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Autore: Pwhore    14/06/2013    6 recensioni
Prima che partiate coi film mentali, sappiate che non ho un passato di violenze, che non mi ha mai molestato nessuno se non qualche matto sull'autobus che da dietro mi aveva scambiato per una ragazza per poi pensar bene di fare qualche bel massaggio al mio simpatico fondoschiena, che a scuola i bulli non mi pestano e che non sono mai stato gettato in un secchio della spazzatura poco prima dell'inizio delle lezioni, come succede a tutti i ragazzi dei telefilm che passano in TV durante le vacanze estive. No, gente, mi dispiace ma Jack Barakat non ha mai dovuto affrontare niente del genere e ringrazia il cielo per la vita che ha passato finora, coi suoi alti e bassi, i suoi pregi e difetti. No, il mio problema è un altro, e penso si possa riassumere con una sola parola: me.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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there's room for two six feet under the stars cap2 Quando la sveglia comincia a suonare e apro gli occhi, Alex è ancora aggrovigliato a me, mi soffia addosso con la sua aria calma e rilassata di ogni giorno e sorride, pacioso, mentre sogna chissà cosa; e non so in che modo sia riuscito a spostarlo ed alzarmi per andare a vestirmi, se ci penso non riesco a non darmi del deficiente patentato. Ma se salto scuola e mia madre lo viene a sapere va a finire che mi manda in collegio, quest'anno le ho dato già abbastanza problemi a sentire quel che dice, e se mi salta in mente di pisciare mi srotola le budella, parole sue. Quindi a malincuore sono dovuto sgusciare via dalle braccia di Alex, lasciandomi alle spalle il suo odore, il suo calore e la sua stretta rincuorante, per dirigermi verso il posto che più detesto la mattina presto, il mio liceo schifio pieno di gente schifia e materie schifie. Che poi chiariamo, la scuola può pure essere interessante se ti capitano le materie giuste, ma se ciò che studi lo scegli quando sei fatto allora non puoi proprio sperare di cavartela con lezioni fighe e minimamente utili per il tuo futuro, anzi; molto probabilmente capiterai in aule di letteratura capitanate da una professoressa che sembra avere una paura matta dei suoi stessi studenti, scienze della comunicazione, economia, recitazione et similia, dove trovare un qualche amico simpatico è un'impresa altrettanto dura che farti promuovere senza carenze. Insomma, mi sparerei da solo per ciò che mi sono scelto, e butto nuovamente in campo il fatto della tomba: sono un deficiente con tendenze masochiste per farla breve.
Quando entro in classe sono accolto come al solito da un'aria pesante e viziata, contornata da una ventina di ragazzi che urlano e strepitano fin da quando cominciano a radunarsi davanti al portone dell'edificio, verso le sette e un quarto, e da una lavagna strabordante di disegni e prese in giro d'insegnanti e alunni. Prendo posto vicino alla finestra, dove mi metto di solito, lascio cadere lo zaino accanto a me e alzo lo sguardo verso l'esterno, sovrappensiero; quando ecco che Nick, accompagnato dalla sua aria gaiamente eccitata, si fa largo fra la folla dirigendosi verso di me, sventolandomi un sorriso smagliante sotto il naso. Cos'avrà da essere così felice di primo mattino, lo sa solo lui. E purtroppo fra poco anch'io.
«Eeeehiii, Jaaack!» gongola, percorrendo di corsa gli ultimi due metri, «indovina cos'è successo!»
«Hai trovato una ragazza?» butto lì, visto che ultimamente si stanno fidanzando tutti. Viva la primavera!
«Uh? No, non sono innamorato di nessuna» ribatte, accigliandosi leggermente. Scrollo le spalle, rassegnandomi.
«Non ne ho idea allora, mi arrendo» esclamo con un sospiro che lui interpreta come un segno d'eccitazione condivisa.
«Mi trasferisco!» annuncia mettendosi i pugni sui fianchi.
«Che cosa? E dove?» domando, perdendo per un attimo il mio aplomb distaccato. Dio, grazie, grazie, grazie!
«A un isolato da casa tua» risponde subito, come se stesse fremendo da ore per dirlo a qualcuno altrettanto emozionato.
«No, aspetta, cosa?» ripeto, la mascella che a momenti mi cade per terra.
«Massì, hanno licenziato mamma, così abbiamo preso in affitto una di quelle villette a schiera come la tua, visto che sono molto meno care; e visto che avevo già amici in zona, i miei hanno preferito optare per venire qui intorno» mi spiega.
«Non ci posso credere» boccheggio, spiazzato. 
«Lo so, è fantastico» conferma lui, sfoggiando un altro sorrisone a cinquantamila denti, «non vedo l'ora!»
«Tutti ai posti» esclama nel frattempo la professoressa, entrando in classe con un pacco di compiti sotto il braccio e una tazzina bianca di caffè nella mano sinistra; gli alunni migrano ai loro banchi e io rimango di nuovo da solo, incredulo.
«Brutte, bruttissime notizie» scrivo velocemente; poi prima d'inserire il destinatario mi blocco e osservo il cellulare con aria indecisa, me lo rinfilo in tasca dopo aver salvato il messaggio e lascio stare. Avvertirò dopo Alex, meglio lasciarlo dormire finché può; e poi per ora non ho abbastanza informazioni per svegliarlo e metterlo al corrente della situazione in modo soddisfacente, tanto vale aspettare nuovi riscontri e informarlo durante la ricreazione. Tiro fuori quaderno, astuccio e diario e comincio a scarabocchiare sul banco, elaborando tra me e me una maniera per evitare d'invitare Nick ai futuri barbecue di quartiere e rimanere comunque nei limiti dell'educazione, secondo la fissazione di quella maniaca di mia madre, ma nessun metodo mi soddisfa fino in fondo. Che accollo, cazzo. Comunque la prof comincia a spiegare, quindi posso tranquillamente isolarmi nel mio mondo di fantasia senza rischiare di essere interrogato. Oh, gaudio.
La ricreazione arriva più lentamente di quanto sperassi inizialmente, accompagnata dal trillo acuto della campanella e dallo sbuffo seccato della professoressa, ancora lontana dalla fine della spiegazione; sguscio via dal mio banco prima che a Nick possa saltare in mente di raggiungermi e continuare la nostra conversazione e mi dirigo verso il bagno assieme agli altri ragazzi, che, sbadigliando, commentano quanto sia stata una palla la lezione e quanto vorrebbero tornarsene a casa a dormire.  Se penso che io stamattina stavo dormendo abbracciato ad Alex mi vengono i brividi, ma non è il caso che lo dica o ci pensi, ho davanti ancora quattro noiosissime ore che intendo passare arroventandomi il cervello per trovare un modo di salvaguardare il mio vicinato, e non per farmi film mentali sul nostro futuro assieme.
«Ehi Barakat, noi andiamo alla macchinetta a prenderci qualcosa da mettere sotto i denti, vieni anche tu?» propone Rian.
«Puoi scommetterci le chiappe, so che muori dalla voglia di offrirmi un caffè» esclamo subito, girandomi di scatto. Quello che non mi aspetto è di avere un capogiro e cadere a terra come una pera cotta, davanti agli occhi a metà tra il divertito e lo sgomento dei miei amici, che corrono subito verso di me e mi posano una mano sulla spalla, apprensivamente ma comunque sul punto di scoppiare a ridere, quasi non fossi neanche loro amico.
«Jack? Tutto okay, bello?» ride Rian, ma la risata gli muore tra le labbra quando fissa il suo sguardo sul mio, appannato.
«Rian, ci vedo doppio» mormoro in un sussurro, sgranando gli occhi e piantandoli dentro ai suoi, grandi e neri; deglutisce, digrigna la mascella e stacca la mano dalla mia spalla, senza smettere di guardarmi per un secondo.
«Vado a cercare aiuto, non ti muovere» mi dice, in un tono spaventato e serio che non credo di avergli mai sentito usare; annuisco fievolmente e lo guardo schizzar via, mentre il castano rimane lì con me e mi si avvicina, inginocchiandosi.
«Ce la fai ad alzarti?» mi domanda lentamente, lanciandomi un'occhiata soffice, e io scuoto la testa, deglutendo.
«Non saprei che mano stringere» aggiungo; Zack annuisce e lascia la mano premermi contro la spalla, delicatamente, poi dopo un po' si alza e viene a sedersi accanto a me, guardandomi negli occhi.
«Vuoi che chiamiamo Alex?» chiede, senza staccare lo sguardo da me per neanche un istante. Sono tentato da dirgli sì, chiamalo, chiamalo e digli che sto male e ho bisogno di lui e che non ci capisco niente e ho paura, poi mi torna in mente che non è neanche venuto a scuola oggi e scuoto la testa, senza volerlo caricare di ulteriori problemi; lui si limita ad annuire in silenzio e rimaniamo là un altro po', osservando il nulla. Provo a tirarmi in piedi appoggiandomi a lui ma le gambe mi cedono prima che io sia anche solo a metà strada, e dopo Zack non mi permette di fare altri tentativi, temendo che possa spaccarmi il cranio contro il pavimento. Rian arriva dopo quattro, cinque minuti, ma il tempo passato sembra un'eternità; alle sue spalle c'è l'infermiera della scuola, una donna forte e decisa che ormai ci conosce come le sue tasche per quanto spesso ci facciamo male e veniamo a farci mettere due cerotti da lei, ma questa volta è diverso, lo capisco dal suo sguardo. Si china su di me e mi guarda negli occhi, puntandomi contro una luce; annuisce soddisfatta quando vede le mie pupille dilatarsi e armeggia un po' dentro la sua borsa bianca per tirare fuori qualcos'altro.
«Hai mangiato qualcosa di strano fra ieri e oggi?» mi domanda, chiudendo le dita attorno a un oggetto allungato. Mi viene in mente il piatto della mamma di Alex e mi lascio scappare un sorriso, però so che non è quello ad avermi fatto male, l'ho già assaggiato altre volte a casa di alcuni parenti, quando ero più piccolo.
«Hai preso qualche botta in testa, qualcosa che possa averti lasciato tramortito o intontito?» insiste, ma davanti al mio no storce la bocca. «Hai per caso bevuto qualcosa prima di venire qui o - dio non voglia - durante la ricreazione?»
Scuoto la testa un'altra volta, e solo ora mi accorgo che mi fa un male cane. «Da quant'è che non mangi?»
Biascico un 'ieri sera verso le otto e mezza', poi mi ricordo della colazione e rettifico, aggiungendo che stamattina mi sono preso una tazza di caffè e una di cereali, anche se poi non ho finito né l'una né l'altra; lei annuisce e rimette a posto l'attrezzo, probabilmente quello sbagliato, senza nascondere un velo di fastidio per non aver trovato subito quello giusto.
«Aspetta, fammi provare una cosa» dice dopo un po', spostandomi la frangetta dalla fronte e rimanendo in attesa qualche secondo, in silenzio. «Potrei bollirci un uovo sulla tua fronte» commenta, alzandosi in piedi e dirigendosi verso il lavandino; tira fuori un fazzoletto, lo bagna e torna indietro, premendomelo contro la testa con delicata decisione.
«Tienilo lì, vado a chiamare a casa» mi annuncia; io annuisco docilmente e rimango seduto circondato dai miei amici, sospirando silenziosamente fra me e me. Non troveranno nessuno a casa. Probabilmente verrà a reclamarmi la zia, che poi mi farà una ramanzina per averla costretta a prendere un permesso da lavoro, o se sono abbastanza fortunato la mamma di Alex, ma a casa il telefono squillerà per ore senza che nessuno lo senta. Sono quasi sul punto di avvertire la dottoressa di non provarci neanche, tanto è inutile, poi rinuncio e torno a concentrarmi sulla pezza che mi sgocciola sulla fronte, mentre un rivolo d'acqua mi corre lungo la guancia, si getta oltre il collo e mi bagna la maglietta, infastidendomi.
«Vado a prenderti un the» fa dopo un po' Rian, alzandosi in piedi, togliendosi la polvere dalle gambe e uscendo dal bagno.
«Jack, non c'è nessuno a casa, vero?» domanda Zack, voltando poco il volto per guardarmi annuire.
«Qual è il secondo numero d'emergenza?» chiede di nuovo, stavolta fissando il vuoto davanti a sé.
«Non ne hanno» rispondo, sospirando rassegnato «ma forse chiameranno dai Gaskarth, visto che siamo sempre insieme».
Annuisce; «Sarebbe una cosa buona» commenta, poi si alza, tira fuori dalla tasca un altro fazzoletto e lo inumidisce.
«Credi che si arrabbieranno, ad avere un altro malato tra i piedi?» domando quando me lo passa, e lui scrolla le spalle.
«Non vedo perché dovrebbero» ribatte.
«Quello che pensavo anch'io» mormoro, «ma dopotutto la gente è strana».
Rian torna con il the, me lo passa e dopo qualche minuto entra pure la dottoressa, massaggiandosi il collo.
«Accidenti, non so che dire, ho chiamato sia tua madre che tuo padre ma hanno entrambi la segreteria telefonica, e non ho nessun altro che abbia la delega per farti uscire» mi dice, squadrandomi con preoccupazione. «Da chi puoi andare?»
«Sono stato mezzo adottato dalla famiglia Gaskarth» dico, lei annuisce e corruga la fronte.
«Oh, quelli» si stupisce. «Ce li ho ben presenti, sono personcine molto a modo e lei è molto gentile. Vado a chiamarli».
Quando ha ormai girato i tacchi e percorso tutto il corridoio, Rian si gira verso di me e mi stropiccia i capelli.
«Dai campione, vedrai che nel giro di pochi giorni sarai di nuovo sano come un pesce» sorride, ritirando indietro la mano.
«So che muori dalla voglia di tornare alle spiegazioni della Tidell ma non preoccuparti, ti porteremo noi i compiti, non ne perderai neanche una» scherza poi, e mio malgrado mi lascio scappare un sorriso. Che scemo.
«Ha risposto al secondo squillo, una vera padrona di casa» commenta la dottoressa, comparendo dal nulla. «Mette in moto la macchina e ti viene a prendere, comincia a preparare lo zaino; ma vedi di non affaticarti troppo per un paio di giorni o non ti passerà mai. In caso di peggioramenti chiamami pure» si raccomanda, poi mi aiuta a tirarmi in piedi e lascia che siano i miei amici ad accompagnarmi in classe a recuperare la mia roba. La campanella è suonata da ormai venti minuti e i miei compagni sono nel bel mezzo di una lezione, ma quando la professoressa vede la mia faccia pallida annulla la nota e permette a Zack e Rian di restare con me fino all'arrivo di chi si prenderà cura di me, lanciandomi uno sguardo apprensivo quando lascio l'aula per la seconda volta, stavolta accompagnato dallo zaino. Nick mi chiede come sto ma mi prendo il permesso di ignorarlo e arranco fuori dalla porta, sempre aggrappato al braccio di Rian; ci fermiamo dopo pochi metri per permettermi di riprendere fiato, ricominciamo a camminare e arriviamo finalmente nell'androne, dove fra poco dovrebbe comparire la mamma di Alex con un grande sorriso a metà fra il 'cavolo, è colpa mia' e il 'be', almeno potrò rimediare'. Mi siedo sugli scalini e mi prendo la testa fra le mani, mentre Zack mi accarezza premurosamente la schiena. Arriva dopo dieci minuti col respiro ansimante, come se avesse corso.
«Oh Jack, eccoti qui» esclama venendomi incontro «scusa se c'ho messo tanto, ma ho incontrato un sacco di traffico».
Poi nota gli altri e le labbra le s'increspano in un sorriso sollevato: «Ehi, ragazzi! Grazie per avergli tenuto compagnia!»
«Ehilà, signora Gaskarth» la risalutano loro, un po' a disagio ma comunque contenti che sia arrivata.
«Alex vi saluta tutti e ci tiene a dirvi che gli mancate» precisa, pimpante, e loro sorridono, alzandosi in piedi. Mi danno l'ultimo saluto e mi lasciano andare, poi salutano gentilmente anche lei e se ne vanno, tornando svogliatamente in classe.
«Vieni, ho parcheggiato proprio qui di fronte» mi mormora, passandomi un braccio attorno alle spalle per aiutarmi. La ringrazio, mi appoggio a lei e barcolliamo assieme fino all'uscita; poi sblocca la macchina, apre la portiera e mi lascio cadere sul sedile di dietro, atterrando con un tonfo morbido mentre lei si mette al volante.
«Mi sa che Alex ti ha attaccato la febbre» commenta, lanciandomi un'occhiata dallo specchietto retrovisore. Gorgoglio.
«Grazie per essermi venuta a prendere, i miei sono fuori città e torneranno fra qualche giorno» mormoro stancamente.
«Di nulla, ma faresti meglio a dormire ora. Ti sveglio io quando arriviamo, non preoccuparti» mi tranquillizza. Sorrido, appoggio la testa al finestrino e socchiudo gli occhi, offuscando ulteriormente la mia vista già compromessa. Crollo subito.

«Ehi, Jack, svegliati» mi chiama con dolcezza, scuotendomi delicatamente la spalla. «Siamo arrivati. Ti ho preparato un letto in camera di Alex, ma non sono abbastanza forte da prenderti in braccio e portarti su per le scale. Mi dai una mano?»
Apro gli occhi e la trovo a qualche centimetro di distanza da me, e per un istante mi sembra più stanca di me.
«Arrivo» gorgoglio, passandomi una mano sugli occhi e alzandomi facendo leva sull'altra. Lei mi porge il braccio e io lo afferro, grato; camminiamo lentamente per incontrare la porta di casa già aperta e ci dirigiamo verso le scale, che saliamo impiegandoci quella che mi sembra un'eternità, poi lei mi lascia davanti alla stanza di Alex. Mi ha davvero preparato un letto, noto stupendomi; mi giro per dirle un grazie un po' impastato ma lei è già scesa, così mi limito a sorridere, entrare e lasciarmi cadere sul letto, scontrandomi con l'abbraccio morbido del piumone. Alex dorme nel letto accanto al mio, le pupille che corrono freneticamente sotto le palpebre serrate, ma non ho abbastanza forza per rialzarmi e accovacciarmi al suo fianco, così mi limito ad afferrargli la mano e a tenergliela stretta finché non mi addormento, dopo pochi secondi.
Quando mi sveglio la stanza ha smesso di girare, il silenzio mi circonda e Alex si è svegliato da poco, è scivolato nel mio letto e sta aspettando che apra gli occhi; così quando lo faccio non devo neanche cercarlo per la camera per trovarlo.
«Come stai, Bassam?» mi domanda, soffice.
«Non chiamarmi Bassam» ribatto, chiudendo di nuovo le palpebre, e sento che ride.
«Sembra che Nick dovrà fare a meno della tua presenza oggi» commenta, e stavolta sono io a ridere. Che scemo.
«Mi ha chiesto come stavo quando stavo uscendo, ma non credo di avergli risposto» mormoro.
«Gentile però» osserva, tornando a osservare il soffitto.
«Ero pallido come una mozzarella, se lo stavano chiedendo tutti» ribatto cocciutamente; e lui lascia perdere.
«Quando tornano i tuoi?» chiede poi, continuando a far scorrere lo sguardo sul bianco che ci sovrasta. Scrollo le spalle.
«Li conosci, se gli arriva qualche altra richiesta sono capacissimi di fare retromarcia e tornare fra due anni».
«Jack Gaskarth. Suona di merda, non trovi?» commenta, sornione.
«Non credere che Alex Barakat sia meglio» ribatto.
«Secondo me ormai hai perso il diritto di chiamarti Barakat, sei diventato un Gaskarth» ride.
«Daje, passiamo da un cognome di merda a uno ancora più assurdo» commento, mezzo compiaciuto.
«Guarda che ti butto fuori» minaccia, fingendosi piccato. Poi torna a sorridere. «T'immagini se fossimo fratelli?»
Sarei un ardente sostenitore dell'incesto, allora, ma dico un'altra cosa. «Secondo me ci avrebbero già venduti agli zingari»
«Addirittura venduti? Regalati dopo la prima settimana» ride «e poi restituiti al mittente con una lettera di lamentele lunga un chilometro e mezzo. Direi che siamo fortunati ad essere solo amici».
Mi fa male il cuore. 'Solo amici' e 'fortunati ad essere' non dovrebbero mai essere accostati, mai, neanche per sbaglio.
«Be', oddio, magari saremmo come quei bambini dei film che vengono scoperti da qualche star mentre bighellonano per i vicoli strimpellando una chitarra e vengono scritturati per incidere decine di dischi» commento.
«Può anche darsi, ma onestamente la vedo molto, molto dura» ammette. «E poi non sei così bravo»
«Ma vaffambrodo, parla lui» lo spingo e lui ride.
«Lo sai che sei molto più bravo di me Jack, non c'è bisogno di dirlo» mormora; poi tace un attimo. «Mi ha detto mamma che avevi in mente qualcosa ma che volevi farmela sentire quando sarei stato bene, che ne dici di fare uno strappo e farmela ascoltare ora?» dice. Lo osservo, stranito. Non pensavo gliel'avesse detto.
«Non ho la chitarra a portata di mano» osservo.
«Questo lo vedo, però hai una lingua e delle corde vocali. Spara» insiste, guardandomi dal basso.
«Non posso fartela sentire dopo? È imbarazzante» mi ritraggo, arcuando le sopracciglia.
«Cioè, non ti sei vergognato a dormire nudo con me e ti vergogni a cantarmi quattro righe? Dai, non fare il coglione e fammi sentire» ribatte, allegramente ma deciso. Prendo un respiro profondo e cerco di non arrossire come un idiota.
«Okay. Ma sai che sono negato a cantare, non sfottermi» chiarisco.
«Non ti sfotterò. Vai» sorride.
«Okay, er, non è finita, in realtà è poco più che un abbozzo, e con una melodia sotto sarebbe cento volte più carina-»
«Jack!» esclama, soffocando una risata. Oh Dio, non ce la posso fare.
«Okay, okay, ce la posso fare. Okay» iperventilo quasi, mi sento un deficiente. Vorrei essere un libro, aiuto.
«In teoria dovrebbe esserci una parte prima di questa, però non c'ho ancora pensato e non lo so, non è che finora mi sembri tutta sta meraviglia di pezzo ma okay, andiamo» prendo un respiro e comincio a cantare, vergognandomi come un ladro che si accorge di star svaligiando la casa sbagliata dopo settimane di appostamenti. «Memories never seem to fade; you were the best part of my life, my last regret. Now, I've walked this line a thousand times before, it hurts too much to bear. For you I'd tear out my own heart and write our names together. Your love is the barrel of a gun so tell me, am I on the right end? I could be nothing but a memory to you, don't let this memory fade away»
Mi fermo improvvisamente e mi passo una mano sulla faccia, stirandomela. Oddio che imbarazzo immondo; uccidetemi, vi prego. «Te l'ho detto, è incompleta e fa schifo, con la chitarra sarebbe sembrata almeno decente» farfuglio, lui mi ferma.
«Sei uno scemo Jack, è bellissima; rilassati» ride, mentre io comincio a riprendere colore.
«È bellissima» ripete, tornando a poggiare la testa contro il mio petto «vorrei averla scritta io».
Non lo vorresti davvero, mi viene da dirgli, ma taccio e accetto il complimento.
«Sicuramente cantata da te farà molto più effetto, ma non so se agli altri potrebbe piacere. Dopotutto è sdolcinata».
«E allora?» ribatte, guardandomi con un sopracciglio alzato «Sdolcinata non significa uno schifo, e poi non è neanche così sdolcinata come pensi. È bellissima e basta, il resto non conta». Torna a sistemarsi nell'incavo del mio petto.
«Non lo so, ho paura che sia una gran stronzata» ammetto, guardando il soffitto, ma lui scuote la testa.
«Non hai il diritto di commentare, okay?» m'incalza.
«Okay» rido. Soddisfatto, torna a guardarmi, la mano stesa sul mio stomaco.
«Jack, mi scrivi una canzone?» mormora.
«Cosa» rido di nuovo, senza capire. Lui, che oltre a cantare suona e compone, vuole che io scriva qualcosa per lui?
«Dai, provaci. Dopo otto anni di amicizia qualcosa dovrò pur ispirarti, no?» insiste, facendo una smorfia divertita.
«Alex la febbre ti da' alla testa, torna a dormire» ribatto, imbarazzatissimo.
«Io una canzone te l'ho scritta» dice. Mi volto a guardarlo.
«Seriamente?» domando.
«Huh-uh. Ma non ti dirò mai qual è» sogghigna soddisfatto poi, beccandosi una schicchera. Ha scritto decine di canzoni, come diavolo dovrei fare a riconoscere la mia in mezzo a tutta quella roba, sempre che sia tra quelle che ho ascoltato?
«Alex sei un pezzo di merda» mi lamento, e lui accetta di buon grado la cosa, poi torna a guardarmi.
«Me la ricanti?» chiede, improvvisamente serio. Deglutisco e ricomincio, poi finisco e lui si rimette a guardare la porta.
«Non so se ti ricordi, ma quando eravamo piccoli siamo andati a giocare a paintball, una volta. Abbiamo eliminato subito i nostri genitori, e in men che non si dica la battaglia è finita con l'essere me contro te, senza più nessun altro concorrente in campo. Ci siamo rincorsi per ore, infrattandoci in tutti i nascondigli più assurdi e saltando ovunque per evitare i proiettili di vernice, e alla fine ci siamo trovati faccia a faccia, io senza più munizioni, tu con uno o due colpi rimasti. Ci siamo guardati e stavo per dirti 'va bene, hai vinto', ma tu hai sparato a un bersaglio e hai detto 'cavolo, mi sa proprio che siamo pari.' Sei stato molto carino» mormora, lo sguardo perso nel vuoto.
«Oh» mormoro «non me lo ricordavo».
Alex tace e annuisce un'altra volta, poi abbandona l'infinito e si concentra su di me. «Secondo me chiunque si trovi nella stessa situazione, con te indifeso e pronto ad arrenderti e con in mano una pistola carica di proiettili, e scelga di spararti contro, non può essere che un coglione da abbattere senza pietà».
Sorrido, lo stomaco mi fa fizzle. Lo dice sempre anche Alex, quando è felice e si sente caldo dentro.
«Senti Alex» riprendo dopo un po' «tu che ne pensi dei transessuali?»
Lui mi guarda e ride, poi continua a sorridere. «Stai cercando di dirmi che vuoi diventare una donna, Jack?»
«Huh? No, neanche per sogno» esclamo, ma lui continua a ridere. «Ho la febbre, Cristo santo, lasciami vivere!»
«Ti piacerebbe» scherza, poi storce le labbra in una smorfia allegra e riprende: «Oddio, non mi opererei mai per diventare una ragazza, ma se qualcuno vuole passare all'altro sesso è liberissimo di farlo, sono affari suoi e sono felice per lui o lei se ci riesce; non credo che la cosa mi riguardi più di tanto». Sorrido, mi piace che sia aperto.
«Proseguendo su questo argomento, l'altro giorno al supermercato c'erano due ragazzi e una ragazza e lei parlava in continuazione con quello più alto, e sembravano troppo fidanzati di lunga durata. Mi sono chinato per prendere il latte, mi sono rialzato e c'erano i due ragazzi che si davano un bacio sulle labbra mentre lei trotterellava in giro con in mano un pacco di non so cosa, completamente tranquilla» racconta, inclinando la testa verso sinistra. Il mio battito rallenta di colpo e lui ci mette un po' prima di riprendere a parlare, come se si fosse ridisegnato la scena davanti agli occhi.
«Non pensavo che ci fossero membri della comunità LGBT nei dintorni» commenta semplicemente, scrollando le spalle.
«Non si può mai conoscere davvero la gente che ci circonda» convengo, pregando che continui.
«Questo è vero. Solo che a volte vorrei che venissero alla scoperta, non c'è niente di male ad amare qualcuno uguale a noi, c'è del male nel negare agli altri la possibilità di essere felici; ma se nessuno dice niente allora non si potrà mai chiarire le idee a tutti quelli che sono per l'unione uomo-donna e che a quelle omosessuali sputano in un occhio, perché diranno 'eh, ma il problema non si pone, non c'è nessuno che possa star male per le nostre idee', quando invece qualcuno c'è sempre, e di solito è quello che meno ti aspetteresti» mormora, osservando il soffitto.
«Voglio dire, se adesso Rian arrivasse e mi dicesse 'ehi Alex, devo dirti una cosa' e poi bam, scoprissi che è gay e che vuole dirlo a tutta la scuola, allora sarebbe un pugno in faccia a tutti quelli che non credono neanche esistano, i gay, e qualcosa succederebbe nella nostra città, anche se magari le cose non cambierebbero poi così radicalmente. Però sorgerebbe davvero il problema delle coppie e dell'accettazione, e forse anche tutti gli altri riuscirebbero a fare un passo avanti e dire 'okay, ho aspettato troppo a lungo; sono stanco di nascondere ciò che sono' e bam! Cambiano le carte in tavola».
«Gli direbbero che è normale nell'adolescenza e che è soltanto bicurioso» osservo, abbassando lo sguardo.
«E se anche fosse? Come io sono stato libero di mettermi con Siv e baciarla per strada, un altro dev'essere libero di stare insieme alla sua metà e camminare per strada a testa alta, senza timore di essere bottigliato» ribatte.
«Mi piace come la pensi» dico, quando lui è tornato a chiudere gli occhi e si è lasciato alle spalle il suo discorso.
«Bene» sorride «questa città ha bisogno di gente come noi». Poi tace un attimo, si tira su coi gomiti e mi si avvicina.
«Hai ancora la febbre?» domanda; scrollo le spalle e rispondo che non lo so, ho le mani calde quindi non si capisce. Lui annuisce, si sporge e afferra il termometro dal comodino, si acquatta di nuovo contro di me e me lo passa, lentamente.
«Misurati» mormora con tono serio, io lo fisso e lui contraccambia, poi capisce e mi spinge energicamente.
«Solo a quello pensi» esclama, alzando gli occhi al cielo.
«Io non ho detto nulla veramente, hai fatto tutto da solo» mi discolpo, prendendogli il termometro di mano e sistemandomelo sotto l'ascella, mentre lui torna al suo posto e sbuffa, divertito. Potrei abituarmi alla sua presenza.
«Jack» mi chiama un'altra volta, io rispondo con un 'mh?' e piego la testa per riuscire a guardarlo in faccia.
«Sono felice che i tuoi ti lascino sempre a casa nostra».
«Fizzle» squittisco, e mi sembra di scorgere un po' di colore sulle sue guance pallide. Mi stringe.
«Non volevo attaccarti la febbre» dice quindi, il viso premuto contro il mio braccio.
«È il duro prezzo per frequentarti» ribatto, storcendo le labbra in una smorfia palesemente finta «Ma se mi permette di prendermi una pausa dalle lezioni della Bowden e starti accanto più del solito, allora venga pure quando le pare».
«Grazie Jack» sorride, socchiudendo gli occhi. Quando sono con lui, gira tutto attorno al suo sorriso e ai suoi occhi.
«Di nulla» dico alla fine, giocherellando coi suoi capelli.
«È permesso? È l'ora delle medicine» cinguetta la signora Gaskarth dopo aver bussato alla porta, aprendola prima uno spiraglio e poi quasi completamente, entrando nella stanza con in mano un misto di pacchi e pacchetti di tutti i colori. Che tempismo, ragazzi. Si dirige verso il figlio e gli passa un involucro biancastro, raccomandandogli di prendere una pasticca ogni ora, possibilmente a stomaco vuoto.
«Vediamo un po' cos'abbiamo per te, Jack» fa poi, posando le scatole sulla scrivania, prendendo posto sulla sedia con naturalezza e mettendosi a esaminarle una per una, attentamente; ne trova un paio che la soddisfano e le mette da parte, ignorando completamente il fatto che Alex sia spalmato su di me e stia praticamente facendo le fusa sul mio petto.
«Huh-uh!» esclama, alzando un pacco e scattando in piedi. Si dirige verso di noi e me lo mostra dall'alto, al che aggrotto la fronte e strizzo gli occhi, facendole capire che non ci vedo nulla da sdraiato, calcolando che è pure controluce; si siede per terra e mi sventola davanti alla faccia il pacchetto, più colorato di quello del figlio.
«Ogni tre ore a stomaco pieno, puoi anche fare a meno dell'acqua» mi spiega, alzandosi e posando la scatola sul comò.
«Mi pare di capire che non abbiate voglia di scendere a mangiare, però» commenta, posandosi le mani sui fianchi. «Per me non c'è problema, ma se volete che vi porti il pranzo qui dovete dirmelo ora, visto che sto per uscire».
Fisso prima Alex poi il sorriso di sua madre, poi di nuovo lui. «Io qualcosa la mangerei» ammetto, alzando la mano.
«Alex?» domanda lei, sollecitando una sua risposta «Entro stasera magari?»
«Prendo qualcosa anch'io» dice, annuendo qualche volta per convincersi «ma dove stai andando?»
«Ehh, sapessi» sogghigna lei, punzecchiandolo «Penso di esserci stasera, in caso mangiatevi a vicenda. Dicono che la carne umana sia molto nutriente» scherza. Alex le fa la linguaccia.
«Molto divertente» commenta, e lei gli fa una smorfia di rimando, avvicinandosi alla porta e lasciandosi l'arsenale di medicine alle spalle; la sentiamo scendere le scale e poi più niente per una manciata di secondi, nei quali Alex starnutisce. Quando ricompare sullo stipite della porta, ha in mano un vassoio con dentro due piatti fondi, cucchiai, bicchieri, tovaglioli, acqua e un recipiente pieno di brodo di pollo, che ci prega vivamente di non rompere perché deve restituirlo a un'amica. La ringraziamo, lei ci augura di sentirci meglio presto e se ne va, chiudendosi la porta alle spalle e avviando la macchina dopo qualcosa come cinque minuti, che passano con una lentezza stratosferica ma comunque piacevole, visto che siamo ancora avvinghiati l'uno all'altro. Non ho molta fame ma non si può dire lo stesso per Alex, che mugola, infastidito dal doversi alzare, rotola verso il bordo del letto passandomi sopra e si spinge verso la scrivania, senza però voler lasciare la sua postazione. Rimane lì per un po', a soppesare i pro e i contro dell'alzarsi, lanciando ogni tanto qualche occhiata ai piatti di zuppa per assicurarsi che siano ancora lì; capisco l'antifona e mi tiro giù dal letto con un mugolio, barcollando faticosamente prima di arrivare alla scrivania e rovinare sulla sedia. Dio, la testa.
«Ohh, Dio» mormoro stordito, portandomi una mano alla fronte con una smorfia «mi gira tutto»
Alex alza la testa verso di me, vede che sono sbiancato, si sente in colpa e mi viene incontro, sedendomisi accanto e guardandomi apprensivamente. «Jack, devi mangiare qualcosa» dice poi, e quando scuoto la testa insiste.
«Dico davvero, se vuoi guarire devi mantenerti in forze; hai bisogno del cibo» pigola, avvicinandomi il piatto e un cucchiaio e invitandomi con gli occhi a prenderne un po', giusto per dare al mio corpo un po' d'energia. Mugugno di nuovo.
«Ho lo stomaco sottosopra» mormoro, ma Alex non mi sposta il piatto da davanti.
«Vuoi tornare a letto?» domanda quando capisce che non attacca, e io annuisco flebilmente, deglutendo.
«Vieni, ti aiuto io» si offre, passandosi un mio braccio attorno alla spalla e aggrappandosi col suo al mio fianco sinistro; mi accompagna nei movimenti e non mi permette di buttarmi contro il materasso, obbligandomi a sedermi prima, prende dal tavolo le medicine di entrambi e le lascia accanto a me, così che possa prenderle senza muovermi troppo, poi finalmente mi sorride e si stende accanto a me. Mi tende la mano, la stringo e mi rannicchio contro di lui, lasciandomi circondare dal suo abbraccio, e chiudo gli occhi. Quando li riapro è notte fonda.
Non credo che la mamma di Alex sia tornata, durante il mio sonno fuori programma: i piatti sono ancora sul tavolo, dove li abbiamo lasciati, e accanto a loro continua ad esserci il brodo, anche se ormai il suo vapore non s'immette più nell'aria; ma ho fatica a credere anche che sia rimasta fuori fino a quest'ora lasciando a casa due adolescenti febbricitanti, quindi non so davvero dove battere la testa. Che, a proposito, è ancora a pochi centimetri dal mento di Alex, che respira con cadenza tranquilla e regolare e mi circonda con le braccia da quelle che saranno ormai tre, quattro ore, senza avermi lasciato andare la mano. Non so se è la febbre a intontirmi o l'amore, però cazzo, non riesco a pensare.
«Alex?» mormoro, più per essere sicuro che stia dormendo che perché ho davvero qualcosa da dirgli. Non mi risponde e sorrido, in qualche modo sollevato, stringendomi più a lui e fermandomi a osservargli il petto, imprimendomelo nella memoria il più dettagliatamente possibile, per quando sarà lontano e non potrò guardarlo quanto e come voglio. Da così vicino riesco a sentire i battiti del suo cuore e la cosa mi fa avvampare non poco, al punto che comincio a provare un caldo insopportabile, di quelli che o te ne liberi o cominci a sudare come un maiale senza alcuna possibilità di fermarti; così appena me ne accorgo, allarmato, cerco di distogliere il pensiero, concentrar l'attenzione su qualcosa di fresco e corrente e distrarre un po' i miei ormoni, ovviamente senza riuscirci. Sguscio via velocemente dall'abbraccio di Alex, maledicendomi tra me e me, mi sfilo la maglietta con foga e l'appallottolo accanto al letto, senza badare a dove finirà; mi tuffo di nuovo tra le braccia del mio amico e spero di non aver rovinato anche questo momento, accovacciandomi il più vicino possibile a lui. Mormora qualcosa e contrae istintivamente i muscoli della mano, senza trovare la mia; grugnisce qualcos'altro e mi sbrigo a stringerla, intrecciando le mie dita con le sue. Sembra rilassarsi e mi rilasso anch'io, aspettando un paio di minuti prima di appoggiare anche l'altra mano sul suo petto, avvinghiandomi alla sua maglietta.
Quando dorme posso essere chi voglio e pretendere che i miei desideri siano reali, non importa quanto assurdi essi siano; non c'è nessuno a riportarmi coi piedi per terra e dirmi 'ehi, bello, è tutto frutto della tua immaginazione', così posso montarmi la testa e far finta di essere il suo ragazzo - o forse preferirebbe che fossi la sua ragazza? -, permettendomi di guardarlo, guardarlo e riguardarlo, al punto che se fosse possibile sarebbe sciupato e sgualcito, come quel libro che proprio non riesci a mettere giù nei momenti tristi e che malgrado tutto ti porti sempre con te. Ecco, non c'è posto in cui io vada che Alex non visiti con me, anche se il vero lui non ne è al corrente; e nei momenti come questo, quando tutto dorme e io e lui siamo gli unici esseri umani nei paraggi, mi sento in cima al mondo, la persona più fortunata e benedetta del pianeta. Pace, silenzio e il ragazzo che amo stretto tra le braccia; cosa potrei desiderare di più? Forse che mi amasse, ma mi basta stargli accanto per essere felice; dopotutto è l'essere più speciale dell'universo, stargli accanto è di per sé una qualche grazia divina.
«Jack...» mormora dopo un po', senza aprire gli occhi, con il suo solito tono impastato da sogno appena scomparso. Gli rispondo girando la testa verso di lui, ma continua a non guardarmi e a tenere le palpebre serrate. Credo stia sognando.
«Jack» ripete, con un tono più deciso stavolta, meno soffice e più addolorato; e il suo cuore accelera il battito.
«Jack» mi chiama un'altra volta, irrigidendo i muscoli del braccio e spostando la testa dall'altra parte, la mascella serrata e le sopracciglia corrugate in un'espressione tutt'altro che felice. Comincia a dimenarsi e un rivolo di sudore gli scorre lungo la guancia, andando a perdersi tra i muscoli del collo; mi spavento e gli stringo più forte la mano, scuotendogli la spalla.
«Alex, ehi Alex svegliati, è soltanto un sogno» farfuglio, accarezzandogli il palmo. Apre gli occhi di scatto, sgranandoli, e punta lo sguardo verso di me, a metà tra l'atterrito e il confuso, fa per aprire la bocca ma la richiude subito, limitandosi a buttarsi in avanti e stringermi a sé, tremandomi contro. Gli accarezzo i capelli e gli sussurro che va tutto bene, ci sono io qui, non ti succederà niente; lui annuisce stentatamente e mi lascia parlare, il volto affondato nel mio petto nudo, poi si stacca e mi guarda in faccia, le iridi lucide e dilatate.
«Jack, non abbandonarmi» mormora all'improvviso, aggrappandosi al mio sguardo.
«Non potrei mai» dico, circondandolo con le braccia. Non aggiunge altro ma scoppia a piangere, prima disperatamente, poi riprendendo il controllo di sé stesso; si asciuga gli occhi e respira a fondo un paio di volte, ricomponendosi del tutto.
«Okay, penso di aver finito» commenta, rispondendo con una risata nervosa al mio sguardo preoccupato; abbozza un sorriso stanco, mi prende le mani e mi tira verso di sé, facendomi accoccolare sul suo grembo. Mi abbraccia di nuovo e appoggia il viso sulla mia spalla, inclinandolo verso destra. «Scusa se non sono stato lì ad impedirtelo» mormora.
«Sappi che sei la persona più importante della mia vita» dice, baciandomi delicatamente la nuca.
«Grazie di esistere» sussurra poi, chiudendo gli occhi arrossati e sorridendo dolcemente. Mi volto a guardarlo e mi sembra tanto fragile quanto il filo di una ragnatela; mi viene da baciarlo ma mi trattengo, ricambiando l'abbraccio però.
«Ti va di parlarne?» propongo, ma lui scuote la testa.
«Sto bene» dice «ho solo bisogno di realizzare che era solo un sogno dettato dalla febbre. Va tutto bene». Annuisco docilmente e rimaniamo lì così, a cullarci l'un l'altro, finché i nostri cuori non cominciano a battere all'unisono, sovrastando il silenzio che ricopre tutto il vicinato. Un cane abbaia e il rombo di una moto invade una via non troppo lontana da qui, poi tutto torna silente e lui fa per aprire la bocca, richiudendola poi con una smorfia stanca.
«Grazie per prenderti cura di me ogni giorno» faccio invece, osservando le mie dita affusolate assieme alle sue.
«Ti voglio bene».
«Ti voglio bene anch'io» mormora, poi approfitta del fatto che mi sono spostato per stiracchiarmi e si alza, dirigendosi verso la scrivania. Prende in mano il piatto e torna a sedersi sul bordo del letto, guardandomi.
«Ormai farà un po' schifo, ma devi prenderlo per la medicina» mi ricorda.
«Posso cominciare da domani, dubito che tra tre ore sarò sveglio per prenderne la seconda dose» osservo.
«Jack, hai sentito quanto sei caldo?» m'incalza, e io mi ricordo all'improvviso di non avere più la maglietta.
«Okay, forse sono un po' caldino» ammetto «ma non ho davvero fame».
«Non mangi per fame, mangi per necessità» mi fa notare. Il ragionamento non fa una grinza, ma non mi va davvero.
«Ho lo stomaco chiuso, ti giuro che domani mangio tutto quello che vuoi» prometto; mi guarda, sospira e lascia stare.
«Okay, ma vedi di ricordartelo» si arrende, rimettendo il piatto sulla scrivania e lanciando un'occhiata alla sveglia.
«Sembra che siamo destinati a diventare creature della notte» commenta poi «sono le quattro».
Si siede accanto a me e poso la testa sulla sua spalla. «Ti ricordi quando i tuoi sono dovuti tornare in Inghilterra e ti hanno lasciato una settimana a casa mia per risparmiarti il viaggio, e noi eravamo così eccitati che la prima notte l'abbiamo passata in bianco, a parlare, parlare, parlare? Quando finalmente ci siamo addormentati albeggiava, e il pomeriggio dopo ci siamo ammalati tutti e due, facendo prendere un colpo della madonna a mia mamma, che pensava fossimo usciti di nascosto o qualcosa del genere, e che non riusciva a capire come diavolo avessimo fatto a superare la porta chiusa. Io mi sentivo stanchissimo, ma tu sembravi fresco e riposato come una rosa e correvi avanti e indietro per la stanza per farmi ridere, fregandotene della febbre. Anche allora eri premuroso da morire» mormoro. Sorride piano, sospirando.
«Mi piace quando ricordi il passato» dice, socchiudendo gli occhi «mi fa sentire caldo dentro». Mi guarda. «Grazie per essere venuto a trovarmi, Jack. Mi piace stare con te». Chiude nuovamente gli occhi e lascia ciondolare la testa sulla mia per un po', poi quando i nostri respiri si sincronizzano si butta sul materasso e mi tira giù con sé.
«Qualche ora fa ha telefonato tua madre» mi avvisa di punto in bianco «voleva parlare con te riguardo la telefonata che ha ricevuto dalla scuola, ma le ho detto che stavi dormendo e che stavi male, e che avrebbe fatto meglio a richiamare un'altra volta, perché non avevo nessuna intenzione di svegliarti. Ha detto che si farà sentire presto».
La notizia mi lascia un po' sconsolato. Non voglio che torni in città e mi porti via da qui. «Ha detto quando?» chiedo. Scuote la testa e mi sento un po' più tranquillo, ma rotolo verso di lui in ogni caso, aggrappandomi alla sua maglietta e chiudendo le dita attorno alle sue; lui mi guarda e capisce, così mi stropiccia i capelli e sorride.
«Non ti preoccupare, non aveva il tono di chi muore dalla voglia di tornare in città» mi tranquillizza «però potrebbe farlo se peggiori, quindi ti conviene tornare sotto le coperte e tenerti al caldo il più possibile». Seguo il suo consiglio e torno sotto il piumone, lui si toglie la maglietta e fa lo stesso, guardando distrattamente il soffitto nel riabituarsi al tepore.
«Vedrai che guarirai presto e tornerai a essere il cazzone pimpante di prima» soffia dopo un po', sorridendomi «il primo passo è riposarsi, e direi che noi possiamo esserne definiti campioni». Rido sotto i baffi e lui lo percepisce, allentando la tensione dei muscoli; affonda la testa nel cuscino e mi s'avvicina un altro po', mi prende la mano e sorride ancora.
«Buonanotte, Jack» miagola sofficemente.
«Buonanotte, Alex» ribatto, restituendogli il sorriso. Si addormenta quasi subito, stremato.

In questi due giorni mi sembra di vivere in un dormiveglia, scandito dai rintocchi dell'orologio e dai sorrisi di Alex, e non sono mai sicuro di essere sveglio o nel pieno di un sogno, quando qualcosa accade. Dicono che per capire se si dorme o meno bisogna darsi un pizzicotto sul braccio e vedere se fa male o no, ma cosa impedisce a un sogno di essere realistico e farti provare dolore? Temo di aver bisogno di un nuovo metodo per orientarmi, ma non riesco a trovarne uno adatto.
«Ehi, ragazzi, posso entrare?» domanda nel frattempo la padrona di casa, bussando delicatamente sulla porta di noce con le nocche e aprendosi un varco nel non sentire risposta da parte nostra. Socchiudo gli occhi e fingo di dormire; non ho voglia d'intrattenere una conversazione ma non sono abbastanza lucido da alzarmi e andare in bagno per poi tornare una volta che se n'è andata, così preferisco fare l'ameba e pretendere di non essermi accorto della sua presenza. Entra dopo aver aperto lentamente la porta, così da evitare di svegliarci con uno scricchiolio, si dirige verso la scrivania e emette un verso preoccupato nel vedere che non abbiamo toccato il brodo, ieri sera; poi però se ne fa una ragione e sistema le cose nel vassoio, pronta a riportarsele giù alla prima occasione. Prende in mano il vassoio, esita e sento che lo rimette giù; e a questo punto non può che essersi girata a guardarci, entrambi abbracciati e senza maglietta, in una situazione a dir poco equivoca e decisamente imbarazzante da spiegare. Non sento sbuffi infastiditi né si lascia scappare commenti di alcun genere; rimane a guardarci per un po', si avvicina, ci sistema le coperte e se ne va, portandosi dietro le stoviglie. Dopo un po' apro gli occhi e incontro il suo sguardo, mentre lei ciondola appoggiata alla parete e sorride sornionamente.
«Jack paga pegno» si limita a dire, poi mi lancia un sorriso di vittoria e se ne va sul serio, scomparendo oltre le scale. Ora sì che potrei cuocerci un uovo sulla mia fronte, porca miseria. Mi volto a guardare Alex e noto con sollievo che sta ancora dormendo, così scivolo fuori dal letto, agguanto qualche vestito da terra e mi dirigo verso il bagno, facendo meno rumore possibile. Per quanto sia controindicato per uno con la febbre, ho bisogno di una doccia e di lavarmi di dosso un po' di questa incertezza, magari poi mi viene anche qualche bella idea per fare impressione su Alex e levare dalla testa di sua madre l'impressione - corretta, ma dettagli - che sia completamente cotto perso di suo figlio, dato che la cosa potrebbe anche diventare imbarazzante se non chiarita con un'opportuna distorsione dei fatti.
Mi chiudo la porta alle spalle, mollo i vestiti nel lavandino e apro l'acqua, aspettando appoggiato al muro che si faccia abbastanza calda; quando decido che soddisfa pienamente i miei standard, mi spoglio, sistemo un asciugamano vicino all'apparecchio ed entro, chiudendomi subito alle spalle l'anta. L'acqua mi picchietta con decisione contro la pelle e chiudo gli occhi per non farmi accecare; con la mano tasto in giro finché non trovo la manopola e a quel punto abbasso l'intensità del getto, asciugandomi la faccia con il polso e cercando con lo sguardo lo shampoo. Lo trovo sul fondo della cabina, mi siedo e me ne metto un po' sul palmo, passandomelo poi fra i capelli. Ho deciso che farò la doccia da seduto, così se i vapori mi faranno girare la testa un'altra volta non correrò il rischio di svenire, cadere e spaccarmi la testa contro il vetro, rischiando fra l'altro che a soccorrermi sia Alex e che a vestirmi prima di portarmi al pronto soccorso sia sempre lui. Avvampo al solo pensiero; se succedesse una cosa del genere morirei d'imbarazzo prima che per la ferita, altro che 'ragazzo impassibile', come mi chiamano a scuola, basta che ci sia lui intorno perché la mia solita baldanza abbia un fremito e stramazzi al suolo.
Comunque sto per passare al secondo giro che qualcuno irrompe nella stanza, e il qualcuno è ovviamente Alex.
«Jack, telefono» dice a volume alto, per sovrastare lo scroscio dell'acqua, avvicinandosi alla doccia.
«Alex non so se lo vedi ma sono piuttosto occupato» ribatto, tirandomi in piedi e togliendomi la schiuma di dosso.
«È tua madre, è già la quarta volta in dieci minuti che chiama» insiste, premendo il cellulare contro l'anta appannata.
«Ecco, tutto sistemato» dico, facendo scorrere l'anta, prendendo il cellulare in mano e premendone il tasto rosso.
«Jack, forse non è il caso di farla incazzare» mi fa notare mentre il telefono ricomincia a trillare, imperterrito. Sospiro.
«Mamma, sono io e sono nel bel mezzo di una doccia, cosa c'è?» rispondo, pacatamente ma parlando il più velocemente possibile per liberarmene presto. Lei mi sommerge con un fiume di parole e io mi mordo un labbro, annuendo a voce nella speranza che si sbrighi, ma purtroppo sembra intenzionata a tirare la cosa per le lunghe. Sospiro un'altra volta, in modo abbastanza sonoro, e mi appoggio all'anta, passandomi una mano sulla faccia in segno di disperazione; lei parla per altri due, tre minuti senza lasciarmi il tempo di fiatare o controbattere, ma l'unica cosa a cui riesco a pensare è che comincia a fare freddo e che mi scappa da starnutire, quindi quando mi chiede come sto sono costretto a farle ripetere la domanda.
«Oh, ehm, bene direi» rispondo «ma mi sono appena alzato, quindi è relativo. Posso tornare alla mia doccia?»
Mi saluta riempiendo di baci e abbracci tutti quanti, poi finalmente riesco ad attaccare. Alex è ancora lì che mi guarda.
«Che voleva?» domanda alzandosi dal water e venendo a riprendere il telefonino.
«Tutto e niente, ha detto che non può tornare in città ma che comunque cercherà di liberarsi il prima possibile, che a lei e papà dispiace non poter essere qui e che tua madre è una santa e non devo farla esaurire» dico, scrollando le spalle.
«Mamma non è una santa, temo che abbia solo una gran predilezione per te» commenta, al che sorrido e chiudo l'anta. Apro l'acqua, rabbrividisco nel sentirne il tepore e riprendo in mano lo shampoo, passandomelo velocemente fra i capelli; mi sciacquo un'altra volta e poi chiudo definitivamente l'acqua, strizzandomi i capelli e scrollandomi  le gocce di dosso.
«Alex, mi passeresti l'asciugamano?» chiedo, scorrendo l'anta e tirando fuori la mano, che incontra subito la stoffa.
«Gracias» dico, strofinandomelo addosso velocemente e legandomelo attorno alla vita, poi esco. Alex sta cazzeggiando al cellulare, ma quando mi sporgo per vedere che sta facendo di preciso alza lo sguardo e mi sorride, infilandoselo in tasca.
«Sai, pensavo che visto che oggi mamma va a trovare zia potremmo guardarci un film» dice, io ribatto con un 'mi sembra una grande idea' e proseguo verso l'altra parte del bagno, dove afferro un asciugamano azzurro e mi asciugo i capelli, mentre lui guarda lo specchio davanti a sé e continua a parlottare, lasciandomi cambiare in pace.
«L'altra settimana papà è tornato a casa con questa montagna di DVD che gli hanno regalato al lavoro, solo che visto che né lui né mamma sono grandi fan della televisione alla fine non ne abbiamo visto ancora nessuno» spiega, gesticolando.
«E visto che stiamo male entrambi e che non sei abbastanza in forze da fare qualsiasi cosa ti vada di fare normalmente, potremmo riscaldare il brodo di ieri o farci un the e metterci a guardare qualcosa, tanto per passare il tempo».
«Mi sembra grandioso» commento, mettendo a posto l'asciugamano azzurro e infilandomi la maglietta «tu hai un'idea?»
«Di che film vedere, dici? Bho, non è che me ne intenda molto» risponde «anche perché da quando sono arrivati a casa non gli ho ancora dato un'occhiata, quindi non so cosa aspettarmi. Preferisco decidere con te, mi sembra più adatto».
Annuisco, gli lancio un'occhiata per verificare che stia ancora fissando lo specchio e m'infilo rapidamente le mutande, al che lui si massaggia la testa e tira nuovamente fuori il cellulare, lanciandogli un'occhiata fugace.
«C'è questa tipa, una certa Sharon, che mi sta tempestando di messaggi da quando mi sono alzato» spiega davanti al mio sguardo interrogativo; io annuisco ma lui sospira, abbassando le spalle «Non ho la più pallida idea di chi sia e non sono interessato a lei, ma fa finta di non capire e io non posso dirglielo apertamente, sarebbe troppo stronzo».
«Da' qua, ci parlo io» ribatto col tono meno geloso che possiedo, tendendo la mano per prendergli il telefono.
«Jack, non credo che sia una buona idea» farfuglia lui, restio a passarmi l'apparecchio.
«Ah-ah, non Jack, Jean, che si scuserà e dirà che sei troppo occupato per risponderle direttamente» lo interrompo.
«Sarebbe scorretto» mormora, ma all'ennesima scarica di messaggi di Sharon allunga la mano e distoglie lo sguardo, esasperato «tutta tua, Jean». Mi sporgo, prendo il cellulare e digito una risposta gentile ma abbastanza acida da farle capire che deve girare al largo da queste acque, poi poso il telefono sul lavandino e incrocio le braccia.
«Missione compiuta» mi limito a dire, poi m'infilo i pantaloni e appendo l'asciugamano bagnato, con Alex che guarda apprensivamente il suo telefono, sperando che il mio intervento non sia stato troppo brusco, e si torce le mani.
«Andiamo?» lo esorto dopo essermi asciugato superficialmente i capelli; lui risorge dal sogno ad occhi aperti e annuisce, seguendomi docilmente prima in camera e poi giù per le scale, in salotto. Ho portato due coperte, così in caso di bisogno non dobbiamo alzarci e fare tutta la strada a ritroso, e le poso sul bordo del tavolino-poggiapiedi davanti al televisore, mentre lui è scomparso in cucina a cercare chissà cosa. Mi sdraio sulla poltrona con un sospiro soddisfatto e sporgo la testa per cercare di capire cosa stia combinando Alex nell'altra stanza, ma da come sono messo non vedo nulla, così lascio perdere e trovo una posizione comoda in cui sistemarmi, aspettando il suo ritorno.
«Mamma ci ha lasciato scritto cosa dobbiamo riscaldare e cosa invece non dobbiamo neanche azzardarci a toccare» mi dice emergendo dalla cucina con in mano un foglio ripiegato, che apre, liscia con la mano e legge velocemente «e a quanto pare tutte le cose più buone ci sono negate. Mi sa che dovremo ripiegare sul the senza latte, sui biscotti della salute e su un brodo o di pollo o di verdure, altrimenti possiamo metterci a cucinare e farci una pasta in bianco». Mi guarda e scrolla le spalle, poi commenta: «Sinceramente a me non va tanto di cucinare».
«Il brodo di pollo va benissimo» annuisco; lui conferma con aria assorta e torna indietro, facendomi cenno di rimanere seduto. Passo lo sguardo sui libri e sui mobili che adornano la stanza, poi la curiosità - o la gelosia? - si fa troppo forte e prendo il cellulare di Alex, abbandonato sul tavolino, scorrendo lo schermo fino ad arrivare al nome 'Sharon', di cui mi sbrigo a controllare le foto su un social network. Una bionda con delle belle curve e delle ciglia lunghissime, annerite da qualche prodotto di cui non conosco il nome, che nella maggior parte delle foto del profilo sorride a braccetto di un'amica e un bicchiere di birra, come se la vita per lei fosse solo un gran momento di festa. Mi sento montare il fastidio e la mia parte possessiva mi suggerisce di scagliare il telefono contro il muro, se non proprio di dirle chiaramente di smetterla di ronzare attorno ad Alex; ma per fortuna ho ancora un po' di buonsenso e mi limito a rimettere il cellulare dove l'ho trovato, appena in tempo per sentirlo imprecare contro un fornello che non vuole saperne di accendersi. Afferro il primo oggetto che mi capita a tiro e comincio a stringerlo con diverse intensità, frustrato, e mi viene spontaneo chiedermi come quella tipa sia arrivata a interessarsi ad Alex, se lui non la conosce nemmeno; poi mi tornano in mente le foto e la birra e mi rispondo che devono essersi incontrati a qualche festa di quelle a cui lui partecipa sempre, per un motivo o per l'altro, e mi si corrode lo stomaco nel pensare a lei come una rivale. Che poi, 'rivale'; sicuramente ha molte più possibilità lei di me di riuscire a trovarsi un posto nel suo cuore, e la cosa mi manda in crisi se mi ci soffermo troppo a lungo. Dio, perché sono nato maschio, e perché Alex non poteva nascere almeno bisessuale? Perché, perché, perché?
«Jack, tiepido o caldo?» mi urla in tutta risposta lui, facendo riecheggiare un rumore di piatti fino al salotto.
«Come ti pare, mi è assolutamente indifferente» grido di rimando, poi torno a prendermi la testa fra le mani, stremato, e ondeggio avanti e indietro, soffocando un mugolio tra i denti. Alex arriva dopo un po', mi guarda accigliato e si siede.
«Tutto okay Jack?» domanda, stranito; io mi tolgo le mani di dosso e annuisco vivacemente, sporgendomi verso il piatto.
«Solo un po' di mal di testa» mento con un sorriso «scegliamo un film?». Lui esita e mi guarda.
«Se hai mal di testa non è il caso, magari poi ti torna la febbre» mormora, e mio malgrado mi sento tiepido dentro.
«Ma ti pare, scialla» dico «non è così forte, dev'essere perché non mi sono asciugato bene i capelli, prima. Scegli pure, per me non c'è alcun problema; anzi. Almeno così non passiamo la giornata a dormire».
«Se lo dici tu» accetta, con un malcelato velo di preoccupazione «però non voglio essere io a scegliere».
«Okay allora, ti passerò una pellicola a caso e come va, va» sorrido, poi mi alzo e prendo la busta contenente i DVD, riportandola sul divano e posandomela davanti. Leggo qualche titolo di sfuggita, infilo una mano nel sacco e tiro fuori il film vincente, che inserisco nel lettore con un 'dio ce la mandi buona', poi torno sulla mia poltrona e il film comincia.
A nemmeno metà film sono sul punto di crollare e fatico a tenere gli occhi aperti, ma tiro fuori il cellulare e comincio a giocarci, sperando che mi tenga sveglio, e in una decina di minuti il sonno è passato completamente. Alex è nella poltrona parallela alla mia, si sta mordendo le unghie e sembra totalmente assorto, cosa che lo rende ancora più dolce, ma mi costringo a guardare da un'altra parte e mi concentro sul protagonista del lungometraggio, che sta cercando in maniera piuttosto vana di accendere un fuoco e cuocersi della carne dopo una giornata di duro lavoro.
Mi sono chiesto più volte se sono gay, bisex o questa cotta sia solo un caso isolato del tipo 'bisogna provare prima di scartare', ma purtroppo non sono mai arrivato a darmi una risposta, e questa cosa mi lacera. Non ci troverei niente di male se mi piacessero solo gli uomini, ma vorrei saperlo e mettermi l'anima in pace, non restare qui a farmi domande su domande a cui solo il tempo potrà trovare risposta; è devastante e si aggiunge alle mie altre insicurezze, che anche quando credevo di essere etero erano tante e non hanno certo bisogno di un'ulteriore spinta per cadermi addosso. E se non fosse una cosa poi così malvista potrei anche farmene una ragione e dirmi 'vabbè dai, ti sei innamorato di un ragazzo, e allora?' e continuare con la mia vita di tutti i giorni; ma in una città come questa essere un minimo diverso ti garantisce centinaia di occhiate in ogni spazio, come se fossi una bestia rara, se non degli insulti aperti; e vorrei sapere se è una cosa seria, prima di ritrovarmi schedato a vita. Se fossi davvero gay o bi allora sopporterei le occhiate più facilmente, perché diavolo, è la mia vita e i miei impulsi sessuali riguardano solo me; ma se fosse una sbandata da una botta e via e il fatto non si riproponesse più, e venissi comunque guardato come se fossi un alieno, non credo riuscirei a farmene una ragione e sbattermene le palle tanto bene, perché comunque, a dispetto di quello che lascio vedere agli altri, ho bisogno di appoggio e affetto come ogni altra persona al mondo, e così me ne verrebbero negati a bizzeffe. Anche perché poi c'è la possibilità che Alex mi lasci da solo, e in tal caso perderei ogni ragione per vivere, quindi non lo so. Vorrei tanto saperlo e farmene una ragione, come va va; ma purtroppo l'unica è aspettare, e non è che sia una cosa che mi piaccia tanto.
«A che pensi?» chiede Alex in un momento di pausa, mentre il protagonista si concede il suo tanto bramato sonnellino.
«A tutto e a niente» rispondo, eludendo in parte la domanda.
«Mi sembra molto interessante» dice, fingendo una smorfia convinta «allora ti lascio ai tuoi ragionamenti». Torna ad accoccolarsi sulla poltrona e si stringe le ginocchia al petto, posandoci sopra la testa, poi la inclina un po' verso di me e si concentra sulla pellicola, nuovamente assorto. Oddio, che carino che è porca miseria, perché non sono la sua ragazza e non posso baciarlo quando mi pare? Strizzo occhi e labbra il più forte possibile e quando li riapro il batticuore è diminuito notevolmente, mentre lui è rimasto nella stessa posizione e mi guarda accigliato.
«Jack? Sicuro di star bene?» domanda, aggrottando le sopracciglia.
«Mai sentito meglio in vita mia» mento, poi prendo il piatto e mando giù un po' di brodo, abbozzando un sorriso. Mi guarda, ancora più accigliato, ma fa finta di credermi e distoglie lo sguardo da me, per posarlo sullo schermo.
«Mi passeresti una coperta?» rompe il silenzio un'altra volta, tendendo la mano verso di me. Ne afferro una, mi sporgo e gliela do; lui la prende con due mani, ringrazia e la apre, stendendosela addosso; poi apre la bocca, esita e la richiude.
«Ti serve qualcosa?» domando, ma lui scuote la testa.
«No no, tutto a posto» mi tranquillizza, poi appoggia la schiena alla poltrona e respira. Finisco di mangiare, poso il piatto sul tavolino e mi volto a guardarlo, ma noto che è ancora assorto nei suoi pensieri, così mi alzo e prima che possa dirmi niente mi sdraio sgraziatamente su di lui, facendolo scoppiare a ridere.
«Sei troppo ossuto Alex, non va bene per un cuscino» mi lamento dopo averlo costretto a stendere le gambe, e lui ride.
«Senti chi parla» ribatte, però continua a sorridere e smette di arrovellarsi la testa con qualunque cosa stesse rimuginando su prima, che è un bene considerando la faccia che aveva assunto. Mi sistemo un po' meglio e lui si lascia scappare un 'ouff' mentre lo schiaccio, per poi emettere un sospiro di sollievo quando mi fermo e ci rimetto sopra la coperta.
«Buon Dio Jack, sei peggio di uno schiacciasassi» ride, anche se vedo che fa fatica a muovere il petto. Mi sposto un po'.
«Come hai detto che si chiama questo capolavoro cinematografico?» domando quindi.
«Non l'ho detto» sorride «ma comunque non ne ho idea, non è che m'interessi più di tanto», e io annuisco.
«Sì, non è particolarmente entusiasmante» convengo, lui indica con un cenno il telecomando, io lo prendo e glielo passo.
«Cambiamo?» propone, io accetto con un 'deo gratias' e lui mi dice di scegliere un altro film, magari non un altro western possibilmente; così mi alzo e vado a frugare nella busta, riemergendo con un'altra pellicola. Tiro fuori la prima e infilo nel lettore la seconda, poi metto il western nella scatola, la rimetto dentro al sacco e torno a spaparanzarmi su Alex.
«Comunque secondo me la protagonista era piuttosto carina» commenta dopo un po' lui, mentre compare la pubblicità.
«La bionda dici? Bho, secondo me non era niente di speciale» ribatto. I suoi commenti sulle attrici non mi toccano.
«Ti sei preso cotte per ragazze molto più brutte» mi ricorda, scherzando.
«Al cuor non si comanda» dico, e mi colpisce quanto sia vero e quanto poco ci abbia mai fatto caso.
«Hai anche ragione» sorride, poi mugola, si sposta e raccoglie una cosa da terra «devi prendere la medicina, Jack».
«Oh, mi era completamente passato di mente» esclamo, tirando fuori una pasticca «tu l'hai già presa?»
«Sì, prima di pranzo» mi tranquillizza con una pacca sulla schiena «ma ormai io sono praticamente guarito, quindi».
«Oh» commento di nuovo, deluso «quindi domani torni a scuola?»
«Non se tu stai male» dice, e io sorrido. Appoggio la testa sulla sua spalla e mando giù la pasticca, mentre il film comincia.
«Comunque più di tre, quattro giorni non dovrebbe durarti, io sono guarito in quattro ma perché non ho preso nulla».
«Speriamo bene allora» dico, realizzando che una volta tornati a scuola non potrò più passare le giornate a letto abbracciato ad Alex e rimanendoci un po' male, per poi però scacciare l'espressione con uno starnuto.
«Ah, a proposito, mi sono arrivati dei messaggi da Rian e Zack che ci augurano di guarire e di tornare presto» aggiunge.
«Mi è sembrato molto buffo perché anche se non gli abbiamo detto niente erano sicuri che stessimo assieme» ride.
«Ohum, a me è arrivato un messaggio da...» tiro fuori il cellulare dalla tasca per controllare «Nick».
Alex soffoca una risata nel vedere che mi sono rabbuiato ma prende il telefono prima che possa eliminare l'sms, lo legge e risponde da parte mia, quindi me lo ripassa e scuote la testa, come se fossi un bambino poco cresciuto e lui il baby-sitter.
«Certo che dovresti dargli più corda» commenta, ridendo sotto i baffi «senza di te sembra davvero perso». Gli do una spinta e lui ridacchia, mentre gli mimo un 'non ci penso neanche' e mi rimetto il telefono in tasca.
«Ah» esclamo dopo un attimo «ah, non ti ho detto l'ultima notizia che lo riguarda».
«Sono tutto orecchi» scherza «ma se stai alzato non vedo nulla».
Mi sdraio e sembra apprezzare, poi pianta le iridi nelle mie e apro la bocca. «Si trasferisce».
«Be', mi sembra grandioso» esclama, anche se la cosa non lo tocca minimamente «dovrai esserne piuttosto contento».
«Il punto è dove si trasferisce» mugugno io «quel bastardo viene ad abitare a un isolato di distanza dal mio».
Nonostante tutta la sua buona volontà scoppia a ridere e riceve una mia occhiata torva, ma ci vogliono un paio di decine di secondi perché riesca a farsi passare la ridarella. «Non ci credo, ti prego dimmi che scherzi» farfuglia.
«Magari» sospiro «l'altro giorno è venuto al mio banco a dirmelo e sembrava la persona più felice del mondo; a momenti si metteva a saltare e ballare dalla felicità, guarda». Scoppia a ridere un'altra volta e la mia disperazione sale ulteriormente.
«E cosa pensi di fare, togliere il tuo cognome dal cancello e fingere di chiamarti in un altro modo quando busserà alla tua porta a chiedere di te? Perché mi sembra sì stupido, ma non abbastanza da cascarci» ride.
«No, ti giuro, non puoi capire; sono disperato» esclamo «va a finire che mamma comincerà a mandarmi a casa sua piuttosto che da te perché abita più vicino ed 'è un bravo ragazzo che ha tanto bisogno di un amico, lo sai vero, tesoro?'»
«Mi sa che stai esagerando» fa lui divertito, dandomi una pacca sulla spalla «magari non le piacerà neanche un po' e ti vieterà di frequentarlo, oppure non arriverà proprio a conoscerlo perché la fermeremo prima»
«Oddio ti prego sì, non potrei sopportare di ritrovarmelo a pranzo le poche volte che ci sono anche loro» guaisco.
«Dai, scialla, vedrai che un modo lo troviamo» mi tranquillizza, al che mi giro e lo fisso con apprensione.
«Se si accolla oltre ogni dire e non riesco più a sopportarlo mi offri asilo politico?» domando, pregandolo con gli occhi.
«Okay, ma non credo ce ne sarà bisogno» ride, io mi tranquillizzo e sospiro sonoramente, tornando a posare la testa sul suo petto. «Massimo massimo Abbie gli manderà un messaggio e gli dirà di smetterla di rubargli il ragazzo».
«Oddio ti prego sì, ti amerei» ribatto, forse con più foga del dovuto, e lui ride.
«Va bene allora, gli manderò un messaggio» acconsente, stropicciandomi i capelli con calma.
«Sharon?» domando io, e a quel punto scrolla le spalle.
«Non si è più fatta sentire, Jean deve aver fatto proprio un bel lavoro» commenta, e stavolta sono io a ridere.
«Bene, una seccatura in meno a cui pensare» dico, nel frattempo qualcuno nel film spara e mi fa prendere un colpo; non me l'aspettavo minimamente, credevo fosse un film lento e pacioso. Alex mi guarda con un ghigno e io mi sposto su di lui, schiacciandolo; si lascia sfuggire un altro 'ouff' e chiede una tregua con gli occhi, cosa che io accetto docilmente.
«Diosanto, sei tutto pelle e ossa ma quanto pesi» gorgoglia, mentre io torno alla mia posizione iniziale.
«Non sarai tu troppo gracilino per reggermi?» lo sfotto di rimando, consapevole di non pesare praticamente niente.
«Può anche darsi» mormora con un respiro sonoro; io sorrido e rotolo di lato, graziandolo. La tipa del film sta fuggendo da qualcuno e per non farsi trovare si è infrattata in una casa abbandonata, ovviamente senza corrente elettrica o uscite di sicurezza, e sta cominciando a rendersi conto di aver fatto una gran stronzata, al punto che ha già le lacrime agli occhi ed è sul punto di crollare emotivamente, quasi l'avessero già catturata. Alex non sembra particolarmente interessato al suo destino, credo che più che altro si sia di nuovo perso nei suoi pensieri, ma non potendo entrare nella sua testa mi concentro su qualcos'altro di più accessibile e cerco di passare il tempo. Denise - nel frattempo sono riuscito a scoprirne il nome - si è chiusa a chiave nel salotto, ha tirato tutte le tende e si è rintanata sotto una scrivania a tremare, la pistola carica stretta tra le mani e tenuta accanto al viso; ma in qualche modo sembra essersi ripresa, così l'ambiente sembra meno tetro. Alex assume un'aria sempre più appannata secondo dopo secondo e Denise riprende il controllo dei sensi man mano che il tempo passa, potrebbero completarsi perfettamente se solo lei non fosse solamente la protagonista di un film scadente che non ho mai sentito nominare prima; e se non fosse che lo disturberei, credo lo direi pure ad Alex, tanto per distrarlo e fargli fare altre due risate. Mi sembra così stanco ultimamente, non credo dovrebbe tornare a scuola domani, e neppure dopodomani; credo che sarebbe una buona cosa se si prendesse una vacanza, una volta tanto, e smettesse di preoccuparsi sempre di tutto e di tutti, anche se questo significherebbe lasciarmi una settimana a cazzeggiare coi miei demoni senza nessuno accanto. Credo gli farebbe bene ma so che non gli piace sentirselo dire, quindi me lo tengo per me, sperando che se ne renda conto da solo prima di avere un crollo emotivo ben peggiore di quello di Denise; ma so anche che probabilmente quando se ne renderà conto farà finta di niente e reprimerà il suo inconscio, ferendosi ancora di più. Il mio piccolo, fragile Alex. Mi chiedo se mi ricambierà mai.
«Stai sempre a pensare tu?» mi domanda con un sorriso, improvvisamente caduto dalle nuvole.
«Senti chi parla» lo punzecchio «io pensavo alla nostra amica qua, tu a che pensavi?»
«Come hai detto prima? A tutto e a niente» dice, e non posso evitare di sentirmi un bel po' preoccupato.
«E questi tutto e niente cosa riguardano? La scuola?» butto lì con una nonchalance poco credibile.
«Non voglio guastarmi il film pensando alla scuola» ride «e poi ti pare che mentre questa viene uccisa penso ai compiti?»
«Ma che ne so, tu sei strano» mi difendo «e poi Denise è intelligente, vedrai che riuscirà a sfuggirgli»
Mi guarda con un'aria a metà tra il divertito e lo stupito, a cui ribatto con un 'che c'è? Lo sto seguendo il film', lui scuote la testa con un sorrisone e annuisce fra sé e sé. «E poi sono io quello strano, eh?» ripete, sornione. Annuisco vivacemente.
«Decisamente. Strano come te non conosco nessun altro» annuisco, sostenendo fedelmente la mia idea.
«E tu come ti definiresti?» domanda, appoggiandomi la testa sulla spalla.
«Be', intanto direi che sono un gran figo» comincio «poi proseguirei con un gran bel pezzo di ragazzo, molto simpatico e pieno di qualità, che tutti ammirano e cercano di imitare ogni giorno della loro vita, che però ha un cuore troppo grande e, visto che gli dispiace non poter essere amico di tutti, preferisce avere un amico solo a cui tiene più di sé stesso». Alex fa un sorriso enorme. «Ma non dimentichiamoci che comunque è un gran bel pezzo di figo» insisto.
«E oltre a strano, io come sarei?» chiede, mettendomi in difficoltà.
«Be', oddio, prima di tutto una rottura di coglioni enorme che se non fosse per me non avrebbe proprio amici e verrebbe isolato drasticamente da tutti giorno dopo giorno, poi un ragazzo speciale di cui non potrei mai, mai, mai fare a meno».
«Mi piace quando fai così» mormora, guardandomi con affetto, e io mi sciolgo mentalmente, abbozzando una risata.
«Non ci fare l'abitudine, si vede che sto male» ribatto, e lui fa una smorfia, stringendomi più forte il braccio.
«Sei uno scemo» scherza; io convengo con un 'lo so' e appoggio la testa sulla sua, dolcemente. Vorrei non guarire mai.


Quando mi sveglio sua madre sta infilando la chiave nella toppa mentre parla animatamente al telefono con un qualche probabile cliente, e ci vogliono all'incirca due minuti prima che riesca ad aprire il portone con un'esclamazione di gioia, che viene prontamente soppiantata da un sorriso quando nota il mio sguardo su di sé. Mi saluta con un'alzata di sopracciglia e continua a chiacchierare, abbandonando la borsa sul mobiletto d'ingresso e passandosi una mano fra i lunghi capelli chiari; prosegue la sua discussione in cucina e torna da me solo dopo un po', appalesandosi con uno sbuffo liberatorio, contenta di essersi levata dalle scatole anche quell'ennesima seccatura fuori programma e di potersi rilassare.
«Passato una bella giornata?» domanda sedendosi sul bracciolo del divano.
«Mi sento molto meglio» rispondo, «e mamma ti ringrazia per prenderti cura di me ancora una volta».
«La prossima volta che chiama dille che le lascerò il conto ospedaliero» scherza tirandosi indietro i capelli con le mani.
«A proposito, che pegno paghi?»
Quasi mi strozzo nel sentirglielo dire. «Ecco, di questo volevo parlare, io non pago proprio nessun pegno» ribatto.
Fa una smorfia a metà fra il deluso e il 'ma quanto devo aspettare ancora?', lascia stare la sua coda e concentra la sua attenzione su di me, guardandomi come se stessi cercando di negare che il ghiaccio è freddo. «E come mai?»
«Perché continuo a non volere figli e non sono innamorato di Alex» rispondo, fingendomi distaccato.
«Ah no?» m'incalza lei, sorridendo sotto i baffi.
«No» insisto, sentendomi avvampare le orecchie «e sono ben lungi dal cambiare idea».
«Va bene, se lo dici tu non posso che crederti. Ma sappi che anche chi mente paga pegno» commenta alzandosi in piedi e rifacendosi velocemente la coda, dandomi le spalle per qualche manciata di secondi; «e tu che pegno paghi, Jack?»
«Te la smetti? Ti ho detto che non ho cambiato idea» esclamo, ma so che mi sono già tradito da solo.
«E io ti ho detto che ti credo, ma se non sei il primo a credere in ciò che dici non andrai avanti con questo gioco» sorride infatti con aria di vittoria; raccatta la borsa e scompare in un'altra stanza, mentre io rimango fermo come un carciofo ad arrossire su ogni centimetro di pelle visibile e disponibile, pronto a prendere a capocciate qualsiasi superficie in grado di spaccarmi il cranio in un ristretto numero di colpi. L'unica cosa che ci manca è che Alex abbia sentito tutto, ma per mia fortuna dorme della grossa abbracciato a uno dei super-ricamati cuscini bianchi di sua madre, quindi è tutto okay. Più o meno. Mi alzo e vado a cercare Isobel; di chiarire o continuare a negare non se ne parla neanche, ma magari riesco a convincerla a tenere la bocca chiusa e a far finta di non aver proprio mai fatto quel commento, che sarebbe più che grandioso considerando che ne va della mia sanità mentale. L'unico problema è che è tutto silenzioso da morire e che non riesco a percepire nessuno spostamento attorno a me, quasi lei non fosse proprio entrata in casa; e visto che ho la fronte che scotta non mi stupirei troppo se fosse stata solo un'allucinazione causata dalla febbre troppo alta, così lascio perdere e giro i tacchi, spegnendo la luce del corridoio prima di abbandonarlo.
«Boo!» esclama saltando fuori dal sottoscala; io sobbalzo e mi lascio scappare un rantolo spaventato, ansimando.
«Ommioddio» gemo portandomi una mano al cuore «ommioddio non me l'aspettavo, ommioddio che trauma, oddio».
Lei replica con la stessa risata cristallina del figlio e si copre la bocca con le dita, divertita. «Avresti dovuto vedere la tua faccia, sei stato qualcosa di meraviglioso» commenta, mentre io cerco di recuperare un minimo di contegno.
«Senti, riguardo alla conversazione di prima-»
«Uh-huh! Avevo ragione, ti piace!» m'interrompe con un'espressione trionfante.
«Assolutamente no!» m'intestardisco «ma mi piacerebbe se te lo tenessi comunque per te».
Mi squadra un attimo, ritraendo la mano dalla bocca, poi inclina il capo verso sinistra. «E io cosa ci guadagno?»
«Be', hum, la mia più profonda e sincera gratitudine?» propongo.
Finge di esitare, soppesando le due cose. «Troppo poco gossip» giudica infine «manca di avventura».
«Ma cosa, 'avventura'!» esclamo «non siamo in televisione, non puoi uscirtene così; cioè, non è normale».
Mi fa la linguaccia: «se non c'è avventura, che vita è?»
«La vita che vorrei in questo momento» ribatto «potresti non dirglielo, per favore?»
«D'accordo, immagino tu voglia dichiararti in uno di quei modi esagerati che usano i vostri coetanei nei film; spero solo che non ci metta troppo o diventerà noioso» commenta storcendo la bocca, come se stesse parlando di una telenovelas.
«Non ho la minima intenzione di dichiararmi ad Alex, lo vuoi capire sì o no?» insisto, pur sapendo che è inutile.
«Questo lo capisco benissimo» sorride «ma capisco pure che ti piace».
«Cos'è che non capisci di 'no'?» intigno.
«Il fatto che non sia seguito da 'non è vero che non mi piace Alex'» ride. Servita su un piatto d'argento.
«Okay, va bene, forse mi piace giusto un po', ma se non te lo tieni per te ti brucio le peonie, okay?» ammetto, cercando di spostare la sua attenzione su qualcos'altro e di non arrossire, per quanto sia ormai inutile tentarci, visto il mio bel colorito.
«Oddio lo sapevo; Jack paga pegno, Jack paga pegno» esclama lei, canzonandomi allegramente.
«Sì ma il tuo non è stato un comportamento corretto» mugugno, conscio che non conti assolutamente niente.
«Hai ragione, ma il tuo lo è stato?» ribatte, sorniona. Colpito e affondato. «Solo, dichiarati presto, o qui morirò dalla noia»
Avvampo definitivamente. «Non ci penso neanche, ci manca solo questa!» scatto con un'imbarazzante vocetta stridula.
Lei mi guarda con un sorriso deciso. «Tira fuori le unghie Barakat, o qualcun altro ci metterà le mani sopra».
«Per quanto ne so potrebbe già star sotto per un'altra ragazza» ribatto, amareggiato.
«Hai anche ragione, ma se non ci provi come puoi saperlo davvero? E poi vi ci vedo bene come coppia, dovresti buttarti una volta per tutte e come va va; non credo smetterebbe di parlarti o niente, quindi» insiste, appoggiandosi al muro.
«Anche lui e Sally Morton sarebbero una bella coppia, però a lei lui non piace e viceversa» le ricordo.
«Non puoi innamorarti di una che si chiama Sally» commenta alzando le sopracciglia e facendo una smorfia.
«Hai capito il concetto» dico espirando dal naso, con un tono che non accetta repliche «non mi dichiarerò né ora né mai, sarebbe fiato sprecato. Potresti per favore tenertelo per te, adesso?»
«Sta' tranquillo Jack, non una parola uscirà da queste labbra» sorride, mimando di chiudersi la bocca a chiave con un lucchetto e stropicciandomi affettuosamente i capelli prima di girare su sé stessa e andarsene per la sua strada. Dovrei sentirmi più rilassato e a mio agio ma mi sento un vortice nel petto, ho paura di essermi rovinato da solo un'altra volta.
«Complimenti genio» mi dico sottovoce, scuoto la testa e torno in salotto con il mondo sulle spalle. Alex dorme ancora; trovo un posto comodo al suo fianco e rimango accoccolato accanto a lui, lo sguardo perso nell'infinito, ma nulla viene a infrangere quel muro di silenzio che si è interposto fra me e il resto del mondo, cosa che invece vorrei tanto. Non credo proprio che Isobel possa andare a ridirglielo, ci mancherebbe altro; ma in questo modo le persone a conoscenza del mio segreto sono due, e da due nasce tre, e poi quattro, e poi cinque, e poi qualche voce di corridoio arriverà anche a lui, rovinandomi definitivamente. Mi stringo la testa fra le dita e cerco di scacciare la negatività, ma i brutti pensieri s'insinuano da ogni dove e si nascondono dietro quelli belli, appalesandosi lentamente, nella maniera che più è in grado di colpirmi; e nonostante tutto il mio impegno non riesco a mantenermi positivo, come dice sempre di fare Alex. Stringo i denti, scuoto la testa e mi volto dall'altra parte; non riesco a guardarlo in faccia ora. Ho paura; di nuovo. Paura che qualcuno possa dirglielo, paura che possa scapparmi come sabbia fra le dita, paura che qualcuno possa portarmelo via e che io non possa farci niente, paura che si renda conto che non sono la persona adatta a lui, paura che apra gli occhi e capisca perché sono sempre in giro quando va a comprare qualcosa, paura che rimanga deluso qualora mi dichiarassi, paura che le cose fra noi cambino, paura che mi lasci da solo. Di solito vedo la mia cotta con una benevola rassegnazione e mi dico 'okay bello, sei innamorato perso dell'ultima persona che avresti potuto immaginare di poter desiderare, buffa la vita eh?', ma ogni tanto ho degli sprazzi di dolorosa lucidità in cui la consapevolezza di star lanciando sassi contro una finestra chiusa a doppia mandata mi colpisce e mi costringe a fermarmi un attimo, per rendermi conto per davvero che Alex è il mio migliore amico da oltre otto anni e che sto sprecando il mio tempo rincorrendo il suo riflesso, perché il massimo che ci può essere fra due qualsiasi amici di lunga data è appunto amicizia, fratellanza forse; ma aspirare a qualcosa di più profondo e magari tentare la fortuna lanciandosi in un'avventura più imprevedibile porta quasi sempre a periodi di sofferenza da entrambe le parti, e, a parte qualche raro caso fortunato, a una rottura lacerante e amara per tutti e due, sebbene sia sempre devastante accettare il fatto di non poter proseguire in questo modo e rassegnarcisi completamente. Alex è il mio migliore amico e lo è sempre stato; anche con le migliori intenzioni fra noi due non potrebbe mai esserci più che amicizia o un rapporto del tipo 'ti amo e lo sai ma non riesco a dimostrartelo perché mi sento troppo fuori luogo a dirtelo'; e una situazione del genere non farebbe del bene né a me né a lui, senza contare che metterebbe in difficoltà anche Zack e Rian, che sono le persone che più sono costrette a convivere con noi. Potrei baciarlo, abbracciarlo, fargli regali carini e portarlo a spasso nel parco quando tutta la città dorme, ma ci sarebbe sempre un velo di disagio nascosto dietro ogni mio gesto e non è quello che voglio per noi. Sarebbe una catastrofe, cazzo. Io voglio farlo sentire amato, a casa, come se non ci fosse altro posto in cui dovrebbe essere se non fra le mie braccia; voglio proteggerlo dal mondo ed esserci, quando il mio guscio non sarà più abbastanza e i frammenti di vetro cominceranno ad impazzare verso di lui; voglio fargli da scudo col mio corpo e mettergli il mio cuore fra le mani, con nulla se non un sorriso a spiegare tutto. Voglio essere ciò che credeva di aver perso, quello che non avrebbe mai pensato di poter sperimentare, l'unica persona in grado di portarlo sulle nuvole quando il resto della sua vita appartiene alla terra; voglio essere il suo piano d'emergenza e quello principale, voglio semplicemente essere. Cosa potrei mai desiderare di più se non esistere al suo fianco, e cosa mai potrebbe rendermi più felice?
Invece no, dovevo nascere maschio, migliore amico di tutto il mondo e neanche così attraente, così che senza un miracolo non mi noterà mai neanche per sbaglio; e ciliegina sulla torta, dovevo far sì di non essere in grado di nascondere le mie emozioni e di farmi sgamare da nientemeno che la mamma dell'oggetto di ogni mia fantasia; perché sennò che gusto c'è?
Mi prendo la testa fra le dita e stringo la mascella con tutta la forza che mi è possibile trovare in questo momento; poi di colpo l'attacco svanisce com'è arrivato, lasciandomi stordito e con un retrogusto amaro nascosto dietro ai denti, dove nei momenti migliori un sentore di caffè si lascia scoprire e cullare dalla mia lingua; e tutto ciò che rimane è la desolazione e la consapevolezza che nell'ombra accanto a me qualcosa si è mosso. Isobel probabilmente. Magari prima ha lasciato qui qualcosa - l'ha più ripresa la borsa? - ed ora è giustamente venuta a riprendersela, oppure era solo curiosa di vedere come stessero andando le cose ed è entrata quatta quatta per evitare di farsi cogliere con le mani nel sacco; chi lo sa. Sinceramente non m'interessa più di tanto. Mi prendo la punta del naso fra le dita - 'nasone, te la smetti di fare il broncio o devo venire lì a ucciderti di solletico?' mi echeggia involontariamente in testa, accompagnato dal sorriso di Ri -, espiro profondamente un paio di volte e rimango immobile con gli occhi chiusi per un po', per dare a chiunque sia qui con me il tempo di andarsene; poi li riapro e mi accoglie l'oscurità di prima, accentuata dalla luce appena spenta.
«Tutto okay Jack?» mi sento domandare da non so nemmeno più chi.
«No; no, affatto» mormoro stancamente, alzandomi dopo aver fatto leva sulle mie ginocchia «vado a letto». Non sento risposta, ma non sono sicuro di star davvero ascoltando. Arranco su per le scale e mi lascio cadere sul letto, vuoto. Vuoto, vuoto, vuoto; solo questo sento. Non mi accorgo neanche di star piangendo, come non mi accorgo in primo momento delle braccia che mi cingono. Non voglio che mi cingano, non voglio che mi ricordino cosa non posso avere. Non voglio che vengano sprecate con me soprattutto, ma non ho la forza di spingerle via e le lascio bruciare contro la mia pelle.
Stavolta mi addormento che piango. Fra le braccia di Alex, silenziosamente, lontano anni luce ma vicino, piango. E non basta il suo calore a riscaldarmi il cuore.
   
 
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