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Autore: mesafe    13/06/2013    0 recensioni
Mi lavo i denti. 16 movimenti secchi. 16 e solo 16. Mi lavo le mani. una. due. tre. quattro volte. Vado in camera. Calze, camicetta, gonna e felpa. Sempre e solo così. Predo la cartella e fortunatamente mi accorgo che è venerdì. 7 ore. Letteratura, Tedesco, Matematica, Storia, Pranzo, Ora-buco, Ginnastica, Ginnastica. Prendo le mie cose per ginnastica dall’armadio. A scuola non lascio vestiti perché è tutto pieno di germi ed è tutto sporco. Chiudo la porta di camera, attraverso il soggiorno, metto il giubbotto, apro la porta dell’appartamento, scendo le scale. L’aria fredda di Earl’s Court Road mi entra nelle vene. Sento le linee rosse nelle mie braccia risuonare, sento il dolore dell’incomprensione dentro di me. Stazione della metro, igienizzante a portata di mano; fortunatamente c’è un posto a sedere libero e mi ci siedo. Mi lavo le mani con il gel. St James’ Park. E’ la mia fermata; scendo e prendo l’autobus. Arrivo a scuola e il portone immenso mi da il benvenuto.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima di entrare nel pub mi girai e vidi mia mamma in macchina con lo sguardo fisso nel vuoto.
Perché proprio stasera? Perché è schizzata in quel modo? Certo che siamo una famiglia di persone veramente strane.
Quando varco la porta del pub l’odore di birra mi investe.
E’ un odore molto pungente che mi ricorda Josh.
Chiudo forte gli occhi per scacciare quell’immagine orribile e la voce di mio padre riparte dolce. Come una melodia.
La musica era leggera e il pub era deserto se non per il barista vecchio e i soliti due alcolisti.
Quando questi due si girano e incontrano il mio sguardo non dicono nulla. Hanno gli occhi rossi, irradiati di sangue.
L’alcool li sta distruggendo. Un brivido percorre la mia schiena e mi igienizzo le mani.
L’odore dell’amuchina rilassa i miei nervi, ma al contrario irrita il barista.
“Che cazzo è questo o…”
Quando incontra il mio viso si zitta.
La bocca spalancata e gli occhi umidi. Non capisco se i suoi occhi stanno guardando me, quindi mi giro per vedere se era entrata mia madre.
E in effetti è così.
“Si vede che è vostra figlia”
La voce di mio padre rimbomba e alla radio la musica trasmette una melodia anni ’20 che rende l’atmosfera troppo inquietante.
“Come vostra figlia? Ma, lui conosce Devon?”
“Senti Meg, io torno in macchina. George ti dirà tutto.”
“Perché io questo peso? Sei tu sua madre.”
Gli occhi di mia mamma ghiacciano George. Quale peso?
I due alcolizzati continuano a guardarci anche se a me sembra che vogliano trovare un appiglio alla realtà che hanno perso.
Poi dicono qualcosa. Più che dire, farfugliano.
George li riprende.
“State zitti idioti.”
Mi metto a sedere e mia mamma esce dal pub.

“Come ti chiami?”
“Megan.”
George sorrise e una lacrima amara scese dal suo occhio destro rigando il viso e finendo nella folta barba.
“Allora ha chiamato veramente sua figlia con il nome della bambina che aveva sognato.”
“No, non l’aveva sognata.”
George si gira e mi sorride malinconicamente. Mi prende le mani e io scatto indietro, oscillando sullo sgabello.
“Non mi toccare. Non lo fare mai più.”
Prendo l’igienizzante e mi lavo le mani.
“Devon, tuo padre, aveva sognato quella bimba mentre era fatto.
Disse che era una bambina bellissima e leggiadra, che lo faceva stare bene, le chiese come si chiamava e lei disse Megan.
Ecco da dove viene veramente il tuo nome.”
Mia mamma mi aveva rifilato una cazzata. Sapevo di essere stata rovinata dalla droga in qualche modo anche io, ma perché non raccontarmi la verità?
La voce di mio padre nella mia testa iniziò ad affievolirsi per fare spazio a mille domande.
“Perché mia mamma mi ha portato qui? Che peso ti ha dato? Perché proprio stasera?”
George si irrigidì e prese un respiro.
“Megan, ora ti racconterò una storia. Non censurerò nulla come tua madre ha fatto per tutti questi anni. Ti dirò solo la verità”
Dietro di me sento dei passi, mia madre, ma sono troppo concentrata su George e non mi giro.
L’alcolizzato farfugliò qualcosa e George lo zittì.
“Stai zitto, cazzo, stai zitto.”
“Deve sapere. Poi guardala, è una ragazza senza cuore che odia i posti come questi.
Deve sapere come gira la vita e che la pillola non è sempre dolce da deglutire.”
“Non odio questi posti, ho solo dei problemi con i germi.”
George iniziò la sua storia, mentre l’alcolizzato iniziò a ridere; molto probabilmente per la faccenda dei germi.
“Allora Megan” la voce di George era diventata più docile “ Io conosco tua madre da tanto tempo e anche tuo padre. Dopo che nasce..”
George non finì la frase perché l’alcolizzato dovette dire una cosa.
Una cosa che distrusse il mio mondo.
La voce di mio padre dentro la testa iniziò a rimbombare e, invece di rassicurarmi, iniziò a stordirmi.

“Tuo padre è morto puttanella. Avevi 6 anni. Ci sballammo insieme. Lui un po’ troppo e è andata come è andata.”
George tirò uno schiaffo in faccia a quel coglione.
Ero sola. Mia madre mi aveva mentito per 16 anni. Mi girai per dirle qualcosa, ma davanti a me non c’era mia madre.
“Josh cosa ci fai qui?”
Di getto, vedendolo scoppiai a piangere.
No,non dovevo iniziare così.

Mi alzo dallo sgabello e sposto Josh con il braccio.
Esco dal pub e mi dirigo verso la macchina.
Apro la portiera e prendo lo zainetto con la macchina fotografica.
“Io non ti voglio più parlare dato che dalla tua bocca sono uscite solo cazzate. Torno a casa da sola.”
“Sei in pigiama Meg, non puoi tornare a casa da sola. E non conosci nemmeno la strada.”
“Numero uno, non mi chiamare più Meg, numero due, io faccio quello che mi pare da ora in poi.”
Vedo Josh dall’altro lato della strada.
“Anche tu mi hai rovinato la vita. Me l’avete rovinata tutti. Vaffanculo.”
Tiro un calcio per chiudere la portiera e mia madre inizia a piangere sul volante.
Io inizio a correre.
Non poteva essere, 16 anni di bugie, 16 anni passati all’oscuro di tutto. Dove era la verità? Chi mi poteva capire ora?
Eravamo anche fuori Londra e con la notte ci capisco ancora di meno di orientamento.
Arrivo in una piazza e capisco che mi sono persa.
Inizio a piangere e ho paura. Ho paura del futuro, ho paura di rimanere sola.
E tutto mi fa più paura quando capisco di esserlo già.
Una figura nera e infondo alla piazza.
“Megan che cazzo fai?”
Josh.
“Vattene. E’ anche colpa tua se sono così sai? E’ colpa tua se mi sono auto lesionata, si non sei solo, è colpa tua se ora odio i baci”
mi alzo in piedi “ è colpa tua se non sono riuscita a baciare Cadwgan. E’ tutta colpa tua.”
Inizio a piangere di nuovo e sto per cadere per terra quando Josh mi afferra.
“Vattene. Ce la faccio anche da sola. Ce la devo fare.”
“Megan, io ti capisco. Ti capisco più di ogni altra persona.”
Lo guardo negli occhi. Con il buio non distinguo il colore, ma sembrano più marroni dell’ultima volta.
“Josh, lasciami andare.”
Le lacrime mi fanno schifo e inizio a togliermele troppo energicamente.
Josh mi prende le mani e le toglie dal mio viso e mi costringe ad abbracciarlo.
“Levati, levati stronzo.”
“Mai. Non mi leverò finché non starai bene.”
Allora mi prende in collo. Le lacrime si fanno sempre spazio nel mio viso. Poi le finisco.
E mi addormento. 
  
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