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Autore: HappyCloud    18/06/2013    3 recensioni
Reparto ortofrutta di un supermercato qualunque all'ora di pranzo: pochi clienti, corsie semideserte, nessuna coda alle casse.
Lui è in ritardo, ha ventun minuti per fare la spesa, portarla a casa e tornare in ufficio.
Lei deve correre al suo appartamento per preparare una cena e tentare di salvare un matrimonio altrui già finito.
Entrambi non hanno tempo da perdere, ma tra un triplice ferimento, importanti scelte da fare e prodotti da contendersi, il corso della loro giornata potrebbe cambiare. E pure l'umore!
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Di semidei e tinte pastello.

Donne.

Achille aveva sganciato la bomba mentre erano nel letto di casa sua.
No, non il genere di bomba che ti fa alzare di corsa ad aprire le finestre per arieggiare… molto peggio. A conti fatti era meglio una puzzetta – quella almeno se ne sarebbe andata con il vento –, al contrario di quelle terribili cinque parole che erano rimaste ad aleggiare nel cervello di Azzurra per i trenta minuti successivi, quando lui si era già addormentato, un braccio ciondoloni sul suo corpo. E lì, circondata da quegli arti che ormai le parevano più artigli, si era sentita improvvisamente inquieta.
Non erano solo cinque parole. Erano le cinque parole.
- Credo dovresti conoscere i miei.
Oh, Vergine Madre delle Ande! I suoi genitori? Gesù, che aveva fatto di male? Era perché aveva russato troppo forte la notte prima? Perché gli aveva finito i biscotti con la scusa palesemente falsa della sindrome premestruale? Perché continuava a propinargli le stagioni di Downton Abbey? Andiamo, ormai si era appassionato anche lui, anche se non l’avrebbe mai ammesso. E se era di nuovo per quello spoiler che le era scappato sulla morte di Lady Sybil, si era già scusata venti volte e aveva già pure espiato, sopportando una settimana di broncio.
Mah. Più ci pensava, più non capiva cosa mai avesse combinato per meritare di essere spedita nelle fauci di mamma Quaresmini. Non l’aveva mai incontrata dal vivo, ma a giudicare dal tono acuto da ultrasuono canino che proveniva sempre dal cellulare di Achille, le faceva paura. Le sembrava di ricordare che si chiamasse Dorotea o Dora, qualcosa del genere. Però era certa che, in qualità di fidanzata del suo unico figlio maschio, la sua reazione alla presentazione sarebbe stata inequivocabile: odio profondo. O peggio, odio profondo malcelato dietro una fredda cortesia. Si doveva aspettare sputi nel caffè, forchette leccate dal cane e chissà quale altra schifezza. Magari c’era speranza di piacere al padre, Ettore, del quale non sapeva pressoché nulla, se non che era tifoso sfegatato della Juventus, come il figlio del resto, e che quando potevano si trovavano a guardare le partite insieme. Poteva rinfrescare le sue nozioni calcistiche e provare ad impressionarlo con qualche statistica scaricata da internet… visti i precedenti con le ricerche sulla rete per far colpo su uno dei Quaresmini, perché non tentare con un altro membro della famiglia?
Achille aveva biascicato qualcosa nel sonno, distogliendola dai suoi pensieri. Grazie a Dio da un paio di mesi si era iscritto in piscina con Fabrizio e ci andava due volte a settimana, ogni lunedì e giovedì; quando tornava era così stanco che si lanciava verso il tavolo, mangiava come se non ci fosse un domani e poi andava a dormire, trascinandosi come un orso obeso e incinto verso il letto. Menomale era giovedì. Ed era Aprile, e la sua simpatica allergia alle graminacee ed affini aveva contribuito a metterlo ko: praticamente si era addormentato ancor prima che lei avesse l’occasione di dire qualsiasi cosa.
Chissà… magari se ne sarebbe dimenticato.
 
- Allora, Trent? A quando la cena dai miei?
Maledetto. Azzurra si stava insaponando sotto la doccia, ma non appena udì quella frase si bloccò. Rimase nuda e infreddolita sotto il getto d’acqua tiepido, ad un tratto le quattro pareti del box doccia sembravano una gabbia. Non sarebbe più uscita da quel bagno, se ciò avesse comportato dover dare una risposta ad Achille. Quella era pur sempre casa di lui, ci dovevano essere delle scorte di cibo nel mobiletto sotto il lavello o dietro il termo-arredo.
 
Lui era impegnato a farsi il nodo alla cravatta davanti allo specchio della sua camera e non poté godersi l’espressione di puro panico che si era dipinta sulla faccia di lei. Attese almeno trenta secondi una risposta che non arrivò, poi smise di aspettarla. Sorrise soddisfatto: che tenera, Azzurra doveva essere emozionata per la proposta. Insomma, presentarla ai suoi genitori era un passo importante, significava che aveva davvero intenzioni serie con lei, come se non gliel’avesse già dimostrato, poi. Probabilmente stava saltellando dalla gioia in bagno e non trovava le parole per esprimere la sua contentezza. Adorabile.
- Azzurra? – riprovò.
 
Nella doccia, la ragazza si guardò intorno freneticamente per cercare una via di fuga. Constatò che ogni volta che voleva o doveva scappare da Achille, si ritrovava nel suo bagno. Forse era perché era un ambiente così accogliente, così confortevole, così… non aveva il tempo di cercare altri aggettivi.
Merda, merda, merda.
Avrebbe finto di non aver sentito, ecco. Peccato che la voce del riccio si stesse facendo sempre più vicina. Qualche secondo più tardi, infatti, stava bussando alla porta.
- Ehi?
Lei capì che avrebbe dovuto improvvisare qualcosa, e in fretta. Si congratulò con sé stessa per avere chiuso a chiave la porta – e perciò avrebbe ringraziato sia la sua regolarità intestinale, sia le sue paranoie sul non farsi beccare sulla tazza del water dal suo ragazzo – e accese la radio nella doccia. Si sciacquò alla velocità della luce, cominciando a canticchiare a voce alta, affinché Achille capisse che non era morta lì dentro. Passò veloce un asciugamano sui capelli fradici e si avvolse nell’accappatoio che aveva lasciato sull’attaccapanni per quando si fermava a dormire da lui.
Achille bussò più forte.
- Trent?
Mentre si infilava reggiseno e mutande e le punte dei capelli le sgocciolavano sulla schiena ancora umida, Azzurra fece una smorfia di dolore. Perché lui voleva rovinare tutto? Non stavano bene insieme? C’era bisogno di coinvolgere sua madre?
- Non ti sento! – gli urlò, sperando di zittirlo.
Indossò un vestito giallo e tralasciò le calze, le avrebbe indossate a casa sua o in macchina. Prese un respiro profondo, prima di aprire la porta e schizzare fuori dalla stanza e nella camera da letto.
- Eccoti, finalmente! – le disse Achille. – Stavo dicendo…
Lei lo zittì con un bacio che lo colse impreparato, ma non meno propenso a riceverlo.
- Devo scappare, – si affrettò ad aggiungere.
Il ragazzo le fissò la capigliatura madida e sconvolta, chiaramente non pettinata. Magari questo dettaglio non lo avrebbe fatto presente.
- Hai tutti i capelli bagnati, ti ammalerai…
Azzurra recuperò borsa e cartelletta dei lavori e afferrò veloce il soprabito. Le chiavi della macchina erano disperse in qualche tasca, ma non aveva tempo di cercarle. Per questo esisteva il tragitto fino al parcheggio.
- Passo da casa, mi cambio, vado a lavoro, poi pausa pranzo, poi di nuovo lavoro… ci sentiamo, eh? Ciao!
 
Non gli restò che fissarla sorpreso uscire di casa sua come una furia. Scalza. Ecco infatti il campanello suonare all’impazzata. Achille roteò gli occhi e sorrise, afferrando le scarpe, prima di andare ad aprire la porta.
- Merda, cazzo… scusa. Ho dimenticato le scarpe! – Azzurra lo sorpassò, carica ancora di tutte le sue cose e iniziò a cercare il paio di ballerine che aveva indossato la sera precedente. Controllò sotto il letto e il comodino, persino tra le coperte, mentre imprecava sul ritardo e su un tale Lloyd Wright che Achille non sapeva chi fosse.
- Architetto? – la chiamò cantilenando.
- Eh? Che c’è? – lei allargò il raggio della sua ricerca fino al bagno.
- Ce le ho io, le tue scarpe.
La ragazza corse di nuovo alla porta, gli diede di nuovo un bacio e afferrò il prezioso tesoro. Avanzò saltellando con un piede e poi con l’altro per infilarle e si congedò con un ciao frettoloso dai tre gradini dell’entrata.
Oh, sì. Quella sbadataggine era un chiaro sintomo di profonda commozione.
 
Per fortuna, Dalila non si era fatta pregare troppo. Non ne aveva avuto il tempo. Aveva fatto il turno di notte in ospedale ed aveva progettato di dormire per buona parte della mattinata, magari godendosi un brunch ipercalorico a base di gelato direttamente tra le coperte, ma la chiamata di Azzurra alle 8.27 l’aveva svegliata inesorabile. Era stata aggredita dalla parlantina dell’amica, che l’aveva confusa a tal punto da non rendersi neppure conto di aver accettato di pranzare con lei in città all'una in punto. Inutile dire che non aveva potuto disdire; la voce di Azzurra era così disperata che temeva le fosse successo qualcosa di grave. Naturalmente un grave nella scala Trentini, cioè nulla di preoccupante.
Rimase sotto il piumone finché poté, poi si vestì con il primo abito che trovò e indossò degli strategici occhiali da sole per coprire le occhiaie sopravvissute all’attacco del correttore.
Lasciò l’auto proprio vicino al bar, punto d’incontro, in uno spazio dedicato al carico e scarico: non aveva intenzione di pagare per il parcheggio più in là o tantomeno lanciarsi in una ricerca per un posto libero gratis. Constatò che c’era crisi, i negozi erano vuoti, non c’era necessità di caricare e scaricare la merce mentre lei pranzava. Potevano farlo in un altro momento.
 
Azzurra la stava già aspettando, seduta ad un tavolo. Si stava guardando intorno come un segugio, neanche stesse facendo da palo durante una rapina. Parve calmarsi, non appena scorse l’amica arrivare con passo rilassato – un po’ troppo per i suoi gusti. Ma non aveva sentito lo stato di agitazione nella sua voce al telefono? – e le fece cenno di muoversi più celermente.
- Non ho capito un corno di quello che mi hai detto al telefono, stamattina. – esordì l’altra, accomodandosi proprio di fronte a lei.
- Solo tre parole: conoscere i suoi. – Dalila alzò le sopracciglia. – Genitori.
- Sono quattro.
Azzurra arricciò il naso dal disappunto.
- No, erano tre; ho dovuto aggiungere la quarta dopo.
- E allora perché non l’hai detta subito? – sbuffò l’altra, brandendo la lista di piatti del giorno.
- Perché pensavo avresti capito.
- Pensi che non abbia capito? – ribatté con noncuranza.
- Non lo so… Hai capito?
Dalila digrignò i denti e abbassò il menu, fissando Azzurra da sopra gli occhiali da sole.
- Sono stanca, tesoro, non scema. Da uno a dieci, quanto sei impazzita quando te l’ha detto?
Beh, era difficile fare una stima così, su due piedi. Era un’adulta ed era perfettamente in grado di gestire la situazione, non è che sarebbe corsa da sua madre in lacrime per la paura d’incontrare i signori Quaresmini… un bagno sembrava più appropriato. O anche un pannolino.
- Mmm… cinque? – scrollò le spalle.
- …cento?
Un cameriere interruppe quello strazio di conversazione con un sorriso che apparve ad entrambe fuori luogo. Per fortuna le notevoli dimensioni del bicipite si rivelarono avere degli effetti curativi; quasi quasi Dalila non era più dispiaciuta di essere stata catapultata fuori dal letto.
- Buongiorno. Siamo pronti? – domandò con gentilezza.
Azzurra lo guardò come se avesse appena visto E.T. in sella ad una mountain-bike.
- Grazie, grazie di averlo chiesto! – sbottò, sorprendendo gli altri due. – È esattamente quello che mi sono chiesta anch’io. Siamo pronti? Voglio dire, è un passo importante, non è una decisione da prendere sottogamba!
Dalila e il cameriere si scambiarono un’occhiata confusa. Lui finse di dover sistemare qualcosa sul suo taccuino elettronico, mentre lei si limitava a fissare basita l’amica.
- Tesoro, temo si riferisse al pranzo.
- Dali, sarà una cena, credo.
- Oh Gesù, aiutami! Il pranzo di oggi: vuole le nostre ordinazioni.
Ah. Beh, francamente Azzurra era un po’ delusa. Ma d’altronde se lo doveva aspettare; in qualità di uomo, la sua profondità d’animo era pari a quella di un bicchiere di acqua. Vuoto.
- Okay, prenderò un’insalata di pollo.

- Facciamo due, – propose Dalila. – E una bottiglia di vino rosso. Molto piena, mi raccomando.
 
Il ragazzo appuntò tutto e  optò per non interagire ulteriormente con quelle due stramboidi. Sussurrò un perfetto a se stesso quando già si era già allontanato dal loro tavolo. Purtroppo, però, la tregua non durò molto: non appena ritornò per lasciare il vino, una delle due, quella che in apparenza sembrava la più normale – la sua valutazione si basava sul solo fatto che lei avesse capito la questione ordinazioni – gli rivolse la parola.
- Ehi, puoi portaci anche il dolce, dopo l’insalata?
Oddio, si sarebbero trattenute ancora più tempo! Non gli rimaneva che sperare che intendesse un vero dessert e non lui, come purtroppo era già capitato con una sessantenne sgallettata e una turista tedesca con più denti che capelli.
- Certo. – si sforzò di sorridere.
- Due fette di torta della suocera, grazie.
Non riuscì a sospirare dal sollievo, perché quelle due cominciarono a ridere a crepapelle. Cercò di fingere che la cosa non lo turbasse, ma alla fine cedette: si voltò per assicurarsi che non si stessero prendendo gioco di lui. Ma ecco che, mentre quella più normale stava continuando a sghignazzare incontrollabile, l’altra, cellullare alla mano, sembrò sull’orlo di una crisi isterica.
Il ragazzo scosse la testa, tornò verso l’interno del bar e catalogò l’episodio con una sola parola: donne.
 
Era da almeno un’ora che le ripeteva che sarebbe andato tutto bene – senza che peraltro lei desse il minimo accenno di dubitarne –, ma ormai lui stava cominciando ad agitarsi. In realtà, era onestamente convinto che a suo padre sarebbe piaciuta, il problema vero era sua madre. Lei poteva essere… poco disponibile talvolta, per così dire, Achille ne era ben consapevole.
Dora Quaresmini era la classica mamma chioccia, di quelle che ti chiamano ogni giorno per chiederti se hai mangiato a sufficienza e che hanno la lieve tendenza a non vedere di buon occhio la fidanzata di turno del proprio pargoletto, perché è brutta, cattiva, antipatica o osa indossare abiti sopra al ginocchio, il che notoriamente nell’ambiente delle madri chiocce significa che è una poco di buono e che non sarà una buona madre con i suoi futuri ed eventuali bambini.
Ad Elettra era andata molto meglio: in qualità di figlia femmina, non aveva dovuto sottostare alla ferrea legislazione di Dora in fatto di fidanzati… non che si fosse sforzata più di tanto, in ogni caso; aveva sposato il primo che aveva portato a casa, Pier il ragionier, come lo chiamavano in famiglia. Stime di Achille attestavano la nascita della loro relazione ai tempi della formazione della Mezzaluna fertile, secolo più, secolo meno. Poi a venticinque anni si erano sposati e infine era nata Diana, la gioia della nonna, in grado di cancellare qualsiasi difetto del genero. Certo, lui non aveva un nome di origine greca – Dora aveva fatto controllare ad Ettore su internet: ebraico, era stato il verdetto – e ciò minava un po’ l’equilibrio della famiglia, ma tutto sommato era accettabile.
Il padre di Achille era molto più pacato e si limitava ad accertare un aspetto più pregnante: la felicità dei figli. Ormai la prima era maritata e aveva cominciato a mettere su famiglia, adesso restava il piccolo di casa e tutti sapevano bene che non sarebbe stato così semplice; Dora Quaresmini non avrebbe dato il suo benestare con troppa facilità. Nella sua testa, esisteva una e una sola donna adatta a stare con il suo bambolotto riccioluto tutta la vita: se stessa.
Achille rabbrividì al solo pensiero. Per quanto adorasse sua madre e i suoi dolci, non poteva proprio concepire l’idea di fare il Tanguy di turno e accamparsi nel salotto dei suoi per sempre.
- Trent, sei pronta? – le chiese, giusto per distrarsi dall’orrida immagine di lui e sua madre per il resto della loro vita insieme.
Erano nell’appartamento di Azzurra, un openspace in cui lei non aveva via di fuga. Spuntò fuori dal bagno con un mezzo sorriso, a mascherare l’apprensione in vista della serata. Indossava un vestitino chiaro a motivi geometrici e una giacca tipo motociclista rosa tenue. Niente tacchi, solo un paio di ballerine e shopper piuttosto ampia che recuperò dal divano. Sembrava nervosa, ma nemmeno troppo: forse il fatto di avere davanti un viaggio di un’ora e un quarto prima di arrivare a casa dei suoi faceva sì di tenerla tranquilla.
- Vado bene così? – gli domandò incerta, facendo una giravolta su se stessa.
Achille annuì, le andò incontro e le diede un sonoro bacio sulle labbra.
- Perfetta, – le sorrise. – E non sei neanche agitata! Fantastico!
Uscì dalla mansarda di via della Quercia 27 fiducioso: sarebbe stata una piacevolissima serata, avrebbero mangiato e bevuto e lei finalmente avrebbe conosciuto i suoi, sua madre l’avrebbe adorata e tutto sarebbe filato liscio. E lui avrebbe mangiato un sacco di dolci. Piacevolissima serata.
- Già… yuppie! – Azzurra smise l’aria gioviale e si appropinquò verso la porta.
 
Achille era un bravo ragazzo, dolce e anche bello; ma c’era qualcosa che proprio non era: intuitivo. Anche Achille il Felide, alias il gatto del vicino, si era reso conto che lei tutto era fuorché emozionata o tranquilla. Miagolò di compassione nella sua direzione, mentre lei ciondolava giù dalle scale con un’espressione di puro dolore in faccia.
Maledisse internamente Achille il Pelide e i tempi moderni: vent’anni prima, nessuno aveva un cellulare e a nessuno sarebbe venuto in mente di mandare un sms con scritto:
Mia madre ci ha invitato a cena domani sera. Le dico di sì?
Oh, stava per dimenticare: avrebbe maledetto anche Dalila e la risposta da lei digitata a tradimento, quando lei era in bagno a meditare sul da farsi.
Non vedo l’ora, Achi!
 
Sarebbe dovuta vivere nel nord Westfalia, in Germania, e viaggiare in una di quelle autostrade protagoniste di una serie tedesca che sua madre tanto amava, in cui ogni giorno macchine si spiaccicavano una sull’altra, formando rallentamenti, ingorghi, blocchi stradali. Magari anche senza spargimenti di sangue… un camion di traverso che impedisse loro di raggiungere la casa dei Quaresmini era più che sufficiente. E invece no. Abitava nel nord Italia e incredibilmente procedeva tutto tranquillo su quella cavolo di A4. Achille canticchiava sulla voce di Brian Johnson e ogni tanto le lanciava degli sguardi complici, che in verità non facevano che prolungare quell’ora di agonia che la separava dai suoceri. Non riusciva proprio a rilassarsi, tra gli AC/DC nelle casse dell’auto e il triste paesaggio industriale fuori dal finestrino. Guardava frenetica l’orologio ogni minuto, realizzando di essere sempre più vicini. Al casello di uscita, mentre Achille passava attraverso la sbarra e i due bip rauchi e prolungati del Telepass sparivano tra le note di Back in black, Azzurra si mise quasi a piangere. Pure il Telepass per evitare le code! Non gliene andava bene una.
Achille tamburellava gli indici sul volante come fossero le bacchette di una batterista, il che non faceva che contribuire ad innervosirla ulteriormente. Prese a chiudere l’occhio destro, che lui non poteva vedere, ogni volta che lui picchiettava il dito, quasi potesse ammortizzare quel rumore odioso; la smise quando le sovvenne l’immagine di John Cage di Ally McBeal, che si distingueva per il fischio del naso e la balbuzie, oltre che per il suo identificarsi idealmente di Barry White. Non poteva fare la fine di Biscottino… anche perché lei avrebbe scelto Grace Kelly.
- Dieci minuti e ci siamo. – le annunciò Achille.
Beh, comunque Grace Kelly era morta in un incidente automobilistico. Forse aveva ancora una chance.
Tutt’ad un tratto le venne in mente di aver lasciato nel frigorifero di casa la bottiglia di vino che aveva intenzione di portare come regalo. Che figura del cavolo! Invitata per la prima volta dai Quaresmini, arrivare con le mani vuote… dovevano tornare indietro!
- Achi, ho dimenticato il vino!
Forse ci aveva messo un po’ troppa enfasi nel constatare la mancanza; sembrava avesse annunciato l’arrivo del messia da un momento all’altro.
- Sta’ tranquilla. L’ho presa io, Trent, te l’ho messa nella borsa. – Ecco perché sembrava insolitamente pesante! – Conosco la mia polla.
Oh, ma che ragazzo solerte! Cominciava a detestarlo, lui e i suoi poveri stupidi ricci… no, non è vero, quelli rimanevano adorabili.
Azzurra lasciò che la musica colmasse quella apparente calma silenziosa e cercò di rassicurarsi: sarebbe andato tutto bene.
 
Niente andrà un cazzo bene! No! No! Andiamo via, dai!
Achille parcheggiò la sua auto sotto ad un albero, sebbene non ci fosse alcuna necessità di lasciare la macchina all’ombra; con tutta la pioggia che era scesa in quell’ultimo mese ci si poteva riempire nuovamente il lago di Garda.
Azzurra si stava mordicchiando le labbra, con l’aria nervosa di chi sta per sostenere l’orale della maturità. Cominciava a rimpiangere Chilmi – un nome, un programma –, il temibile prof di biologia che aveva reso il suo esame un inferno; Dora e Ettore Quaresmini erano due mostri, se lo sentiva. E poi lei era un disastro in queste cose! Nei suoi ventisette anni, si era trovata in questa dannata situazione altre due volte. La prima con Alberto, a diciotto anni; sua madre non la vedeva di buon occhio, ma tutto sommato Azzurra poteva capirla: il marito le aveva messo più corna di un alce alpino, perciò ogni essere di sesso femminile costituiva una minaccia. Lui, infatti, era viscido quanto un’anguilla cosparsa di Leocrema e non perdeva occasione per toccarla. La seconda volta era stata a ventiquattro anni, con i Gualla, i genitori di Diego. Erano due personcine fantastiche, la riempivano di attenzioni e coccole, torte e complimenti… peccato che in segreto stessero cercando di far tornare il figlio con la ex. Non c’era da stupirsi, perciò, se Azzurra era semplicemente terrorizzata all’idea di conoscere i Quaresmini. Per esperienza, nel momento in cui avvenivano le presentazioni ufficiali, il rapporto amoroso andava a rotoli; in sostanza, Achille stava ammazzando la loro relazione, seppur inconsapevolmente. Era suo espresso dovere opporsi.
- Ehm… Trent, scendiamo? – le chiese lui, in piedi fuori dalla macchina, ma con la testa nell’abitacolo
- No! – urlò di risposta, spaventando entrambi.
 
Achille la fissò frastornato: non poteva avere sbagliato i calcoli! Aveva scaricato la app apposita per controllare e non c’erano segni di triangolini rosa su quel cavolo di calendario. Azzurra non poteva essere in sindrome premestruale.
 
Lei si accorse di averlo confuso e tentò di rimediare.
- Cioè, volevo dire… tu sei già sceso. Tocca a me scendere. Ora scendo. – Di fatto non un singolo millimetro del suo corpo si mosse. – Adesso giuro che scendo.
- Trent, c’è qualche problema?
- No, no! – ridacchiò isterica.
 
Achille capì che era un po’ tesa. Le fece una faccia buffa e le offrì la sua mano. Azzurra la fissò per qualche istante, prima di decidersi ad afferrarla tra la sua e ad uscire definitivamente dall’abitacolo. Lui la condusse lungo il vialetto che portava alla bifamigliare in cui i suoi si erano trasferiti dalla campagna una decina di anni prima, proprio accanto agli zii. La ragazza camminava a piccoli passi, sembrava un brutto incrocio tra un robottino e una bambolina cinese. Praticamente la stava trascinando, più che ad una cena davano l’impressione di andare in gita in un mattatoio.
 
- Picci, sei sicura di star bene?
L’espressione d’insofferenza si acuì sul viso di Azzurra. Achille voleva giocare sporco: aveva tirato fuori il soprannome delle grandi occasioni, Picci. Nulla a che fare con piccola, piccina… no, lui aveva optato per un delizioso picciona, a causa della sua mania di sfamare ogni pennuto sulla sua strada. Lei aveva proposto un più romantico Cenerentola, ma lui aveva riso troppo forte anche solo per prendere in considerazione altre opzioni diverse dalla prima.
- A-ha, – deglutì.
- Sicura?
Azzurra si girò per vederlo in viso, poi scosse la testa. Era solo ad un paio di metri dalla cassetta della posta rossa fissata sul muretto di casa Quaresmini. Ci era così vicino da sapere che era di ghisa e che aveva dei graffi.
- No.
Il riccio rallentò, soltanto per infilare la mano tra le barre del cancellino ed aprirlo; come al solito, la chiave era infilata nella serratura interna.
- Ma posso sapere che ti prende? – La invitò a passare oltre la ringhiera di ferro, lungo il breve vialetto che li separavi dal portoncino verde dell’ingresso. – Eri entusiasta di conoscere i miei!
Azzurra, che fino a quel momento si era sforzata di risultare moderatamente tollerante all’idea di passare una serata dai genitori di lui, non riuscì a controllarsi.
- Entusiasta? Su quale pianeta?
Achille mollò la sua mano e le si parò davanti, sempre più sorpreso.
- C-cosa? Non vuoi incontrarli?
- No, sì… cioè, ho paura!
- Non sono mica Hannibal Lecter! – almeno non suo padre… – E, in ogni caso, avresti dovuto dirmelo prima. Siamo davanti a casa loro!
Le indicò la casa gialla alle loro spalle, come se lei non l’avesse già notata.
- Scappiamo! – propose lei, preda del panico più completo.
- Eh? Perché non vuoi entrare?
- Io… io… le cose stanno andando troppo velocemente, Achille…
Aveva palesemente detto la cosa sbagliata. O meglio, la cosa giusta, ma con le parole sbagliate. Lo capì subito, vedendo come gli occhi di lui si fossero ridotte a due fessure arrabbiate.
- Che cazzo vuol dire? – le disse infatti a denti stretti.
- No, aspetta, non era quello che intendevo. – cercò di farlo ragionare, ma Achille aveva appena cominciato e non aveva intenzione di fermarsi.
- Sto accelerando le cose perché voglio che i miei conoscano la mia fidanzata dopo mesi che usciamo insieme?
- No! – urlò, attirando l’attenzione di una vicina di casa che comparve da dietro un cespuglio. Aveva in mano un paio di cesoie, che continuava ad aprire e chiudere, sebbene stesse praticamente tagliando l’aria. Azzurra la fissò scocciata, ma lei neanche la vide: non era proprio la discussione ad attirarla, era più il sedere di Achille a incontrare il suo interesse. Le schioccò le dita finché quella non si decise ad alzare lo sguardo dal fondoschiena del riccio e a riabbassare la testa sull’arbusto.
- Mi ascolti? – urlò il ragazzo, stizzito dai problemi di concentrazione di Azzurra. – No cosa? Sto correndo anche sulla definizione di fidanzata?
Come poteva insinuare una cosa del genere? Non aveva forse visto come lei aveva appena difeso silenziosamente per giunta – e questo non era molto nel suo stile – le sue preziosissime natiche? Certo che era la sua fidanzata!
- Achi… – miagolò, ma fu ben presto interrotta da un rumore infernale. Nella fattispecie, il cigolio del portoncino che si apriva. Azzurra sperò soltanto che fosse il padre.
- Ragazzi! Mi sembrava di aver sentito le vostre voci!
Oh, era solo Elettra. Un attimo… Elettra? Che ci faceva lei lì?
- Ciao, – disse Azzurra imbarazzata.
Non sapeva se essere grata di avere un’altra faccia amica nella sera delle presentazioni al signor Quaresmini e a quel mostro a tre teste carnivoro meglio conosciuto come la sua consorte, oppure se mettersi a piangere all’idea di fare una figuraccia proprio davanti – anche – a lei in un momento così delicato.
- Su, su, entrate!
Achille non la degnò di uno sguardo ed entrò prima di lei. La sua graziosissima nipotina gli corse in braccio, reclamando attenzioni e caramelle. Azzurra realizzò che era stata una pessima trovata quella di litigare con lui proprio dieci secondi prima di entrare nella tana del nemico. Però prese un respiro profondo e cercò di rilassarsi: forse i suoi erano solo pregiudizi e la signora Dora si sarebbe rivelata una dolce donnina di mezza età, con l’hobby del découpage e un carattere così mite da provocare la carie. Prese dalla borsa la bottiglia di Millesimato che Sergio le aveva consigliato di portare con un nuovo spirito positivo: in più, avrebbe avuto le mani occupate.
Elettra la prese sottobraccio e le indicò dapprima la figlioletta, saldamente tra le braccia di Achille, poi un uomo dalla faccia simpatica, non troppo alto e pelato.
- Azzurra, ti ricordi di Diana, vero? Lui è mio marito Pier. – La ragazza strinse la mano all’uomo, che le sorrise. – Poi ci sono Monica ed Augusto, gli zii. – Zii? Era forse capitata nel mezzo di una riunione di famiglia? – La mamma era andata con la zia a fare la spesa e poi ha pensato di invitarli a restare per cena… non è fantastico?
Si sforzò di non mettersi ad urlare una serie chilometrica di perché? ed ignorò quell’invitante angolino della parete sgombro da quadri contro il quale avrebbe molto desiderato sbattere la testa, fino a perdere i sensi. Suvvia, nonostante l’alta affluenza alla cena dei Quaresmini, poteva ancora essere una serata gradevole.
Respira, su. Calma.
Gli zii erano una coppietta silenziosa e riservata, perfettamente utilizzabili come alternativa alla carta da parati. Le strinsero la mano cordiali, ma non aprirono bocca. Ad Azzurra venne il sospetto fossero sordomuti. Utili per evitare di fare conversazioni, imbarazzanti per i silenzi.
- Achi, perché non prendi la giacca della tua ragazza? – lo invitò Elettra.
Lui posò a terra una Diana divertita ma contrariata e obbedì. L’aiutò a sfilarsi la giacca, curandosi di non rivolgerle la parola. Lei lo seguì con lo sguardo finché le fu possibile, cioè finché un signore alto e con la faccia simpatica le ostruì la panoramica completa su Achille.
- Salve, – le strinse la mano. – Lei dev’essere Azzurra.
Non voleva sbilanciarsi troppo, ma l’uomo davanti a lei si era appena candidato ad essere un alleato.
- In carne e ossa, – rispose, consegnandogli la bottiglia. – La prego di darmi del tu.
- Grazie mille, non dovevi. Oh, finalmente ti conosciamo. Sono Ettore. Dora?
Si volse verso la stanza contigua, da cui proveniva uno sfrigolio di padelle e un gradevolissimo profumo di cibo.
- Che c’è? – disse una voce fuoricampo. – Sto controllando l’arrosto. Ti ho detto di chiamarmi solo quando arriva la bertuccia.
Bertuccia? Uh, delizioso. La sua sempre più improbabile futura suocera le aveva appena dato della scimmia. Quando si dice un inizio promettente…
- Tesoro, – Ettore le sorrise goffamente a mo’ di scuse. – È qui.
Una folta testa riccia rossa comparve da dietro il muro della cucina.
 
La signora Quaresmini indossava degli occhiali calati sul naso e un grembiule con la pettorina con dei limoni disegnati. Non fece nemmeno lo sforzo di sollevare gli angoli della bocca in un’espressione di gaudio nel vedere la giovane ragazza, un po’ scialbina a dire il vero, che era nella sua sala da pranzo, accanto alla tavola imbandita. Beh, se l’aspettava più… più… più.  A vederla così le sembrava un attimino troppo poco per il suo bambino. Achille era un bel giovanotto, bravo, buono, generoso, gentile, premuroso, attento, il sogno di ogni madre, mentre lei era… ordinaria. Sì, ne era convinta: dopo un’approfondita analisi del soggetto, poteva concludere che neppure questa tizia, così come Chantal, Laura e ogni altra donna con cui suo figlio avesse avuto o avrebbe avuto a che fare, era degna di lui. Doveva comunicarglielo subito, magari indorando la pillola con i bomboloni alla crema che gli aveva preparato nel pomeriggio.
Azzurra tentò di sorridere, imbarazzata da quell’esame a raggi X. Alzò una mano verso la sua direzione e la salutò. Dora Quaresmini sollevò un sopracciglio. No, quella ragazzina non le piaceva: il suo modo di agitare le dita era del tutto impacciato, non poteva stare accanto ad uno come Achille.
- Ciao, mamma, – le gridò proprio lui dal divano.
Il viso di Dora si illuminò di amore materno. Piantò il mestolo in mano ad Elettra, sfrecciò accanto ad Azzurra senza degnarla di uno sguardo e corse ad abbracciare il suo orsacchiotto.
- Tesoro! Ma sei dimagrito? Ti vedo sciupato. Non gli dai da mangiare?
Azzurra impiegò qualche istante a capire che ora la signora stava effettivamente interagendo per la prima volta con lei… accusandola di non nutrire il figlio. Cos’era, la sua babysitter? Esitò un attimo sulla risposta, mentre la donna la guardava con aria severa.
- I-io… – tentennò.
- Era una battuta, cara, – replicò sarcastica.
Cielo, la odiava già. Nel senso che Dora detestava Azzurra. E Azzurra era ben lieta di ricambiare.
Ettore irruppe nella conversazione, ufficializzando le presentazioni, durante le quali peraltro la signora si presentò come Dora Quaresmini. Azzurra cercò di non essere da meno e sfoggiò il suo cognome come se fosse una Windsor o una Tronchetti Provera. La mano della padrona di casa la strinse così forte che dovette trattenersi dal massaggiare la propria davanti agli occhi dei parenti.
- Ho fatto gli gnocchi di patate al pomodoro, – annunciò la padrona di casa. – Spero ti piacciano.
 
Achille scosse la testa: sua madre era tornata a fare i soliti vecchi trucchetti. Ricordava bene la conversazione al telefono del giorno prima proprio con lei.
- Amore, cosa vuoi che ti prepari?
- Quello che vuoi, mamma. L’importante è che tu non faccia gli gnocchi. Ad Azzurra non piacciono.
- Certo, amore.
Certo un corno. Non solo li aveva inseriti nel menu, ma si era anche premurata di farli in casa, con le patate. Credeva che l’abitudine di sfidare apertamente le novelle nuore fosse finita ancora prima di Chantal. In quel caso, infatti, si era comportata bene; era stato dopo, quando lei lo aveva lasciato, distrutto e quasi irriconoscibile, che Dora si era pentita amaramente di non averle cucinato ravioli con ripieno di salsiccia al profumo di arsenico e budino con dadolata di schiaffi in faccia. 
Achille si domandò se Azzurra avrebbe saltato il primo, scusandosi, o se avrebbe finto di apprezzarlo, boccone per boccone, fingendo di non volerli sputare tutti. Quello di cui era sicuro era che lei non avrebbe detto di amar…
- Li adoro! – cantilenò la ragazza con un sorriso smagliante.
Dora parve sorpresa da tutto quell’entusiasmo: o il suo bimbo l’aveva ingannata, o la ragazzina che aveva davanti stava facendo buon viso a cattivo gioco.
- Bene! Forza, tutti a tavola. – Azzurra attese che quasi tutti si sistemassero, soprattutto Achille, ben lontano da lei, e poi prese posto accanto ad Elettra. – No, aspetta, cara: la disposizione è uomo-donna-uomo-donna… non conosci le regole del galateo?
Quella sottile allusione alla carenza di buone maniere della propria ospite fece trasalire tutti, tranne la padrona di casa ovviamente. Azzurra non rispose alla provocazione; si alzò ed andò a sedersi tra Ettore, a capo tavola, ed Achille, il quale stava cominciando a rendersi conto di aver esagerato prima. Poteva essere arrabbiato con lei, ma doveva stare dalla sua parte: era la sua ragazza, era lì per lui, nonostante neanche lo desiderasse, a quanto pareva, perciò era suo dovere farla sentire a suo agio, nel limite del possibile.
Come se averle preparato uno dei cibi che più detestava non fosse stato sufficiente, la signora Quaresmini le colmò il piatto di gnocchi, sebbene Azzurra continuasse a ripeterle che la dose pantagruelica che già le aveva dato era più che sufficiente. Odiava quelle maledette palle di patate: le si attaccavano al palato come cozze ad uno scoglio e non se ne andavano più. Si costrinse a mangiarli tutti, intervallandoli a grosse sorsate di acqua, trattenne il respiro per sentire meno di quel sapore molliccio e vagamente viscido degli gnocchi, ma le sembrava che quei piccoli bocconi subdoli avessero deciso di non andare più in giù della sua trachea. Achille le sussurrò in un orecchio che non doveva per forza finirli e addirittura si offrì di mangiarli al posto suo, ma Azzurra lo ignorò; quel mostro di sua madre la stava sfidando e lei non sarebbe stata da meno.
- Allora, dicci: – la interpellò il signor Quaresmini. – Che fai nella vita?
- Sono un architetto. – Ettore fece uno sguardo compiaciuto e sinceramente interessato. Al contrario di Dora, che si lasciò andare ad uno sbuffo mal contenuto che non passò inosservato. – Lavoro per lo studio di un mio grande amico.
- E dimmi, – intervenne proprio lei. – Come hai intenzione di comportarti, quando e se avrete un bambino?
Ad Achille andò di traverso uno gnocco e gli occhi gli schizzarono fuori dalle orbite. Immaginava già la reazione della sua ragazza: sedie per aria, porte sbattute, gnocchi di patate in faccia a sua madre all’urlo di “Cosa vuoi da me, vecchia pazza?”.
- Mamma! – intervenne Elettra. – Non ti sembra di affrettare un po’ le cose? Cielo, non siamo neanche un po’ brilli per sganciare queste domandone!
- Non c’è problema, – intervenne Azzurra, molto più calma del solito. – Rispondo volentieri. Se dovessimo avere un bambino, starei a casa per tutto il tempo possibile e poi tornerei a lavorare.
- Tieni così tanto alla carriera da lasciare i tuoi figli al nido? – le chiese l’altra sprezzante.
- Amo il mio lavoro e non mi sentirei soddisfatta al 100% se lo abbandonassi per fare la casalinga. E poi mia cugina lavora al nido vicino a casa mia, so che ogni bambino sarebbe in ottime mani… meglio che con alcuni altri familiari.
Dora accusò il colpo e si alzò velocemente a raccogliere i piatti. Ettore rise sotto i baffi, mentre lei poteva sentire su di sé lo sguardo del figlio. Achille era senza parole. La fissava sbalordito ed… eccitato! Nessuno aveva mai parlato così a sua madre! Non vedeva l’ora di tornare a casa e spogliarsi. O meglio, farsi spogliare: con quella voce da maestrina voleva giocare all’impiegato sottomesso dalla perfida capa.
- Azzurra, mio cognato non ci ha mai raccontato di come vi siate conosciuti… – disse Pier.
- Al supermercato. Ha investito la frutta che avevo appena scelto e mi ha rubato l’ultimo flacone di detersivo per lavatrice.
Tutti i commensali, tranne Dora, in cucina a impiattare il secondo, risero della situazione, non capendo se stesse scherzando o dicesse sul serio.
- La tua parola contro la mia, – ridacchiò Achille, prontamente e nuovamente ignorato.
Sulla tavola calò un silenzio momentaneo, infranto dal ritorno della signora Quaresmini con arrosto e patate al forno. Diede ad Azzurra il pezzo più piccolo e secco, con le patate più bruciacchiate; persino a Diana andò meglio, con un razione di contorno quasi doppia e una fetta di carne grossa e cosparsa di intingolo. Elettra gliela taglio e la bimba cominciò a mangiarla con gusto. Anche gli zii parevano gradire, ma non si spinsero mai più in là di un mugugno di approvazione. Azzurra assecondò i dispetti e prese dell’arrosto una seconda volta, avendo cura di scegliere da sola il pezzo da mangiare. Trattenne persino l’impulso di infilare la forchetta nella mano della suocera e di questo si congratulò con se stessa.
- Allora, hai fratelli o sorelle? – domandò Ettore.
- No, purtroppo sono figlia unica.
- Purtroppo? Dovevi vedere Elettra e Achille da piccoli, litigavano come scimmie allo zoo. Una volta hanno cercato di seppellirsi a vicenda nel giardino, distruggendolo. Io e mia moglie abbiamo pensato di avere una talpa e le abbiamo dato la caccia per giorni!
Azzurra rise e si sporse verso di lui, poggiandogli la mano sulla coscia nello sbilanciarsi in avanti. Ettore le chiese qualcosa in più sul suo lavoro, sull’architettura classica, persino dei suoi genitori e fu sempre molto più che gentile. Dora si premurò sempre di schernirla con frecciatine e sbuffi, mentre Achille osservava le donne della sua vita comportarsi da… strane creature incomprensibili. Donne, appunto.
Arrivato il momento del dolce, si offrì di andare a prenderlo in cucina con Azzurra, l’unica scusa che gli venne in mente per poterle parlare un minuto in privato. Lei accettò soltanto perché aveva capito che non aveva modo di rifiutarsi. E anche perché non vedere Dora per un po’ era una manna dal cielo.
Le fece cenno di passargli davanti e le indicò la direzione da seguire per arrivare in cucina. Quando arrivarono davanti ai fornelli, Azzurra si voltò verso di lui per chiedergli che diavolo volesse. Sfortunatamente, lui l’anticipò.
- Che stai facendo?
Azzurra incrociò le braccia e alzò un sopracciglio.
- Oh, guarda: Bartolo ha riacquistato l’uso della parola.
- Chi? – ribatté lui confuso.
- Lascia stare, ignorante. L’aiutante di Zorro.
Achille fece un mezzo sorriso. Dio, quella donna era fuori di testa.
- Si chiamava Bernardo. – le fece notare.
Ah, cazzo, ecco perché non suonava molto bene. Meglio comunque continuare sulla propria linea e non ammettere mai di avere  torto.
- Nella versione originale era Bartolo. – inventò e Achille non si sforzò neppure di crederci.  – Che vuoi? Non vedi che sto amabilmente conversando con il parentado?
Il caro ricciolone non poteva certo lamentarsi di lei: ci stava provando a piacere a sua sorella, il cognato, la nipotina, gli zii, quella belva di sua madre e soprattutto con quel tesoro di Ettore. Ci stava provando davvero.
- Ci stavi provando con mio padre? – le chiese invece Achille.
- Cosa? – quel tonto doveva aver mal interpretato i suoi pensieri e soprattutto le sue azioni. – No! Stavo solo cercando di piacergli.
Stavolta fu Achille a guardarla scocciato.
- Gli stavi facendo delle moine così plateali che mia madre ora è confusa: non capisce se deve consegnare nelle mani di una sconosciuta suo figlio o suo marito.
In quella casa c’era un’aria strana, non c’erano altre spiegazioni. C’era chi diventava una stronza coi fiocchi, vedi Dora, e chi diventava scemo, vedi Achille.
- Ma che dici?
- Hai appoggiato una mano sulla coscia di mio papà!
Beh, se la metteva in questi termini, forse…
- Oh merda. Ci stavo provando con tuo padre. Ma d’altronde non è colpa mia se sono socialmente adorabile per gli uomini di ogni età. – Si fece avanti con un sorriso malizioso e gli picchiò l’indice sul naso.
Achille la bloccò, prima che potesse rifarlo, e la strinse a sé.
- Smettila di flirtare con mio padre, – le intimò, fingendo di morderle il naso.
- Allora, lo state fabbricando questo dolce?
Fecero un balzo entrambi, colti di sorpresa. Achille addentò la punta del naso di Azzurra, la quale si mise ad urlare, tentando d’indietreggiare con la testa. Accortosi del morso involontario, lui mollò la presa con tanta frenesia che lei finì col dare una testata alla colonna del forno alle sue spalle.
- Oh cazzo! – urlò Achille, mentre si avvicinava ad un’Azzurra, piuttosto frastornata, che si toccava il capo con entrambe le mani. Aveva voglia di dire talmente tante parolacce che nella concitazione del momento, non riusciva a sceglierne una, temendo di fare un torto alle altre.
- Il linguaggio, tesoro! – Dora redarguì il figlio, incurante della botta subita dalla ragazza.
Anzi, ben le stava! Prima si presentava al braccio di Achille, poi cercava di accattivarsi le simpatie di Ettore con tutti quei risolini da perfetta oca giuliva… ecco, perché non si prendeva Ettore? Era un brav’uomo, maturo, responsabile e cucinava discretamente, garantiva lei per lui. Con una parrucca in testa era uguale ad Achille.
- Trent, stai bene? – il riccio cercava di rimanere serio, ma il segno dei suoi denti rimasto impresso sul naso della fidanzata era troppo buffo per non farlo sogghignare.
No, emerito idiota! Mi hai fatto male!
- Tutto okay,  – disse lapidaria, massaggiandosi il punto d’impatto con il dannato forno.
- Scusa… – le prese il viso tra le mani e le diede un bacio delicato sulla fronte.
 
La signora Quaresmini osservò la scena con un briciolo di disgusto. Quella ragazzina sarà pure stata scialbina, ma era diabolica: proprio un bel teatrino quello che aveva imbastito, per farsi dare un bacino da Achille! Si schiarì la voce, affinché le mani di lui si allontanassero dalla vipera.
- Di là stanno aspettando il dolce. Forza, sveglia!
Allontanò malamente il figlio e Azzurra dalla sua cucina ed estrasse dal frigorifero la crostata di frutta che aveva fatto nel pomeriggio. Afferrò anche il vassoio coi bomboloni, ma questo significava dover lasciare la bottiglia di Buzzurra – l’aveva pensato sul momento e le piaceva… sì, l’avrebbe adottato! – lì dov’era stata fino a quel momento. Peccato. Beh, chissenefrega.
Quando ritornò nella sala da pranzo, tutti sembravano esilarati dal racconto del piccolo incidente di qualche minuto prima; Ettore stava ridendo con la sgradita ospite – e ti pareva! –, Elettra e Pier stavano pregandoli di replicare la scena, gli zii avevano bofonchiato qualcosa divertiti e Diana, la sua piccola dolce Diana, era appena scesa dalla sedia e… che stava facendo? Oh, per carità! Stava dando un bacio al naso di Azzurra per guarire una ferita palesemente immaginaria. Ma che diavolo prendeva alla sua famiglia? Non si rendevano conto di che razza di serpe fosse quella specie di architetto rubafigli?
- Cara, – disse a Buzzurra con finto fare materno. – Stai monopolizzando la situazione. Chi vuole la torta?
 
Azzurra non si sforzò neppure di sorridere, ormai il desiderio di rifilare alla suocera una testata analoga alla sua contro il forno era troppo forte per essere contenuta. Non le sarebbe dispiaciuto spiaccicare quella faccia da strega malefica nella sua stramaledetta crostata di frutta.
 
Dora cominciò a tagliare la torta con le due palette d’argento che trovò sulla tavola e che di certo non aveva preparato lei. Addirittura l’argento delle grandi occasioni? Per la ragazzina sarebbe stato sufficiente un coltello di plastica.
- Mamma… – intervenne Achille, ammonendola con lo sguardo.
- Che c’è, tesoro? – Il suo bimbo golosone! Scavalcò le teste di tutti con le palette sporche di impasto, crema pasticcera e frutta varia per raggiungerlo. Naturalmente si premurò di dare un colpo di polso più forte quando si trovò sulla testa di Azzurra, che si vide recapitare un mezzo cucchiaio di crema e un quarto di fragola direttamente sul vestito. – Lo so che il mio bambolotto vuole la fetta più grande!
Strapazzò le guance del figlio, mentre Ettore roteava gli occhi ed Elettra si alzava per aiutare la fidanzata del fratello a smacchiare l’abito. Capì che non sarebbe bastata una passata con lo tovagliolo per farlo tornare come prima e si offrì di accompagnarla in bagno.
 
Azzurra fu grata di potersi allontanare da Crudelia De Mon senza possibilmente rischiare una commozione cerebrale o di avere più macchie di quelle di un dalmata su di sé.
 
Mentre le due sparivano nel corridoio, Ettore si accorse della mancanza di qualcosa sulla tavola.
- Dora, dov’è il vino che ha portato Azzurra?
La padrona di casa scrollò le spalle e fece un’espressione tutt’altro che interessata all’argomento.
- Chi lo sa, forse in cantina.
- Oh, per l’amor del cielo, Dora! – la rimbrottò lui. – Ti stai rendendo ridicola!
La bocca della moglie si fece corrucciata.
- Hai sentito come mi parla tuo padre? – domandò lamentosa ad Achille, ma non trovò alcun appoggio.
- Mamma, stai mettendo in imbarazzo tutti. – Si guardò attorno per dimostrarle quanto appena detto, ma notò che Monica ed Augusto lo fissavano tranquilli e sorridenti. - Tranne… ehm… gli zii. Comunque, se non smetti di comportarti così male con Azzurra, temo ce ne andremo prima del dolce... prima di quella torta molto invitante e quei morbidissimi e ripienissimi bomboloni.
 
Gli costò molto dirlo; la sola idea di tornare a casa senza aver mangiato quel ben di Dio gli faceva venire un calo di zuccheri e un improvviso desiderio di piangere, ma tutto sparì nel momento esatto in cui sua madre gli passò il vassoio colmo di krapfen. Si dimenticò persino dell’eresia che aveva appena detto.
Ci pensò suo padre a riportarlo in carreggiata.
- Achille, concentrati, per cortesia.
Merda. Azzurra, non bomboloni alla crema. Azzurra, non bomboloni alla crema. Ma perché non poteva averli entrambi? E che cavolo. Si era fatto centoventi chilometri in macchina, li meritava!
La discussione terminò bruscamente, quando tornarono dal bagno Azzurra ed Elettra, se possibile con un danno ancora maggiore di quanto fatto da Dora con la complicità di fragole e crema pasticcera. Inutile dire che la padrona di casa ne fu compiaciuta, ma non disse nulla. S’impose di proseguire sulla linea del silenzio – la minaccia del figlio di non mangiare qualcosa da lei preparato era troppo per il suo povero cuore ed era meglio non rischiare –, ma d’altro canto non se la sentì neppure di dare una fetta di torta normale, senza alcuna menomazione,  ad Azzurra, perciò preferì lasciare l’onere di tagliare e distribuire la crostata ad Elettra. Dopo quella comunicazione tecnica, non pronunciò nemmeno mezza sillaba e fu sinceramente sorpresa che nessuno degli invitati le chiedesse il motivo. Erano tutti concentrati in una sorta di… conversazione con Buzzurra, tutti intenti a chiederle qualcosa in più di lei, tutti presi a comportarsi bene con lei… mah, famiglia indegna!
Achille recuperò la bottiglia di millesimato di Azzurra dal frigorifero e le uniche due che non assaggiarono il vino furono la nanerottola di casa per ovvie ragioni e Dora, per altrettante ovvie ragioni.
Ettore si incaricò di preparare il caffè per gli adulti e una tazza di latte con miele per Diana, ma quando ricomparve dalla cucina, la nipotina stava già dormendo con la bocca aperta sul divano.
Con il silenzio autoimposto di Dora, il resto della serata passò tranquillo. Ma se la bocca era sigillata, al contrario, gli altri sensi funzionavano a pieno regime: studiavano ogni piccolo movimento di Azzurra, da come goffamente tagliava la torta al modo sgraziato in cui gesticolava, all’odioso tono di voce alla nauseabonda eau de toilette che portava. No, non le piaceva nulla di quella ragazza; in passato c’erano state altre fidanzate di Achille, sempre inadeguate certo, ma mai quanto questa!
- Mamma? – Elettra interruppe le sue considerazioni. – Noi andiamo. Abbiamo un bel viaggetto da fare per tornare a casa e Diana è crollata. Ci sentiamo in settimana, okay?
Dora si alzò e aiutò la figlia a portare in macchina tutti i giochi della nipote, mentre Pier dava due baci sulle guance di Azzurra e si augurava di vederla presto. Elettra imitò il marito, sotto lo sguardo glaciale della madre, maledicendo di non poter vedere finire la serata: lei e Pier avevano scommesso venti euro con gli zii su una eventuale scazzottata tra sua mamma ed Azzurra. L’indomani avrebbe chiamato Achille, sicuro.
Proprio suo fratello decise che era arrivato il momento di far terminare quello strazio anche per la sua fidanzata.
- Andiamo anche noi?
 
Azzurra avrebbe urlato dalla felicità: d’altronde, erano solo tre ore e ventinove minuti che aspettava quella frase. Avrebbe tenuto in seria considerazione l’idea di ricordare quella data come giorno più importante della loro storia, piuttosto che quella del primo ‘ti amo’. Soprattutto perché quest’ultima non c’è ancora stata, pensò Azzurra con un briciolo di stizza.
- Possiamo aiutarvi a sistemare? – chiese cortesemente lei.
- Certo! – gracchiò Dora, tornando a parlare. Le avrebbe fatto pulire tutto da cima a fondo, dai piatti al pavimento, tanto ormai il suo bimbo aveva mangiato e bevuto tutto!
Ma Ettore rovinò il suo piano diabolico con le sue solite stupide idee sensate.
- Tesoro, devono ancora farsi tanti chilometri per tornare a casa… ti aiuto io.
- Tesoro, Lucilla mi aiuta sempre quando viene qui a cena! Conosci Lucilla, Buzz… Azzurra? – non aspettò la risposta e tirò dritto con la sviolinata alla ragazza. – È una donna adorabile, brava, gentile, sarebbe una mamma fantastica. – al contrario di te! – Spero che lei e Achille un giorno si sposino.
 
D’accordo, quello era decisamente troppo. Azzurra stava per prendere una delle due preziose palette d’argento da dolce e scagliargliela addosso – si ricordava bene che le streghe si ammazzavano con proiettili d’argento. Quelle erano palette, ma lanciate ad una certa velocità avrebbero fatto male ugualmente –, però Ettore interruppe la conversazione molto poco amichevole.
- Dora! Non annoiare Azzurra con le tue idee.
- Posso andare un attimo al bagno? – chiese la ragazza, conscia di aver bevuto due litri d’acqua solo per mandare giù quegli gnocchi terribili. Meglio fare pipì prima di partire.
- Ovviamente. Sai già dov’è.
Ettore lasciò la moglie a borbottare tra sé e con gli zii e raggiunse il figlio, intento a recuperare le giacche.
- Achi, – lo richiamò sottovoce con tono divertito. – Tua mamma la odia. Non l’ho mai vista così agguerrita.
- Già, me ne sono accorto…
La situazione era tragicomica; da un lato non c’era proprio nulla di spassoso nel fatto che la madre odiasse la fidanzata, dall’altro doveva ammettere che la cena era stata piuttosto ridicola sotto molti aspetti, meglio della volta in cui Diana aveva mangiato uno spaghetto e le era sceso dal naso.
- Lo so. In realtà... – In realtà era tutta la sera che ci pensava e forse era arrivato il momento di dirlo ad alta voce. – Potrebbe essere quella giusta.
Ettore fece un sorriso sorpreso e ridacchiò.
- Beh, stavo per dire che le cene d’ora in poi saranno più interessanti, ma se la tua conclusione è questa, sono felice per te. A me piace molto.
Achille guardò Azzurra arrivare dal corridoio e sorrise a sua volta.
- Anche a me.
 
Assistere al saluto tra Azzurra e Dora era stato una delle cose più imbarazzanti che gli fosse capitato di vedere nella vita. Ettore avrebbe voluto ridere della moglie per almeno venti minuti, ma sapeva che lei gliel’avrebbe fatta pagare cara e dal momento che i bomboloni le erano riusciti particolarmente buoni e soprattutto non erano ancora finiti, meglio farla arrabbiare un’altra volta.
Era chiaro a tutti, persino agli zii affetti da mutismo, che non ci sarebbero stati abbracci , ma nessuno si sarebbe aspettato una gelida stretta di mano in silenzio, talmente prolungata da far domandare agli astanti chi delle due avrebbe mollato la presa per prima. Per fortuna, Achille aveva messo fine a quella tacita lotta e aveva trascinato Azzurra sulla porta.
- Grazie mamma. Ciao papà, zii.
- Grazie, signora Dora, – aveva rimarcato Azzurra, come a farle intendere che non la temeva affatto. – Buonanotte.
- Sì, sì… ciao, – aveva risposto sgarbata la donna.
- Buon viaggio, ragazzi. Arrivederci, cara.
Azzurra fece per andare a salutare meglio quel delizioso suocero che era Ettore, ma Achille la bloccò, facendole intendere che aveva già manifestato fin troppo apertamente il gradimento per suo padre.
- Arrivederla! – civettò, prima che Achille la strattonasse fuori dalla porta.
 
Nel giardino dei Quaresmini, l’aria di metà aprile era fresca e profumata di fiori, ma in cielo due grosse nuvole facevano presagire una pioggia imminente. Perfetto: Achille adorava viaggiare in auto con le gocce che scivolano a diverse velocità sul parabrezza e il vetro del finestrino leggermente abbassato, per fare entrare nell’abitacolo l’odore acre dell’asfalto bagnato.
- Beh, non è andata male, – considerò.
Tentò di sorridere e di contagiare anche lei, ma Azzurra lo guardò come se le avesse proposto un menage à trois con Chantal: non penso proprio.
- Tua madre mi odia, – gli disse, mentre scendeva i gradini e passava appositamente in mezzo all’aiuola fiorita del giardino. Schiacciò violette e abbatté iris e primule. Achille la lasciò fare, osservandola dal vialetto con le mani in tasca; meglio lasciarla sfogare sui boccioli di sua madre, che più tardi sui propri.
- Il 95% delle suocere odia le fidanzate dei figli e viceversa.
Azzurra terminò la strage e si voltò verso di lui.
- Non stai negando…
Lui la raggiunse e le fece segno di uscire dal giardino. Le cinse un fianco con il braccio e la scortò fino alla macchina.
- Mia madre odia tutte le ragazze che mi girano attorno.
- Tutte?
A giudicare dal tono usato, Azzurra non voleva sapere se la signora Dora si opponesse a ogni essere di sesso femminile che avesse l’ardire di avvicinarsi al Pelide, ma piuttosto se il numero delle suddette fosse molto elevato.
- …che mi hanno girato attorno. Trent, non le è mai piaciuta nessuna.
- Tranne questa Lucilla, a quanto pare!
 
E lei che diavolo ne sapeva di Lucilla? Sua madre doveva aver tirato fuori l’argomento in un momento in cui lui era distratto dai bomboloni o stava pensando a come cavolo gli fosse venuto in mente di portare Azzurra dai suoi, ancor più visto che lei pareva piena di odio per sua madre e d’amore per suo padre.
- A me e Lucilla piacciono le stesse cose, – le spiegò con fare scientifico.
- I grattini dietro l’orecchio e fare pipì seduto? – gli chiese seria.
- No, saputella: – replicò, pizzicandole un fianco. – Le donne.
Azzurra arcuò le sopracciglia: questo era indubbiamente un punto a favore della tizia. E spiegava anche perché trovasse l’approvazione di Dora; probabilmente era più interessata a lei che a suo figlio.
Salirono in macchina e ripresero l’A4 in direzione Venezia. Azzurra gli promise che gli avrebbe tenuto compagnia per evitare che lui si appisolasse, ma, come previsto, si addormentò dopo venti chilometri e cominciò a russare.
 
Achille alzò il volume del radio e s’impedì di pensare ai litri di bava che il suo sedile – lo stesso che aveva lavato con tanta cura quel pomeriggio – stava per assorbire.
 
Azzurra riaprì gli occhi solo quando avvertì l’auto fermarsi: ci mise un minuto buono per capire che era già sotto casa sua. A quel punto, si voltò verso il suo fidanzato, che la stava guardando con un sorriso.
- Quanto tempo ho dormito? – gli chiese sbadigliando.
- Pochi minuti… – mentì lui.
Lei batté le mani per la propria – totalmente fasulla – resistenza al sonno.
- Te l’avevo detto, che ti avrei tenuto compagnia! – rinfacciò a quel miscredente che aveva dubitato di lei.
 
- Eh, che vuoi che ti dica? Avevi ragione, Picciona, – l’accontentò.
Sapeva di doverle almeno una piccola bugia quella sera, dopo l’inferno a cui sua madre l’aveva sottoposta. Ci rimetteva lui e il suo orgoglio, ma dopotutto scommettere su Azzurra che si addormentava durante il tragitto in macchina era come puntare un milione di euro sulla presenza del caldo in estate.
- Ti fermi a dormire? – le chiese lei, ma lui fu costretto a rifiutare.
- Torneo di calcetto domani mattina alle 7.30 con Fabrizio. – Si sganciò la cintura di sicurezza e si girò verso di lei. – Ehi, grazie di essere venuta stasera, anche se non ne avevi voglia. Mi dispiace per mia madre, non credevo sarebbe stata così scatenata con te.
- È gelosa del suo bambino, lo capisco, – ammise Azzurra.
- Ti detesta proprio…
- Addirittura?
La cosa, sebbene non di certo sorprendente, un po’ la ferì. Le dispiaceva non andarle a genio.
- No, dico, l’hai vista? Ti ha maltrattato in ogni modo, ti ha fatto gli gnocchi quando le avevo espressamente detto di non farli, ti ha dato i pezzi di carne peggiori, ti ha sporcato il vestito con il dolce ed è stata la causa scatenante del piccolo incidente in cucina! Trent, ti odia! – Un lungo suono acuto simile ad un insieme di i proveniente da Azzurra gli fece drizzare i peli delle braccia. Lei cominciò a singhiozzare, come aveva visto fare a Diana mille volte quando Elettra non voleva comprarle qualcosa. Cazzo, doveva comprarle qualcosa? – Azzurra, che succede?
Le tolse la cintura di sicurezza e guardò due grossi lacrimoni scenderle sulle guance. In quei casi Elettra dava a Diana una caramella, ma lui aveva solo gomme da masticare. Avrebbero funzionato ugualmente?
- Le-i mi o-di-a! – stava frignando.
- Picci, mia madre aborra tutte le donne della mia vita! – tentò di rassicurarla, fallendo miseramente.
- Al-lo-ra i-io so-no u-gu-a-le al-le al-tre?
Azzurra strillò ancora più forte, tanto che Achille si affrettò a tirare su il finestrino, prima che qualche passante nottambulo pensasse che lui la stesse picchiando o roba del genere.
- No! – le gridò di rimando. – Sai una cosa? Odia te più di chiunque altro.
La sua ragazza parve tranquillizzarsi un pochino.
- Sicuro?
- Mh-m.
- Non lo dici solo per farmi sentire meglio? – gli chiese con la faccia impiastricciata di rimmel colato.
- No, giuro, Picci.
E non stava neppure mentendo! Di norma, non avrebbe detto alla propria fidanzata che sua madre la vedeva come l’essere più immondo della Terra, ma su Azzurra sembrava che questa informazione avesse un potere calmante.
- Quanto? – gli domandò.
Doveva pensare a qualcosa o qualcuno di estremamente irritante e malvagio.
- Tanto quanto odia Adolf Hitler o il gatto che fa sempre pipì sul suo zerbino. Credimi, è molto odio.
Azzurra si asciugò le lacrime con un fazzoletto preso dal portaoggetti e fece una faccia stupita.
- È un sacco di odio…
Achille annuì con vigore e il suo piccolo cervello maschile gli suggerì di provare a volgere la situazione a proprio favore.
- E l’odio è proporzionale a quante volte ti vedrà. – le spiegò. – Più andremo a cena da lei, più ti odierà e tu sarai la persona che detesta al mondo!
Voleva bene a sua madre, ma non aveva davvero la necessità di vederla molto più spesso. Però, sentiva il bisogno fisico di mangiare i krapfen di mamma Dora anche più di frequente.
- Giusto! – incredibilmente Azzurra fu d’accordo.
Achille non credeva alle sue orecchie.
- Direi che dovremmo andare dai miei almeno una volta al mese! – azzardò.
- Ri-giusto! – gli sorrise la ragazza. – Ora ti lascio andare a dormire… notte, Piccione.
Gli mise le braccia al collo e lo bacio come se stesse partendo per andare al fronte. Achille era troppo felice per non ricambiare con un affetto tale da fargli sperare di rimanere e passare la notte con lei.
Azzurra scese dalla macchine nell’apice dei festeggiamenti interni del riccio. Oh mio Dio! Non ci credeva! Come aveva fatto a convincerla? Cielo, era un genio! L’aveva fregata! Un addomesticatore di donne. Controllò l’orologio e constatò che era tardi: cazzo, era mezzanotte passata, altrimenti avrebbe chiamato subito Fabrizio, Marco, Giovanni e, roviniamoci!, pure la Leone. Questo lo giustificava come minimo a ballare nudo per casa per cinque minuti senza sentirsi un idiota.
Aveva la ragazza perfetta – anche se un po’ troppo emotiva, umana e graziosa –, sua madre avrebbe smesso di dirgli che si faceva vedere troppo poco e avrebbe avuto loro: i bomboloni alla crema. Mancava solo lo scudetto della Juve e la sua vita sarebbe stata completa.
Un tocco ripetuto sul vetro interruppe il carnevale di Rio organizzato dalla sua mente. Era Azzurra. Girò la chiave nel quadro quel tanto che bastava per consentirgli di abbassare il finestrino.
- Dimenticato qualcosa? – le chiese.
- Direi che due cene all’anno dai tuoi sono più che sufficienti. – lo informò. – Buonanotte.
Gli morse la punta del naso e se ne ritornò felice verso l’ingresso del suo condominio.
Achille rimase dolorante e sconfitto all’interno della sua macchina.
Nonostante tutto, sorrise.
No, con le donne non avrebbe mai vinto. Soprattutto non con la sua.
 
 
 
 
Sì, a quanto pare sono ancora viva. Il problema è che sono un tantino leeenta!
Carrellata di note sulle citazioni del capitolo: su Facebook ho messo l’avviso di spoiler della terza stagione di Downton Abbey, spero l’abbiate letto tutti. Frank Lloyd Wright è un famoso architetto. Tanguy è il protagonista dell’omonimo film francese del 2001; è un adulto che vive ancora con i suoi genitori e non ha intenzione di andarsene. Il telefilm citato è Squadra Speciale Cobra 11. Brian Johnson è il cantante degli AC/DC e Back in black è una loro canzone.  Se non conoscete Ally McBeal, siete delle brutte persone; John Cage alias Biscottino è uno dei personaggi principali. Windsor è l’attuale Casa Reale della Gran Bretagna e territori ad essa legati. Marco Tronchetti Provera è un imprenditore milanese. Bernardo è il favoloso servo muto di Zorro. Crudelia De Mon è l’alter-ego di Nessie (che ha betato, impedendovi di scoprire neologismi ed espressioni di mia invenzione… shame on you!) e la madre di Rosie, altro soggetto ben poco raccomandabile. Emotiva, umana e graziosa è un riferimento alla prima os della raccolta, Mortofrutta.
Alla prossima,
S.
 
   
 
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