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Autore: fraVIOLENCE    13/06/2013    1 recensioni
"Ti ho detto che non ho bisogno di te! Non ti amo Thomas, non ti amo più!" - bugia, lo amavo ancora. Ma amavo il vecchio Tom: quel ragazzo con il piercing al labbro. Quel ragazzo scombinato che non si sentiva al sicuro se non si nascondeva sotto quel cappellino arancione. Quel ragazzo che pianse di felicità quando gli confessai di aspettare un bamino. Quel ragazzo che mi accudiva, che mi amava, che prendeva in braccio nostra figlia e che la cullava per farla addormentare. Quel ragazzo che la notte si svegliava per darle da mangiare, quel ragazzo che ripeteva di amarmi. Quel ragazzo che mi sorrideva sempre, che mi faceva sentire al sicuro, che mi faceva sentire viva.
SEQUEL DI ' THERE'S SOMEONE OUT THERE WHO FEELS JUST LIKE ME? '
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mark Hoppus, Nuovo personaggio, Tom DeLonge
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2.


"Sono contento di essere riuscito a convincerti a farti uscire stasera!" - rise Mark, sistemandosi la camicia e uscendo dal locale.
"Sono contenta anche io di essere uscita. Per fortuna che Dylan era a casa e ha potuto badare ad Ava" - risi anche io, seguendolo e sistemandomi la borsa sotto al braccio destro.
Camminavamo velocemente sul pontile, allontanandoci dalla musica house che risuonava nella discoteca.
Era circa mezzanotte, il cielo era pieno di nuvole e soffiava un forte vento: avrebbe iniziato a piovere da un momento all'altro.
I fulmini tagliavano il cielo e i tuoni emettevano un rumore frastornante dopo aver dipinto il cielo di bianco.
Mi strinsi a Mark per ripararmi dal vento e mugolai, sentendo la pelle venire invasa dai brividi.
"Perchè abbiamo deciso di venire a piedi? Perchè?" - domandò Mark, ridendo.
Risi anche io, chiudendo gli occhi e lasciandomi guidare dai passi del mio amico.
Accellerammo maggiormente il passo, continuando a ridere come due bambini, finchè una voce che chiamò il nome di Mark non ci fece sussultare.
La riconobbi subito quella voce. Non volevo e non dovevo voltarmi.
La mia mano scivolò subito su quella di Mark, che me la strinse forte.
Mark si girò, sospirando.
"Thomas" - disse, distaccato.
Mi voltai anche io, mordendomi nervosamente le labbra.
"Ciao, Jennifer" - disse Tom, barcollando verso di noi con un sorriso molto poco sobrio.
Infatti, appena aprì bocca, venni invasa da un odore di vodka alla menta che mi diede la nausea.
Mi ricordò l'ultima volta che lo avevo baciato e lo stomacò si rivoltò al solo pensiero di quella bocca che premeva sulla mia, di quelle mani sul mio corpo.
Lo guardai con tutto l'odio che avevo dentro, senza degnarlo di una risposta.
"Che cosa vuoi?" - domandò Mark, irritato.
"Cosa c'è? Non posso nemmeno salutarvi?" - chiese Tom con una risata, cercando di rimanere in equilibrio.
"Mark, andiamo.." - sussurrai, indietreggiando e stringendo più forte la sua mano.

Tom in quelle condizioni mi aveva sempre fatto paura. Non lo vedevo da tre anni, e non sapevo che razza di persona era diventata.
Tre anni fa Tom aveva deciso di dedicarsi ad un nuovo gruppo dopo aver conosciuto dei ragazzi in un locale di San Diego. Voleva creare musica più seria, più matura.
Fondò una nuova band, gli Angels and Airwaves. Nome che tra l'altro scegliemmo insieme. Lui diceva che quella band sarebbe stato un tributo a nostra figlia Ava.
Iniziò però a trascurare Mark e Travis: non rispondeva più alle loro chiamate, non si presentava alle prove e agli appuntamenti, finchè un giorno li accusò di essere degli immaturi, senza un motivo specifico.
Cambiò numero e disse al manager di avvisarli che lui non avrebbe mai più fatto parte della band.
Tom era diventata un'altra persona: aveva iniziato a bere e di conseguenza ad allontanare tutte le persone per lui care. Non gliene importava più niente di nessuno, nemmeno di me o di Ava.
Una sera, più sbronzo del solito, arrivò ad insultare anche a me. Sopportai anche quella per il bene di nostra figlia, ma quando Tom arrivò ad alzare le mani con me, non esitai a denunciarlo e a chiedere il divorzio.
Dopo una notte passata in cella, Tom pagò la cauzione. E non solo quella. Pagò anche vari giornalisti e fotografi, per non far sapere in giro quanto era accaduto.
Sembrava importargli più della sua nuova cerchia di amici che del bene della nostra famiglia. Quando il giudice gli vietò di vedere Ava, infatti, lui scomparve.
Non una telefonata, non una lettera, nemmeno un tentativo per cercare di rinconquistarci.
Si trasferì a New York e continuò la sua carriera, come se niente fosse successo.


Tom agrottò la fronte, facendo scivolare il suo sguardo sulle nostre dita intrecciate.
"Oh mio dio" - sbottò in una risata che sembrava tutto tranne che sincera. Una risata sarcastica.
"Voi due vi siete messi insieme?!" - chiese Tom, sbalordito.
Non gli risposi e mi tenni stretta a Mark, che lo fissava con odio.
Non avevo mai visto Mark guardare qualcuno in quel modo. E non avrei mai immaginato che un giorno avesse guardato così Tom.
Tom si avvicinò al viso di Mark, ricambiando quello sguardo e facendo sfiorare la punta del naso con il suo.
"Jennifer è mia" - sibilò tra i denti.
"Mark, ho detto andiamo" - sospirai, indietreggiando ancora e tirandolo verso di me.
"No Thomas, non stiamo insieme. Ma Jennifer non è più tua. E devi starle lontano" - rispose a tono Mark.
"Mark, lascia stare!" - alzai il tono della voce per attirare l'attenzione, mentre i brividi aumentavano. Un po' per la paura e un po' per il freddo.
Tom si allontanò dal viso di Mark e si avvicinò al mio.
Era cambiato. Non lo riconoscevo più. E non era di certo merito del taglio di capelli diverso, dei chili in più e del modo di vestire diverso.
Il suo sguardo era diverso. I suoi occhi. Il suo cuore. Non era la persona che avevo conosciuto quel pomeriggio di settembre del 1992.
Non era la persona che avevo sposato, non era più la persona di cui mi ero innamorata e con cui volevo condividere il resto della vita.
"Hai detto bene Jennifer, lascia stare. Tu sarai per sempre mia, lo sai?" - mi sussurrò, avvicinandosi alle mie labbra con uno strano sorrisetto dipinto in volto.
Mark si mise in mezzo e lo spintonò con forza.
"Lasciala in pace!" - urlò con rabbia, per poi voltarsi e portarmi con rapidità lontano da lì.

Entrai in casa dopo aver salutato Mark con ancora le mani che mi tremavano e gli occhi pieni di lacrime.
Salutai distrattamente Dylan, che mi chiese cos'avessi.
Mi giustificai dicendo di essere stanca e non abituata a uscire la sera: non volevo che si preoccupasse.
Entrai nella cameretta di Ava dopo essermi tolta quelle fastidiosissime ballerine: nonostante avessi ormai trent'anni non riuscivo ad indossare scarpe con il tacco o che possedessero un minimo di classe o eleganza.
Mi sedetti sul bordo del suo letto, facendo attenzione a non svegliarla e sospirai, passandole delicatamente una mano tra i capelli.
Gli occhi mi si colmarono presto di lacrime che iniziarono a scendere rapidamente dai miei occhi.
I singhiozzi si erano fatti così rumorosi che Ava si svegliò e si mise seduta sul materasso mentre rapidamente mi asciugavo le lacrime.
"Stai piangendo, mamma?" - sussurrò lei assonnata, sbadigliando.
Scossi la testa, tirando su con il naso.
"No amore, sono solo un po' raffreddata. Adesso dormi dai, è tardissimo. Sennò domani mattina non riesci a svegliarti" - sussurrai con voce spezzata dal pianto.
Lei annuii, sbadigliando nuovamente.
"Posso dormire nel lettone con te?" - farfugliò, stropicciandosi l'occhio destro con la manina.
"Certo piccola" - mormorai con voce roca, prendendola in braccio e incamminandomi verso la mia camera.
La appoggiai delicatamente sul materasso e la coprii con un lenzuolo, per poi sfilarmi il vestito e indossare una lunga maglia della DC.
Mi distesi vicino ad Ava e sorrisi, quando lei si strinse al mio petto.
"Buonanotte mamma" - biascicò, strusciando il nasino nell'incavo del mio collo.
"Buonanotte amore" - le baciai amorevolmente la testa e iniziai ad accarezzarla per fare in modo che si addormentasse più in fretta.
Sistemai la testa sul cuscino e chiusi gli occhi, sospirando e cercando di non pensare a quanto accaduto, ma era inevitabile.
Avevo paura. Avevo paura che lui tornasse, che mi dicesse qualcosa. Che parlasse ad Ava, che mi seguisse.
Avevo paura di tutto. Non sapevo che razza di persona era diventata Tom. Poteva fare qualsiasi cosa. E la cosa che mi spaventava era la sua testardaggine.
Secondo Mark avrei dovuto chiamare la polizia, ma non me la sentivo di scombinare nuovamente la nostra vita, soprattutto adesso che Ava si era quasi abituata all'assenza di suo padre.
Quel pensiero mi tormentava, mi uccideva.
Quella notte dormii circa un'ora, e in più feci anche uno strano sogno.
Sognai una spiaggia deserta in un giorno di pioggia, con delle rose sulla riva e un orsacchiotto di peluche, nient'altro.
Quando suonò la sveglia mugolai in segno di disapprovazione, allungando la mano sul comodino per spegnerla.
Quella sarebbe stata una lunga giornata.
  
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