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Autore: Ulvinne    27/06/2013    3 recensioni
Un tempo i draghi dominavano il mondo.
Terribili signori e padroni di ciò che li circondava, riuscirono a ridurre tutti gli altri esseri viventi in schiavitù, governando con la loro ferocia e la loro voce.
Ma un giorno,finalmente, qualcuno si fece avanti per fermare questa tirannia: il Sangue di Drago, colui che da loro servitore divenne il loro carnefice e riportò la libertà nel mondo. Senza pietà affrontò i draghi e, uno per uno, li distrusse. La sua eredità camminò nei secoli attraverso il sangue dei Prescelti degli dei, finché le leggendarie creature si estinsero.
E con i draghi sparì anche lui, l'eroe, il Sangue di Drago.
Le sue imprese divennero racconti, i racconti divennero canti, i canti divennero leggende.
E la gente finì per considerare i Draghi ed il Sangue di Drago solo una storia.
Ma cosa succede quando la storia torna, più vendicativa che mai?
Cosa succede quando la più antica eredità di Skyrim ti viene offerta?
Semplice: puoi solo accettarla.
Note: attenzione, il titolo è lo stesso, ma la storia è cambiata. Mi sono resa conto che proprio non andava e l'ho modificata. Spero che così vi piaccia :)
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter XIX
History of Flower
 
-Ehi, ehi svegliati! Iris!- non so quanto sono rimasta svenuta, credo pochi minuti, perché quando l'immagine di Ralof iniziò a palesarsi c'era ancora un macello incredibile intorno a me, e l'aria odorava di cenere e fumo, oltre che di carne cotta, quel terribile odore che ancora una volta ero costretta a percepire.
Qualcuno mi stava scuotendo la spalla con ben poca grazia.
-M-ma che...
-Andiamo, qui crolla tutto.- mi fece alzare afferrandomi il braccio e tirandomi in piedi, un movimento così rapido che mi girò la testa.
-F-fa piano!
-Non giocare a fare la delicata adesso!- mi prese le mani e con un pugnale armeggiò con le corde che le tenevano legate, e non riuscii a reprimere un sospiro di sollievo quando potei massaggiarmi i polsi -Andiamo!- feci per seguirlo, ma all'improvviso una fiammata ci separò, costringendo me a fermarmi per evitare di finire carbonizzata. Il calore delle fiamme quasi mi scottò il viso, ma almeno avevo le mani libere e potei indietreggiare facilmente.
Non potevo più vedere Ralof, e non avevo intenzione di attraversare le fiamme per ritrovarlo, in quel caos fatto di fuoco e morte il mio unico pensiero era sopravvivere, così mi guardai rapidamente intorno per cercare un modo per fuggire, finché non vidi un cavallo che, dentro il box di una stalla, cercava di aprire il cancello di legno per uscire, mentre delle fiamme si avvicinavano a lui.
Era la mia ultima possibilità.
Corsi verso la stalla, e feci per aprire il cancello di legno per far uscire il cavallo, ma un pezzo di trave bruciata cadde, costringendomi ad indietreggiare quando il fuoco lambì, anche se per pochissimi secondi, la mia mano.
Mossa dalla forza della disperazione mi guardai intorno, trovando l'ascia di un taglialegna con cui cercare di farmi strada, cercando di rimuovere la trave, ma non avevo abbastanza forza, non sapevo cosa fare, l'aria era pesante e sapeva di fumo, sangue, il nitrito del quadrupede impaurito mi rimbombava nelle orecchie...
-Sali!- mi girai, trovando Hadvar che mi tendeva la mano per salire sul cavallo su cui sedeva, e davanti al mio attimo di esitazione mosse la mano in un gesto di impazienza -Avanti, non c'è tempo!- vincendo ogni timore afferrai la mano callosa del legionario con quella sana, la destra, e salii a cavallo dietro di lui.
Rapidamente, ma mai abbastanza, Helgen divenne prima un concentrato di urla sempre più deboli, poi solo un puntino luminoso e infine una colonna di fumo troneggiata da un'ombra nera.
Girai la testa per guardami indietro, e di nuovo vidi che gli occhi gialli del drago mi cercavano. Rimase sospeso in aria per qualche secondo, poi ruggì contro di me e volò in picchiata.
L'ultima cosa che udii prima che Helgen sparisse dietro la collina furono delle urla.
 
-Perché l'hai fatto?- chiesi dopo un paio d'ore di cavallo. Oramai ero così abituata che quasi non sentivo più il dolore all'interno coscia dovuto alla cavalcata.
-Cosa?- ora procedevano ad un passo più lento rispetto al galoppo serrato a cui la bestia era stata sottoposta.
-Mi hai aiutata a scappare.- spiegai ad Hadvar con un filo di impazienza, poi guardai il cavallo -Credo che se non gli permetterai di bere morirà.- il Nord fece fermare la bestia tirando le briglie.
-Tecnicamente non sei più prigioniera. Abbiamo avuto un problema più grande. Molto più grande.- scese e mi invitò a fare lo stesso -C'è un ruscello lì.- ubbidii, senza nascondere il respiro di sollievo nel poter di nuovo respirare aria pulita e toccare i piedi a terra.
-Questo non ti imponeva di salvarmi.- dissi poi, riprendendo il discorso.
Lasciai che Hadvar si prendesse tutto il tempo che voleva per condurre il cavallo ad abbeverarsi, facendogli due carezze sul collo.
-Da quel che ho dedotto non avevi niente a che fare con i ribelli.- annuii, a confermare la sua ipotesi -Non mi andava che un'innocente morisse per un nostro errore.
-Beh, in ogni caso grazie.- mi avvicinai al piccolo fiumiciattolo e immersi la mano nell'acqua, gemendo di dolore -Dannazione!
-Dovresti curarla. Hannet lo farà volentieri.- sobbalzai -Cosa c'è?
-Io...non tornerò a Riverwood.- sentii il suo sguardo addosso, ma non mi girai a ricambiarlo -Devo solo riprendermi quanto basta e tornare a Cyrodiil.
-La vedo dura.- replicò Hadvar -Hai bisogno di riposare e Riverwood è la città più vicina, dove pensi di andare senza armi né armatura?- cavolo, aveva ragione -Inoltre...- il suo tono si fece più malinconico e solo allora alzai il viso per poterlo osservare.
Il legionario teneva lo sguardo fisso sul cavallo, apparentemente indifferente, ma non staccava gli occhi dal pelo della bestia ancora intenta a bere dal fiume.
-Tua madre l'ha presa male. Malissimo.- sentii lo stomaco contrarsi dal senso di colpa -All'inizio credeva fossi solo molto impegnata, poi però un tuo Compagno è venuto a cercarti, ma non saprei dirti chi fosse.- disse subito anticipando la domanda che stava nascendo, spontanea -Ha sofferto e non lo meritava, sai?- inspirai ma non dissi nulla -Proprio no, una madre non merita questo.- non potei più trattenere la rabbia.
-Non pensi che abbia i miei motivi per aver agito così senza il bisogno che tu mi faccia la predica?
-Non ti sto giudicando, credimi.- assicurò il Nord rimettendo le briglie al cavallo -Solo che... tu che hai ancora tua madre non la perdere, ecco tutto.- mi passai le mani tra i capelli, tradendo la confusione che provavo -Non ti dico di restare, ma almeno falle sapere che stai bene. Ne ha diritto.- montò in sella e mi guardò -Allora? Cosa vuoi fare?- lo guardai, non sapendo cosa rispondere.
-Già, bella domanda...
 
Come avevo potuto lasciarmi convincere?
Era per quello che avevo deciso di andar via, per proteggerla. Per proteggerli. I sogni in quei due anni non erano affatto passati.
Anzi, si erano intensificati, oramai i sogni di Hircine e gli altri, quelli che mi accompagnavano da prima che contraessi la Bestia, mi venivano a trovare ogni notte, quasi volessero ricordarmi il motivo della mia scelta e al tempo stesso dirmi qualcosa.
Oramai avevo rinunciato a capire. Nemmeno Olava era stata in grado di dirmi ciò che mi attendeva...e se tutto in qualche modo fosse stato collegato al drago?
Ci avevo rimuginato: a Helgen il fuoco e il sangue non erano mancati, forse era questo ciò che intendeva dirmi la vecchia, forse ero sopravvissuta e tutto sarebbe tornato alla normalità, anche se definire normale la mia vita era una divertente storiella e nulla più.
Ma non era solo quello a frenarmi: non avevo diritto di ritornare nelle loro vite, nelle vite di mia madre e Hannet, nella vita di Vilkas. E non potevo restare immaginandomelo con un'altra, magari.
Il solo pensiero faceva male.
-Siamo arrivati.- mi sporsi appena, riconoscendo l'ingresso per il piccolo villaggio di Riverwood. Non era cambiato molto: il paesino si sviluppava su un'unica strada dove si affacciavano le case, l'Emporio e la taverna del Gigante Addormentato. Era oramai mattina e la gente si dirigeva a lavoro nei campi o alla segheria, fonte di maggior guadagno della piccola città. Quando scesi da cavallo poco mancò che due ragazzini sbattessero contro di me per giocare, ma i miei occhi erano già puntati contro la casetta che, più lontana dalle altre, sembrava richiamare silenziosamente la mia attenzione.
Hadvar mi mise una mano sulla spalla.
-Devo parlare con un mio superiore, riguardo Helgen considera la tua pena annullata.- annuii -Vai da loro, ti verrò a cercare più tardi.- annuii distrattamente e mi diressi verso la casa.
I miei sensi di Bestia mi permisero di percepire l'odore di spezie che proveniva dalla casa, di sentire le voci di Hannet e...
mia madre.
Mi era mancata la sua voce.
Mi accorsi di tremare, quasi, quando bussai alla porta.
-Arrivo!- potevo ancora scappare e lasciare che mia madre continuasse con la sua vita, potevo andarmene e tornare Cyrodiil come se niente fosse e... -Cosa...?- la porta si aprì così rapidamente che sobbalzai appena.
Mia madre era invecchiata da quando l'avevo vista due anni prima: i capelli che una volta erano neri erano oramai quasi totalmente grigi fatta eccezione per qualche ciocca, il volto era oramai ricoperto da una sottile trama di rughe intorno agli occhi e la bocca e gli occhi erano stanchi. Era ancora bella, ma di una bellezza sfiorita troppo in fretta.
E sapevo che per buona parte era colpa mia.
Deglutii, avevo la gola secca, non riuscii quasi a parlare davanti il suo sguardo incredulo e perso.
-I-io...- lo schiaffo mi arrivò in pieno volto, rapido e anche abbastanza doloroso.
Ma più che meritato.
-Due anni...- sibilò con voce tremante la donna, quando tornai a guardarla notai che il suo labbro si sforzava di non tremare, mentre i suoi occhi erano lucidi -Due anni senza sapere niente di te.- abbassai lo sguardo, e l'abbraccio che seguì mi colse di sorpresa.
Ero più alta di lei, eppure mi sentii come il cucciolo che dopo aver vagato sperduto per ora torna tra le braccia della madre, e forse era così, non mi accorsi di quanto il suo abbraccio ed il suo odore mi fossero mancati finché non li ritrovai, finché non potei immergermi nell'odore di casa.
-Ma stai bene! Siano venerati gli Otto! Stai bene...
La strinsi forte, fortissimo, tanto che dovetti allentare la presa per regolare la mia forza, lasciando che indugiasse finché avesse voluto, poi quando si staccò mi guardò e mi prese il viso tra le mani: mi sfiorò le cicatrici del viso, mi carezzò i capelli, e lo fece con una tale delicatezza e minuzia da mettermi quasi a disagio.
-Vieni, entra in casa. Devi raccontarmi tutto e...- storse il naso -E puzzi, devi farti un bagno. Si può sapere cosa...?- scosse la testa -Dopo, ne parleremo dopo.
-Che succede qui?- la vocetta petulante di Hannet.
Non credevo mi sarebbe mancata, eppure accolsi la comparsa della vecchietta con un sorriso che la lasciò disarmata, quasi.
-Ma guarda un po' chi si rivede...- sollevò poi il bastone a cui si reggeva e me lo puntò contro -Brutta screanzata irresponsabile! Ti pare questo il modo di sparire, eh!? Due anni senza nemmeno scrivere una volta! E tua madre? Ci hai pensato!?
-Hannet va tutto bene.- disse Sameera dopo aver chiuso la porta, e la vecchia bretone scosse la testa.
-Sì, come no! Va tutto bene, certo. Ah, questi giovani così indisciplinati...- si voltò per tornare nella sua stanza, ma prima di darmi le spalle mi lanciò un fugace occhiolino che mi lasciò sorpresa e al tempo stesso mi fece sorridere.
Dopotutto non era così male essere di nuovo lì.
 
Era oramai sera inoltrata.
Hannet si era andata a coricare, ma non prima di avermi interrogata pesantemente su cosa avessi fatto in quei due anni e più di assenza e soprattutto se avessi fatto le “porce cose”. Ah, mi era mancato anche il suo atteggiamento irritante, in fondo, e poi da quella volta che mi ero confidata con lei nel bosco, dopo aver scoperto della sua licantropia, la sentivo molto più vicina, tanto da riuscire a tollerarla.
-Sei davvero andata ad Hammerfell?- mi chiese mia madre mentre l'aiutato a sistemare i piatti della cena, un'attività normale per molti quanto insolita per me.
-Sì.
-E come ti è sembrata?
-Calda. E...bella. Ma davvero crudele.
-Crudele?
-Lì ci sono categorie di persone che qui a Skyrim non avrebbero futuro. Persone intrappolate nella loro condizione, con il viso tatuato come un marchio.- Sameera mi guardò.
-Parli dei Fiori di Loto.- annuii.
-Inoltre la differenza tra ricchi e poveri è ancor più sentita. Se a Skyrim i poveri muoiono di freddo, lì il caldo li divora lentamente, favorisce la trasmissione di malattie e c'è molto più degrado.
-Le puttane sono sempre esistite, Iris, anche qui a Skyrim.
-Sì, ma è diverso, è...- con un'alzata di spalle interruppi la frase, non sapevo come finire la frase -Non hanno vita al di fuori di quei bordelli, non hanno speranza. Sono così...rassegnate. E disprezzate. Però mi hanno curato quando il cittadino più rispettabile mi ha scansata come una criminale.
-Hai parlato con una di loro?
-Mi ha prestato delle cure quando nessun altro l'ha fatto.
 
Si sente così intorpidita...
Eppure si è riposata, è in viaggio da appena due ore. Il caldo di Hammerfell è insopportabile, ma allora come può sentire freddo?
Si tocca la fronte e si accorge di scottare.
Non può essere malata, non è possibile! La Bestia non permette al suo corpo di ammalarsi, ma allora...
Si appoggia ad un muro, bollente a causa del sole della zona, e nel fermarsi viene urtata da un passante.
-Levati di mezzo, appestata!- che bastardo!
Se solo potesse rispondergli per le rime e dargli una lezione...
Ma è così stanca che sente le energie mancare semplicemente camminando, non potrebbe mai sostenere un combattimento.
Deve solo trovare una taverna, una taverna per riposare, adesso.
Si guarda intorno. Avere la vista sfocata è un problema, e se qualcuno le permettesse di parlare anziché fuggire alla sua vicinanza le farebbe comodo chiedere indicazioni.
Cosa sta succedendo?
-N-non...ce...- cade a terra.
L'ultima cosa che vede è un'ombra che la fissa attraverso un velo candido.
Tutt'altra situazione, invece, al suo risveglio.
Sente ancora un po' freddo, ma almeno ha smesso di tremare e sudare. E soprattutto ci vede bene. È debole, ma si sente meglio.
-Ce l'hai fatta.- si accorge della presenza della donna, la stessa vista prima di svenire, che sta seduta accanto al suo letto.
È giovane, avrà appena raggiunto la trentina d'anni, ed è stupenda: i tratti tipici dei Redguard sono resi aggraziati, probabilmente non è di sangue puro, ha profondi occhi neri da predatrice e i capelli castani lasciati sciolti, perfetti. E sulla guancia sinistra tre lacrime nere.
-Chi... chi sei?
-Sei fortunata.- replica invece, ha una voce bella e profonda -In pochi resistono al veleno dello scorpione d'oro.- scorpione d'oro?
Ma certo.
La piccola creatura che le stava risalendo lungo la mano deve essere riuscito a pungerla prima che lo scansasse, eppure non ha sentito nessun pizzico.
-Non stupirti, la sua puntura è letale proprio perché celata al dolore.- il suo sguardo cade sulla mano fasciata.
-Mi hai salvata...ma chi sei?
-Non possiedo il mio vero nome da anni. Ma molti mi chiamano Fiore del Deserto.- uno strano nome.
-In che senso non possiedi il tuo vero nome?
-I Fiori di Loto non possiedono nome, straniera. Nemmeno il Loto Bianco.- non ci sta capendo niente con tutti quei fiori in mezzo, ma non le ci vuole molto per capire.
Le vesti della donna, per quanto candide come la purezza, sono succinti e invitano alle fantasie più perverse, la stanza è ricca di cuscini e il letto dove siete presenta lenzuola e tende fine. E quel tatuaggio...
-Sei una prostituta.
 
-Beh, come dice spesso nonna Hannet, non è tutto oro quel che luccica, dopotutto.
-Già.- le passai l'ultimo piatto di argilla e nel prenderlo Sameera indugiò a lungo sulla mia mano, carezzandola appena.
Era sollevata e felice di vedermi, eppure la sentivo timorosa e distante.
-Mamma...
-Come è finita con quella donna?
-Per ringraziarla feci un patto con lei. Mi avrebbe permesso di dormire in una delle stanze finché non mi fossi ripresa del tutto, e in cambio sarei stata la sua guardia del corpo.
-Guardia del corpo?
-Il bordello dove lavorava era spesso teatro di scene raccapriccianti. Poteva capitare che un cliente non volesse pagare, o che cercasse di portarsi via la donna. O ancora peggio che, ubriaco, cercasse di aggredirne qualcuna.
 
-Ti fa male?- chiede Fiore, come la chiama lei, mentre la tampona la ferita sul labbro.
-Ne ho viste di peggio.- replica la ragazza muovendo il meno possibile le labbra.
-Oh, lo immagino. Sei così piena di cicatrici. Una fortuna.- la guarda perplessa e la donna continua -Nessuno vuole una puttana con le cicatrici, per quanto graziosa. Agli uomini piacciono solo le tre lacrime.- osserva attentamente il suo tatuaggio.
Tre lacrime, una sotto all'altra, piccole e stilizzate. Eppure quelle lacrime sono un marchio, peggio di un incisione a fuoco, persino delle cicatrici sulla schiena della lupa.
-Perché tre lacrime?- chiede poi quando Fiore termina la medicazione.
La donna scura gira appena il volto, in modo che le tre piccole figurine siano ancor più visibili.
-Tre lacrime per tre significati diversi. Lacrime di dolore: quelle che non dovremo mai versare se non nel buio delle nostre stanze- posò tutto dentro il cassetto di legno -Lacrime di gioia, quella che non ci è più dato provare.- chiuse con un uno scatto -Lacrime di piacere, quelle che dovremo dare ad ogni uomo che vorrà aprirci le gambe.- sente un brivido lungo la schiena.
Quando la donna torna da lei i suoi occhi sono lucidi, ma non piange.
-È...terribile.- mormora la ragazza -E non puoi ribellarti? Non puoi andare...?
-Dove?- la interrompe Fiore, ridendo senza alcuno scherno nella voce -Non so fare altro, Iris.- ammette -Fin da quando avevo dieci anni sono stata istruita alla Via dei Sette Sospiri, non mi rimane altro che seguire quello per cui sono nata. Una volta che ci sei abituata non è nemmeno così terribile.- fa una pausa -È il mio destino.
-Anche tu con questa storia?- le viene quasi spontaneo arrabbiarsi, ma Fiore non centra niente, Fiore non sa.
-Anche tu?- la bella donna si siede accanto a lei, aggraziata e silenziosa -Siamo umani, Iris. E se qualcuno lì in alto, che siano i tuoi dei o i miei, ha deciso qualcosa per noi non ha senso combattere. Non si sfugge alla propria natura, come si non sfugge al proprio Destino.- stizzita distoglie lo sguardo da lei -Da cosa fuggi?
-Non fuggo da niente.
-Allora da chi fuggi?- sobbalza appena e china lo sguardo, senza rispondere -Capisco.
-No, non puoi capire. Nessuno può!
-Per favore, bambina. La storia dell'eroina solitaria non regge più. Sei una guerriera, una cacciatrice e anche una mercenaria, ma sei soprattutto una donna. Una donna giovane. Puoi vestirti di ferro invece che di seta, puoi tagliarti i capelli invece di pettinarli, puoi far sanguinare gli uomini invece che andare a letto con loro, ma...- le prende il viso con una mano in modo che possa guardarla -Una rosa senza petali resta pur sempre una rosa, ricordalo.- si libera dalla stretta della Redguard quasi con sgarbo, chinando gli occhi perché non possa vederli rossi.
-Allora è la peggiore di tutte, perché non ha che le spine da offrire!
 
Raccontai a mia madre solo la parte riguardante le lacrime, ma non potevo dimenticare come le parole di Fiore mi avessero colpito nel profondo. Partendo da Skyrim avevo messo da parte la mia parte umana, dicendomi che instaurare nuovi legami non avrebbe fatto altro che causare altre paure e sofferenze.
Non volevo legare con Fiore, ma lei riuscì ad inserirsi nel mio cuore senza che potessi evitarlo. Mi dicevo che era una puttana, che non dovevo fidarmi, che comunque restava una donna senza dignità e forza, insieme a tutte le altre due ragazze che lavoravano per lei. Continuavo a dirmi che ero finita nel degrado, dalla sede dei migliori guerrieri di Skyrim ad un bordello di Hammerfell, eppure a modo suo Fiore si preoccupava per me, faceva in modo che le altre ragazze mi trattassero bene e non mi disturbassero, e soprattutto mi medicava quando gli avventori del bordello si facevano troppo molesti e finivano per prendercele da me.
-E quando te ne sei andata?
-Quando la guerra contro i Thalmor arrivò anche lì. Quando il caldo e gli stenti fecero crollare tutto, anche le mura dorate del bordello.- mi asciugai le mani su di un panno ruvido e lo sistemai vicino alla tinozza usata per lavare i piatti.
 
Fiore guarda quella che per anni è stata la sua casa. E sospira.
Molte ragazze sono morte, molte se ne sono andate.
Ma è così. Il Morbo giallo non lascia scampo, è già tanto che lei sia scampata.
E Iris, beh, Iris non teme di ammalarsi, quanto di essere scoperta.
-Cosa farai adesso?- chiede alla Redguard, che alza le spalle.
-Me ne andrò in un'altra città. C'è sempre posto per quelle come me.- le sorrise -E tu?
-Io me ne vado a Cyrodiil.- risponde subito la Nord, senza esitazione.
-A casa tua?
-No.
-Umh...- Fiore la guarda -Ascolta un consiglio bimba mia.- la chiama bimba, eppure non le separano che pochi anni di differenza -Non andare contro ciò che sei, non fuggire.- si avvicina e Iris lascia che le prenda il viso tra le mani, come più di una volta ha fatto -C'è qualcosa di meglio per te che una vita da vagabonda.
Sorride amaramente.
-Tutti non fanno altro che dirmelo, ma nessuno mi spiega cosa sia questo “qualcosa di meglio”.
-Scoprilo da sola, allora.
-Non ora.- replica lei -Forse un giorno, Fiore...ma non ora.- la donna sorride.
-È già qualcosa.- le dà un bacio sulla fronte, rapido ed inaspettato, poi la lascia andare -Ora addio.
-Forse ci rivedremo.- Fiore scuote la testa.
-Non credo. Le nostre strade si dividono qui. Non ti ci vedo proprio nei bordelli di Hammerfell.- ridacchiano entrambe, poi la donna si avvia verso la strada, ma Iris la chiama.
-Qual'è il tuo nome?- gliel'ha chiesto un sacco di volte, ogni volta, ma non ha mai ottenuto risposta.
Anche se...
-Mi chiamo Fiore del Deserto, te l'ho detto.- Fiore è lontana, oramai, eppure è sicura di aver visto le sue labbra piegarsi in un piccolo sorriso -Ma tu puoi chiamarmi Anthea.
 
-Non è stato così terribile lasciarla.- ammisi dopo aver finito di raccontare, oramai sedute al tavolo della piccola cucina -Ma è stato...strano.- feci una pausa -Ho sempre disprezzato quelle come lei, eppure mi ha salvata quando nessuno l'avrebbe fatto. E...beh, mi sono chiesta spesso che fine abbia fatto.- tornai a guardare Sameera e vidi che aveva gli occhi lucidi -Mamma?
-Avrei dovuto essere lì io con te...- non dissi nulla -Quando sei stata avvelenata.
-Mamma.- le presi una mano, mi accorsi che tremava -Sto bene, è andato tutto bene e...
-Ma poteva non essere così! Avresti potuto morire per colpa di quello scorpione ed io non avrei potuto fare niente per aiutarti.- si coprì il volto con le mani, sottraendole al mio tocco -Non capisci? Non capisci cosa è stato per me non avere tue notizie per due anni? Non sapere dov'eri, se stavi bene, se eri...eri...- riprese fiato, mentre dentro di me sentivo crescere un magone allo stomaco, sempre più forte, sempre più pressante -Due anni.- ripeté di nuovo.
Abbassai lo sguardo.
-Dovevo andarmene. Per accettare e dimenticare molte cose. Non...non potevo restare. Nemmeno per te.
-Sono tua madre!- replicò lei allora con più fervore.
Aveva ancora gli occhi lucidi, ma non avrebbe pianto, lei non piangeva mai.
-Sono solo una madre...- aggiunse ancora, ora più calma -Non capisci che se muori anche tu non sono niente? Sei mia figlia, sei la mia ragione di vita. Sei l'unica cosa che mi è rimasta di tuo padre.- chiusi gli occhi per evitare che le lacrime scendessero, io potevo essere una guerriera, ma forse non avrei mai posseduto la tempra di Sameera -Non mi resti che tu, Iris.- concluse alla fine.
Mi alzai in piedi e mi diressi verso la sua sedia, poi mi inginocchiai a terra, quasi cadendo di peso, come se le gambe non potessero più sorreggermi, poi circondai la vita di mia madre ed appoggiai la testa sulle sue gambe. Lasciai che mi abbracciasse, che appoggiasse la sua testa sulla mia, che mi carezzasse soffocandomi, quasi, con il suo odore.
-Promettimi che resterai...- mormorò, continuando ad accarezzarmi la testa, e mi morsi il labbro.
-Non posso prometterti una cosa del genere.- replicai, poi alzai il viso per guardarla -Ma posso prometterti che stavolta lotterò per farlo.- poteva non sapere della licantropia, potevo proteggerla dal fuoco e dalle fiamme che incombevano su di me, poteva non sapere molte cose, ma quella era mia madre, l'ultimo genitore che mi fosse rimasto, una donna che avevo fatto soffrire e che meritava più di una figlia come me.
In qualche modo avrei provato a farmi perdonare, avrei provato a donarle un po' di gioia.
 
Note dell'Autrice
Ecco qui un capitolo un po'...dolce?
Sì, dolce e calmo. Ho voluto rivelare uno degli episodi che si sono verificati durante i viaggi di Iris, e inserire questa prostituta. Il tatuaggio delle lacrime è ispirato a “le cronache del ghiaccio e del fuoco” del vecchio zio Martin, le ho trovate molto pittoresche. Ho voluto inoltre affrontare una piccola parte del carattere di Iris, quella in cui per dare spazio al suo essere Compagno e guerriero ha messo da parte il suo essere donna, ma come dice Fiore, non si può fuggire da quel che si è. Non so come mi è venuta in mente questo personaggio, è nato in fretta e all'improvviso, ma mi piace moltissimo. Spero piaccia anche a voi che leggete. Ah, un grande grazie va ad Afep che mi ha consigliato il nome Anthea.
E poi ho voluto approfondire il rapporto tra Iris e sua madre. Avevo promesso che Sameera sarebbe tornata, e spero di averla resa più viva ed interessante, di aver reso un po' più il rapporto madre/figlia, molto difficile da raccontare senza essere banale.
Ora vi lascio, alla prossima settimana
 
Lady Phoenix
  
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