due anni! Cosa pretende da lui? Che si muova come un ninja di un film in tivù?
La bimba però già prevedeva che quei pensieri bambineschi e fantasiosi sarebbero corrisposti alla realtà.
 
III.
Il bambino si era attaccato al suo vestitino nero e lei sentì che tremava anche lui. Possibile che l’unico a condividere i suoi stessi sentimenti era una creatura così piccola, ancora più indifesa di lei?
Quasi senza rendersene conto, strinse a sé il corpo dello sconosciuto, immaginando le sue lacrime e la sua espressione trasfigurata dalla paura aldilà della maschera. Fu difficile, non conoscendone i lineamenti, ma lei aveva la sensazione di poterli immaginare, a partire da quel guizzo argentato che aveva intravisto nelle fessure di quell’odiata copertura identica alla sua.
“Se dovete scambiarvi tenerezze, la stanza è da quella parte. Se lo farete ancora davanti a me, sappiate che vi dividerò.” Affermò duramente Maschera di Ghiaccio, indicando un corridoio buio nel quale Blue si addentrò senza indugi, trascinando con sé il corpo stanco del compagno.
Sulla porta scheggiata vi era una piastrella di ferro con sopra incisi due numeri, ‘5-6’. La piccola intuì che quella era la loro stanza, quindi aprì la porta. Non aveva una chiave a sigillare la serratura, in modo che Maschera di Ghiaccio e i loro compagni potessero entrare a controllarli in qualunque momento.
Nel cubicolo scuro e umido non c’era nulla oltre ad un piccolo letto a castello che pareva fatto su misura per dei bambini. Si accorse che il materasso in alto era pericoloso, in quanto non aveva nulla a bloccare una possibile caduta.
“Dormirò di sopra.” Sospirò Blue, guardando il bambino. “Mettiti pure qui.” Disse, sospingendo delicatamente colui che il Capo aveva chiamato 'Numero Sei' verso il letto più basso.
Normalmente la bambina avrebbe protestato. Soffriva di vertigini, aveva una quantità immensa di fobie, ma si rendeva conto che il suo compagno era ancor più delicato e bisognoso rispetto a lei. Non sarebbe stata lei ad essere protetta; avrebbe dovuto crescere subito, diventare adulta in un’orrenda giornata dei suoi cinque anni.
Blue era pronta a dimenticare il proprio egoismo di bambina viziata, perché doveva proteggere quella creatura che aveva davanti, che magari le avrebbe un giorno donato abbracci con l’affetto che disperatamente rimpiangeva.
Per ora, tuttavia, la sua presenza le dava fastidio. Come si permetteva di essere più piccolo di lei, così tanto più fragile?
Come osava, sdraiato sul letto, tirarle il vestito con quel suo braccio corto e paffuto, cercando di attirarla a sé?
Lo stava davvero facendo, le aveva afferrato con presa debole un lembo dell’abitino nero e le chiedeva silenziosamente di avvicinarsi, per fargli compagnia sul letto e per dormire con lui. Blue si sentì stringere il cuore e quell’egoistico risentimento cominciò a scemare. Se non avesse già pianto tutte le sue lacrime, avrebbe ricominciato a frignare senza ritegno.
“Come ti chiami?” Chiese con un filo di voce, improvvisamente interessata a quel compagno.
Il bimbo scosse la testa, senza dire nulla. Lo vide confusamente cercare una tasca della felpa che indossava, ma da quella posizione riusciva solo a trovare stoffa piana. La fanciulla intercettò la mano del compagno, sentendola fredda e lievemente sudata. Doveva essere ancora spaventatissimo, magari diffidente nei confronti di quella ragazzina che neanche conosceva, ma così bisognoso di tenerezza da non badare all’identità di chi aveva di fronte.
Blue cercò da sé la tasca, estraendo un fazzoletto di stoffa con sopra ricamata una parola. ‘Silver’.
Con ansia puntò i suoi occhi in quelli del bambino, riuscendo a distinguerli al di là della maschera.
“Tu ti chiami Silver.” Disse, tremando un poco. “Perché i tuoi occhi sono color argento.”
Erano grandi, metallici e avevano pianto. Avevano versato ancora più lacrime di quante ne avesse versate lei.
Il bambino oscillò debolmente la testa, accennando un assenso. Blue lo abbracciò disperatamente e riuscì a spingere fuori quelle ultime gocce che ancora prudevano nei suoi occhi, rimanendo sospese.
Finché non si trovarono entrambi senza energie, continuarono a scambiarsi calore; infine si addormentarono su quel materasso privo di lenzuola e coperte.
  
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