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Autore: shadow_sea    19/06/2013    11 recensioni
Il seguito di "Come ai vecchi tempi".
Questa volta le avventure del comandante Trinity Shepard fanno riferimento agli eventi narrati in Mass Effect 3.
Come nella storia precedente, la mia intenzione è quella di scrivere storie che traggano spunto dal gioco originale e se ne discostino allo stesso tempo, sempre attente a non stravolgere la trama o i personaggi. Le storie che troverete qui sono frutto di considerazioni ed emozioni personali, sono frutto del mio amore appassionato per questa trilogia e per Shepard ma, soprattutto, per Garrus Vakarian.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Garrus Vakarian, Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Shepard e Vakarian'
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Premessa
Che ora è per aggiornare? Le 3 di notte...
Sonni agitati e pensieri che non mi fanno più riaddormentare
Accendo il computer e mi decido: chiudo almeno questa storia. Sarà un pensiero in meno.


RECUPERI


Mordin


Shepard
Un silenzio lugubre e velato dalla polvere ancora sospesa nell’aria opprimeva la mente del comandante, mentre un dolore sordo fasciava il suo corpo impedendogli quasi di respirare. Non c’era un solo frammento di Shepard che non stesse gridando per la sofferenza e la certezza lucida di essere ancora in vita le procurava solo spasmi di angoscia e tormento.
“E’ finita” continuava a ripetersi “Nessuno poteva crederci veramente, eppure è finita... ma il prezzo pagato è stato troppo alto”.

Si abbandonò alla sofferenza fisica per non pensare ad un dolore più profondo, alle morti che lei stessa aveva causato con la sua ultima azione, giocando un ruolo che aveva accettato per disperazione, perché una scelta andava fatta. Quelle morti le pesavano addosso molto più delle macerie che la bloccavano e rendevano stentato ogni suo respiro.
Non avrebbe potuto effettuare una scelta diversa dopo tutto quello che aveva vissuto: non avrebbe potuto permettere che i Razziatori rimanessero in vita, nemmeno se fosse stato davvero possibile controllarli o fondersi con loro per generare una nuova razza, ibrida fra organici e sintetici. I troppi nomi sul memoriale della sua nave imponevano la distruzione definitiva del nemico.
Ma lei, ora, non poteva continuare. Non voleva sopravvivere ad Anderson, non voleva sopravvivere alle morti dei tanti compagni caduti e neppure alle IA che aveva dovuto condannare. Desiderava ansiosamente l’oblio, il quieto dissolversi nel sereno abbraccio del nulla che la aspettava.

Aveva lottato per lunghissimi anni, anni così intensi da rappresentare la vera essenza di tutta la sua intera vita. Quella prima missione su Eden Prime aveva segnato il corso della sua esistenza: poi Ilos, la battaglia contro Saren e la Sovereign sulla Cittadella, il portale di Omega 4 e infine quest’ultima battaglia, quella definitiva.
La guerra contro i Razziatori era finita e la galassia aveva conquistato una vittoria in cui neppure lei aveva mai creduto veramente. Adesso sarebbe venuto il tempo di ricostruire e di ricominciare, ma non per lei: troppa stanchezza, troppo dolore, troppe vittime. Aspettava solo, con pazienza serena, che quei dannati impianti troppo avanzati che Cerberus le aveva innestato senza che lei avesse una possibilità di scelta smettessero di funzionare.
“Il comandante Shepard ora può riposare” si ripeté con un leggero sorriso, assaporando, nel sangue che le riempiva la bocca, il senso di soddisfazione per aver completato il compito assegnatole.


Garrus
“Quando la Normandy ha lasciato l’orbita della Cittadella è stato il primo momento della mia vita in cui tutta la cultura e la disciplina della mia razza non mi sono servite a nulla: avrei dovuto essere lì, a morire con te, ovunque tu fossi. Non riesco a immaginare cosa dovrei fare del resto della mia vita. Ti avevo detto che la galassia sarebbe stata terribilmente vuota e noiosa senza te, ma è molto peggio. Mi sento come se nulla esistesse, a parte questo dolore. Sto qui, con la targa che riporta il tuo nome fra le dita, e non riesco ad apporla su questo dannato pannello commemorativo della Normandy” erano i pensieri che si agitavano nella mente del turian che rimaneva immobile, a capo chino, di fronte alla parete.

“Siamo tutti qui, radunati intorno al triste elenco di morti incise su questa lastra a cui Kaidan ha appena aggiunto il nome dell’ammiraglio Anderson, e tutti aspettano che io concluda questa triste cerimonia necessaria. Ma non posso farlo, non riesco a credere che tu sia morta perché non saprei come andare avanti e perché, maledizione, eri già morta una volta e sei tornata” continuava a rimuginare, sempre a testa bassa, senza aver voglia di condividere il dolore che gli straziava l’animo.

- Non posso farlo - ammise alla fine, mestamente, nel silenzio commosso che lo circondava, senza riuscire a guardare nessuno. Non si sottrasse all’abbraccio spontaneo e partecipe di Liara, ma poi la respinse con forza quando le sue parole - Mi spiace, Garrus, non potevamo salvarla in nessun modo, dovevamo lasciare l’orbita immediatamente - gli procurarono un attacco di rabbia sproporzionato e irrazionale.
- Parli tu? Proprio tu? Sei tu quella che meglio di chiunque altro dovrebbe sapere che non possiamo essere certi che sia morta davvero - le sibilò con rabbia trattenuta, mentre si infilava rapidamente nell’ascensore della Normandy posto proprio di fronte al pannello commemorativo.
Nessuno tentò di fermarlo. L’equipaggio restò ancora lì, muto per qualche istante, poi pian piano tutti cominciarono a tornare silenziosamente e lentamente alle proprie postazioni.

Senza neppure aver coscienza di dove volesse veramente andare, Garrus si ritrovò di fronte alla cabina del comandante.
Varcò faticosamente la soglia e appoggiò delicatamente la piastra commemorativa a fianco della sua foto, mentre ripensava alla notte che aveva passato insieme a Trinity, poche ore prima della battaglia finale. Allora non aveva immaginato potesse essere davvero l’ultima.
Quando Shepard si era destata d’improvviso, per l’incubo ricorrente che sempre più spesso le avvelenava il riposo, lui era già sveglio. Alla domanda se anche lui sognasse, aveva risposto che si aspettava sempre il peggio e che sognarselo la notte sarebbe servito solo a rovinargli il sonno. Ma allora non aveva immaginato che il peggio potesse consistere addirittura nella morte del suo comandante, non nella morte solo di lei, almeno.
- E’ possibile essere pronti a una battaglia del genere? Tutto quanto... è appeso a un filo, Garrus - gli aveva confessato con tono incerto, il tono che avrebbe usato solo con lui, perché agli altri non consentiva mai di leggere la sua insicurezza.
L’aveva rassicurata fino a quando lei gli aveva confidato - Non so cosa farei senza di te.

“Ora sono io che non so cosa fare senza di te” ammise, chiedendosi se le lacrime degli umani riuscissero a diluire il dolore. Spesso lo aveva immaginato, quando l’aveva tenuta stretta fra le braccia, in attesa che la crisi di pianto si placasse, trasformandosi in una risata lieve. I turian non sapevano piangere.
Prese una manciata di pillole dalla tasca e le ingoiò con un bicchiere della bottiglia di vino che Shepard teneva lì per lui, sul ripiano, accanto al suo vino preferito.
Si sdraiò sul letto aspettando che quel medicinale facesse effetto: per dormire sarebbero bastate un paio di pillole, ma l’urgente bisogno di non pensare più a niente era troppo disperato.
“C’è ancora un po’ del tuo profumo qui sul cuscino” fu l’ultima riflessione consapevole che gli attraversò la mente.


Un altro grazie di cuore a Chiara, che ha creato per me anche questa immagine



Epilogo


Sulla Cittadella
Con la cessazione delle ostilità, i notiziari avevano cambiato volto: da scarni bollettini di guerra erano diventati testimoni commossi di tutte le manifestazioni di gioia e di sollievo che stavano travolgendo i pianeti dell’intera galassia, mentre venivano evitati i servizi sugli inevitabili lutti di chi aveva subito perdite fra amici e familiari.
Molte delle scene di esultanza che scorrevano sugli schermi sarebbero apparse false ed ipocrite fino a pochi giorni prima, ma adesso nessuno si stupiva degli abbracci appassionati fra individui appartenenti a razze diverse, storicamente divise da disaccordi e polemiche.
I Razziatori sono riusciti a unificare la galassia era il commento universale di tutti i servizi, ma molte erano le persone convinte che, senza Shepard, nessuna razza si sarebbe mai alleata con le altre.

Non si ha alcuna informazione sulla sorte del comandante Shepard fu la notizia che venne trasmessa ogni poche manciate di minuti nel sistema Sol appena dopo la distruzione dei Razziatori, poi all’inizio di ogni nuovo servizio nelle ore successive.
Nessuna autorità militare o politica forniva aggiornamenti in proposito e già iniziavano a spargersi le voci più disparate e le dicerie più incredibili. Molti però ritenevano che potesse essere ancora sulla Cittadella, perché proprio da lì era partito l’impulso che aveva investito i Razziatori, distruggendoli all’istante.
La stazione spaziale era stata devastata e poche persone erano sfuggite alla morte. Solo chi era riuscito a trovare un rifugio quando i Razziatori avevano iniziato a spostare la stazione spaziale nel sistema Sol era ancora in vita e ora stava cominciando ad uscire dai nascondigli, con circospezione e incredulità.

Erano stati diramati appelli per organizzare i primi soccorsi e radunare i generi di prima necessità che sarebbero stati necessari ai sopravvissuti.
Il comandante Bailey aveva rimandato indietro buona parte delle sue truppe che avevano combattuto a Londra ed a loro si erano prontamente uniti altri gruppi di soldati di tutte le razze e numerosi gruppi di volontari, fra cui personale medico, tecnico e manovalanza più o meno specializzata.
Molti di coloro che avevano risposto all’appello avevano parenti e amici sulla Cittadella ed erano seriamente preoccupati per le immagini che venivano trasmesse dagli schermi televisivi.
In breve tempo si erano formate numerose squadre che pattugliavano le strade della stazione spaziale in cerca di superstiti fra gli abbondanti cumuli di macerie, ed a loro si erano prontamente uniti quasi tutti i civili, tranne medici e infermieri che stavano riorganizzando i vari reparti dell’Huerta Memorial Hospital.

Dopo ore di ricerche un umano che si era unito ad una pattuglia di tre agenti SSC scorse per caso, alla luce del raggio di una torcia, il luccichio della targhetta N7 del comandante Shepard su un cumulo di macerie. A quella rapida visione scattò ululando parole incomprensibili e si mise a scavare freneticamente a mani nude.
Solo gli strilli energici del sergente Wilson - Razza di idiota, non toccare nulla! Se non è già morto, così lo ammazzi tu! - lo fecero desistere dal lanciare a destra e a manca calcinacci e pezzi di travi, facendo crollare le pile di detriti che sostenevano il corpo del comandante.
Alla domanda - Ma chi è quel pazzo? - che l’agente Jones rivolse al sergente, rispose la collega Dunham che spiegò - E’ un piantagrane. Anzi, uno dei peggiori piantagrane che ti possa mai capitare di incontrare. E’ un mio lontano cugino: credo si chiami Verner… uhm, sì, Conrad Verner.

- Dai, andiamo a vedere se quell’idiota ha trovato davvero qualcosa - tagliò corto il sergente, guardando con aria di sufficienza quella figura che stava continuando a saltellare scompostamente, come impazzita, e a lanciare urla dissennate di richiamo.
Ai tre agenti bastò una rapida occhiata per capire chi giacesse sotto quel cumulo di macerie e in pochi istanti usarono i comunicatori per chiamare rinforzi.
Una biotica asari racchiuse con estrema attenzione il corpo del comandante in un campo di forza, non appena ricevette un cenno di assenso da parte di un medico salarian. Quest’ultimo aveva rapidamente valutato la gravità delle lesioni del comandante e aveva somministrato tutto il medigel che era riuscito a recuperare sul posto pensando “se anche non dovesse farcela ad arrivare in ospedale, almeno non soffrirà”.
Caricarono quindi il corpo privo di sensi su un veicolo e si diressero a tutta velocità verso l’Huerta Memorial Hospital.


Shepard
Una fitta di dolore inatteso le fece sfuggire un gemito. Le macerie che racchiudevano il suo corpo avevano subito un cedimento improvviso, da qualche parte sul lato sinistro. I calcinacci e le travi su cui poggiava il suo bacino smisero di sostenerlo e una fitta lancinante si propagò per tutta la schiena, facendola rantolare per la sofferenza.
Si risvegliò bruscamente dal torpore e da quella piacevole sensazione di serenità e pace in cui il continuo ripetersi la preghiera di Thane la aveva cullata dolcemente. Cercò di riprendere la cantilena rassicurante a partire da quelle frasi che aveva letto dal libro di preghiere nella sua stanza d’ospedale: Indicami la via verso il luogo in cui i viaggiatori non si stancano, gli amanti non si lasciano e gli affamati non patiscono... e di riconquistare la serenità del buio, del silenzio, dell’assenza di ogni sensazione.
Quella pace tanto sognata venne invece nuovamente spazzata via dal rumore dissonante di voci concitate, da improvvisi cedimenti nei detriti che circondavano il suo corpo martoriato e da guizzi di luci che ferivano i suoi occhi. Non era stato un cedimento accidentale, dovuto ad un comprensibile assestamento, realizzò con orrore. Qualcuno doveva aver individuato il suo corpo e stava cercando di tirarla fuori dal suo rifugio.

- Smettetela immediatamente - urlò con rabbia velenosa - Lasciatemi qui, andatevene! - aggiunse, senza riuscire a capire se le sue parole fossero rimaste un sogno bloccato nella gola o se nessuno potesse sentirla in mezzo a quel rumore che non si rendeva conto essere semplicemente l’eco dell’esplosione che ancora le fischiava nei timpani.
- Per favore. No... vi prego - continuò poi in tono di supplica, incerta se si stesse rivolgendo a quegli indesiderati salvatori o a un dio che potesse donarle la pace agognata.
- Lasciatemi andare - sussurrò ancora, con le labbra ormai inaridite, quando le sembrò di scorgere un paio di occhi a poca distanza dai suoi, mentre sentiva che qualcosa di morbido le veniva passato sul volto, per liberarle le narici e la bocca dalla terra. Le sue lacrime di ribellione e di rabbia si confusero nella sostanza liquida che le deterse la pelle, disinfettandogliela.
- Non fatemi questo - fu l’ultimo pensiero che riuscì a formulare, mentre con l’ultimo brandello di coscienza odiò le mani impietose che sollevarono il suo corpo che venne immediatamente trafitto da fitte e crampi che le strapparono gemiti e imprecazioni. Poi riconobbe l’azione lenitiva del medigel che qualcuno le stava iniettando in tutto il corpo e scivolò finalmente nell’incoscienza tanto agognata.


Garrus
- Cosa c’è? Smettila. Lasciami stare - riuscì a biascicare il turian in modo confuso, mentre si rendeva conto che nulla era al suo posto: né la stanza che ondeggiava senza interruzione, né alcuna parte del suo corpo, sbattuta qua e là senza sosta da una quarian sbraitante.
- Ti ho detto di piantarla, non capisco cosa stai strillando - protestò con rabbia - Smetti di urlare!
- Bosh’tet di un turian cocciuto e svitato, l’hanno trovata davvero. Non so come potessi saperlo, ma è ancora viva. E’ all’ospedale, in condizioni gravissime, ma è viva. Joker sta spingendo al massimo i motori; fra poco saremo lì - furono le parole, tutte accavallate e spezzate dai singhiozzi, a cui Garrus non riuscì a credere.
- Ne sei sicura?
- Datti una sistemata, se ci riesci - rispose Tali, uscendo di corsa dalla cabina del comandante.

Nell’arco di pochi secondi Garrus piombò sul ponte, del tutto indifferente al dolore che ogni più piccolo movimento arrecava alle sue gambe ferite, alle spalle di un Joker che non riusciva a star zitto un secondo, in mezzo a tutto il resto dell’equipaggio che brindava, rideva e si agitava in preda a una frenesia inarrestabile.
“C’è un’ilarità ai limiti della pura follia” pensò, senza riuscire ancora a credere a quella notizia.
Poi Joker chiese perentoriamente il silenzio assoluto e per la quinta volta in appena mezzora si collegò con l’Huerta Memorial: nessuna novità, il loro comandante restava passivo, non rispondeva alle terapie, non reagiva in alcun modo.
- Jeff, non possiamo accelerare?
- Andiamo, Joker, non sai più pilotare una nave?
- La Normandy può fare meglio di così, dannazione!
- Quanto manca ancora?
Furono queste le uniche frasi che Garrus riuscì a decifrare nell’insieme di esclamazioni che si accavallarono disordinatamente sul ponte affollato, mentre l’equipaggio riprendeva a vociare e a ridere, con immutata ilarità inquieta e nervosa. Solo la rassicurazione del pilota - Fra dieci minuti ci siamo - smorzò finalmente la confusione che regnava sovrana.

“Trinity, non puoi farmi questo” fu il pensiero che lacerò la mente di Garrus con uno spasmo doloroso che lo colpì con la stessa intensità della pugnalata che Shepard aveva inferto a Kai Leng e lo fece piegare in due, mentre rivedeva le immagini finali di quel suo sogno: il volto di sua madre trasformarsi in quello di Shepard e la propria mano tesa, impotente nel trattenere il comandante che si lasciava cadere nel vuoto.
Conficcò gli artigli nella spalliera della poltrona di Joker promettendole un “Non te lo lascerò fare…” che aveva l’intensità di una minaccia, mentre si chinava sul pilota ordinando - Prenota un trasporto per l’ospedale. Immediatamente.
Bastò quel comando del turian a riportare gradualmente il silenzio sul ponte, mentre Jeff voltava la faccia verso Garrus, con espressione sorpresa.
Nell’immobilità generale, l’affermazione successiva - Comincio ad avviarmi, il comandante sta lottando per morire - colpì tutti come uno schiaffo violento in pieno volto.
Kaidan fissò il turian con sgomento, incapace di capire cosa stesse accadendo, assolutamente certo, però, che quella frase avesse un suo senso. Scambiò uno sguardo rapido con James ed entrambi affiancarono Garrus, aiutandolo a incamminarsi verso l’hangar navette.
Nello stesso tempo Joker si alzò dal sedile del pilota invitando Cortez a sostituirlo, mentre Tali e Liara gli si ponevano spontaneamente ai lati.


Huerta Memorial Hospital
Il medico turian che li intercettò all’inizio del reparto chiese loro se fossero lì per il comandante e, ricevuta risposta affermativa, li condusse in una stanza con un monitor su cui lunghe righe verdi scorrevano quiete, quasi completamente orizzontali. Solo una si innalzava e si abbassava con piccoli impulsi regolari in armonia con i bip che scandivano il tempo di un orologio lento.
- Sta lottando contro noi medici, contro le cure - fu la diagnosi secca, mentre il dottore si stringeva nelle spalle con aria impotente.
- Mi faccia entrare - lo interruppe bruscamente Garrus, che non poteva stare semplicemente lì, ad ascoltare delle chiacchiere inutili.

Mentre si avvicinava al letto pensò che non l’aveva mai vista in quel modo, sdraiata sulla schiena, con le braccia un po’ allargate e le gambe allungate. Lei dormiva rannicchiata su un fianco, come lui, in quella posizione che imponeva agli estranei il proprio diritto all’intimità e all’isolamento.
Fissò il ricciolo rosso mogano che spiccava sulla tovaglietta candida che rivestiva un carrello a fianco del letto, fra flaconi di medicinali, garze e strumenti medici. Una piccola ciocca di capelli, probabilmente tagliata con le forbici per consentire la medicazione delle ferite, era tutto quello che restava della chioma fluente del comandante.
Era la testa rasata della Trinity giovane, quella senza ancora un nome, che affondava nel cuscino. La cute biancastra era bruciata in più punti e coperta da una serie di ferite che trasudavano siero e sangue.
Sentì che il suo cuore pompava dolore nelle arterie, ottenebrandogli la mente. Si lasciò cadere sulla sedia, cercando di non farsi spaventare dal pallore del volto che gli apparve minuscolo e indifeso, dalla quantità di lesioni che lo segnavano, dalle ombre nere sotto gli occhi chiusi, privi di sopracciglia e perfino di ciglia.
Le prese una mano abbandonata sul letto, miracolosamente illesa, e ne chiuse e aprì le dita più volte, accarezzandogliele, prima di appoggiare il naso contro il palmo, alla ricerca del suo profumo umano.
- Trinity - sussurrò su quella pelle troppo fredda, che odorava di disinfettante e null’altro.

- Comandante, non ti lascio andare - le disse poi con tono deciso, accomodandosi meglio sulla sedia, senza lasciarle andare la mano - mi hai fatto una promessa e sono qui, accanto a questo stupido letto, per ricordartela.
Strinse con più forza la mano inerte di Shepard e fissò la sagoma impercettibile, come il corpo di una bambina, senza avere il coraggio di alzare neppure un lembo del lenzuolo, angosciato al pensiero dello spettacolo che gli si sarebbe presentato. Cercò di individuare il tenue segno di un respiro, ma solo gli apparecchi che le avevano attaccato al corpo confermavano che fosse ancora viva.
- Abbiamo deciso che solo io sarei entrato nella tua stanza per non creare troppo scompiglio nell’ospedale, ma sono tutti qui fuori, comandante: siamo tutti con te, come sempre - continuò, senza sapere bene cosa dovesse dirle - Mi senti? Fammi capire che sei ancora qui... Maledizione, comandante! Non puoi farmi questo... Vuoi che continui a vivere in questa dannata galassia senza te?

“Parlale, continua a parlarle” si ripeteva ostinatamente il turian fra sé e sé “devi solo trovarla e mostrarle la strada per tornare indietro”.
Guardò il medico turian che si era avvicinato silenziosamente per eseguire un qualche nuovo esame con il suo factotum e, al cenno di diniego che gli rivolse prima di andarsene, Garrus ricominciò a parlare.
- Se avevi in animo di morire, comandante, dovevi lasciarmi venire con te. Ho eseguito il tuo ultimo ordine, accettando di tornare a bordo della Normandy quando mi hanno colpito, per restare vivo, perché tu sapessi che avresti potuto riabbracciarmi a battaglia conclusa - sostenne in tono quasi irritato.
Fece una pausa e scosse la testa aggiungendo - Non avrei dovuto lasciarti andare sola, non avrei dovuto ubbidire, lo so: è stato un mio errore.

Shepard non si mosse, ma la mano che lui stringeva disperatamente nelle sue dita tremò impercettibilmente e fece sperare al turian che almeno qualche parola la stesse raggiungendo.
Continuò a parlarle con voce tranquilla - Ricordo benissimo la confessione che mi hai fatto nella batteria primaria Si può sopportare soltanto un certo numero di battaglie… un certo numero di morti…, ma tu e io supereremo tutto, come abbiamo sempre fatto. Lascia che questo musone di un Turian, privo di abilità romantiche, provi a consolarti anche questa volta. Torna qui, maledizione, ho bisogno di te - continuò ad incitarla.
- Ricordi? Solo poche ore fa mi hai detto Siamo una squadra, Garrus. Non c’è Shepard senza Vakarian, per cui cerca di fare attenzione. Poi mi hai salutato con un bacio dicendo Non sarai mai solo.
Si fermò un istante, come avrebbe fatto se lei fosse cosciente, per ottenere la sua completa attenzione, e poi scandì - Tu rispetti sempre le tue promesse... a qualunque costo.

La mano di Shepard restò inerte, a parte il lieve tremito, e gli occhi continuarono a rimanere ostinatamente serrati, ma negli angoli delle palpebre chiuse presero a formarsi lacrime miste a sangue. Quando due piccoli rivoli rosati cominciarono a scendere rigandole il viso Garrus tirò finalmente un sospiro di sollievo. Ora che l’aveva trovata poteva cominciare ad avvolgerla prima di tirarla verso di sé.
- Non ho con me il fazzoletto, Trinity - le confessò, mentre prendeva un lembo del lenzuolo per tamponarle delicatamente il viso, incerto se le lacrime potessero bruciare sulle ferite.
Il medico di prima, entrato rapidamente nella stanza a causa dell’improvvisa variazione nelle letture degli strumenti nella stanza a fianco, fissò quella scena per qualche secondo e poi tornò rapidamente sui suoi passi, senza neppure avvicinarsi.


Reflections


- Sono stanca. Fammi andar via - furono le prime parole che lei pronunciò in un soffio quasi inavvertibile.
- Magari un’altra volta - le rispose Garrus con sicurezza, affondando il viso nella mano di lei mentre si chiedeva se il suo amore fosse troppo misero per lasciarla andar via e se lui fosse schiavo solo del suo stesso egoismo.
E lei si ritrovò a piangere, senza riuscirsi più a fermare. Lacrime e lacrime che continuavano a scorrere, mentre Garrus la fissava, indeciso fra tentare di farla smettere o lasciarla libera di sfogarsi.
Alla fine arrivarono singhiozzi e poche parole spezzate - Ho ucciso... Anderson... IDA... i Geth.
- Ci sarà tempo per parlare. Mi racconterai tutto quello che hai visto e tutto quello che hai fatto, ma non adesso, Shep - provò a scuoterla con voce ferma, che non ammetteva repliche.
- So che hai agito come era necessario - aggiunse in tono incoraggiante - Le scelte giuste non sono facili, quante volte te lo avrò ripetuto? Sei una testona ostinata - concluse, sentendo che stava per esaurire tutte le preghiere possibili. Si chiese se potesse provare a farla ridere in quelle condizioni e decise che valeva la pena tentare.

Si alzò dalla sedia e fissò a lungo, in silenzio, quel volto stanco e quegli occhi tristi e infossati. Le sfiorò il mento, l’unica parte del viso ad essere rimasta illesa, con le dita, e poi proseguì, questa volta sforzandosi di usare un tono lieve - Ti servirà un gran bell’incentivo per continuare a combattere, vero comandante?
- Forse non ti basterà uno dei miei baci indimenticabili - aggiunse. Poi, dopo una breve pausa ad effetto, continuò - In previsione di questo ho qui quella famosa collezione di poesie Hanar e sono pronto a declamarti quei versi ha la leggerezza di un fiore… ricordi? Di certo non vorrai morire con un suono come quello nelle orecchie...
- E se questo non bastasse a terrorizzare il tuo animo impavido, mio comandante, aggiungo che appena fuori dell’uscio di questa stanza, probabilmente con un orecchio incollato contro la porta, c’è l’umano che ha trovato il tuo corpo sulla Cittadella - fece una breve risata che suonò falsa alle proprie orecchie, ma che sperò potesse ingannarla, e concluse - Quell’umano si chiama Conrad Verner. Se non apri gli occhi e mi guardi, lo faccio entrare qui al mio posto.
- Credo che mi farò bastare quel bacio indimenticabile - rispose Shepard con voce fioca, ma accompagnando le parole con un debole sorriso.

“Spiriti! Ce l’ho fatta...” si rassicurò Garrus appoggiandosi allo schienale della sedia e chiudendo gli occhi. Ora doveva solo stringerla forte a sé e spostarla con decisione dalla zona pericolosa. Fece un lungo respiro e sorrise al dottore che era entrato, aveva fatto un esame con il factotum e se ne era andato con aria evidentemente soddisfatta.
- Prima del bacio, Shep, c’è un ultimo discorso che devo farti - dichiarò stringendole forte le dita - Hai pianto Jenkins, Ashley, Legion, Mordin e Thane. Hai pianto tanti altri amici e tanti soldati. Hai pianto la morte di migliaia di innocenti. Ma ogni volta sei andata avanti: hai imbracciato nuovamente le armi e sei tornata a combattere.
A questo punto Garrus fece una pausa per riordinare i pensieri, poi proseguì scandendo le parole - Saren, la Sovereign, Kai Leng, l’Uomo Misterioso, i Collettori e tutti i dannati Razziatori. Sono morti tutti. Per quello non riesci ad alzarti da quello stupido letto, comandante.
Fissò i suoi occhi in quelli di Shepard che lo ricambiava con espressione confusa.
- Se ci fosse un solo Razziatore ancora vivo torneresti al comando dei resti della tua nave e partiresti entro stasera. E la Normandy c’è ancora, Shep, e c’è tutto l’equipaggio che ti aspetta per affrontare un’altra delle tue sfide impossibili.

Un’altra pausa prima che Garrus lasciasse parlare il suo amore, o il suo egoismo, pensando che forse era impossibile scindere l’uno dall’altro.
- Ci devi qualcosa per la fiducia cieca che ti abbiamo sempre dimostrato. Ci hai portato su Ilos su una nave spaziale rubata, ci hai fatto affrontare una missione suicida nel portale di Omega 4 e poi quest’ultima battaglia disperata. Non puoi tirarti indietro ora - asserì con sicurezza. Parlava dell’equipaggio, ma sapeva benissimo che si stava riferendo soprattutto a se stesso.
- Noi abbiamo sempre creduto in te: ti abbiamo seguita ovunque e sempre, anche quando sembrava una follia assoluta. Non puoi lasciarci soli adesso, non ce lo meritiamo - le disse mettendo una tale foga in queste ultime frasi finali che lei si sarebbe messa a ridere, se avesse avuto la forza di farlo.
- Magari un’altra volta? - sussurrò Shepard con voce fievole, allungando le dita verso il viso di Garrus, che gliele strinse, rispondendo con una breve risata un po’ stanca - Anche mai, Trinity.
Lei fece un tenue tentativo di ricambiare il bacio quando la bocca del turian sfiorò le sue labbra e poi gli bisbigliò - Aiutami - posandogli una mano sulla spalla e aggrappandoglisi, nel tentativo di girarsi.
Garrus la aiutò con cautela a mettersi sul fianco, poi le piegò lentamente le ginocchia fino a portarle le gambe nella posizione che lei era solita assumere quando gli si rannicchiava contro il petto.
Shepard emise un gemito di soddisfazione, stringendo la mano del turian nella sua, finalmente tiepida, poi appoggiò la fronte contro quel palmo morbido, ci strofinò un po’ il naso contro, per liberarsi le narici dall’odore di troppe medicine, e alla fine chiuse gli occhi.

Garrus aspettò fino a quando sentì che le dita di Shepard si allentavano nel sonno, poi si alzò a fatica dalla sedia. Si avviò zoppicando verso l’uscita, senza dimenticarsi di raccogliere la piccola ciocca di capelli color mogano dalla tovaglietta candida a fianco del letto. Infine si chiuse la porta alle spalle con estrema attenzione, appoggiandovi contro la schiena con un sospiro di felicità incredula, prima di dirigersi verso il resto dell’equipaggio ancora in attesa nell’altra stanza.
- ‘fanculo, Garrus - lo apostrofò Kaidan, appena lo vide entrare, in ricordo dello scontro duro che avevano avuto nel salone della Normandy appena pochi giorni prima.
- Io non ce l’avrei fatta - confessò poi, porgendogli la mano.
- Non lo so. Non so più nulla. Mi sento svuotato... - rispose il turian, ancora scosso per quel suo successo insperato. Strinse la mano che gli era stata tesa con quel gesto rituale che si usava fra amici e compagni d’armi, accorgendosi con un sorriso tirato che Joker gli stava infilando nell’altra mano il famoso fazzoletto.
- Riprenditelo - gli disse il pilota, mentre James gli allungava una lieve pacca contro la spalla - Ben fatto, Cicatrici.
Sorrise ai tre compagni, poi si diresse verso Tali e Liara che stavano sedute vicine su una panca, con le teste appoggiate alla parete e le braccia intrecciate. La asari aveva la faccia completamente bagnata da lacrime che non si prendeva neppure la briga di asciugare e dalla maschera della quarian arrivavano piccoli singhiozzi ovattati.
Prese una mano a entrambe e le tirò energicamente, per farle alzare, poi strinse con forza quei due corpi fra le braccia, appoggiando la testa sulla spalla della asari, in una muta richiesta di perdono e di comprensione.



*****
Nota conclusiva
Di tutti i miei capitoli è questo, in assoluto, il primo che ho scritto. Da qui sono tornata indietro (tutto ciò che avete letto) e sono andata avanti. Sì, sono andata avanti.
Non ce l’ho fatta a dire addio a Trinity, aggrappandomi a quel misero ansimo che la Bioware ha regalato a tutti coloro che non riescono ad accettare la morte del proprio comandante. E non ho potuto abbandonare Garrus. Quei due continueranno a farmi ridere e piangere per molto tempo ancora.
Ho continuato a scrivere immaginandomi un futuro. Ho avuto tante incertezze e qualche ripensamento: ho corretto questo futuro più volte, ogni volta che sistemavo il passato. Ma alla fine, forse, ne è uscita davvero una storia: una delle tante, possibili storie...
Se siete curiosi, mi ritroverete fra qualche tempo, con l’ultima parte della serie Shepard e Vakarian.
Se invece volete un finale diverso, decisamente più doloroso, potete leggere la mia one shot "What if".

Ringraziamenti
Nel frattempo saluto con affetto tutti coloro che mi hanno seguito fino a qui.
Un grazie di cuore a chi ha inserito questa storia fra le preferite, le seguite o le ricordate.
Un ringraziamento va a chi ha trovato il coraggio di scrivermi una recensione anche se non è solito commentare perché non se ne sente all’altezza o perché ha poco tempo. In realtà ogni recensione, anche la più corta o la più bizzarra, e perfino una critica, è sempre apprezzata con entusiasmo da chi scrive. Siate sempre certi di questa piccola verità.
Un abbraccio a Nymeria90 e a NadShepCr85 che mi hanno sostenuta fedelmente nelle parti finali, le più sofferte, di questo mio lungo viaggio e che hanno avuto parole di incoraggiamento e di partecipazione.
Un abbraccio del tutto speciale, colmo di affetto e stima, lo dedico ad andromedahawke, Jonhee e kikkisan, che mi hanno sempre letto con estrema attenzione e hanno fedelmente e pazientemente recensito tutti i capitoli di questa storia e perfino della mia storia precedente, fornendomi preziosi spunti di riflessione e un inestimabile appoggio morale. Devo ad Ann e a Len anche il coraggio per aver cominciato a pubblicare. Grazie a tutti voi.
  
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