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Autore: ilprofumodelliris    26/06/2013    2 recensioni
“Oh Romeo, Romeo! Perché sei tu Romeo? Rinnega tuo padre, ripudia il tuo nome, o, se non lo vuoi, giura di amarmi, e io non sarò più una Capuleti.”
Non è forse questa la frase più famosa dell’opera Shakespeariana, che le persone vanno citando e ricordando in tutto il mondo?
Ma Giulietta fondamentalmente è morta da Capuleti. Ha cercato di sfuggire al suo destino nella casa di Capuleti, e si è trafitta il cuore nel sepolcro dei Capuleti.
E se invece avesse onorato davvero le sue parole? Cosa sarebbe successo?
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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La nutrice era stata chiara.
Avrei dovuto chinare la testa e sposare Paride come mio padre mi aveva ordinato. Quello stesso padre che poco prima mi aveva barbaramente insultata, mi aveva definita una concubina, aveva minacciato di rinnegarmi se solo la mia scelta fosse stata diversa da quella che mi imponeva.
No, non sarebbe finita così.
Se rifiuti il marito ch’io ti destino, va’ a pascolare dove vuoi, ma sotto il mio tetto non abiterai più.
Le ultime parole di mio padre mi tornarono alla mente con un’intensità atroce. Credeva di incutermi paura, ma non aveva idea di quanto avesse alimentato il mio desiderio di fuggire. Un tempo forse mi sarei tirata indietro, ma la vecchia Giulietta era morta e sepolta.
Parti, vieni da me. Liberati, fuggiamo insieme. Ti aspetterò, Giulietta.
Le ultime parole di Romeo balenarono in me con molta più dolcezza.
Era ora di prendere una decisione, di prendere in mano la mia vita una volta per tutte. Me ne sarei andata. Mi sarei gettata tutto alle spalle e sarei partita alla volta del mio Romeo. Non c’era più nulla che mi legasse a quel posto, anche mia madre mi aveva voltato le spalle. La mia casa aveva cessato di esistere nel momento in cui Romeo era arrivato nella mia vita. Adesso era lui l’unica cosa di cui avevo bisogno. Ce lo eravamo giurato, avremmo trovato il modo di stare insieme, anche a costo di fuggire fino in oriente.
Mantova non era lontana da Verona, se fossi partita subito sarei giunta a destinazione quella stessa notte. Mi avvicinai alla tolette ed estrassi un pugnale d’argento dal primo cassetto. Giulietta Capuleti doveva morire in quel luogo, in quello stesso momento. Afferrai il coltello con forte pressione e recisi completamente tutti i miei capelli. La massa informe si depositò ai miei piedi con un leggero fruscio. Mi guardai allo specchio e realizzai per la prima volta quanto i capelli caratterizzassero una ragazza. Ora avrei potuto passare molto più inosservata. Mi sfilai con foga il corsetto e la lunga gonna, per poi muovere pochi passi verso l’armadio.
L’abito regale del trapassato Tebaldo fuoriusciva leggermente dall’anta destra. L’avevo fatto portare nelle mie stanze pochi giorni prima, per odorarne l’essenza, sentire se l’anima di Tebaldo era ancora impregnata in quelle stoffe. Per far sembrar credibile il motivo dei miei pianti, che in realtà coincideva con tutt’altra cosa. Estrassi i suoi alti stivali dal fondo dell’armadio e sfilai dalla giacca l’ampio mantello scuro. Poi mi precipitai all’altro capo della stanza per frugare nel mio baule. All’inizio non sapevo cos’avrei fatto, ma mi ero preoccupata di procurarmi dei vestiti da servo, tanto imminente sentivo la notizia dell’immorale matrimonio. Mi infilai la camicia rovinata e i calzoni da popolano con la massima cura, per poi passare agli stivali. Mi calai il mantello sulle spalle facendolo ruotare, sferzando l’aria. Infine mi misi il pugnale nella cintola, e Giulietta Capuleti era ufficialmente morta. Tornai a guardarmi allo specchio e stentai a riconoscermi. Se la nutrice fosse entrata in quel momento probabilmente avrebbe visto soltanto un bandito, e avrebbe chiamato subito soccorso.
Di colpo mi venne un’idea, un lampo di genio, il biglietto d’accesso alla mia libertà. Inscenare il mio rapimento. Così facendo, i miei genitori mi avrebbero dato per dispersa e la sparizione degli indumenti che avevo con me sarebbe potuta passare per furto. Un brivido di eccitazione mi passò lungo la schiena e la mia testa inneggiò un unico nome, quello di Romeo. Presto avrei potuto rivederlo.
Presi il vaso coi fiori dal comodino e lo colpii violentemente con il pugnale. Il rumore fu attutito dal grande letto soffice sul quale avevo compiuto l’operazione, e mi misi a spargere il pezzi di coccio in giro per la stanza. Buttai per terra tutti gli oggetti che trovai qua e là, tanto per rendere il tutto più credibile. Raccolsi una ciocca di capelli dal groviglio ancora a terra, e la adagiai vicino al frammento di coccio più grande. Poi presi quel che ne restava dei capelli tagliati e li nascosi nella bisaccia che avrei portato con me; me ne sarei disfatta durante il tragitto per Mantova. Sul mio comodino c’era ancora la colazione che avevo rifiutato quella mattina. Presi tutto il cibo sul vassoio, feci un involto con un panno e lo misi nella sacca.
Ero pronta. Tirai fuori la corda che avevo nascosto il giorno prima quando Romeo era venuto a darmi il suo addio, e l’assicurai bene al balcone. Dopo aver stretto il nodo saldamente, afferrai la fune con tutta la mia forza e cominciai a calarmi giù. Fu più facile di quanto mi aspettassi e una volta che i miei piedi toccarono terra mi sentii libera come mai prima. Cominciai a correre lungo il giardino dei Capuleti fino a raggiungere il muro di cinta. Con un po’ di fatica, riuscii ad issarmi su di esso e ad oltrepassarlo.
ll vento soffiava prepotente e mi sentivo inebriata dall’aria
sferzante che mi accarezzava il viso.
Avrei voluto alzarmi in piedi e gridare tutto l’amore che avevo in corpo. Che amavo un Montecchi. Che non esistevano più Motecchi e Capuleti, ma c’era solo l’amore. Avevamo abbattuto quelle barriere. C’eravamo solo noi.
Fui a terra, e mi guardai intorno in modo schivo. Un umile carro era posteggiato di fronte a me, inerme e privo di sorveglianza. Non ci pensai due volte e mi misi alle redini. Lo schioccare delle briglie sul dorso del cavallo mi fece tirare un respiro di sollievo.
Me ne stavo andando, o meglio, stavo tornando a casa.
Da Romeo.
Il mio cuore batteva come una mitragliatrice dando voce a tutti sentimenti che mi consumavano dall’interno.
Il petto che si alzava e si abbassava violentemente e la sensazione di non riuscire a respirare erano solo ricordi lontani.
Ci saremmo sempre ritrovati. Perché eravamo qualcosa di imprevedibile, di sconfinato, e soprattutto di eterno.
 
   
 
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