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Autore: delilaah    05/06/2013    11 recensioni
Dietro ad un nome si possono nascondere molte cose: un viso, un carattere, un lavoro, un'anima. In questa storia tutto ruota intorno ad un nome elegante e aggraziato ed alla ragazza che porta quel nome. Ma in fin dei conti si può mentire su tutto, non trovate? Soprattutto quando quel nome nasconde dei segreti che non possono essere raccontati.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3.    Le luci della ribalta

 

 
“Mi riconoscerai nelle luci scintillanti? Cerco di mantenere il mio battito cardiaco, ma proprio non riesco a farlo bene”
(Emeli Sandé)





 

«Sono tornato! C’è nessuno?!» esclamò Harry a gran voce, estraendo le chiavi dalla toppa della porta per aprirla. Ovviamente nessuno gli rispose, ma dalle fragorose risate che provenivano dal salotto dedusse che qualcuno in casa doveva sicuramente esserci. Così, dopo aver posato le chiavi al solito posto si voltò verso la sua accompagnatrice e la guardò incerto; «Che fai, entri o no?»

Ginevra lo squadrò da capo a piedi, mantenendo quella sua aria da ragazzina sprezzante ed imbronciata, e poi fece due passi in avanti, sorpassando il ragazzo ed avviandosi agli schiamazzi che saturavano l’aria. La scena che le si parò davanti le sembrò strana ma incredibilmente interessante: Lydia, che si trovava seduta al centro del divano, quasi totalmente sprofondata in esso, era per lo più assalita dai quattro/quinti della ormai rinata band che se ne stavano attorno a lei, ordinatamente separati a due a due. Da una parte Louis e Niall che continuavano a confabulare con fare complice, dall’altra parte Zayn e Liam, dove quest’ultimo tentava disperatamente di confortare l’amico che, a giudicare dall’espressione, sembrava sull’orlo di un baratro di sconforto.
Quando una risata alquanto diabolica di Louis riecheggiò nella stanza, Ginevra decise di avvicinarsi di più per capire che cosa stesse accedendo e per quale motivo Louis fosse improvvisamente così euforico.

«Cioè tu ci stai dicendo che una volta sei anche stata la punta della piramide?» ripeté Louis, insistendo su quel punto che la ragazza sembrava aver appena spiegato.

«Sì... cioè, tecnicamente non era il mio ruolo, io eseguivo per lo più diagonali e avvitamenti, ma quando Tiffany – che voi, chiaramente, non conoscete – si è slogata il polso ho dovuto sostituirla io.... ma solo per un paio di settimane!»

«Oh mio Dio! La punta, Zayn! La punta!» sbraitò Louis con un tono di voce incredibilmente alto, «Sei spacciato, amico! Sganciami cinquecento sterline tonde tonde e finiamola con questa umiliazione!»

Il ragazzo interpellato, a quel punto, si passò le mani in volto e sospirò così forte che i suoi polmoni rimasero praticamente semi vuoti, per poi rispondere piuttosto mesto e sconfortato; «Che figuraccia, non mi resta che pagarti.... maledette scommesse da ragazzini arrapati.»

«Posso sapere di cosa state parlando?» intervenne a quel punto Ginevra, costringendo tutti a voltarsi verso di lei che, fino a quel momento, era stata ingiustamente ignorata.

«Ginevra! Per fortuna!» esclamò Lydia in un momento di sollievo, alzandosi frettolosamente dal divano per correrle incontro ed abbracciarla; «Ti prego portami via da questi invasati

La ragazza si lasciò scappare una risata e lasciò che Lydia si adagiasse completamente al suo torace, stringendola così forte che quasi non riusciva a respirare. Solo in quel momento si accorse che Harry era rimasto per tutto quel tempo appoggiato con una spalla al muro, in silenzio e lontano dai loro sguardi. Così, ancora impegnata a stringere l’amica, gli fece cenno di raggiungere i suoi amici, ma lui in risposta alzò le spalle e si ritirò in cucina, ignorando bellamente la situazione che si era creata.

«Che ti stanno facendo?!» chiese a quel punto Ginevra, tentando di nascondere la delusione appena ricevuta.

«Sono due ore che mi fanno tutte le domande possibili e immaginabili sul mio periodo da cheerleader! Ti prego, salvami!»

«Mi sono perso qualcosa.» dichiarò Liam con fermezza, arricciando le sopracciglia mentre fissava Ginevra con aria interrogativa, «Ti conosciamo?»

«No, voi non mi conoscete, ma io conosco voi. Molto piacere, io sono Ginevra, la compagna di stanza di Lydia e la “quasi-tutor” del signorino Styles.»

«Ah già, non vi ho mai presentati.» si rimproverò Louis, «Bene: Ginevra, ti presento tutti. Tutti, vi presento Ginevra! Ora Zayn.... paga e sorridi!»

«Ma non ce li ho i soldi adesso!» piagnucolò il ragazzo sprofondando nello sconforto più totale, mentre Liam continuava ad accarezzargli la spalla per tirarlo un po’ su di morale.

«Paga da bere! Malik paga da bere! Paga da bere! E Malik paga da beeeere!» si intrufolò Niall alzandosi in piedi per eseguire una strana danza con Louis, l’unico che tra tutti sembrava non voler smettere di gongolare.

«Ma mi spiegate cosa sta succedendo?!» incalzò allora la ragazza, scostando l’amica dal suo torace per portare le mani ai fianchi, «Sono tutt’orecchi!»

«E’ una storia lunga, Empatia. Non capiresti.» le rispose Harry che aveva finalmente deciso di uscire da quel suo pragmatico silenzio stampa.

«Che ne sai tu! Almeno provateci a spiegarmelo!»

«Bene, le cose sono andate così:» incominciò Liam schiarendosi la voce, «eravamo in America per registrare il nostro primo album, quindi un secolo fa praticamente, e Louis e Zayn decisero di fare una scommessa dove il primo che abbordava cinque ragazze americane, vinceva. Ovviamente, fosse stato così era troppo semplice, quindi, sotto mio consiglio, hanno complicato le cose ponendo come condizione necessaria che tutte e cinque dovessero essere delle cheerleader...»

«Il che sembra una cosa scontata, penserai. In America sono quasi tutte cheerleader, no?» continuò Niall con sguardo complice, «Beh, si dia il caso che questi due sono così sfigati che hanno pareggiato per tutta la durata della scommessa, facendo sempre due-a-due, tre-a-tre e così via....»

«Poi io mi sono fidanzato con Eleanor, e le cose sono diventate complicate per me... così abbiamo accantonato la scommessa per tutti questi anni, anche perché era diventato quasi impossibile parlare con una ragazza senza che ti aggredisse o ti svenisse davanti... e prima, parlando con Lydia, ho avuto l’illuminazione: boom! Ho vinto!» concluse Louis urlando, accentuando e non poco la parola “boom”.

«Quindi adesso Malik ci porta fuori a cena e paga lui!» concluse Niall stranamente infervorato, mentre strofinava le mani.

A quel punto Ginevra guardò Lydia, inclinando leggermente la testa, realizzando che l’ultima volta che li aveva visti tutti e cinque insieme era stato a Wembley, nel lontano 2014, in uno dei loro ultimi concerti prima della chiusura del contratto. In effetti dire di averli visti era un parolone, considerando che dalla sua posizione sugli spalti saranno stati alti si e no un centimetro e mezzo, ma questo non aveva importanza; la cosa importante era che ora erano di nuovo insieme, a discutere di scommesse idiote, nel loro salotto, uniti quasi come prima.

«Quindi tutto questo casino per una scommessa di questo genere?» sbottò poi contrariata, portandosi le mani ai fianchi.

«Vedi? Avevo detto che non avresti capito» commentò subito Harry avvicinandosi agli altri, «per loro è una questione di orgoglio, capisci? Zayn è sempre stato il vero piacione, e nonostante tutti credessero fossi io, in realtà alla fine se le ripassava tutte lui.»

«Sei brutale. Ed esagerato!» sputò Zayn in risposta, intervenendo attivamente in quella conversazione che l’aveva estraniato fino ad ora.
Louis, allora, prese posizione in mezzo alla stanza, con le braccia aperte e lo sguardo vincente. Forse aveva intenzione di fare un sermone, o semplicemente di tirarsela un po’, ma a nessuno fu chiaro dove sarebbe andato a parare finché non aprì la bocca e con voce trionfante si pronunciò; «Tutti in macchina, si va a Manchester per cena! E ovviamente paga Zayn!»
 
 





«Ti prego, rispiegami la necessità di prendere questa costata da sessanta sterline da mangiare da solo.» commentò sarcastico Zayn all’amico seduto di fianco a lui, che si nascondeva ingenuamente dietro al menù per sghignazzare in santa pace.

«Ho voglia di carne di alta qualità!» rispose allora Louis, voltandosi verso Niall che, paonazzo in viso, non riusciva a prendere fiato da quanto se la rideva.

«Ragazzi, per favore, smettetela. Avete quasi trent’anni!» brontolò allora Liam, solito pacificatore quale era, preoccupato per gli schiamazzi che provenivano dal loro tavolo che disturbavano e attiravano fin troppa attenzione per i gusti del direttore del Rosso’s di Manchester.

«No, non la smetto!» affermò Louis deciso, «Anche perché se questi mi trattano male di nuovo li querelo. Sono solo fortunati che il loro cuoco è un genio.»

«Sgarbato...» obiettò Lydia dall’altra parte del tavolo, quasi volesse riprenderlo per quel suo atteggiamento un po’ troppo sopra le righe.

Louis alzò il mento con fare accigliato, continuando ad inseguire lo sguardo di Lydia con la coda dell’occhio, per poi accomodarsi nella sedia per portarsi alla bocca il calice di vino rosso che aveva precedentemente ordinato, il tutto senza aggiungere altro o ribattere.
La reazione a quella scena fu comica: quattro bocche spalancate all’unisono, e la rimanente bocca sorridente e soddisfatta come se niente fosse. Liam, Zayn, Niall e Harry infatti erano rimasti scioccati dalla semplicità con cui la ragazza l’aveva fatto tornare nel suo piccolo mondo, mentre Ginevra continuava euforica a sorridere, sempre più convinta che i due fossero la coppia perfetta.

«Ti ha ammaestrato» concluse Zayn ancora scosso, «se non l’avessi visto con i miei occhi non ci avrei mai creduto!»

«Ma va, cazzate, è solo che aveva ragione! Ho fatto un commento sgarbato.»

Lydia a quel puntò ridacchiò, sentendosi per un attimo una figura fuori campo. Non si poteva di certo dire che lei aveva una qualsivoglia influenza su di lui, però bisognava ammettere che da sempre si era dimostrato disponibile e comprensivo nei suoi confronti, senza nulla togliere ai tratti di quel suo caratteraccio che non sarebbero probabilmente mai migliorati. Non sapeva dire come esattamente lo vedevano gli altri o come loro avevano imparato a conoscerlo, lei non c’era mai stata, tuttavia poteva ammettere con una certa tranquillità che c’erano delle cose di lui che loro non erano riusciti a cogliere, forse perché non ne erano stati in grado o forse perché non gli era mai stato permesso.
Quando Liam, seduto di fianco a lei, si portò frettolosamente una mano in tasca, fu costretta ad abbandonare quel suo flusso di pensieri per posare l’attenzione su quel telefono che lui aveva appoggiato sul tavolo, lasciando che questo continuasse a suonare in tutta libertà.

«Sei scemo, non rispondi?» aveva commentato Zayn con un velo di acidità, dopo aver seguito la scena.

«Tanto non ho la segreteria, prima o poi si stancheranno» rispose invece il ragazzo, con lo sguardo fisso sul dispositivo che si illuminava e vibrava ad intervalli alternati.

«Ma chi è?» continuò allora Harry, insospettito da qualcosa che forse lui aveva già intuito.

«La casa discografica» rispose risoluto Liam, del tutto atono, «però onestamente siamo a tavola e sono quasi le nove di sera, io non rispondo.»

«Magari è importante» commentò di nuovo Harry, posando uno sguardo minaccioso su Louis che a momenti, ne era sicuro, avrebbe scaraventato quel telefono all’altro capo della sala.

«Magari no» s’intromise Zayn, incredibilmente serio e pacato, con un’espressione sempre più simile a quella di Louis.

Le due ragazze si voltarono una verso l’altra, indecise sul da farsi, finché Ginevra in un guizzo di spontaneità prese il telefono e rispose al posto di Liam, fingendosi la fidanzata. Lo sguardo allibito di Lydia non la lasciò per un solo istante durante tutta la conversazione, quasi volesse rimproverarla di quel sottile confine che lei non aveva semplicemente sorpassato, ma proprio scavalcato a piè pari.
Quando la ragazza, infine, allungò il telefono verso Liam che ancora teneva la bocca spalancata, realizzò che aveva probabilmente fatto una delle più grandi sciocchezze di tutta la sua vita e, mentre si scusava sillabando qualcosa, lasciò che il ragazzo riprendesse la conversazione, dopo aver premuto il tasto vivavoce.

«Buonasera, sir» incominciò poi titubante, «a cosa devo questa telefonata piuttosto improvvisa?»

«Sento uno strano eco.... è per caso con i suoi colleghi? Se lo è tanto meglio, le sarà risparmiata una fatica in più» rispose l’uomo con voce grave, «Volevo semplicemente comunicarle che, essendo lei l’unico membro di cui possediamo il nuovo numero di telefono, è suo dovere informare gli altri ragazzi del fatto che il giorno ventisei Dicembre, in tarda serata, siete tenuti a presentarvi all’aeroporto di Heathrow per salire a bordo di un aereo diretto a Los Angeles, il tutto ovviamente già pagato e prenotato. In settimana ci sono pervenute una decina di nuove tracce con dei testi da adattare, e abbiamo la forte intenzione di farveli registrare per avere un’idea del genere con cui sarete di nuovo lanciati nel mercato. Sono delle buone tracce, orecchiabili, e i testi vanno senz’altro rivisti, ma il Consiglio ritiene che sia un’ottima opportunità di partenza e chissà mai che non possano finire di tutto diritto nel nuovo album della band. E poi il signor Cowell ha già affermato di volere un demo sulla sua scrivania nell’arco di quindici giorni, e non di più...»

«Ma signore, nessuno ci ha interpellati a riguardo. Non c’è stata nessuna comunicazione o avviso, non siamo preparati...»

«Non c’è niente di cui esser pronti, caro Liam; dovete solo dare una spolverata alle vostre corde vocali. Non vi si chiede altro.»

«Mi scusi se mi permetto di nuovo, signore, ma non ho ben capito quando eventualmente saremmo di ritorno.... sa com’è, abbiamo delle cose in ballo, al momento.»

«Non più tardi dei primi di Gennaio» rispose l’uomo convinto, «Il tre, forse il quattro; però questo si vedrà in un momento successivo. Riferisca agli altri che il volo partirà da Londra alle dieci e trenta della sera, e che una macchina vi verrà a prendere intorno alle sette e trenta. Non preoccupatevi di nulla e fate buon viaggio. Ah... Buon Natale.»

A quel punto Liam concluse la telefonata ringraziando, da persona educata qual’era, per poi lanciare il telefono sul tavolo con fare indispettito.
Per vari secondi ci fu un silenzio tombale, a quel tavolo; tutti tenevano lo sguardo fisso sul proprio bicchiere, indecisi se dire qualcosa o continuare a stare in silenzio. Poi qualcuno prese l’iniziativa, e con fare più che mai adirato si alzò dalla sedia lasciandola cadere a terra con un tonfo, per poi dirigersi a passo veloce fuori dal locale senza nemmeno prestare attenzione ai camerieri che giravano per la sala con i loro vassoi.

Harry fece per alzarsi, ma non appena vide lo sguardo di Lydia posarsi su di lui, capì che era giusto rimanere al suo posto per lasciare il posto a lei. Se fosse corso da Louis probabilmente questo gli avrebbe bestemmiato in faccia, rinfacciandogli che il contratto l’aveva firmato solo per lui perché gli voleva bene e perché sapeva quanto amasse fare il cantante, sottolineando invece quanto lui fosse stanco di tutto quanto. Così le fece un cenno di assenso, per poi vederla alzarsi delicatamente e senza fare rumore, raccogliere la sedia caduta di Louis, e infine raggiungere l’uscita con estrema calma, senza dare troppo nell’occhio e prestando molta attenzione.
Era giusto così, però c’era comunque un qualcosa che gli lasciava un indelicato amaro in bocca. La nitida sensazione di essere stato sostituito, pensò, era la causa di quell’amaro.
 
 
 





Una volta uscita dal locale Lydia si strinse nel suo maglioncino per niente pesante, mentre con lo sguardo scrutava il piccolo piazzale che dava sulla strada. Era un ristorante per bene, quello, ed era fornito di un piccolo gazebo con qualche sedia sparsa qua e la, adibito ai fumatori più incalliti. Ritrovò la sagoma di Louis poco lontano, intento a parlare con uno sconosciuto.
Lo vide ringraziarlo con un cenno del capo e poi appoggiarsi ad una colonna poco lontana, appena dietro il piccolo gazebo. La minuscola colonna di fumo che si innalzava dalla sua posizione le fece capire che stava fumando, e che probabilmente quella sigaretta non era nemmeno sua.

«Avevi detto solo qualche tiro, o mi sbaglio?» gli chiese il lontananza, avvicinandosi a lui a passi decisi ma lenti, sempre più stretta nel suo cardigan.

«Sono incazzato.» rispose lui atono, espirando verso il basso e a testa china.

«Non prendertela così, infondo è un’occasione di lavoro.»

«Sono degli stronzi maledetti, e basta.»

«Perché hai firmato, allora?»

Il ragazzo di nuovo portò la sigaretta alla bocca, ormai consumata  per più della metà; «Perché sono un coglione.»

«Non sei un coglione. Tu, se vuoi, sei più furbo di tutti quanti messi assieme.»

Louis accennò un sorriso nell’oscurità, stranamente divertito da quell’affermazione. Sentiva l’amaro sapore del tabacco pervadergli la bocca, dopo che si era sforzato di inspirare più a fondo che poteva. Lo rammaricava ammetterlo, ma quel sapore lo faceva letteralmente impazzire.

«Ho firmato perché lo volevano gli altri, perché non volevo che per colpa mia rinunciassero tutti. Ci avevo pensato di farmi escludere, tanto chissene frega, ma non hanno neanche voluto starmi a sentire.»

«Allora sei un coglione con un cuore... buono a sapersi.» commentò la ragazza, posizionandosi esattamente di fianco a lui, forse in cerca di un tepore umano per combattere quell’aria gelida che filtrava attraverso il suo maglione.

«Che tipo sei. Prima mi dici che non sono un coglione, e poi mi dici che lo sono a metà. Chi ti capisce è bravo....»

«Non stiamo parlando di me, non cambiare discorso. Avanti, dimmi perché hai fatto quella scenata. Saresti potuto uscire tranquillamente, ma no, devi sempre farti riconoscere.»

«Mi è partito lo schizzo!» si giustificò lui, finalmente buttando il mozzicone a terra, «Quei maledetti mi fanno salire il sangue al cervello! Che razza di persone ti chiedono di andare a lavorare il giorno dopo Natale? Eh?! E per di più mi costringono a passare il Capodanno confinato in America, posto che io odio. Dovrebbero spararsi tutti, brutti stronzi del cazzo che non sono altro.»

«Allora non partire.»

«Ma mi hai ascoltato o stai facendo finta?»

«Certo che ti ho ascoltato, ma non credo sia questo il punto della questione. Anzi, ti hanno probabilmente fatto un favore: scommetto che non avevi nemmeno pianificato una festa per Capodanno, e probabilmente saresti tornato a Londra comunque, forse non il ventisei ma il giorno dopo magari sì; o sbaglio?»

«Mi da comunque al cazzo.»

«Cosa, di preciso?»

«Tutto quanto! Il viaggio, quelle canzoni scritte da quattro deficenti che non conosco, il Capodanno lontano da casa, la mia vita di nuovo organizzata da loro!»

A quel punto Lydia rimase in silenzio, un po’ dispiaciuta: avrebbe voluto fare qualcosa per liberarlo da quel risentimento, ma solo in quel momento realizzò che al suo ritorno dall’America, il mese prossimo, sarebbe già stato un mese dal giorno in cui l’aveva ingaggiata. Non sapeva spiegare come il tempo avesse osato passare così velocemente, quasi gli desse fastidio concederle un po’ più di calma.

«Se preferisci possiamo allungare l’accordo di qualche giorno, visto che tu sarai fuori città e non potrai passare del tempo con me come volevi...»

Louis si voltò di scatto, scuro in viso, con un’espressione che tutto lasciava presagire tranne qualcosa di buono. La luce dei lampioni illuminava qualche ciocca dei suoi capelli e creava delle ombreggiature sul suo viso, esaltando in maniera impeccabile gli zigomi e l’incavatura degli occhi, che li faceva sempre due zaffiri della specie più rara.

«Non dirlo mai più. Non sei un giocattolo, non ti prendo e lascio come mi pare e piace. Mettitelo bene in testa.»

La ragazza non rispose, allungando un angolo della bocca in un sorriso. In quel momento ringraziò intensamente la notte per aver nascosto la sua reazione, evidente sintomo di una fragilità che non avrebbe mai dovuto sfiorarla. Per un istante le balenò persino l’idea che lui potesse chiederle di accompagnarlo, ma poi si ritrovò a scuotere la testa tra sé, ammettendo la sua incredibile ingenuità.

«Che fai, parli da sola?» le chiese allora Louis, staccandosi da quella colonna per rendersi più visibile a lei.

«No, niente, era solo un pensiero» gli rispose lei facendo lentamente scendere la mano lungo il suo braccio fino alle dita, che strinse delicatamente, «Ti va di rientrare?»

Louis mantenne il suo sguardo su di lei mentre sentiva il suo tocco leggermente infreddolito sulla superficie della sua maglia. Solo allora si rese conto di aver passato un’abbondante mezz’ora fuori al freddo polare di Londra, lasciando che anche lei si raffreddasse inutilmente. Così le strinse la mano, in segno di assenso, e poi le posò un braccio sulla spalla, quasi volesse restituirle un po’ di calore.

«Sì... rientriamo» concluse poi, tenendola stretta a sé mentre la guidava verso l’entrata del ristorante. 


































Ritardissimo, sia per l'aggiornamento sia per la narrazione dei fatti che all'inizio era contemporanea ma che adesso è indietro di qualche mese. Ma comunque il nostro racconto è un mondo parallelo e futuro a questo, quindi ci può stare, no?
PS. Il compleanno di Louis, ovviamente, non è ancora passato (nel caso non l'aveste capito)
PSS. Il prossimo arriverà presto, o almeno ci proverò

Grazie mille delle recensioni, le leggo sempre tutte e se avete dei dubbi scrivetemelo quando recensite così, semmai, posso chiarirli nel prossimo capitolo! A presto!
  
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