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Autore: Mewpower    28/06/2013    2 recensioni
C'era una volta in un regno dai mille colori, una principessa. Tanta era la sua felicità da quando il Buon Padre le aveva dato in dono un magnifico passerotto a cui lei era si era davvero affezionata. Un nero giorno,però, l'animaletto scompare e la vita della giovane si fa scura e impregnata d'angoscia... Basterà la nascita di un nuovo sentimento a rincuorarla...? Come la purezza può fondersi con lo sporco più infimo... Storia di una principessa, di un passerotto e di un lupo.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Itachi, Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima di iniziare a leggere:
WAAAAAAAAAAAAA >O< chiedervi perdono ancora e ancora non servirebbe a nulla....ma lo faccio comunque: vi chiedo perdono! Sì perché chiunque di voi abbia seguito questa storia fin dall'inzio probabilmente ora, con questo ultimo capitolo, non capirà più nulla...forse...dato che è da molto che non pubblico più nulla!
Il tempo per scrivere per me è sempre meno... ma nonostante questo sono riusciuta a chiudere la storia con questo capitolo. Mi auguro che sia di vostro gradimento, che tutta la storia lo sia stato!!
Così la vostra Mewpower vi saluta...e vi prometto che, se mai scriverò qualche nuova fanfiction, lo farò con regolarità...perché sennò è solo una sofferenza per voi aspettare ed una sofferenza per me non trovare il modo di andare avanti con il racconto!! >______<
Grazie a tutti quelli che mi hanno seguito e...commentate se volete!! <3 kiss









Sotto un cielo sereno d'estate, la natura viveva e passava il tempo in compagnia degli amici animali che si divertivano a correre spensierati tra erba e terra oppure a riposare sotto l'ombra fresca degli alberi più alti e ricci di foglie.
Il sole si limitava ad assistere alle loro allegre esistenze, immobile e scintillante sopra tutte quelle testoline pelose o meno che decoravano quel paesaggio fatto di sola pace e tranquillità.
Era da molto tempo che non si aveva una stagione del genere: il vento mitigava il clima permettendo agli esseri viventi di qualunque specie di non soffrire per il caldo; l'abbondante pioggia dell'inverno passato e i saltuari, ma docili, temporali dei giorni precedenti  aveva permesso il buon riempimento dei fiumi principali, i quali garantivano risorse d'acqua per gli animali ed i villaggi più sperduti tra quelle terre.
 In aperta campagna, non si poteva desiderare nulla di più per i propri campi e i propri bestiami;  l'immagine,quindi, che si presentava dinnanzi agli occhi di un qualsiasi spettatore risultava quasi idilliaca, come da favola.
Così, in effetti, sembrava anche per quelle poche persone che, ricercando in quei luoghi serenità e calma, si stabilivano là provvisoriamente o per sempre.
Era frequente notare delle coppie fermarsi per picnic pomeridiani all'aperto, oppure vecchi che con i loro bastoni amavano passeggiare per ore e ore in quei posti dimenticati da tutti, perché vuoti di case, di uffici o di botteghe che nel loro complesso finivano per trasformarsi in un villaggio.
Per raggiungerne uno sarebbero occorse ore e ore di cammino; per cui la gente che occasionalmente si scorgeva tra quelle lande floride, ma desolate, erano eremiti, o anziani che pur di non abbandonare la terra natia avevano preferito restare nella propria baracca e passare lì gli ultimi anni della loro esistenza, mentre figli e nipoti se ne stavano nei villaggi lontani, con le loro fatiche e i loro mestieri da portare avanti.
Chi voleva avere, quindi, una vita comune, oppure denaro, o trovare fortuna, aveva necessariamente bisogno di trasferirsi nei centri abitati; chi sperava invece in qualcosa di diverso, di pacato, della pura pace estrinseca dalla frenesia di appartenere ad un gruppo, amava rimanersene in solitudine, vivendo di quel che produceva la terra e il cielo; senza però malumori o invidia per coloro che credevano invece di aver trovato il branco di appartenenza.
Magari questo li faceva sentire migliori, o chissà forse solo più sicuri di sé.
Lavorando insieme, sostenendosi a vicenda, il singolo (forse con la propria famiglia) può sperare di sopravvivere ai troppi ed imprevedibili fattori che dall'esterno potrebbero intaccare la propria felicità...
Invece, coloro che vivevano isolati, fuori dal mondo, sembravano essere molto più sicuri e lieti al confronto dei comuni abitanti di quei villaggi lontani.
Forse non se ne rendevano conto davvero, forse alcuni di loro non pensarono mai di fare un paragone con gente così distante dalle loro scelte, ma se mai qualcuno arrivava a tale conclusione, di essere più felici standone da soli, non era per illudersi,né per stoltezza, né per cecità.
Al contrario, essi lo costatavano direttamente, guardando i prodotti che crescevano dal loro lavoro nei campi e nei boschi; osservando gli animaletti che allevavano con cura; o i propri piccoli “cuccioli”, i loro figli che crescevano spensierati e belli, giocando e imparando dalla natura;o ancora fissando le proprie mani sporche e la fatica pesante sul petto, ma sentendo al contempo il cuore battere forte per la soddisfazione di avere tutto il cibo di cui avevano bisogno, tutte le tegole necessarie e ben disposte sopra i loro tetti come riparo e quell'unica compagna che nonostante tutto aveva deciso di seguire quel “ lupo solitario”.
I lupi fanno così del resto: nascono in un gruppo, sono allevati da quel gruppo e crescono in esso, ma se poi sentono la necessità o l'obbligo di andarsene, non posso fare nulla contro quel loro istinto individualista.
Ognuno lo fa per un motivo diverso; non sempre comunque per motivi egoistici o futili.
Anzi, spesso si è pure cacciati dal branco, oppure si è costretti per forze maggiori, magari ingiuste, ad abbandonare quella vita che si amava.
I motivi possono essere molteplici, ma alla fine chi sa apprezzare ciò che si può raccogliere anche da esperienze così sconvolgenti, è colui che senz'altro guadagna di più e può infine nuovamente sorridere.
Così era successo a lui, a quell'Uchiha dai capelli lunghi e corvini che se ne stava in piedi, a braccia conserte, osservando i gioielli del suo lavoro e del suo amore.
-Ci sei quasi.- disse rivolgendosi a quel cucciolo che, arrampicatosi su quel pesco si sforzava con tutto sé pur di riuscire nell'impresa di meravigliare chi lo stava osservando.
-Solo un piccolo sforzo...- commentò allora a bassa voce credendo che ce l'avrebbe fatta a...
Ma qualcosa dovette andar storto, tant'è che l'esserino lassù in cima finì per sbilanciarsi e con un piccolo grido si ritrovò tra le braccia del ragazzo che lo afferrò al volo, senza problemi.
-Tutto a posto?- chiese quindi; e il bambino mordendosi il labbro rispose mostrando la pesca che aveva in mano.
-L'ho presa!- e ridacchiando contento sembrava aver dimenticato il volo di qualche metro appena compiuto.
Allorché Itachi non poté non sorridere a sua volta, contento di vederlo felice seppur con così poco.
-Bravo, non era facile arrampicarsi così in alto.- e poggiandolo a terra gli scompigliò i capelli scuri.
-Mi raccomando, però, non dire alla mamma che ti ho permesso di arrivare così in alto, mh?- aggiunse facendogli l'occhiolino e il bambino annuì.
Un richiamo a diversi metri di lontananza fece voltare entrambi e senza fiatare si apprestarono ad allontanarsi dal pescheto che ormai da qualche anno era divenuto florido e ricco di quei frutti che piacevano tanto a quel bimbo curioso.
-Dove eravate? Vi ho cercato ovunque.-
Hinata, anche lei col sorriso sulle labbra, portava con una mano un cesto vuoto e nell'altra una manina più piccola della sua, ma dotata dello stesso candore.
-Eravamo nel pescheto per controllare se ci fossero già pesche da cogliere. Ce ne sono diverse già mature, non è vero, Sasuke?-
Il piccolo fece di sì con la testa e porgendo il frutto alla bambina che era con Hinata esclamò:
-Hai visto, Sakura? L'ho colta da solo, senza l'aiuto di papà!-
Hinata sorrise appena, intenerita per l'entusiasmo del figliolo, caratteristica comune dopotutto per tipetti della sua età.
La risposta di colei a cui si era rivolto fu più loquace del previsto: si affrettò ad abbandonare la mano della mamma e con rapidità afferrò il frutto sfilandolo dalla presa del fratellino.
 -Allora non ti dispiacerà coglierne un'altra!-  e ridacchiando allegra si mise a correre con l'inevitabile seguito del fratello.
Ad un certo punto, comunque, i suoi occhi quasi cristallini si rivolsero nuovamente all'indietro verso i genitori.
-Dai, papà!- gridò la bambina, non appena raggiunse la staccionata che faceva da entrata al pescheto – Voglio cogliere anche io una pesca! Anche io sono capace ad arrampicarmi come fa lui!-
Seguirono così pure le parole dell'altro bambino, che girò a sua volta il suo sguardo, differente di quello della sorella, perché fatto di pece, ma non meno bello e luminoso:
-Sì, papà vieni! Cogliamone altre!-
Così entrambi si inoltrarono tra gli alberi verdeggianti, festeggiando l'abbondanza anche per quell'anno di così tanti frutti color dell'oro.
-Allora, sarà meglio che vada a “non dare una mano”.-  Itachi si rivolse alla Hyuga in questo modo, prima di accennare un passo verso la loro stessa direzione...
-Itachi...- ma ella lo trattenne un attimo, il che fece subito pensare al moro che il rimprovero fosse inevitabile. Non era stato saggio permettergli di arrampicarsi così in alto...dopotutto aveva solo cinque anni.
-Prendi questo. Vi servirà.- invece, lei non fece altro che dargli il cesto che si era preoccupata di andare a prendere sapendo che pure la piccola aveva intenzione di fare altrettanto insieme ai due uomini della famiglia.
Lui sorrise prendendolo con sé, ma volle accostarsi un poco per sfiorarle una guancia con le labbra.
-Sakura assomiglia sempre di più a te.-
Alché lei rispose al sorriso e con un lieve di rossore aggiunse:
-No, direi che assomiglia più a te.-
Rimase un po' titubante prima di rispondere ancora...
-Mh, pensandoci però hai ragione... -  ma infine capì quel che voleva dire ed in effetti non poteva darle torto.  -E' testarda come suo padre... mentre Sasuke... è spontaneo proprio come te.-  e allora le sorrise come mai fino a pochi anni prima sarebbe mai riuscito a fare e Hinata fece altrettanto salutandolo più con gli occhi che le brillavano piuttosto che con la voce.
Era compiaciuta delle sue parole, ma era evidente che ognuno di loro vedeva qualcosa dell'altro in quelle piccole creature, i loro bambini.
Si strinse nelle proprie braccia, guardando l'amorevole scena del papà che si apprestava a dare una mano prima ad uno, poi all'altro gemellino a salire verso l'alto e a raccogliere quel frutto tanto prelibato.
Ancora non le sembrava vero che tutto quello che stava osservando fosse realtà e non più fantasia o illusione...
Dopo anni di sofferenza e di travaglio, erano riusciti a coronare un sogno in comune, quello di trovare la tranquillità, lontani dalla caoticità del villaggio e della guerra,  la gioia di avere nuovamente una famiglia e la speranza che tutto ciò che stavano costruendo perdurasse nel tempo, all'insegna del loro amore.
-Spero che tutto questo non finisca mai...- mormorò quasi a sé stessa, quando invece il suo interlocutore risultava essere qualcun altro.. . -era proprio come dicevi tu: l'importante è non arrendersi mai...vero, Naruto-kun?-
I suoi occhi non erano rivolti verso il cielo, o verso una lapide come usava fare un tempo... ora fissava le sue mani, appoggiate ad un ventre rotondeggiante, gioioso nell'attesa di una nuova nascita imminente.



 
La principessa ora aveva una nuova casa,
meno bella all'esterno, ma piena di ricchezze affettive al suo interno.
Il lupo si era trasformato in tutto ciò che aveva sempre desiderato:
un principe che l'amasse e che le regalasse la gioia di diventare mamma.

  
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