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Autore: JessL_    19/06/2013    5 recensioni
Ambientarsi sembra facile quando si è piccoli. Tutto pare divertente, quasi esaltante. Viaggiare tanto ti fa quasi sentire un Dio, ma quando raggiungi una certa età, vuoi solo un po' di pace e stabilità. Vuoi solo vivere in un posto e ricominciare.
Tratto dal prologo:
Avete voglia di ascoltare una storia? Allora mettetevi comodi, ne ho una giusta giusta per voi...
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Introduzione

La storia è ambientata ai giorni d’oggi, il tutto si svolge a Forks. Tutti i nostri protagonisti sono umani, e come ogni vita umana, avvengono cambiamenti. Bella ne ha fatti tanti nei suoi diciassette anni di vita e ora vuole solo stabilità, e ricominciare.

 

Spero che la storia possa interessarvi.

JessikinaCullen, ora Jaste.



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Prologo.

 

Avete voglia di ascoltare una storia? Allora mettetevi comodi, ne ho una giusta giusta per voi.

C’era una bambina che faceva amicizia facilmente, e voi direte: “Qual è la novità?” Nessuna, tranne per il fatto che questa bambina era come una calamita per gli altri suoi coetanei. Tutto quello che diceva, era come oro colato. E crescendo le cose non cambiarono.

Conoscente di tanti, amici di pochi. In realtà di nessuno.

Questa bambina, che per comodità chiameremo... Nella, cambiava casa piuttosto spesso.

I suoi genitori si erano separati da una vita, lei a malapena riusciva a dire “mamma” e “papà” in modo corretto, quindi non ne risentì. L’unica cosa che le mancava, man mano che cresceva, era la stabilità. Un porto sicuro. Un angolo di Paradiso.

Era sempre la nuova arrivata, cambiava anche un paio di scuole l’anno, se la madre non riusciva a trovare il suo porto sicuro, momentaneo, ovviamente.

 

La vita andava avanti, la bambina cresceva, il numero delle scuole e le persone conosciute sul suo cammino aumentavano ma Nella non si è mai abbattuta, ha continuato ad andare avanti a testa alta e con il sorriso in bella vista. Perché per lei, fino all’età di dodici anni, era tutto un gioco. Si definiva quasi fortunata per aver visto così tanti posti in pochi anni e aver conosciuto tanta gente e bambini con cui poter giocare.

Quindi ora, la domanda è: che cos’è scattato nella sua testa, all’età di dodici anni?

Tutto.

È risaputo che l’adolescenza sia il periodo peggiore, e che cosa potrebbe aiutare se non la stabilità? Nulla. Infatti, Nella, era stufa. Voleva mettere radici, non ce la faceva più a farsi nuovi amici, ad affezionarsi e poi andarsene. Voleva iniziare e finire la scuola nello stesso posto. Voleva andare al ballo studentesco con un ragazzo che gli piacesse, ma non ce n’era mai stata occasione, e non perché fosse brutta, ma semplicemente perché dopo nemmeno sei mesi che frequenti quella scuola, per quanto tu possa essere conosciuta, nessuno t’invita. O almeno... non quando sanno che sarebbe un addio. Per lei i balli scolastici significavano quello. Quindi non ci andava, s’inventava qualche malanno e se ne stava tra le mura di casa. O almeno, per la casa in cui abitava al momento.

 

Spero di non avervi annoiati, perché la parte migliore inizia adesso...

Immaginatevi una Nella diciassettenne, nella sua stanza anonima – con qualche scatolone ancora pieno ma disimballato – mentre ascolta della musica sul suo letto, disegnando su un blocco. Immaginatevi la madre che entra nella sua camera, imbufalita.

<< Si può sapere perché non sei andata a scuola? >> Alzare gli occhi dal foglio era inevitabile, soprattutto se non si voleva aggravare ancora di più la situazione.

<< Che senso avrebbe avuto andarci? >> Nella osservava la madre sospirare e stropicciarsi i capelli. Sapeva benissimo che cosa significava quel gesto, eppure non si mosse, anzi, s’irrigidì.

<< Non sei mai contenta di niente! Ti faccio, per caso, mancare qualcosa? No! Hai un tetto sopra la testa... hai conosciuto un sacco di persone, visto posti favolosi, hai vissuto avventure fantastiche... eppure ti lamenti, perché?! >> Contare fino a dieci per non scoppiare sembrava una buona idea, ma la ragazza sapeva che se non voleva far scoppiare la terza guerra mondiale, non doveva stare in silenzio, avrebbe solo reso più nervosa la madre.

<< Sono stufa di questa vita. >> Mormorò, abbassando lo sguardo sul copriletto viola con i fiori. Iniziò a stropicciarsi le mani, come se quel gesto potesse calmarla. << Sono stufa di essere quella nuova, di essere l’attrazione da circo. Ho diciassette anni, e non ho mai vissuto per otto mesi nello stesso posto. >> Era certa che la madre l’avesse sentita, ed era altrettanto certa che non avrebbe ribattuto, non quando vedeva che la figlia parlava tranquillamente, senza alzare la voce o imporre qualcosa. << Sai qual è il mio nome? La ragazza con la valigia. E sai cosa ti dico? Che è ora che questa ragazza vada a conoscere suo padre. Sono stufa, stufa di tutto. >> Solo alla fine alzò gli occhi, e li sgranò quando vide che sua madre stava piangendo senza emettere un suono.

L’unica cosa che le chiese, dopo un paio di minuti in cui cercò di ricomporsi, fu:

<< Ne hai già parlato con lui? >> Già, perché imporre qualcosa a quella diciassettenne in piena crisi esistenziale... è molto meglio scendere a compromessi. Perché fare il genitore?

<< No. Ma lo chiamerò tra poco, e con i soldi che ho da parte, prenderò il primo volo verso Seattle. Ho bisogno di starti lontana, mamma. E tu hai bisogno di trovare il tuo posto nel mondo. >> Lo disse convinta, e purtroppo non abbastanza dispiaciuta. Perché era anche vero che non aveva mai vissuto col padre, ma era certa che si sarebbe trovata bene. Lo aveva visto ben poche volte nella sua vita (soprattutto quando era molto più piccola), più che altro perché era un po’ impossibile raggiungerlo, quando doveva fare lei l’adulta della situazione, ma sapeva per certo che sarebbe stato meglio del continuo ignoto che era vivere con la madre.

<< Va bene. Non te lo negherò. Ora sei abbastanza grande e sai benissimo cos’è meglio per te, ma ti prego... non chiudermi del tutto fuori dalla tua vita. >> La ragazza sorrise, e non per la vittoria, ma perché... si sentiva diversa, con fin troppo potere tra le mani. E poi, era anche lievemente divertita.

<< Non è mia intenzione chiuderti fuori. Ma tu, allora, prova a non cambiare numero di cellulare ogni due mesi, e magari potremmo sentirci. >> La madre distolse lo sguardo e annuì mentre si asciugava le lacrime.

<< Chiama tuo padre. Io... io vado a fare una doccia. >> Nella conosceva alla perfezione sua madre, e non disse nulla. Sua madre voleva versare lacrime amare sotto la doccia? Che lo facesse. Lei oramai aveva preso la sua decisione.

Quindi non tentennò quando compose il numero del padre, anzi, sorrideva mentre ascoltava i “tu” del telefono.

<< Pronto? >>

 

* * *

 

Pensate che la storia finisca qui? No. Questo era solo l’inizio.

Il mio nome è Isabella Swan. Sì, è stato bello adoperare un nome fittizio... ma ora mi trovo al Sea-Tac Airport. Seattle. Sto aspettando che mio padre si faccia vivo... o almeno che mi faccia un cenno, giusto per farmi capire che ci sia. Ribadisco, l’ho visto poche volte nella mia vita ma... dovrei riconoscerlo, no? Evidentemente no.

Sospiro e continuo a camminare guardandomi attorno, ed è allora, che lo vedo con un cartello in mano con su scritto “Isabella”. Sorrido e mi avvicino piuttosto velocemente, con tanto di trolley al seguito.

Quando Charlie mi vede, abbandona a terra il cartello e mi stringe a sé. Forte. Facendomi sentire al sicuro.

Lo percepisco annusarmi i capelli; mi allontana e mi guarda con un sorriso.

<< Benvenuta a casa, Bella. >>

 

 

Capitolo uno – Casa.

Home – Michael Bublé.

 

<< Sei sicuro che sia estate? A me pare pieno autunno! >> Esclamo non appena usciamo dall’aeroporto per raggiungere la macchina che ci porterà a casa.

Casa... mai suono mi è parso più melodioso.

Charlie ride e mi accarezza un braccio, purtroppo coperto solo da un leggero golfino.

<< Mi spiace dirtelo, Bella, ma sì... siamo in estate. Vedrai che ti abituerai. >> Sorrido continuando a seguirlo.

Razionalmente mi rendo conto che per me, questo signore dai capelli e baffi neri, sia un estraneo... ma vi è mai capitato di conoscere una persona e avere la sensazione di conoscerla da una vita? Ecco. È questa la sensazione che provo guardando mio padre; nonostante i suoi tratti somatici non mi siano famigliari, nonostante la sua voce sia completamente diversa da quella che ho sentito per tanti anni attraverso una cornetta.

Sinceramente? Lo immaginavo più alto, non so perché. Forse perché ho sempre immaginato che il fatto che io non sia una stangona, fosse a causa del cinquanta per centro del DNA di mia madre. Beh... sono tutte e due non proprio alti.

Oddio, Charlie a un metro e settanta mi pare ci arrivi... però me lo immaginavo più alto. E meno muscoloso. Non so perché me lo immaginassi rachitico, pelato, senza baffi e alto. E non voglio nemmeno sapere perché.

 

<< Anche le case sono verdi, da queste parti? >> Chiedo ammaliata, praticamente schiacciata al finestrino. Charlie cerca di trattenere una risata, e lo apprezzo.

<< No, almeno le case, per fortuna, no. Comunque siamo quasi arrivati. E sono certo che vorrai scappare. >> Lo dice con fare divertito, ma il terrore nella sua voce mi è piuttosto evidente. Lo guardo attentamente, e non lo so, probabilmente sentendosi osservato, volta il capo nella mia direzione per un attimo.

<< Non dovresti pensarlo. Voglio dire... non sono qui per il posto. Sono qui per te. >>

<< Lo so, ma hai visto così tanti bei posti... >> Scrolla le spalle e io vorrei potergli dire qualcosa per confortarlo.

<< È vero, ho visto e vissuto in un sacco di bei posti. Ma nessuno di quelli l’ho mai sentita come casa mia. >> Charlie annuisce ma non commenta, e io torno ad osservare fuori dal finestrino. E non perché non voglia guardarlo, ma perché devo dire una cosa.

<< Non ti ho ancora ringraziato per aver accettato di ospitarmi. Lo so, sono tua figlia e diciamo che da una parte sei stato obbligato a dire di sì ma... >>

<< Non dire sciocchezze! >> M’interrompe con tono serio, facendomi voltare, e non pensare più al fatto che non sono abituata a dire “grazie”.

<< È vero, sei mia figlia, ma è anche vero che avrei potuto dirti di no, se non m’interessasse di te. So così poco della tua vita, e mi dispiace. Anche perché... se non si faceva sentire tua madre, per me era impossibile contattarti. >> Annuisco sovrappensiero.

<< Cambia numero ogni due mesi, capisco cosa intendi. >> Charlie sorride mostrandomi lievemente i suoi denti e ridacchio portandomi una mano di fronte alla bocca.

<< Mi spieghi una cosa? Perché ti sei fatto crescere i baffi? >>

 

<< Mi casa es tu casa. >> Annuncia una volta chiusa la macchina. Io sono scesa non appena ha spento il motore, e tutto ciò per ammirare la villetta a due piani, molto anonima ma carina. Confortevole. Sa di casa. Sì, anche da fuori.

<< Lo spero. >> Sussurro non facendomi sentire.

Entriamo e mi fa fare un veloce giro, illustrandomi ogni zona, lasciando per ultima la mia stanza e io... io mi sento in dovere di ringraziarlo, sì, di nuovo, ma non lo faccio. E non solo perché non voglio sentirgli dire “ma figurati” o “di nulla”, ma semplicemente perché sono basita dal fatto di avere una MIA camera in questa casa... non me lo aspettavo.

<< È ancora spoglia e anonima ma... è la tua stanza. Magari prima che inizi la scuola potremmo andare a comprare qualcosa... anche solo il colore per rendere le mura più personali. >> Charlie si trova al centro della mia stanza, e non ha ancora smesso un attimo di parlare. E io? Io non ho fatto altro che osservarmi attorno.

È vero, è spoglia... praticamente c’è solo un letto – vecchio, è palese – è un armadio con sole due ante – vecchio anche quello – ma... il posto mi piace.

Con passo lento mi avvicino alla finestra, lasciando mio padre parlare di non so cosa o chi, e ammiro la villetta di fronte, la strada e il giardinetto dove c’è la macchina di Charlie.

<< Ehm... >> Mi volto velocemente, e osservo la figura di mio padre piuttosto impacciata.

<< Mi sono persa qualcosa, vero? >> Chiedo, intuendo che mi abbia fatto una domanda che non ho sentito, poiché non lo sto ascoltando da almeno cinque minuti.

<< Beh sì, ma non preoccuparti. Volevo solo sapere se eri stanca. >> Premure.

Non è che mi siano mancate nella mia vita, ma è bello che sia qualcuno oltre a mia madre a pensarci. Mi fa sentire importante. Anche se è molto probabile che Charlie lo faccia più per educazione, che per altro.

<< Non molto. Il viaggio è stato relativamente breve. >> Annuiamo entrambi e infine esclamo, convinta di farlo contento.

<< Però ho fame. >> Come immaginavo Charlie sorride.

<< Bene... allora ti porto a mangiare una pizza. >> Si avvicina alla porta, ma prima di chiuderla, permettendomi di stare da sola, aggiunge. << Spero che la gente di Forks non ti spaventi. Amano le novità... è che non ci sono abituati. >> Vorrei ridere, ma non lo faccio.

<< Non preoccuparti, sono abituata ad essere la novità. >> Charlie mi guarda per qualche scendo, abbandonando la spensieratezza di un attimo prima, e annuisce, per poi uscire.

 

Per quanto mi sembri strano, c’è ancora luce, nonostante siano le otto passate di sera.

Lo so, siamo a fine giugno, di conseguenza è normale che ci sia ancora luce ma... anche a Forks? Nonostante non faccia per niente caldo?

Ma queste povere persone hanno mai provato i trenta gradi sulla loro pelle? Con il sole che ti bacia il viso? Mi sa proprio di no. E mi spiace per loro. E per me... ma è un dettaglio.

Tutto ciò l’ho voluto io, e poi Charlie ha detto che farò in fretta ad abituarmi ai quindici gradi estivi. Lo spero, perché mi sento un po’ un alieno ad andare in giro con un golfino mentre tutti gli altri vanno tranquillamente in giro sbracciati.

<< Eccoci al Forks Diner. >> Esclama con un entusiasmo Charlie, io mi sporgo verso il parabrezza e osservo il piccolo ristorante tutto ben illuminato da cui proviene un sottofondo di musica, parole e risate. Sembra carino.

<< Lo so, non è il Four Season. >> Lo guardo con gli occhi sgranati.

<< Non sono mai stata in uno di quegli hotel. E comunque... non sembra male. >> Gli sorrido e lo vedo calmarsi, quasi come se fosse del tutto terrorizzato che io possa mettermi a fare i capricci per qualcosa che non mi piace.

<< Bene... allora... >> Scende dall’auto, e divertita faccio altrettanto per poi entrare dentro al locale con lui, mentre parliamo e ridacchiamo per qualche stupidata detta da me.

<< Ehi, tesoro! >> Una donna con i capelli lunghi e neri, pelle indiana e un sorriso contagioso, ci raggiunge – interrompendoci – e sfiora un braccio di mio padre.

È come se ci avesse fatto un agguato, ci ha concesso giusto due passi dentro il locale per poi afferrarci e spero non azzannarci.

<< Sue! Ti presento Bella. >> Sorrido cordiale e la signora – con due grandi occhi neri – mi guarda affascinata. E pensare che mi sarei immaginata una radiografia, invece lei continua imperterrita a guardarmi negli occhi. È per caso una strega e mi sta facendo qualche strana maledizione? Dio, spero di no!

<< È un piacere conoscerti... non vedevamo l’ora che arrivassi. >> Già. Sono la novità.

<< Mi fa piacere. >> Guardo mio padre e noto che è in imbarazzo. << Oh! >> Esclamo non appena comprendo la situazione. << Quindi voi... non ti ho cacciata di casa, vero? >> Sue ridacchia.

<< No, no tranquilla. Non abitiamo assieme. Ho anch’io dei figli e uno è poco più piccolo di te. >> Annuisco e non so più che cosa dire.

<< Va beh, vi lascio alla vostra cena. Ci sentiamo dopo. >> Gli accarezza il braccio e scompare dopo avermi sorriso.

Io e mio padre ci guardiamo imbarazzati, e dopo qualche secondo, Charlie, decide di smetterla e ci andiamo ad accomodare. Altre persone lo salutano ma fanno finta di non vedermi. La cosa non mi pesa, ma mi sembra strano.

Ho il presentimento che Charlie abbia detto loro di andarci piano con me.

<< La conosco da una vita. >> Esclama nascondendosi dietro il menù. Io lo guardo incuriosita e non penso al cibo. << Era sposata con un mio amico ma lui è mancato e... e ci siamo avvicinati. Sono tre anni che ci frequentiamo. >> Conclude così e io continuo a rivedere gli occhi scuri ed entusiasti di Sue mentre mi “esaminava”.

<< Beh, se sei contento... sono contenta anch’io. >> Solo allora, si decide ad abbassare il menù e sorridermi.

<< Dai, guarda che cosa vuoi mangiare. >> Mi sprona e io torno a preoccuparmi della cena.

 

<< Charlie! Strano trovarti qui. >> Alzo il viso dalla mia succulenta pizza e osservo il signore biondo, ben vestito e con gli occhi verdi che è accanto al nostro tavolo.

È il primo che si avvicina così apertamente, senza dire solo “ciao”.

<< Strano? Carlisle, ci vengo quasi tutte le sere. >> Ridono e io aggrotto la fronte, appuntandomi mentalmente di dovermi occupare dei pasti a casa.

<< Bella, ti presento il Dottor Cullen. Carlisle, lei è mia figlia. >> Mi pulisco le mani e ne stringo una delle sue.

<< In queste ultime due settimane, Charlie, non ha fatto altro che parlare di te. Quindi... è come se tutti ti conoscessimo già. >>

<< Davvero? >> Charlie si gratta la testa imbarazzato e io ridacchio, facendolo anche arrossire.

<< Papà, dove sei finito? >> Carlisle si volta, e non posso impedire al mio corpo di fare altrettanto. E non posso nemmeno impedire ai miei occhi di ammirare il bel ragazzo che ci sta affiancando. Era ovvio che il figlio di quest’uomo non potesse essere brutto.

Il ragazzo mi sorride appena, però non allontana lo sguardo dal mio.

<< Edward. >> Mi porge la mano, e automaticamente – come se fosse sprovvista di un cervello – gliela stringo e mi presento.

<< Sì... direi che è ora di andare. Ci vediamo domani, Charlie. Bella. >> Salutiamo e infine rimaniamo da soli.

<< Hai presente la casa di fronte alla nostra? È la loro. Sono i nostri vicini. Adesso che ci penso... Edward ha la tua età. >> Non faccio domande ma annuisco. E purtroppo continuo a pensare a quegli occhi verdi che sembravano avermi trapassata.

 

<< È cambiata Forks? >> Alzo gli occhi al cielo e mi accomodo meglio sullo sdraio che ho posizionato nel cortile di casa mentre parlo con mia madre. Mi rigiro tra le dita una sigaretta, indecisa se accenderla o meno. Non ho idea di che cosa pensi Charlie sul fumo.

<< Non lo so. Nel caso te ne fossi resa conto, è come se fosse la prima volta che vengo qui. >> Non l’ho detto per accusarla di qualcosa, è solamente la verità.

<< Colpo basso, Bella. Colpo basso... ma hai ragione. È ancora tutto verde e non sanno che cos’è l’estate? >> Scoppio a ridere.

<< Sì, è proprio così. Ti rendi conto che siamo a fine giugno e ho addosso un golfino mentre sono spaparanzata in cortile? È allucinante. Non sono abituata. >>

<< Vedrai che ti troverai bene. >> Sussurra dopo qualche secondo di silenzio.

<< Lo spero. Sai... è strano. Non essere qui, in una città nuova... bensì... tutti sapevano che stavo arrivando, al contrario degli altri trasferimenti che abbiamo fatto, quindi... tutti sanno chi sono, conoscono mio padre... >>

<< Hai paura di essere giudicata a causa mia? Del mio trascorso lì? >>

<< No. Non lo so. Domani andrò a trovare i nonni e spero mi riconoscano. >>

<< Oh per carità! Figlia mia, ma non ti ho inculcato un po’ di sopravvivenza in quella testolina piena di capelli? >> Scoppio a ridere e smetto solo quando vedo Edward, il ragazzo del ristorante, il figlio del dottore, uscire da casa e avvicinarsi al marciapiede che separa le nostre case. Rimane lì fermo, mi guarda e si gira – come me – una sigaretta tra le mani.

<< Bella? Bella? >>

<< Sì, mamma, scusa. >>

<< Che succede? >> Chiede incuriosita.

<< Nulla. Mamma, che cosa ne pensa Charlie del fumo? >>

<< Beh... quando eravamo giovani, ci fumavamo qualche spinello... ma tuo padre adesso è un poliziotto, quindi non so che cosa ne pensi. >> Cerco di non ridere.

<< Parlavo delle sigarette. >>

<< Ah! >> Scoppia a ridere. << Non lo so. Non abbiamo mai fumato, e tu... tu non dovresti iniziare. >> Cerca di dirlo seriamente, come se non fosse a conoscenza delle mie due o tre sigarette giornaliere.

<< Come vuoi. Devo andare. Ho bisogno di una doccia e poi di una bella dormita. >>

<< Va bene, tesoro. Ci sentiamo domani. >>

Attacco e torno ad osservare il mio vicino di casa. Si è alzato e si sta avvicinando a casa mia; m’irrigidisco e infine decido di alzarmi per andargli incontro.

<< Ciao. >>

<< Ciao. >> Rispondo, cercando di sembrare tranquilla.

<< Hai da accendere? >> Mi mostra la sigaretta e io sorrido divertita. E io che mi ero fatta chissà quali viaggi mentali.

<< Certo, tieni. >> Gli porgo l’accendino e una volta che ha finito, faccio altrettanto, decidendomi a fumare la seconda sigaretta della giornata.

<< Come mai fuori a quest’ora? Pensavo che Charlie ti avrebbe mandata subito a letto dopo aver cenato fuori. >> Non so se lo dica per prendermi in giro o perché, magari, qualche volta mio padre si è preso cura di lui quando ero piccolo e faceva in quel modo.

<< Non credo m’imporrebbe qualcosa. Non ci conosciamo così bene. >> Annuisce espirando il fumo. Mi guarda e sembra avere duemila domande per me.

<< Come mai hai deciso di passare l’estate qua? Noi del posto cerchiamo sempre un modo per evadere, e tu invece vieni a rifugiarti qui? >>

<< Rifugiare. Già, mi sto rifugiando qui. >> Soppesa le mie parole ma non ha il tempo di ribattere perché un clacson ci fa voltare.

<< Edward, sali! Siamo in ritardo, e non ho voglia di litigare con Rose a causa tua. >> La voce di una ragazza ci arriva fin troppo nitidamente, nonostante – almeno io – non riesca a vederla alla guida.

Edward alza gli occhi al cielo e mi guarda dispiaciuto. << Devo andare. >> Annuisco e lui fa un paio di passi, butta la sigaretta e infine si rivolta verso di me. << Per caso ti va di venire? >> Sembra quasi sincero ma io...

<< Sono stanca per il viaggio. Ma grazie per l’invito, magari sarà per la prossima volta. >>

Annuisce nuovamente per poi entrare in auto e andarsene.

 

Sono le cinque del mattino, e sono sveglia. Non è una cosa normale, vero?

Voglio dire... mi sono svegliata presto, ho litigato con mia madre per tutto il giorno perché cercava di dissuadermi a partire, poi mi sono fatta due ore di volo, ho “conosciuto” mio padre e Forks e ora... ora sono ancora sveglia. Nel mio nuovo letto, coperta fino al naso ma con la finestra aperta. Guardo il cielo plumbeo e ammiro le poche stelle che sono scappate dalle nuvole, almeno finché il suono delle risate non arriva fino a me.

Lentamente mi alzo e nascondendomi con la tenda, osservo Edward – ubriaco – scendere dalla macchina della stessa ragazza di prima. Si scambiano ancora qualche parola e dal rumore delle voci, capisco che l’abitacolo contiene almeno quattro persone. Barcollante torna verso casa per poi entrare. Osservando lui, non ho visto la macchina sfrecciare via.

Torno a letto e guardando il soffitto... riesco finalmente a prendere sonno.

 

   
 
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