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Autore: scarpette rosse    14/06/2013    0 recensioni
Mi chiamavo Iceberg, ma adesso ero solo un numero: 73031.
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Tadaaaaaan, storia nuova. Spero che vi piaccia #muchlove
Genere: Avventura, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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                                                            D0v'era la felicità, la voglia di vivere?


Dopo un lunghissimo viaggio di sette giorni in questi carri, varcammo il grandissimo, possente e tenebroso cancello del campo di concentramento di Auschwitz. Il campo era immenso, vuoto, abbandonato; sembrava un deserto, solo con la differenza che il deserto era un posto caldo, mentre qui era tutto molto freddo, cupo, pauroso. Il carro si fermò poco dopo dell'entrata, e dei poliziotti tedeschi aprirono i due grandi carri e ci fecero scendere tutti, in fila. 
Quando uscii, finalmente respirai di nuovo l'aria aperta, dentro eravamo tutti stretti l'una all'altra e non si respirava quasi più. Poi presi a girovagare con lo sguardo per cercare lui e mi bloccai quando due occhi verdi smeraldo mi fissavano vuoti, non brillavano più; mi fece un triste sorriso e sussurrò un 'ti amo' privo di felicità, privo di vita. A quella visione volevo piangere, combattere, fare qualcosa, ma non avevo la forza, il dolore che stavo provando era davvero forte, così tanto forte che distruggeva tutto di me stessa. 
Sussultai quando due mani mi presero con forza per farmi avanzare e avanzai velocemente, mettendomi in fila di nuovo.

Tutto questo mi faceva paura, tutto.

Camminammo finchè arrivammo fuori una casetta bianca, ci fecero entrare spingendoci verso l'interno. C'era gente che cadeva, che piangeva, che strillava, poi c'era chi che aveva lo sguardo perso, che cercava di piangere ma che non ci riusciva, che aveva il viso privo di sentimenti, come nel mio caso. 
Vedevo che prendevano con noncuranza le donne e le buttavano sulla sedia, tagliavano i capelli e poi le buttavano in un'altra stanza. Quando arrivò il mio turno, mi presero con la forza disumana, mi buttarono con violenza sulla sedia e tirarono i miei capelli fino a farmi male e li cominciarono a tagliare facendo cadere pian piano grandi ciocche bionde che poi si posavano senza vita sul pavimento polveroso finchè diventai calva. Poi mi presero per il polso e mi spinsero in quest'altra stanza.

Era il momento della doccia. 

Doccia, non sapevo per che cosa intendevano per doccia. O morivamo, o dovevamo sciacquarci. Ogni mio dubbio si levò quando dell'acqua cominciò ad uscire. Sentii il getto sulla pelle, le urla spaventate delle altre donne, i pianti, le risate, la felicità per aver bevuto almeno un goccio d'acqua. Era tutto così stranziante, almeno per una ragazza di diciott'anni come me. Mi era mancata l'acqua, anche se in quel momento non sentivo caderla dolce sulla pelle, ma erano come delle scheggie che toglievano ogni nostra sporcizia ma non i nostri pensieri, le nostre paure. Una doccia dovrebbe farci sentire protette, coccolate, giusto? O almeno ero io che mi sentivo così quando non c'era ancora tutto questo caos, invece ora mi sentivo nuda davanti a tutti, vuota, impaurita e l'acqua non faceva nulla che poteva farmi sentire a casa. 
Non ero a casa. Ero in un posto vicino alla morte. 

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salve carissimi lettori, sono ritornataaaaaaa!
ok, il capitolo non è molto lungo, scusatemi per questo, ma credetemi, scriverlo non è molto facile, è molto triste e io stessa non riesco più a trattenermi le lacrime al solo pensiero che tutto questo sia successo a mia nonna quando aveva 18 anni, quindi scusatemi davvero se i capitoli sono corti, ma cercate di capirmi c.c 
vabbè, posterò il prossimo capitolo al più presto! 
ciau bellissimi lettori, spero che vi piacerà! twitter@harrotsxox

  
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