Nota di inizio: è
passato tanto tempo da quando ho scritto questa storia, e rileggendola dopo
tutto questo tempo mi sono accorta che non mi soddisfaceva più, né esprimeva nel
modo migliore quello che intendevo trasmettere. Essendo per indole
ultraperfezionista, ho deciso di radere al suolo tutto e riscriverla
completamente; nuovo stile, nuovi punti di vista, qualche aggiunta alla trama.
È vero che si tratta di un episodio piuttosto transitorio nella mia sottospecie
di saga su Lily e James, ma ha comunque una sua importanza. Come per la shot precedente, sono molto grata a chi a suo tempo mi
lasciò delle recensioni, che ho conservato per ricordo; spero che in questa
nuova veste la storia possa risultare ancora più gradevole.
Buona lettura
Jane
Non era certo anomalo che qualcuno
degli studenti in procinto di salire sull’Espresso per Hogwarts fosse
irrequieto, il primo di settembre. In genere accadeva soprattutto ai ragazzini
undicenni che si apprestavano a frequentare il primo anno; ma era normale
sentirsi eccitati all’idea di fare ritorno alla scuola di magia. Certo, vedere
James così nervoso era piuttosto insolito, per me e gli altri: la sua iperattività congenita era rinomata, ma in quel momento
Prongs era incupito, non allegramente impaziente come d’abitudine. Continuava a
spettinarsi i capelli, e il secondo dopo sembrava dannarsi per averlo fatto.
Non facevo fatica a comprendere il perché; Lily gli aveva chiaramente detto di
detestare quel suo gesto, ma se potevo esser certo di qualcosa era che in
questo momento James non lo stava facendo per darsi delle arie. Era un tic
nervoso, un’azione inconscia che non riusciva ad evitare; il suo modo di
muoversi e di comportarsi era ormai sfuggito al suo controllo razionale, e lui
non poteva fare nulla per evitarlo.
Mi lasciai sfuggire un sorriso,
che cercai di nascondere per non fargli pensare che stessi ridendo di lui; mi
faceva semplicemente tenerezza il modo in cui si comportava, perché ero
piuttosto sicuro di conoscerne la ragione.
“Ricordati che ti ho addestrato per tutta l’estate, vedi di non
farmi fare la figura del fallito” gli sussurrò Sirius all’orecchio, simulando
alla perfezione un tono vagamente minaccioso. James fece una smorfia,
stringendosi nelle spalle.
“Ho come la sensazione che dovrai rassegnarti a fare questa fine,
invece” replicò, imbronciato. Sirius non gli dava tregua un solo attimo: era
assillante, invadente e fastidioso come una mosca, ma io sapevo che agiva a fin
di bene. Questo, per James, era il momento di maggior vulnerabilità, e se
avesse ceduto all’agitazione e allo sconforto pessimistico che da un paio di
mesi avevano preso possesso della sua psiche, non ci sarebbe stato più nulla da
fare.
“Ah, non dire sciocchezze” gli rispose Sirius, dandogli uno
spintone che per poco non lo fece cadere addosso al carrello delle valigie. A
titolo di ringraziamento gli toccò un’occhiata fulminante. L’attimo dopo James
si voltò a guardarmi, beccandomi in pieno mentre ancora sorridevo e scuotevo la
testa.
“Ti prego, di’ qualcosa, difendimi, non ce la faccio più” mi
supplicò, disperato. Il mio sorriso si allargò.
“Non so quanto il mio intervento potrebbe esserti utile, Prongs,
considerato che Sirius non mi ascolta mai” risposi pacatamente, indirizzando a
Sirius un sorriso di consapevolezza. In risposta lui roteò gli occhi, storcendo
la bocca, come faceva sempre quando non approvava.
“Se non gli stessi con il fiato sul collo costantemente, questo
rammollito sarebbe già corso a stendere un tappeto rosso sulla scalinata in
attesa della Evans, e nel frattempo si sarebbe disteso sulla banchina per
permetterle di salire agevolmente sul treno”.
L’espressione sarcastica che brillava negli occhi di Sirius non mi
fu per niente d’aiuto e, incapace di trattenermi, scoppiai a ridere insieme a
lui. Fu più forte di me, e a differenza di quel pazzo di Padfoot cercai di
trattenermi, ma non riuscii ad impedire a James di incrociare le braccia con
aria seccata.
“Adesso cucitevi la bocca, tutti e due” ci disse, a denti stretti,
guardandoci storto.
“Oh, avanti, Prongs, non prendertela così a male. Lo sai bene che
siamo tuoi amici, e gli amici che cosa ci stanno a fare vicino a te se non per
sfruttare ogni singola occasione di divertirsi alle tue spalle?”
Soffocai la risata, cercando di guardare Peter, anziché Sirius.
Forse questo avrebbe placato la mia ilarità improvvisa.
“Hai un concetto piuttosto particolare di amicizia, Pads” osservò lui.
“Ma no, Wormtail, pensaci bene: se io non fossi suo amico e
l’avessi preso in giro in questo modo, mi avrebbe già riempito di botte.”
“Volete stare zitti, dannazione?”
Io, Sirius e Peter ci voltammo contemporaneamente verso James. Lo sguardo gli si era pietrificato, le pupille dilatate. Seguii la
direzione del suo sguardo e compresi immediatamente, senza bisogno di
spiegazioni; sapevo bene che per Prongs era difficile controllarsi quando Lily
era nei paraggi, e in quel momento, dopo che per due mesi non aveva avuto
neppure una volta la possibilità di vederla, era comprensibile che fosse
agitato.
Ovviamente, Sirius non era d’accordo con tutto questo. Era
determinato a dimostrarsi intransigente nei confronti di ogni segno di
cedimento da parte di James; per questo lo afferrò per le spalle senza
preavviso e lo voltò verso di lui. James lo respinse con un gesto di stizza.
“Scusami, non sei altrettanto bello da guardare”.
Fece per girarsi di nuovo verso Lily, ma Sirius gli afferrò la
testa tra le mani e gliela riportò di fronte a lui con un gesto secco.
“Aspiri per caso a rompermi l’osso del collo?” gli chiese Prongs,
e io e Peter ci scambiammo uno sguardo fintamente preoccupato. Sirius rispose
con una smorfia.
“Magnifico, mi fa davvero piacere constatare che hai già rimosso
tutto quello che ho inutilmente cercato di insegnarti quest’estate invece di
comportarmi da bravo studente modello e mettermi a fare i compiti delle
vacanze, per una volta”.
James, tutt’ad un tratto, sembrò quasi
sentirsi in colpa. Padfoot riusciva sempre a ricondurlo ai suoi ordini, con i
suoi subdoli giochetti psicologici.
“Non ho una memoria così pessima, se proprio ci tieni a saperlo”
borbottò, a fatica. Un sorrisetto di esultanza cominciò a dipingersi sul volto
di Sirius.
“Benissimo, e sentiamo, che cosa ti avevo detto riguardo ad una
situazione di questo tipo?”
James inarcò un sopracciglio, cercando di scacciare l’imbarazzo.
Dondolava nervosamente una gamba, continuando a infilare le mani in tasca e a
estrarle dopo qualche secondo per sistemarsi il maglione, allentare il colletto
della camicia, grattarsi una tempia.
“Di far finta che non ci sia nessuna Lily Evans” rispose, a mezza
voce, chinando lo sguardo.
“In realtà, ti avevo anche suggerito di dimenticarti completamente
il suo nome, di scacciare la sua immagine dalla tua testa, e di ignorare
perfino il fatto che ha una nuova amica niente male”.
Lanciai un’occhiata scettica alla ragazza Corvonero che stava
chiacchierando con Lily, a diversi passi da noi. Quello era il periodo in cui
Sirius si sentiva lanciato, con le ragazze.
“Non la vedo da due mesi, non è giusto, non è possibile che tu
abbia il diritto di guardare quanto vuoi e io no” protestò James, giustamente.
Sirius chiuse gli occhi, scuotendo la testa. Poi fissò di nuovo lo sguardo su
di lui. I suoi occhi lampeggiarono, e le sue mani lo afferrarono di nuovo per
le spalle.
“Senti. Qual è stato l’insegnamento fondamentale che ho cercato di
trasmetterti, quello che ti ho ripetuto fino ad avere la nausea? È che le devi
sembrare indifferente. Capisci cosa vuol dire indifferente, o sei davvero così
idiota come vuoi far credere di essere?”
“Sì, sì, lo capisco”.
Povero Prongs. Mi dispiaceva sinceramente per lui. Chissà che
razza di vacanze infernali aveva trascorso; come se non bastasse, ora Sirius
non gli concedeva un attimo di respiro.
“Benissimo, e allora, se lo capisci, comprenderai anche che
sembrare indifferente significa ignorarla, far finta che lei non esista,
smettere di rincorrerla per i corridoi, di guardarti sempre intorno per
accertarti che lei stia guardando te, di incantarti a fissarla durante le
lezioni, di scrivere il suo nome su un foglio, di appostarti davanti al bagno
delle ragazze, in sostanza, di non concentrare tutte le tue attenzioni e le tue
energie su di lei”.
“Sì, sì, lo so. Meglio il Quidditch”.
“Bene, vedo che qualcosa allora l’hai davvero imparata, testa di
legno”.
James strinse le labbra e fissò lo sguardo ai suoi piedi, sul
pavimento. Probabilmente, messo in soggezione da Sirius, stava cercando di
convincersi che fosse più interessante di Lily Evans.
“Hanno aperto i vagoni” osservai.
“Bene, allora andiamo a sederci” rispose Sirius, afferrando James
per le spalle e trascinandoselo dietro, fingendo di dimostrarsi protettivo.
Scossi la testa, sorridendo, mentre anche io e Peter ci apprestavamo a
seguirli.
Che ne pensavo io di tutta quella faccenda? Mi dispiaceva che
James avesse sofferto, chiaro, durante gli ultimi giorni di scuola prima
dell’estate ero stato diretto testimone del suo stato d’animo e Sirius non
aveva mai mancato di sottolineare, nelle lettere che mi aveva spedito, tutte le
volte che era caduto in depressione ripensando a quanto era successo con Lily.
Però, ora, vedevo chiaramente che James stava facendo uno sforzo, cosa
assolutamente non da lui; le uniche volte vita mia in cui avessi mai visto
James impegnarsi seriamente in qualcosa erano state quando avevano deciso di
diventare Animagi e quando si trattava di battere Serpeverde a Quidditch. In un
modo o nell’altro avrebbe dovuto risollevarsi da quella delusione, e non era
detto che questo non avrebbe finito per giovare alla sua tempra morale.
***
“A dopo, Moony!” salutai, giulivo, mentre Remus si dirigeva verso
la carrozza dei Prefetti. Mi sentivo elettrizzato per via dell’imminente
ritorno a Hogwarts, perché durante l’estate io e James avevamo avuto un’idea
assolutamente grandiosa: disegnare una mappa del castello, una mappa magica
ovviamente. Qualcosa che avrebbe racchiuso tutti i nostri segreti e che sarebbe
stato soltanto nostro.
Mi voltai verso James e lo vidi che guardava fisso il punto in cui
Remus era appena scomparso, senza emettere un suono né degnare della benché
minima attenzione me o Peter. Wormy scambiò
un’occhiata con me stringendosi nelle spalle, e a quel punto io decisi di
armarmi dell’ennesima dose di pazienza e di trascinare via James con l’uso
della forza.
“Non invidiarlo” gli dissi, camminando in fretta e voltandomi
soltanto per assicurarmi che Peter stesse al passo. Il mio migliore amico
assunse un’espressione di disappunto, e io esibii un ghigno che non mi
preoccupai certo di nascondere. Mi sembrava di leggergli nella mente in quel
momento, e di potergli rispondere forte e chiaro: sì, James, davvero ti
conosco così bene.
“Ma figurati. Non passerei mai tutto il mio viaggio in quello
scomparto nemmeno se fosse la Evans ad invitarmi” replicò lui, tentando di
risultare credibile. Scambiai con Peter una smorfia scettica.
“La prossima volta cerca di essere più convincente” commentai. Era
necessaria più enfasi, più credibilità, più spontaneità…
“Comunque stai facendo progressi, James. È già qualcosa” lo
incoraggiò Peter, e io sorrisi, lasciando correre. Per una volta, potevo anche
lasciare che James ricevesse lusinghe e non bastonate.
“Grazie, Pete, tu sì che mi capisci”
rispose lui, con un tono da povero martire che mi fece sentire come se lo
stessi tenendo al guinzaglio e trascinando al patibolo. Ridicolo. James doveva assolutamente
riacquistare la sua spina dorsale, per il suo solo e unico bene. Perché se
c’era una cosa di cui ero convinto, era che Prongs dovesse riprendersi. Era
inutile e stupido star male per una donna, e per quanto la nostra estate
insieme fosse stata fantastica non erano mancate le occasioni in cui aveva
messo il muso e gli erano quasi spuntate le lacrime, prima fra tutte quella in
cui avevamo ricevuto i risultati dei G.U.F.O. e io,
senza pensarci, gli avevo battuto una pacca sulla spalla facendogli notare che
in Difesa contro le Arti Oscure aveva superato se stesso, guadagnandosi un
Eccezionale. E ci stava ricascando, in
questo momento. I segnali erano chiari: sguardo perso nel vuoto, espressione
funerea, evidente incapacità di distogliere la mente da pensieri nocivi. Non
volevo vedere il mio migliore amico in quello stato. Per questo avevo cercato
di fargli capire che la cosa migliore era far finta di essere indifferente alla
Evans: a furia di sforzarsi avrebbe finito per crederci davvero, e avrebbe
smesso di pensare a tutte le idiozie che lei gli aveva vomitato addosso.
“Dobbiamo per forza finire in fondo al treno come ogni volta?”
chiese, a un certo punto.
“Se non vogliamo andare a far compagnia a Snivellus…” stava
dicendo Peter, rabbrividendo per l’orrore, quando nel momento più sbagliato
possibile spuntò la Evans da uno degli scomparti. Si stava sistemando il
colletto della camicia. Precisa e in ordine, impeccabilmente bacchettona come
al solito. Stavo per aprir bocca e borbottare qualcosa, ma poi decisi masochisticamente di verificare se James avesse
effettivamente compiuto dei progressi.
“Ciao, Potter” lo salutò infine lei, quando quel qualcosa che era
calato su di noi come una cappa di fumo smise di inebetire i loro riflessi.
Trascurai il fatto che io e Peter dovevamo essere diventati invisibili, e tenni
gli occhi puntati sulla nuca di James.
“Ciao, Evans” rispose, con un cenno del capo. Si spostò
leggermente sulla destra per far sì che entrambi riuscissero a passare, riprese
a camminare e continuò a muovere le gambe, imperterrito, senza sfoderare uno
solo dei suoi classici gesti di repertorio con cui normalmente tentava di
attirare la sua attenzione. Incredibile.
“Dicevi, Pete?”
Wormtail gli si mise a fianco e cominciarono a chiacchierare di
qualcosa di banale, e io cominciai a rilassarmi, lasciando che un sorriso
soddisfatto mi invadesse il viso da un orecchio all’altro. Ce l’aveva fatta,
contrariamente ad ogni mia previsione: aveva mantenuto il controllo e aveva
tirato dritto, non si era fermato a parlarle per chiederle come aveva trascorso
l’estate e neppure si era spettinato i capelli, cosa che, a dispetto di tutte
le volte che gli aveva sentito dire che non voleva più farlo in vita sua, era
diventata la sua mania ossessivo-compulsiva più
gettonata all’incirca dall’inizio di agosto.
Giunti all’ultimo scomparto del treno, spalancai la porta e mi
stravaccai su uno dei sedili.
“Grandioso!” si complimentò Peter, una volta fuori dalla portata
di orecchie indiscrete. James sorrise, illuminandosi in volto, come un bambino,
e mi guardò. Io mi ero cancellato il sorriso ultragongolante dalla faccia, ovviamente;
non potevo dargli la soddisfazione necessaria a sentirsi fiero di se stesso fin
da ora, col rischio che poi finisse per adagiarsi sugli allori e ricominciare
con la solfa estiva. Perciò mi limitai a sfoggiare un lieve ghigno obliquo e ad
annuire.
“Sì, sei andato quasi bene” commentai. James sospirò di disappunto
e mi lanciò un’occhiata esasperata.
“Pretendi troppo” mi rispose, con aria critica.
“Pretendere troppo sarebbe chiederti di farla finita con la Evans,
amico” obiettai, e ancora una volta mi ritrovai a percepire nettamente i suoi
pensieri: lo sapeva, che quello era pretendere troppo. Ma io mi
divertivo a farglielo pesare un po’.
“Non ce n’è bisogno. James riuscirà a farle capire che cosa si è
persa, dicendo che gli preferisce una Piovra Gigante” sentenziò Peter,
sorridendo e battendogli una mano sulla spalla. Prongs lo guardò con
riconoscenza.
“Chi lo sa, magari le Piovre Giganti hanno doti che io non ho”
rispose poi, ridendo, quasi timidamente. Io lo fissai interdetto. James che
faceva dell’autoironia? Credevo fosse una di quelle
cose che non avrei mai, mai e poi mai sentito in vita mia. James era sempre
stato terribilmente vanitoso, impegnato al massimo per dare agli altri quella
che riteneva fosse la migliore immagine di sé; altro che il sottoscritto, che
non si preoccupava di farsi vedere in pigiama da tutta la Sala Grande o che si
pettinava soltanto quando ne aveva voglia. Certo, James non si pettinava mai,
ma lui lo faceva apposta, perché riteneva che non pettinarsi gli desse un’aria
da ribelle fascinoso. Io lo prendevo in giro dicendogli che sembrava un manico
di scopa al contrario, dotato di gambe e braccia, e lui non mi aveva mai
fatto la grazia di ridere a questa mia battuta.
E adesso, ironizzava su una delle parti di quel discorso che più
gli avevano roso le viscere durante l’estate.
C’era qualcosa che mi sfuggiva.
“Toglimi una curiosità. Ti stai impegnando per sparare queste stronzate?”
Lui mi guardò seriamente per un attimo, poi il suo volto si
contorse in una smorfia e scoppiò inevitabilmente a ridere.
“Sicuro” mi disse, cercando di ricomporsi ma riuscendoci in
maniera paurosamente pietosa. Sospirai, rassegnato. Forse con un po’ di
esercizio avrebbe cominciato a risultargli naturale.
***
La cena nella Sala Grande era come quella di tutti gli anni. Abbondante, fino a far scoppiare. E carica di quell’effetto straniante che mi causava una sonnolenza sufficiente ad addormentarmi di colpo, immerso com’ero nei miei pensieri.
Tant’è vero che Sirius doveva continuamente darmi una scossa per tenermi sveglio e farmi partecipare attivamente alla conversazione.
Quest’anno però era peggio. Le mie riflessioni sul sesto anno di scuola rischiavano di assumere una prospettiva quasi deprimente. Non coltivavo più quell’illusione ingenua e infantile che fino all’anno scorso mi spingeva a sporgermi periodicamente oltre la tavolata per cercare di individuare una persona ben precisa, immersa come al solito in una delle sue fitte conversazioni con il suo gruppo di amiche. Cominciai a domandarmi com’era possibile che non mi fossi mai accorto di quanto lei non badasse alla mia presenza. Eravamo arrivati ad incrociare gli sguardi un paio di volte, e lo scambio di occasionali battute al vetriolo era, come sempre, all’ordine del giorno, ma niente di più. E io ero riuscito a nutrirmi di questo, ad alimentare i miei fantasmagorici castelli in aria aggrappandomi ad appigli così sporadici. Era semplicemente assurdo. Mi comportavo davvero come un bambino. Non avevo poi così tante ragioni di lamentarmi se Sirius mi trattava peggio di sua madre: evidentemente ne avevo ancora bisogno, nonostante avessi ormai sedici anni suonati.
Quest’anno sarebbero cambiate molte più cose. Ma prima di tutto, sarei cambiato io. Non potevo arrivare ad acquistare la smisurata fiducia in se stesso di Sirius o la calma padronanza di sé che possedeva Remus o l’ottimismo volenteroso tipico di Peter, ma potevo migliorarmi. In fondo, tutti i bambini crescono, una volta a contatto con il mondo. Cadono, si rialzano e continuano per la loro strada, lamentandosi anche meno di quanto avessi fatto io.
Era questione di impegno. Qualcosa che, ad essere veramente onesti, non ero abituato a concepire. A scuola non avevo mai dovuto faticare: dicevano che ero intelligente, che avevo un'ottima memoria, di fatto in quanto a risultati ero sempre stato uno dei migliori. Il Quidditch non mi aveva mai presentato dei problemi. Era un'abilità naturale, la mia, che non mi faceva avvertire il minimo sforzo quando giocavo. Mi concentravo sulla Pluffa senza avere bisogno di costringermi a farlo, la passavo ai compagni e la scagliavo in porta sempre al momento giusto, come se si trattasse di una passeggiata. Forse l'unico assaggio di impegno mai provato nella mia vita l'avevo avuto quando io, Sirius e Peter ci eravamo dati da fare per diventare Animagi. Ma per Lily, non avevo mai creduto che ne avrei avuto bisogno. Ero convinto che prima o poi anche lei si sarebbe lasciata vincere con facilità, per una pura questione di attrazione reciproca. Tutti gli altri mi ammiravano incondizionatamente, e questo era diventato un'abitudine, un fattore del tutto scontato.
Ma ormai ne avevo preso atto.
Avevo trascorso un’estate d’inferno, con Sirius che cercava continuamente di farmi la paternale, e io che desideravo soltanto rinchiudermi nella mia pietosa sofferenza e lasciare che tutto il resto andasse alla deriva, svuotando la mia vita di ogni significato. Avevo toccato ogni fondo di precipizio possibile, e mi ero scorticato le mani fino a sanguinare nel tentativo di risalire. Ma mi era servito di lezione. Ora sapevo che non potevo arrendermi di fronte alla realtà dei fatti, e accettare in silenzio l’evidente disprezzo di Lily. Era più forte di me, anche se non riuscivo a darmi una motivazione sensata per tutto quello che stavo facendo.
Mi ero sempre ingegnato per escogitare il modo migliore di esibirmi davanti a Lily, di lasciarla a bocca aperta, di impressionarla, ma avevo solamente ottenuto l’effetto contrario. Soltanto dopo avevo capito che quello non ero io. Era soltanto la mia parte più stupida, quella che vedeva in un paio di ridicole esibizioni il punto di massima realizzazione, la mia dimostrazione di bravura più estrema.
Nessuno ne aveva bisogno. Tantomeno io. Volevo soltanto essere me stesso, e smetterla di temere che se l’avessi fatto Lily non mi avrebbe trovato abbastanza interessante.
***
“Proprio non capisco perché devi essere così crudele. Ti ho
chiesto di copiare solo un compito, accidenti!” esclamò Sirius, furioso. Avevo
quasi paura: sembrava che dovesse esplodere da un momento all’altro, ed essendo
lui uno dei miei migliori amici conoscevo fin troppo bene gli effetti
devastanti della sua rabbia.
“Che casualmente è proprio quello più difficile che ci sia stato
assegnato” osservò Remus, con il sorrisetto tipico di chi non ci casca.
Ammiravo decisamente la sua capacità di far fronte a Sirius quando era così imbufalito; gli riusciva
decisamente meglio di quanto riuscisse a chiunque altro.
“Senti, lo sai cosa ho dovuto passare per cercare di tirar su di
morale questa zucca vuota, davvero non ne ho avuto il tempo…” supplicò Sirius,
quasi sul punto di inginocchiarsi. Io mi sforzai con tutto me stesso di
trattenere una risatina impellente.
“Già, il tuo è stato davvero un impegno notevole” lo canzonò
Remus, con divertito distacco. James incrociò il mio sguardo e mi sorrise con
complicità, prima di tornare ad immergersi nel libro di Artimanzia; mi resi conto improvvisamente che
anch’io avrei dovuto studiare, sarebbe stato meglio se volevo evitarmi
l’ennesimo rimbrotto da parte della McGranitt, ma seguire quel battibecco
d’inizio anno era diventato irresistibile.
“Non eravamo amici, di grazia?” chiese Sirius, cominciando a
stizzirsi sul serio. Remus inarcò un sopracciglio, alzando appena lo sguardo
dal foglio di pergamena che aveva sulle ginocchia.
“Se non sbaglio, il tuo concetto di amicizia consisteva nel
ridersi alle spalle con il vantaggio di non ricevere una punizione per questo”.
Io e James ci guardammo di nuovo e scoppiammo sonoramente a
ridere, incapaci di trattenerci, mentre Sirius alzava gli occhi al cielo a
pugni stretti e labbra serrate, con l’aria di chi si sta trattenendo
dall’impulso di compiere un omicidio. Mi fece piacere notare che James sembrava
essere finalmente riuscito a distrarsi e a ritrovare un po’ di serenità. Era
rimasto incredibilmente pensieroso per tutta la cena, e mi era dispiaciuto, ma
tutte le volte che avevo cercato di fargli notare qualcosa di positivo riguardo
alla Evans lui aveva semplicemente sospirato. Evidentemente gli faceva proprio
male parlarne, e avevo pensato che fosse più giusto lasciarlo solo con i suoi
pensieri.
Ovviamente non era giusto che James fosse stato maltrattato dalla
Evans. Non se lo meritava. James era una brava persona, una delle migliori che
io conoscessi, ed era il mio migliore amico; potevo quindi affermare con
sicurezza che non si pavoneggiava per niente, e che non era uno stupido pallone
gonfiato. Però lui ci era rimasto male per quello che lei gli aveva detto, e
quindi, se ora voleva dimostrarle quanto valeva realmente, io sarei stato dalla
sua parte, in tutto e per tutto.
E fintanto che Sirius persisteva nel privarlo di ogni minima
consolazione, il mio appoggio non gli avrebbe fatto altro che bene.
“Bene bene,
guarda chi arriva” disse a un certo punto Padfoot, a mezza voce, lanciando a
James un’occhiata eloquente. Lo guardai con comprensione, riuscendo quasi a
sentire il balzo che il cuore gli fece nel petto mentre allungava l’occhio per
riuscire ad osservare il gruppo di ragazze che era appena entrato in sala
comune. In quel momento, per Prongs, le altre avrebbero anche potuto non
esistere, probabilmente.
Osservai Sirius, carico di attesa, per verificare quale sarebbe
stata la sua prossima mossa, e notai che era ritornato incredibilmente calmo,
rispetto a poco fa. Fissava James con uno sguardo severo molto simile a quello
che mia madre mi puntava addosso quando mi beccava sul punto di fare qualcosa
che non avrei dovuto fare, e di scatto spostai gli occhi su James. Anche lui di
colpo sembrò ritrovare la pace interiore, si lasciò sfuggire un sospiro e chinò
di nuovo la testa sul libro di Artimanzia,
scuotendola appena; poi riprese in mano la piuma e la fece scorrere sulle
pagine, assumendo un’espressione molto concentrata, che credevo gli avrei visto
in volto soltanto quando giocava la finale di Quidditch.
Sorrisi, ammirato per la sua bravura nel far finta di nulla. Io
non ci sarei mai riuscito.
Ovviamente, la Evans era in mezzo a quel gruppo di ragazze.
C’erano tutte, quelle del nostro anno, e probabilmente se ne stavano andando a
dormire; queste, di solito, erano le occasioni in cui James entrava in
fibrillazione e non c’era verso di distrarlo, ma l’episodio dei G.U.F.O. doveva averlo davvero
segnato, perché ora stava riuscendo a comportarsi come se tutto fosse normale e
ad ignorare la presenza della Evans in maniera magistrale. Questo è il mio
migliore amico. E io ero convintissimo che ce l’avrebbe fatta.
Un coro di “ciao” e “buonanotte” si levò dalle ragazze, e la Evans
vi si unì con distaccata cortesia. Nonostante questo, James non alzò gli occhi
dal libro. Fece soltanto un lieve e quasi distratto gesto con la mano,
immergendosi a fondo nei suoi pensieri, come per isolarsi dal resto del mondo.
Non riuscii a trattenermi dal gettargli un’occhiata raggiante per il suo
successo, anche se non mi avrebbe notato, incollato com’era a quelle pagine. L’Artimanzia doveva evidentemente
avere qualcosa di interessante, per quanto io ancora non fossi riuscito a
coglierlo.
Prongs sollevò lo sguardo qualche secondo dopo, quando ormai le
ragazze stavano salendo le scale dirette al dormitorio, perdendosi nelle loro
chiacchiere. Gettò a Lily una muta occhiata di sfuggita, e mi sembrò di colpo
più serio e più grave del solito. Lei aveva un’aria pensierosa, per chissà
quale motivo; di certo io non la conoscevo abbastanza per poterlo dire, e
perfino James si era spesso lamentato del fatto che le donne – con ogni
riferimento voluto – nella maggior parte dei casi fossero talmente
impenetrabili da far perdere la testa.
Ma questi discorsi sembravano essere storia vecchia, ormai. James
si chinò di nuovo sul libro, e mentre lo osservavo di sottecchi notai che quasi
sorrideva. Mi sforzai di trattenermi fino a quando le ragazze non furono
entrate nel dormitorio dalla prima all’ultima, poi lanciai un gridolino di gioia e scossi il
braccio di James, esultando.
“Sei stato grande!” gli dissi, e gli si illuminò il volto. Poi lui
guardò verso Sirius, che fino all’ultimo mantenne in sospeso il suo giudizio,
mentre un’espressione enigmatica gli aleggiava sul volto.
“Sì, più o meno era questo che intendevo” disse infine, ma con un
sorriso che gli andava da un orecchio all’altro e uno sfavillio nello sguardo
che non potevano celare quanto in realtà anche lui fosse orgoglioso per il successo
di James.
“D’accordo, ma ora non montarti la testa” gli rispose lui,
ridendo. Mi sentii grande, come se di colpo fossimo tutti pronti ad affrontare
il sesto anno, con tutte le sue difficoltà: le carte in tavola avrebbero potuto
cambiare, e io ero pienamente fiducioso in James.
Nota:
ho
voluto fare un esperimento. Un esperimento piuttosto grosso, ma ci terrei a
sapere se mi è riuscito, non avendo mai provato a dar voce ai Malandrini al
completo; per me non ci sono soltanto Lily e James, ci sono anche Sirius, Remus
e Peter, e mi interessava dar voce anche a loro. Mi auguro che la storia sia
piaciuta, e annuncio: sto preparando un’altra shot
inedita per questa raccolta, che spero di poter completare il più presto
possibile. Alla prossima! Aggiungo
le risposte alle recensioni per la scorsa shot, non
so per quale motivo mi sono andate perse nella formattazione. Eccole qui: x potterina_88_: sei stata brava nel
coglierlo, mostrare James in un modo diverso dal solito era sicuramente uno dei
miei obiettivi principali. Non credo che quell’episodio sia stato solamente “il
peggior ricordo di Piton”, ma anche suo, in un certo senso: i suoi sentimenti
ne sono rimasti feriti, ma poi è giunto tutto il resto e la sofferenza l’ha
fatto crescere, come si vede qui. Ti ringrazio moltissimo per i complimenti e
per aver commentato ^^ x Eowyn88: innanzitutto grazie
per i commenti assidui che rivolgi sempre alle mie fanfic,
sappi che ne sono onoratissima… coincidenza davvero, comunque ^^ ti ringrazio
molto per i tuoi complimenti, l’unica cosa è che sul finale della scorsa shot non mi sembra proprio di aver tagliato nulla, ho anche
ricontrollato ^^ ma non c’è problema. Un bacione e a
presto! x parisienne: anche a te va il mio
grazie per la tua assiduità, non credo di meritarmelo così tanto, però mi fa un
immenso piacere ugualmente ^^ il mio segreto? Mah… genericamente parlando,
penso che sia davvero molto difficile che esistano persone e personaggi piatti
e bidimensionali. E poi, alla mia vena masochistica piace indagare nel dolore X°D scherzi a parte, provare a dare una spiegazione
soddisfacente alla domanda “ma come è possibile che due Lily e James come li
abbiamo visti nella scena del Pensatoio abbiano poi finito per sposarsi?” per
me è stata una sfida, e posso soltanto sperare di esserci riuscita almeno un
pochino. Un bacione, a presto!