Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Achernar    06/06/2013    1 recensioni
"Ritornerai da me un giorno, quando le stelle ti chiameranno” "quando vorranno portarti via..."

Qual'è il motivo che lega Nakia alle stelle? Una bambina di 5 anni gioca con i suoi amici e la notte dorme, ma Nakia no, lei passa le notti sotto il cielo stellato dell'Egitto di 2400 anni fa e trascorre il suo tempo nella buia casetta dell'anziana e misteriosa Selene...
Ora Nakia ha 18 anni e si troverà ad affrontare un destino incredibile, un destino che la lega al cielo, a un essere misterioso e a un antico e oscuro rito...
(non mi sono ancora arresa su questa storia, sto per riprenderla in mano, rimodernarla e hopefully terminarla)
Genere: Introspettivo, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 4

Salve, per farmi perdonare il vecchio ritardo pubblico un capitolo un po' più lungo, l'ultimo non è piaciuto troppo *lacrimuccia mentre guarda il numero di visite* ma spero che questo vada meglio, mi ci sono impegnata molto anche se è un po' surreale. Ebbene sì, la trama comincia a prendere una piega che finalmente spiega il genere "sovrannaturale" ma ovviamente non ancora del tutto, la verità sarà svelata un po' per volta... (spero che nel cercare di celarla non sia arrivata al punto che non si capisce niente XD).

Confermo imperterrita i titoli con la parola "stelle", ma stavolta c'entra davvero, non come il cap.3 che più o meno ci stava... ma sì, magari un po' tirato..., no: qui è davvero la Stella della Sera al centro dell'attenzione. Non sapete di cosa parlo? Vi rovinerei la lettura con una spiegazione scientifica  sulla Stella della Sera, quindi vi rimando a piè di pagina per le dovute note (in cui finalmente mi decido anche a spiegare che vuol dire Akhet). C'è anche un'altra novità significativa nelle prossime righe: signore e signori, accogliamo l'altra protagonista della nostra storia, la bellissima, serafica, adorabile Najma! 

Oh mamma, e pensare che non volevo neanche scrivere un'introduzione, chissà che noia per chi legge... vabbè comunque spero che la lettura sia piacevole, magari perfino bella, e se vi piace appunto, fatemelo sapere con una piccola recensione, mi aiuta davvero a capire cosa scrivere e modificare ^^





4

 

 

 

 
La giustizia, ecco cos’era quel numero. 8. Era il numero che rappresentava la giustizia!

Ora aveva un punto da cui partire, qualcosa di certo da riferire a Nakia e su cui poi basare le loro indagini.

Giustizia…

L’autore, o più probabilmente l’autrice di quei misfatti aveva certamente voluto mandare un messaggio al faraone ecco il perché di quel numero.

Giustizia…

Suo padre aveva dunque compiuto ingiustizie? Si era macchiato di delitti per meritarsi un avviso così chiaro da una signora del cielo?

Non poteva crederci: il farone era la giustizia, come poteva essersi comportato da criminale? E ora veniva punito, tra breve altre 4 persone sarebbero state colpite. 12 in totale.

Quel numero però non gli faceva venire in mente nulla.

Forse alle altre 4 sarebbe successo qualcosa solo se il re non avesse rimediato al suo errore, ritrovando quella certa lei?

Ancora una volta le domande tornarono ad affacciarsi nella sua mente, affollandola di mille voci per nulla all’unisono e tutte rigorosamente discordanti: il mistero dell’8 era ormai stato risolto, ne era certo, ma questo non faceva che far nascere nuove domande e alimentare nuove congetture; di nuovo qualunque ragionamento e tentativo di venirne a capo sembrava tanto corretto quanto sbagliato.

 

Ora basta però, era comunque riuscito a sistemare un pezzo, piccolissimo, del puzzle di quell’enigmatica conversazione, ora doveva smetterla e concedersi un po’ di riposo, visto che era notte fonda.

Mentre si stava finalmente incamminando verso l’interno del palazzo si voltò per dare un’ultima occhiata al giardino e fu in quel momento che all’improvviso lo vide.

 

Il cielo color pece, ormai privo di luna e rischiarato a sprazzi dalle microscopiche lucine delle stelle come tante lucciole su un telo buio, brillò per una frazione di secondo e subito dopo fu attraversato da una lunga coda rossastra, luminosissima ma allo stesso tempo tetra.

Un guizzo, una scia luminosa. Un istante.

Quella luce lo raggelò, lo lasciò sgomento e inspiegabilmente impaurito: era qualcosa di stranamente anomalo e percepì una sensazione di pericolo provenire da quella coda.

Velocissimo il lampo aveva raggiunto terra. Udì un rumore sordo, come di un tonfo, una caduta in lontananza. Qualunque cosa fosse, sembrava atterrato proprio all’interno delle mura del palazzo.

 

Ma davvero il rumore del tonfo era dovuto a qualcosa che era atterrato?

Manes aveva avuto una strana sensazione, era durato tutto una frazione di secondo ma non era molto sicuro che qualcosa fosse caduto dal cielo in terra o che la luce si fosse mossa dall’alto verso il basso, nonostante quel rumore.

Aveva piuttosto l’impressione che la scia fosse partita dalla terra stessa, dal palazzo.

 

Senza riflettere più di tanto si alzò e si avviò a passi veloci verso il luogo dell’accaduto, con sua grande sorpresa si accorse di starsi dirigendo verso gli appartamenti della famiglia reale. La sua famiglia.

Aveva un brutto presentimento. Preoccupato continuò ad avanzare fra i corridoi deserti e silenziosi, affrettando il passo, mosso dall’istinto e dal flash che aveva in mente del luogo da cui gli sembrava il guizzo fosse partito.

Realizzò presto qual’era il punto esatto.

Le stanze di sua madre.

 

Ormai correva, ansimando si precipitò sull’uscio ed entrò trafelato nella grande camera, e lì la vide.

I suoi occhi zaffiro si pietrificarono. Ecco cos’era quel tonfo.

 

 

Il torace snello si alzava e si abbassava regolarmente, saliva verso l’alto e poi riscendeva lentamente, con calma, seguendo il placido ritmo del respiro di chi gode il meritato riposo. La notte e i suoi sogni. Questo era stato ciò che Nakia aveva sperato prima di andare a dormire, i suoi ultimi pensieri. Sì, non aveva pensato di nuovo a Selene e alle stelle, era scossa ancora dalla brusca separazione di lei e Manes quel mattino e aveva passato la giornata a pensare cosa potesse mai essere successo, quali erano i pericoli che non rendevano il loro periodo “buono per stare da soli”,  non sapeva certo che anche il ragazzo era stato tormentato tutto il giorno dallo stesso interrogativo, con l’unica differenza che aveva degli indizi in più, dei mattoncini piccoli e fragili ma con cui poter incominciare a costruire le sue ipotesi.

Lei non ne aveva, aveva solo lo sguardo di Manes fisso in testa: quegli occhi blu profondo che si erano discostati dai suoi color ametista per l’attimo di una frase, che preoccupati si erano diretti lontano, oltre le dune di sabbia, forse alla ricerca di questo fantomatico pericolo, e si erano poi abbassati repentinamente prima di tornare a specchiarsi nei suoi: quale minaccia avevano visto? Un lampo di tensione li aveva attraversati, fulmineo, ma abbastanza intenso da farle capire la gravità della situazione, senza temere di sbagliare nel valutarla.

Aveva pensato, fatto congetture, costruito castelli di fantasiose idee, di assurde teorie. Del resto l’unica cosa che poteva fare era basarsi su quello sguardo e tenere presente tutto ciò che Manes avrebbe potuto temere, e soprattutto temere che accadesse a lei.

Temeva per lei, che pensiero dolce le era sembrato. Non ci aveva mai riflettuto più di tanto, era troppo presa dagli astri, troppo egoisticamente raccolta nelle sue riflessioni esistenziali sul cielo, nei suoi dialoghi mistici con le stelle, per accorgersi di quanto in realtà fosse egocentrica, superba perfino, no, ecco: saccente. E infatti non aveva molti amici, era un tipo un po’ solitario, sempre sulle sue, costantemente perso nel suo piccolo mondo di cui solo lei possedeva la chiave, chiave che prestava di rado e che non avrebbe mai donato a nessuno… o forse sì? A una persona… in effetti l’aveva già donata. Manes era sempre lì, a farle compagnia in quel suo universo parallelo, ad ascoltarla nonostante i suoi difetti, a prestarle attenzione, anche se magari gli argomenti di cui parlava non erano poi così interessanti e tendevano a ripetersi. Sì, era davvero un comportamento dolce.

Un timido sorriso affossò uno degli angoli della bocca nella guancia dorata. Possibile che riuscisse a riflettere anche mentre dormiva?

 

Notte fonda, il vento di Akhet ulula malinconico, un triste lamento che sembra voler richiamare anime disperate e raminghe nella cupa speranza di portarle via con sé in un posto migliore, o semplicemente diverso, offrendo loro l’opportunità di vagare proprio come lui, di paese in paese, senza sosta, senza speranza. Queste erano le favole che le nonne o le sorelle maggiori raccontavano per costringere i bambini ad andare a letto: il terribile Vento degli Spiriti, il rapitore delle anime.

Anche in quella notte apparentemente normalissima, Akhet aveva inviato il suo messaggero notturno preferito: un vento fresco, che trascinando con sé non anime o spiriti raminghi bensì granelli di sabbia rossa, foglie e batuffoli di polvere, li gettava con delicatezza contro gli usci delle case, i muri, le tende, compiendo placidamente il consueto giro della città deserta.

Bussò anche alla porta di Nakia, che sognava dolcemente nella sua piccola casa, avvolta in un leggero lenzuolo di lino.

Qui però si trasformò: divenne davvero il Vento degli Spiriti, ululò, bussò con insistenza e infine irruppe nella stanza spalancando la porta. Nakia si voltò verso l’uscio quasi scardinato ma non aveva neanche sussultato. Non aveva paura del vento di Akhet, non di questo vento.

 

Inaspettatamente al di là della soglia di casa non vide la stradina di ghiaia o le abitazioni dei suoi vicini, anche l’oscurità della notte era sparita: davanti a lei c’era una luce fortissima, pura e candida come il sole del primo mattino, che rende il cielo quasi bianco per quanto splende. Sentiva delle voci, strane voci di cui non avrebbe saputo identificare i proprietari: donne? Uomini? Bambini? Bambine? Erano … non sapeva bene come fossero, ma provava in lei una strana sensazione: ogni giorno provava sempre un senso di smarrimento ed era arrivata a convincersi che le mancasse qualcosa, e ora invece si sentiva… completa, quel qualcosa era lì, anche se non sapeva come. Sentiva anche di potersi fidare di quelle voci, le trasmettevano un senso di sicurezza, di pace. Ora le udiva più distintamente, erano almeno due, limpide e cristalline come rugiada, una più grave dell’altra, e discutevano, ma non capiva le parole. Poi tacquero, le parve che dalla grande luce, che ora aveva avvolto del tutto la stanza dandole l’impressione di stare fluttuando in un mare bianco, si muovessero delle figure, che si avvicinassero a lei. Si sentì felice, soprattutto nel vedersi avvicinare una delle due, più piccola, simile, per quanto riuscisse a capire, a lei. La felicità si interruppe per un attimo, un bagliore rosso si avvicinò alla figura più grande, in un istante si trasformò in una terza entità che si allontanò, avvicinandosi ad altre otto del tutto simili che Nakia prima non aveva notato. Si accorse poi all’improvviso che non aveva un corpo: era anche lei una strana figura, quasi una persona trasparente, ma molto meno luminosa delle altre che le stavano vicino. Non per questo però si spaventò. Si sentiva a suo agio, almeno fino a quando la presenza più piccola le stava vicino, non sapeva spiegarselo ma era rassicurante. Allungò una mano opalescente e la sfiorò. In quell’istante si sentì come se avesse trovato il pezzo mancante della sua persona, quello che la faceva sentire incompleta.

“Chi sei?” le disse.

La figura sorrise, si era fatta più nitida, ora era anche lei un corpo trasparente come Nakia, sebbene più luminoso. Le assomigliava davvero, la ragazza ebbe l’impressione di guardare il suo riflesso nel vetro.

Le prese le mani con affetto, dando a Nakia l’impressione di una vecchia amica che commossa riabbraccia una persona cara dopo una lunghissima lontananza. Sì, il tono con cui rispose era proprio commosso, affettuoso, eppure allo stesso tempo velato da rassegnazione e tristezza:

“Io sono Najma”.

Nakia si accorse all’improvviso che Najma aveva una caratteristica che la lasciò senza parole: due splendenti e vividi occhi viola, proprio come i suoi.

Guardare quel volto uguale al suo era come specchiarsi nell’acqua, nonostante continuasse a essere a suo agio la ragazza cominciò a sentirsi sempre più  stupita, incredula: tutto ciò era incredibile, nel vero senso della parola.

Najma si accorse subito della meraviglia dipinta sul volto di Nakia. I suoi occhi ametista erano fissi, pieni di dolcezza e nostalgia, in quelli dell’altra. Quanto avrebbe voluto rivelarle ogni cosa: la loro nascita, il mistero di quel colore viola, Selene, il profondo affetto che provava per lei… voleva aiutarla svelandole la verità, ma non poteva. Non era compito suo, sebbene avesse sperato e pregato perché lo fosse. Ma poteva ancora esserle d’aiuto, era lì per questo, aveva comunque ottenuto un piccolo ma importante ruolo nella commedia del destino.

 

“Io non permetterò che le accada del male. Non porterai via anche lei, come hai fatto con me”.

“Sai di non stare dicendo la verità. I patti che gli uomini decidono di stringere con me prescindono dalla mia volontà, non ne sono responsabile: né del tuo destino né di quello della ragazza.

Ormai il cerchio è stato tracciato, non si torna indietro, lo sai bene. L’accordo stretto con quell’uomo mi dà il diritto di richiamarla a me, mi impone di farlo.”

“No, tu puoi farne a meno. Come puoi accettarla e consegnare il potere nelle mani indegne di un uomo simile? Come puoi farlo a un simile prezzo?”

“Il prezzo da pagare è uguale per tutti, da sempre.”

“Ma questa volta non devi accettarlo, Espero*: io non te lo permetterò. Anche se hai preso me non porterete a termine quanto cominciato. C’è un modo per salvarla  e non  mi importa se richiede il sacrificio di altre 12 anime. Io non la abbandonerò!”

“A chi io ceda il potere mi è irrilevante, non mi riguarda. Che siano 12 anime o solo la sua, il patto va rispettato. Sarà il tempo a decidere la sorte dell’altra tua anima: se dovrà cessare di nascondersi o se continuerà a vivere in quel mondo”.

“Io però non me ne starò con te a guardare indifferente che il suo amaro destino giunga a compimento. Ho già agito in modo che potesse salvarsi: le ho fatto incontrare colei che dovrei odiare, la vecchia. E ora porterò a termine il compito che mi sono data: l’avvertirò, le dirò tutto, non la troveranno.

Nakia non morirà!”

La voce di Najma tremò per la violenza con cui aveva proferito quelle ultime parole. Le  sue abituali riflessività e saggezza erano venute meno per un attimo, avevano ceduto il posto alle emozioni e al ricordo. Era salda nella sua decisione, risoluta e pronta a qualunque cosa per salvare la ragazza dagli occhi viola.

“Tu non le dirai tutto!” ora Espero stava perdendo la pazienza, non tollerava domande e obiezioni: tutti dovevano seguire il proprio destino, il cammino già tracciato per loro da qualcun altro, non era possibile, non era lecito interferire e opporsi. “Puoi solo metterla in guardia su quale sia la sua sorte, solo questo ti concedo”.

 

Prima che Najma potesse pronunciarsi di nuovo, Nakia, in cui la curiosità aveva ormai vinto quello stupore che l’aveva lasciata attonita per un momento, le rivolse la parola

“Che cosa sei?”

Si sentiva un po’ in imbarazzo a fare una domanda del genere, davvero inusuale, ma voleva delle risposte: era tutto così strano, e di Najma si poteva fidare ciecamente, lo sentiva.

L’altra inclinò la testa luminescente di lato, con malinconia, continuava a tenerle salde le mani, non riusciva a credere che fossero insieme, di nuovo.

“Cosa ero, non posso dirtelo, lo scoprirai col tempo. Cosa invece sono ora, se è questo che ti preme sapere, invece posso rivelartelo. Ormai io sono…una stella.  Uno dei raggi della stella della sera”

“Espero!”

“Hmm” annuì la stella.

“Sei uno dei raggi di Espero?! È lei allora, quella figura maestosa dietro di te”

Najma annuì di nuovo. Nakia era sempre più incredula ma soddisfatta almeno di aver ottenuto una risposta, seppur così assurda.

“Vieni con me” le disse l’altra gravemente.

 

Nakia aprì gli occhi. Era nella sua casa, avvolta nel suo lenzuolo, tutto intorno a lei era buio e muto, perfettamente conforme a una tipica notte fonda. La porta era al suo posto come se il Vento degli Spiriti di Akhet non l’avesse mai toccata.

Aveva sognato, non c’era altra spiegazione. Era un po’ delusa.

Però, che sogno strano, pensava, riusciva ricordarsi nitidamente ogni particolare: il dialogo con Najma, le sue emozioni, le sue sensazioni, la luce, Espero.

Si alzò lentamente, non sapeva quanto tempo avesse dormito: poche ore? tutta la notte? ignorava infatti che ora fosse e quanto mancasse all’alba. Ma non aveva più sonno, dopo un sogno simile non sarebbe mai riuscita a riaddormentarsi. A passi  pesanti si avviò verso le piccole scale, le salì con lentezza, appoggiando la mano destra sul fresco muro; si sentiva come guidata da qualcosa, attirata verso la terrazza. Doveva vedere le stelle.

Eccola, proprio come si aspettava, Espero era lì, più luminosa che mai.

Nakia si mise a rimirarla, con l’animo di chi attende qualcosa.

“Vieni con me”

Una voce. La chiamavano. Era Najma! Non c’erano dubbi. Ma dov’era? Possibile che fosse davvero una stella, che la stesse chiamando uno dei raggi di Espero? Dunque non era stato solo un sogno… Nakia non riusciva a crederci e si convinse di aver avuto un’allucinazione, continuò a fissare l’astro nella speranza di chiarire i suoi dubbi.

 

Espero brillava, luccicava di una luce tremolante, emanando tanti minuscoli raggi che sembravano circondarla come una corona: si allungavano e si accorciavano impercettibilmente, in continuazione, rivaleggiando l’un l’altro in lunghezza per brevi istanti, riprendendo poi la posizione iniziale per far posto agli altri. Uno era un po’ più lungo dei suoi compagni, ma la ragazza non ci fece caso, le sembrava normale che i guizzi della stella avessero lunghezza irregolare. Il raggio però non tornò al punto di partenza dopo un istante, continuava ad allungarsi diventando sempre più visibile così luminoso contro il cielo buio.

Si stropicciò gli occhi, doveva essere sicura di cosa stesse succedendo, prima di cominciare a fantasticare e illudersi doveva avere la certezza che non fosse solo un’ impressione: aveva aspettato 13 anni un segno dalle stelle e ora… ora finalmente era arrivato.

Le provò tutte: pizzicotti, secondi passati con gli occhi chiusi e poi riaperti, passeggiate nervose con la testa bassa per poi tornare a voltarsi verso il cielo: non era un’illusione.

Sì, era lì! Si sentì finalmente felice, ma poi cominciò a pensare che forse non ne aveva motivo, che stava sbagliando atteggiamento. Magari le stelle dovevano comunicarle qualcosa di doloroso e in tal caso gioire sarebbe stata l’ultima delle cose da fare. Riprese il controllo di sé e aspettò. Il sottile raggio ora era davvero lungo, sembrava una stella cadente, ma molto più lenta nel precipitare. Nakia capì che era Najma e che le stava indicando un percorso.

“Magari mi vuole portare da nonna Lene, forse è finalmente giunto il momento”

La situazione era davvero surreale e vagamente inquietante, ma Nakia non poteva fare a meno di sentirsi trepidante e in preda a una sorta di frenetica impazienza, si sentiva proprio una bambina, la stessa bambina che anni prima a Keruit era conosciuta per essere la persona più ostinata e pedante del villaggio, di cui nessuno avrebbe mai potuto liberarsi se non soddisfacendone la curiosità.

Trovarsi in mezzo a un’avventura simile la emozionava ma poi si ricordò delle parole di Najma, pronunciate in modo così triste e malinconico: stando a quei toni le stelle dovevano davvero rivelarle qualcosa di doloroso, non c’era proprio nulla da festeggiare. “Stupida” sussurrò a sé stessa.

Il filamento luminoso ormai era così vicino al suolo che si poteva capire quale direzione volesse indicare. Nakia constatò non senza preoccupazione qual’era: il palazzo reale.

“Manes” sussurrò fra l’angoscia e la sorpresa.

Scese di corsa le scale di legno, prese un mantello scuro per ripararsi dal vento e corse via a più non posso verso le mura del palazzo. La sua casa era piuttosto lontana da quel luogo ma questo non l’avrebbe fermata di certo: aveva un brutto presentimento ormai, Manes non doveva entrare in questa storia se davvero poteva rivelarsi pericolosa.

Ansimava mentre a passi grandi e veloci percorreva le strette stradine della Tebe di periferia, mentre a ogni vicolo e a ogni angolo rischiava di perdere l’equilibrio talmente svoltava velocemente. Non sapeva che anche stavolta Manes aveva compiuto i suoi stessi gesti, correndo a perdifiato per i corridoi della sua casa fino alle stanze di sua madre.

Correva, e mentre correva e il vento le tagliava il viso come una lama affilata pensava, pensava a perché correva così tanto, a perché si sentisse così preoccupata di colpo e apparentemente senza motivo, a perché fra tutte le centinaia di persone che abitavano il palazzo dovesse accadere una qualche disgrazia proprio a Manes, a perché Najma aveva deciso di apparirle proprio quella sera e di indicarle proprio quel luogo e in ultimo pensava a una cosa fondamentale seppur puramente pratica: come avrebbe fatto a entrare nel palazzo? Gridando alle guardie che uno dei raggi di Espero le aveva detto di farsi un giro per le stanze della reggia? Che il figlio del faraone e lei si incontravano tutti i giorni e semplicemente aveva deciso di venire a trovarlo? Sì, proprio delle belle idee, occorreva un piano o almeno uno straccio di immaginazione per inventarsi una scusa plausibile, se solo Manes fosse stato lì con lei…

Mentre pensava e correva, imboccò finalmente la strada principale, una via lunga e ampia che portava diretti alla residenza del sovrano.

Rallentò il passo, aveva il fiatone per la lunga corsa notturna e dovette fermarsi un attimo e appoggiarsi a un muro per riprendersi. Prendendo grandi boccate d’aria fredda alzò gli occhi al cielo, niente, per una volta che sperava che le stelle la ignorassero erano lì, o meglio, lei era lì: Najma indicava proprio il palazzo, non c’erano dubbi, ma perché, perché proprio lì? Sospirò tra lo sconforto e la rassegnazione, e si avviò a passi pesanti verso le mura.

Non sapeva che fare adesso: doveva entrare, di questo era assolutamente certa, ma allo stesso tempo non aveva idea del come: pochi passi e si sarebbe ritrovata nella zona sorvegliata antistante alle varie cinte di mura e ci sarebbe voluto un miracolo per nasconderla.

Ma se la necessità aguzza l’ingegno, il pensiero che Manes potesse essere in pericolo era così terribile che prese la sua decisione. Dando sfogo a tutta la sua agilità, stabilì di improvvisarsi ladra e cominciò a salire abilmente lungo la parete di una delle ultime case della città prima del palazzo. Quando, non senza fatica, raggiunse finalmente il tetto, ai suoi occhi si presentò la reggia in tutta la sua mole: vista dall’alto faceva certamente un altro effetto, in quel momento realizzò chi era davvero la persona che stava cercando di aiutare, il figlio del faraone. Sì, come se le importasse qualcosa: il loro rapporto, la loro complicità veniva prima di tutto, poi c’erano i titoli e il resto, e sapeva che lo stesso valeva per lui, lui che era stato così dolce da preoccuparsi per lei, e lei che ora voleva e doveva assolutamente ricambiare, di qualunque cosa si trattasse.

 

Tre cinte di mura, un ampio cortile, un grande ingresso principale, probabilmente numerosi ingressi secondari, ma soprattutto guardie ovunque, a dozzine. Non era pratica di certe cose ma le sembrò comunque insolito, tutto sommato era un periodo di pace per l’Egitto, che motivo aveva il farone per accerchiarsi così di soldati? Maledizione, come se non fosse stato già abbastanza difficile da sé. Continuò a osservare la scena per lunghi secondi, ponderando diverse possibilità: sgattaiolare di nascosto, avvolta nel suo mantello e nel buio della notte, da un tetto all’altro, fino all’angolo meno sorvegliato della reggia e poi infiltrarsi, oppure farsi passare per una domestica o chissà cos’altro e cercare di ingannare le guardie, addirittura attendere l’alba per approfittare del momento in cui il faraone porgeva i suoi saluti al sole e in cui tutti erano distratti per intrufolarsi dentro. Ma non poteva attendere, doveva entrare adesso, quando glielo aveva detto Najma. La fortuna per un attimo fu dalla sua, le dozzine di guardie si erano inspiegabilmente come dileguate. Bene, si calò velocemente giù dal tetto e corse più silenziosamente che potè fino alla prima cinta di mura, attese nell’ombra se veniva qualcuno e quando il luogo intorno a lei sembrò sufficientemente deserto si precipitò a ridosso delle mura, col cuore in gola e le mani che sudavano freddo. Le scavalcò faticosamente, noncurante delle escoriazioni sulle gambe e i gomiti che lo strusciare, a causa della fretta e dell’ansia, contro le ruvide pareti le provocavano, si calò dall’altro lato, fece un piccolo balzo e fu dall’altra parte, le gambe le tremavano per l’emozione e le dita formicolavano, ma non poteva permettersi di perdere la coscienza di sé, doveva agire rapidamente e lucidamente se voleva riuscire; miracolosamente scavalcò senza essere notata anche le altre due cinte, da qui in poi pensò, anche se l’avessero trovata poteva sempre dire di essere una residente della reggia, certo fornire un nome plausibile e dare una spiegazione per tutte quelle abrasioni e i capelli ormai identici a una criniera per quanto arruffati dal vento e dalla corsa, sarebbe stato più difficile.

Tirò un sospiro di sollievo e si accasciò un attimo alla parete, solo un attimo, un secondo di tregua, si sentiva davvero esausta. Ansimava ancora quando poco dopo si costrinse a rialzarsi: non poteva concedersi pause proprio ora. Najma ora sembrava dirigersi verso un’ala particolare del palazzo, le sembrò strano che nessuno si fosse ancora accorto di quella presenza così insolita nel cielo, forse la vedeva solo lei. Si rese poi finalmente conto di grida, che si erano susseguite incessanti da quando si era avvicinata al perimetro della reggia: urla, rumori, lamenti incessanti che sembravano provenienti dl luogo indicato da Najma.

Era preoccupata ma doveva farsi forza e mantenersi lucida, senza farsi agitare da quegli strilli, avanzò velocemente fino all’ingresso addossandosi a una delle enormi colonne del portico per celarsi alla vista delle guardie. Inaspettatamente nemmeno il portone era sorvegliato: doveva davvero essere successo qualcosa di grave per lasciare incustodito anche l’ingresso del palazzo, la causa delle grida, che non accennavano a smettere, era davvero importante. Ora che si era avvicinata le udiva più distintamente, sembravano lamenti e pianti disperati di donne, si udivano anche passi frenetici come di corse affannate, richiami. Non era il momento di indugiare, bisognava approfittare della situazione: Nakia entrò cautamente all’interno delle mura, lì al chiuso vedere Najma era impossibile perciò la ragazza decise di lasciarsi guidare dalle voci e dal clamore, si sistemò anche, per quanto poté: se l’avessero trovata, un aspetto presentabile avrebbe reso più credibile qualunque scusa inventata sulla sua persona. A passi cadenzati e non privi di agitazione si avvicinò via via all’ala del palazzo da cui avevano origine le grida, riusciva già a distinguere qualche parola, più si avvicinava più si accorgeva del grande via vai di gente diretta in quel luogo, correvano tutti e tutti avevano un’espressione addolorata e angosciata, inutile dire che questo non la sollevò affatto. Una di quelle persone la urtò nella fretta e per poco Nakia non cadde:

“Sbrigati!” fece quello, “è morto uno della famiglia reale e tu te ne stai qui a gingillarti per i corridoi: datti una mossa!” e scappò via senza neanche scusarsi.

 

Morto? Quella parola le gelò il sangue, sbiancò completamente e cominciò a sudare freddo, non sapeva se il suo cuore volesse cominciare a battere a mille o fermarsi. L’angoscia e lo sconforto la presero di colpo. Come morto? Chi era morto? Nella famiglia del faraone erano solo in tre: era molto alta la possibilità che… no, non osava neanche pensare o fare ipotesi, un’unica parola rimbombava nella sua mente: corri. Obbedì a quanto detto dall’individuo di prima, si affrettò e si precipitò nella direzione in cui era sparito. Non sapeva cosa sperare: che fosse morto il faraone? La madre di Manes? Come era brutto sperare nella morte degli altri… no, non voleva sentirla quella parola: morte. Perché proprio morte? C’entrava qualcosa Najma, Espero? Ma non aveva tempo per fare congetture, doveva trovarlo, vederlo, sapere che stava bene, che era vivo. Vivo. Sì questa parola le piaceva, voleva che fosse quella la parola giusta, doveva esserlo.

Se invece che farsi prendere dall’angoscia e dai suoi pensieri, Nakia avesse ascoltato le conversazioni dei vari servi che facevano avanti e indietro per i corridoi, e che sapevano già cos’era successo, probabilmente si sarebbe tranquillizzata.

Ma ora correva ancora: ma quanto era grande quel maledetto palazzo? Il cuore era bloccato in gola da tempo ormai, i suoi occhi viola si erano come spenti, erano vuoti se non per quelle lacrime di cui erano gonfi, pronte a versarsi a ogni momento.

Le grida di dolore, i pianti delle prefiche erano chiarissimi, perfettamente udibili: era ormai arrivata; voltò un angolo e senza neanche rendersi conto di avere qualcuno davanti a sé, ne urtò violentemente la schiena. Cadde a terra, ma non le importava minimamente, stava già rialzandosi pronta a ripartire come una furia senza neanche scusarsi, quando i suoi occhi viola sollevandosi ne incrociarono un altro paio di un colore che conoscevano benissimo: blu scuro.

La figura si era voltata di scatto non appena la ragazza l’aveva colpita, era un ragazzo, un giovane uomo, dai capelli scurissimi e le mani forti. Il dolore che provava in quel momento cedette il passo per un istante alla meraviglia quando incrociò lo sguardo di lei:

“Nakia?” “che diavolo fa…?” non ebbe il tempo di finire la sua frase che la ragazza gli si gettò al collo, abbracciandolo con forza. Singhiozzava: “Manes”.








 

Note:

Come vi sembra? Spero che il capitolo vi sia piaciuto ^^ ma ora cominciamo con le note:

Allora, partiamo dai termini egizi, Akhet è la prima delle tre stagioni dell'anno egiziano, più o meno coincide con la fine della nostra estate e l'autunno (settembre-dicembre) ed era il periodo in cui il Nilo straripava rendendo fertili i campi  ( mi piaceva l'aria un po' malinconica dell'autunno e il pensiero della rinascita con l'inondazione del Nilo, che volete farci...)

Najma è un altro nome parlante (anche Manes in realtà lo è ma visto che non l'ho scelto per il suo significato, che tralaltro non mi piace neppure tanto, ma perchè mi ispirava, credo sia inutile riportarlo) anzi direi che più parlante di così non si è banali ma di più, sì avete capito bene, Najma vuol dire proprio "stella", se Nakia conoscesse l'arabo avrebbe potuto fare a meno di chiederle "cosa sei" XD, vabbè.

E passiamo alla mia parte preferita, sono una pazza patita di astronomia, che volete farci (ma del resto si era capito no? tutte quelle stelle...). Espero è uno dei nomi greci per Venere (c'erano anche i nomi egiziani ma visto che Selene ha educato Nakia alla maniera greca ho pensato fosse  meglio Espero che Ouaiti); lo so che venere è un pianeta e non una stella ma nel tempo della storia non si sapeva (si scoprì da lì a poco però) anzi, visto quanto era luminoso, quel corpo celeste aveva ricevuto nei secoli precedenti ben due nomi. Espero, ossia stella della sera (che si dice espèra) e Fosforo , ossia stella del mattino (da phos, photòs: luce), la stessa cosa valeva per gli egizi che la chiamavano Ouaiti a notte fonda e Tio Moutri vicino al mattino. A me però piaceva in versione stella, insomma: due nomi sono meglio di uno, e nel mio universo parallelo fatto di buchi bianchi, supernove, e piramidi Espero è una stella, Venere dimenticatevelo. Eppoi che sovrannaturale sarebbe se fosse dogmatico no?

Credo di aver detto tutto, scusate la mia notoria prolissità e ci vediamo fra una settimana per il capitolo 5, grazie per essere passati ^^

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Achernar