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Autore: nephylim88    25/06/2013    2 recensioni
Giorgia Casiraghi non può essere definita fortunata. a diciassette anni è stata rapita e stuprata. Quindici anni dopo, dopo tutti gli sforzi fatti per lasciarsi tutto alle spalle, si ritrova con sua figlia in ospedale, malmenata e stuprata anche lei...
ogni riferimento a fatti e persone esistenti è puramente casuale.
Spero che la storia vi piaccia! Come ho promesso ne "la cacciatrice di anime", la storia qui presente è già completa. Pubblicherò in capitoli ogni due o tre giorni al massimo! Buona lettura!
Genere: Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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'Respira profondamente... respira profondamente... resisti... respira... respira... respira...'

Continuavo a ripetere nella mia mente quelle parole da tempo indefinito. Ero... da quanto tempo ero chiusa lì dentro? Ore? Giorni? Mesi? Anni? Magari nel frattempo avevo compiuto 18 anni, 19, 20... e neanche lo sapevo...

Ero semisdraiata su un vecchio letto arrugginito, i polsi legati alla testiera. L'unico capo che indossavo era una camicetta da notte della peggior qualità di acrilico. Non indossavo la biancheria intima, quei tre bastardi me l'avevano strappata di dosso appena mi avevano sbattuta lì dentro. Mi avevano obbligata a indossare quell'orrenda camiciola, poi mi avevano legata, solo per i polsi, in modo tale che, però, non potessi raggiungere le corde con i denti. E poi... oh, poi...

La stanza era semibuia, ma riuscivo a distinguere abbastanza da capire che lo stabile in cui mi trovavo era abbandonato. Probabilmente quei porci avevano portato il letto apposta per me. Per il resto la sala era completamente vuota. La stanza era piuttosto piccola, e si vedevano i muri mezzi scrostati. Non potevo vederla, ma sapevo che c'era anche una lampada, che veniva accesa quando quei tre entravano per “divertirsi”.

Repressi un conato di vomito. Giusto per non farmi mancare proprio nulla, mi avevano infilato in bocca dei luridi stracci, e poi mi avevano sigillato le labbra con del nastro adesivo. Ero quasi morta soffocata, odiavo tenere in bocca oggetti. Anche quando, a casa, mi lavavo i denti, dovevo stare attenta a come mettevo lo spazzolino. L'importante era che non toccasse la lingua. Altrimenti il vomito era quasi sicuro.

Quindi si poteva bene immaginare il mio terrore, quando, una volta ritrovatami con quella stoffa dentro la mia bocca sigillata, mi erano venuti dei violenti conati. Era stato un puro miracolo il fatto che fossi riuscita a rimandare giù il vomito senza soffocare. Anche se, visto quello che era successo nelle ore successive, forse sarebbe stato meglio morire. Successivamente avevo scoperto che spingendo la lingua contro gli stracci e respirando di pancia riuscivo a non avere conati. L'unico momento in cui mi veniva tolto quello schifo dalla bocca, era quando i tre maiali entravano nella stanza. Allora mi nutrivano, e poi mi stupravano. Dopodiché, straccio in bocca e via. Avrei tanto voluto rifiutare il cibo e lasciarmi morire di fame. Ma il mio istinto di sopravvivenza era molto più forte di quanto avessi mai sospettato in vita mia. Ogni volta mangiavo con la voracità di un lupo. Una lacrima rotolò sulle mie guance scavate. Volevo la mia mamma... dov'era la mia mamma?

Un rumore mi fece trasalire. 'Dio, no! Non di nuovo, ti prego! Mamma!' implorai, nella mia mente. Ma la mamma non c'era, e a quanto pareva, o Dio non esisteva o era estremamente crudele. La porta si spalancò, la luce venne accesa.

Ciao, bambolina!” il più alto, e il più bello dei tre, fece un ghigno perverso. Mi si avvicinò, accarezzandomi lentamente lungo tutto il corpo. Indugiò sulla fessura in mezzo alle gambe per un secondo, poi risalì lungo la pancia, con la punta delle dita tracciò una lieve linea sul mio seno destro, poi arrivò al viso. Ero completamente paralizzata dalla paura, e probabilmente me lo si leggeva in faccia. Afferrò il nastro adesivo e lo strappò via con un colpo secco. Sputai fuori gli stracci con un conato, gli occhi gonfi e lacrimanti, il respiro affannoso. Cominciai a piangere debolmente. Il ragazzo mi carezzò i capelli, ma non era un tocco rassicurante. Mi diedero da mangiare. Un piatto di pasta al ragù raffreddata, del tipo che propinano alle mense scolastiche. Il ragazzo più bello rimase seduto al mio fianco, imboccandomi. Gli altri due si misero in posizione, uno da un lato del letto e uno dall'altro. Poi, il tipo che mi stava imboccando portò via il piatto. Lo appoggiò a terra, e poi, lentamente, si voltò verso di me. Mi saltò addosso. Urlai.


'Dio, fa che finisca presto! Fa che finisca!' Ero esausta. Avevo continuato a versare lacrime per tutto il tempo, cercando di non pensare a quello che mi stava succedendo. Diventava ogni volta più semplice.

Il ragazzo era dentro di me da quelle che sembravano ore. I suoi due compari mi tenevano per le gambe, belle larghe, in modo da agevolare il loro capo. Quello uscì da me, ansimante.

Cazzo, così mi smonti!” urlò. Mi diede un pugno sullo zigomo. Emisi un breve strillo. La mia vista si oscurò. Ma non mi sfuggì il fatto che l'erezione del mio aguzzino si era rinnovata. Mi entrò dentro di nuovo, di prepotenza. Molta più prepotenza delle altre volte. Urlai di dolore. Il mio aguzzino mi tappò la bocca con una mano. “Ssh, ssh...” sussurrò.

Fu quello, il momento in cui sentii che il mio istinto di sopravvivenza aveva trovato un alleato molto potente: la collera.

Quel “ssh” sussurrato come se fossero dei bambini che non volevano essere beccati dalla mamma a fare uno scherzo alla sorellina. Mi stavano stuprando, Dio solo sapeva quante volte lo avevano già fatto, e quante ancora lo avrebbero fatto! Provavo quel dolore ai polsi scorticati da una corda da quattro soldi da troppe ore, avevo sentito quel dolore lancinante come un colpo di spada in mezzo alle gambe una marea di volte, mi sentivo le spalle sul punto di uscire dalla loro sede, e l'interno delle cosce doloranti a causa degli strappi causati dall'allargamento forzato delle mie gambe. Eppure non fu quello a farmi infuriare, ma quel “ssh”, come se stessimo facendo qualcosa di non necessariamente brutto, ma comunque privato... mi resi conto che il modo di dire “vedo rosso”, quando una persona si infuria, non era un semplice modo di dire. Davanti ai miei occhi apparve come un velo scarlatto, e persi il controllo. Tirai una testata sul naso del mio aguzzino, sentendo quasi con piacere il rumore del setto che si rompeva. Lui si tirò indietro, gridando. Tirai calci praticamente alla cieca, colpendo qualcosa di morbido con entrambi i piedi. I due scagnozzi si tirarono indietro, uno tenendosi il collo, l'altro la bocca dello stomaco. Poi presi a dimenare le braccia. Non sentii dolore quando le mie mani scivolarono via dalle corde, lasciandoci attaccati pezzi di pelle sanguinolenti, che mi lasciarono in carne viva. Uno degli scagnozzi fece per afferrarmi, ma lo colsi di sorpresa piombandogli addosso con una spallata, facendogli perdere l'equilibrio. L'adrenalina che mi scorreva in corpo mi stava dando energie che non sospettavo di avere. Il mio aguzzino tentò di inseguirmi, ma afferrai la lampada e gliela tirai dietro. Non mi voltai per controllare, ma a giudicare dal rumore lo avevo colpito. Le mani mi tremavano violentemente, ma riuscii ad abbassare la maniglia della porta. Forse Dio non era così crudele. L'avevano dimenticata aperta. Con un sospiro di sollievo, la spalancai e fuggii via nella notte.

  
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