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Autore: ste87    29/06/2013    16 recensioni
"Sposto ancora lo sguardo e per poco non mi affogo con quello che sto bevendo quando mi accorgo chi è seduto due tavoli più in la. Non posso evitare di agitarmi ogni volta che lo vedo, se poi lo scopro in compagnia di altre donne è anche peggio. Con lui faccio sempre finta che non mi importi con chi si frequenta e che può fare quello che vuole della propria vita, ma non posso negare di sentire una fitta dilaniante alla base del cuore quando ci comportiamo come due estranei. Ma ormai è questo che siamo diventati, due estranei che si fanno costantemente la guerra per non rischiare di far riaffiorare dei sentimenti che ci farebbero solo soffrire. Lo so io, lo sa lui e lo sanno le persone che ci stanno intorno, almeno quelle a cui teniamo di più." Bella e Edward sono divorziati e genitori di una bambina di nome Sophie. Cosa li ha portati alla separazione? E soprattutto riusciranno a ricucire un rapporto lesionato da tempo? Non vi resta che leggere!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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CAP. 11

                         


Ecco il nuovo Cap.
Ho fatto il prima possibile.

Spero che vi piaccia, ci vediamo giù!


Capitolo 11
Ci sono le coppie storiche, belle da morire.
Ci sono i ragazzini annoiati che si 'amano' dopo una settimana.
Amori che sbocciano all'improvviso.
Ci sono i fidanzatini possessivi che si incatenano l’un l’altro fino ad odiarsi.
 Ci sono i coniugi insofferenti.
 Gli amanti teneri e sognatori.
E poi ci siamo noi.
 Dove, di preciso, non si sa.

-The Haunted.


-Mia… moglie?-
Edward mi guarda con la bocca spalancata, sembra che il pallore che aveva quando sono entrata si sia improvvisamente  accentuato. L’acqua del bicchiere è schizzata dappertutto e non potrei chinarmi ad asciugare nemmeno se volessi. Sono letteralmente pietrificata.
-Moglie, sì. Ex moglie a dire la verità- non so se confessargli che ultimamente ci stavamo riappacificando, forse è meglio parlarne in un altro momento.
-Grazie, questo mi fa sentire meglio- dice sarcastico.
-Hai ragione, forse avrei dovuto cominciare dall’inizio-
-Ed io che credevo di essere stato brutale quando ti ho detto che non avevo la più pallida idea di chi tu fossi. Mi hai completamento spiazzato- si porta entrambe le mani a massaggiare le tempie e allora capisco di aver esagerato. Ho trascurato  totalmente le raccomandazioni del medico. Gli ho quasi procurato uno choc!
Anzi, è sicuramente così.
-Senti, forse è meglio se ne parliamo davvero un’altra volta. Non voglio che ti affatichi. Il tuo Dottore non me lo perdonerebbe mai e nemmeno io, se dovesse succederti qualcosa-
-Sto bene, non preoccuparti. Adesso che hai sganciato la bomba non puoi tirarti indietro, devi raccontarmi tutto-
-Ma tu… non puoi… cioè, voglio dire… - mi metto a balbettare imbarazzata, vorrei cercare di sviare il discorso. Ci sono così tante cose che dovrei raccontargli, primo fra tutti l’argomento “Sophie”, solo che un altro choc a meno di dieci minuti dall’altro gli procurerebbe sicuramente un infarto.  
Però d’altra parte…
Insomma, l’uomo che amo e allo stesso tempo affetto da amnesia, mi chiede di raccontargli dal principio tutta la nostra vita insieme, vita che in seguito all’incidente ha completamente dimenticato. Praticamente mi serve su un vassoio d’argento la possibilità di raccontargli ogni cosa ed io rifiuto? No, non posso tirarmi indietro. Segretamente è quello che ho sperato accadesse sin da quando mi sono messa in macchina per raggiungere l’ospedale.
Mi fissa irrequieto sistemarmi meglio sulla sedia (tolgo sciarpa e cappotto e li appendo alla spalliera) mentre con misurata arrendevolezza mi osserva cedere alla sua richiesta.
-Bene, da dove vuoi che cominci?-
-Mmh, non so, dal principio?- chiede retorico ed io non posso evitare di alzare gli occhi al cielo. Ancora non riesco a credere di trovarmi qui. Poter parlare di nuovo con lui,  sentirmi di nuovo tanto attratta da questa persona così diversa ma in realtà così uguale al mio Edward, mi sembra un miracolo. Nell’uomo che ho di fronte riconosco il mio Edward solo in parte. Riconosco la sua spensieratezza e la facilità che ha di rapportarsi con gli altri, tratto che ha contribuito a farmi perdere la testa per lui tanti anni prima, ma non vedo quella luce che emanava l’Edward che è venuto nel bagno del ristorante di Jenny, rude e passionale, a dimostrarmi il suo amore.
Voglio con tutto il cuore che quell’Edward ritorni perciò non posso fare altro che stare al suo gioco.
-C’erano una volta un ragazzo e una ragazza…- lo prendo in giro solo per il gusto di vedere la sua reazione.
-Okay, non così dal principio- rido per qualche istante della sua faccia esasperata e poi torno seria.
-Scusa, non ho resistito-
-È strano sai?- dice improvvisamente aggrottando le sopracciglia.
-Cosa?-
-La tua risata. È stano ma, mi sento come se…non so spiegartelo, è come se dentro di me sapessi di averla già sentita- il mio cuore perde un battito.
-Davvero?-
-Sì-
-Dovremmo dirlo al tuo medico, forse…-
-Non c’è fretta- mi blocca prima che finisca di parlare – lo farai dopo, adesso ho una storia da ascoltare- e poi mi sorride. Non è un segreto che io non riesca a resistere al sorriso di Edward, tutti lo sanno.
Ha sorriso in un modo tutto nostro, come se sapesse quali sono i punti giusti da toccare per vedermi capitolare, tant’è che per un secondo mi domando se sia realmente affetto da amnesia o se stia semplicemente facendo finta. Sì, come no! Come se una persona possa divertirsi a fingere di aver perso la memoria, mi do della cretina solo per averlo pensato e mi concentro di nuovo sulla storia.  
-Okay, dal principio… beh innanzitutto non ci siamo nemmeno presentati- allungo una mano verso la sua e aspetto che la stringa nella mia.
-Piacere Isabella Swan, ma tutti mi chiamano Bella-
-In questo “tutti” sono compreso anche io?-
-Naturalmente-
-Bella eh?-
-Il nome ti dice qualcosa?-

Ti prego dì di sì, ti prego dì di sì.

Lo vedo assottigliare gli occhi come per concentrarsi su qualcosa di estremamente difficile.
-No, mi dispiace- la mia delusione è lampante. Forse dovrei evitare di mostrarmi entusiasta per ogni piccolo dettaglio, lo metto sotto pressione e questo non gli fa bene.
-Non preoccuparti, è tutto okay. Dunque dov’eravamo rimasti?-
-Veramente non hai neppure cominciato-
-Giusto. Allora partiamo dalla sera in cui ci siamo conosciuti, ti va?-
-Sono tutto orecchi-
-È successo cinque anni fa, a casa dei tuoi genitori. Tuo padre aveva dato una mega festa alla villa di Riverbank-
-Ah… eri un’invitata?-
-No, niente affatto. Ero una cameriera, lavoravo per il servizio di catering che tuo padre aveva assunto per quella sera- la faccia di Edward è tutto un programma. Magari si aspettava che gli dicessi di essere la figlia di un miliardario di New York.
-Sei sorpreso- la mia non è una domanda. Lui aspetta un po’ prima di rispondermi.
-Sarò sincero. Sì, sono molto sorpreso- poi vedendo la mia faccia mortificata si affretta ad aggiungere – non che io ritenga impossibile impegnarsi in una relazione con una cameriera…-
-Lo dici come se fosse una cosa sbagliata-
-Non sbagliata, no-
-E allora cosa vuoi dire?-
-È che ricordo… beh all’epoca frequentavo una ragazza, per questo mi sembra strano che io e te… si insomma, hai capito no?-
-Sì, ho capito- non riesco a reprimere un moto di rabbia. Si ricorda della sciacquetta che aveva prima di conoscermi, ma non si ricorda di me. La vita certe volte fa veramente schifo – comunque, non vi frequentavate più da qualche mese quando ci siamo conosciuti. Me lo hai detto tu quella sera stessa-
-Ti ho detto anche come mai ci siamo lasciati?-
-Mi pare dicesti, testuale, “Kate, quella stronza, mi ha tradito per mesi”-
-E per caso ti ho detto anche con chi?-
-Con un certo Garrett se non ricordo male-
Si prende qualche secondo per metabolizzare la notizia e mi guarda sbalordito.
 
Come se avessi appena parlato in Sanscrito!
 
Sono sorpresa di vedere la sua faccia contratta in una smorfia di dolore, mi aveva detto che con questa Kate le cose non erano affatto serie.
-Che c’è?- mi ritrovo a chiedergli sgarbata – scusa, ma quando ci siamo conosciuti non avevi alcun interesse per questa fantomatica ragazza. Perché ora reagisci così?-
-Non sono sicuro di voler condividere la mia vita con un’estranea, anche se sembra conoscermi meglio di chiunque altro!- sbotta stizzito.

Mi avrebbe fatto meno male un intervento a cuore aperto.
Se solo servisse a fargli vedere in quanti pezzettini ha ridotto il mio povero muscolo cardiaco con quest’ultima affermazione mi sottoporrei all’istante.
Vorrei urlare tutti gli improperi più volgari che conosco ma sono costretta a mordermi la lingua e ad accettare, anche se controvoglia, che questa è la verità: io sono un’estranea per lui. Non posso pretendere che si apra con me, che si fidi dopo nemmeno un’ora di chiacchiere. Non posso recitare il ruolo della mogliettina gelosa, non posso dimostrarmi arrabbiata o svilita se mi da una risposta diversa da quella che vorrei.
Probabilmente colpito dalla mia espressione abbassa gli occhi mortificato.
-Non era mia intenzione farti arrabbiare, scusami- è giusto che sia io a farmi avanti, non voglio caricarlo di nessuna colpa.
-No, scusami tu. Anche se non mi ricordo di te non ho nessun diritto di essere scortese. Tu stai solo cercando di mettere a posto i tasselli mancanti del puzzle-
-Già, spero di non combinare danni-
-Nessun danno. Stranamente mi fido di te anche se ti conosco appena, e credo a quello che mi stai dicendo. Che ne dici di andare avanti?-
Annuisco rilassandomi meglio sullo schienale della sedia.
-Garrett è, era a questo punto, uno dei miei più cari amici- mi coglie alla sprovvista; pensavo che avessimo dichiarato chiuso il discorso.
-Avevo capito che Kate mi tradiva, ma non essendo una storia seria non ho mai dato il giusto peso alla faccenda. Garrett mi diceva sempre che non avevo nulla di cui preoccuparmi, che Kate pendeva dalle mie labbra e che non mi tradiva con nessuno. Per questo ci sono rimasto male quando mi hai detto il suo nome. Evidentemente alla fine ho scoperto il loro gioco, almeno così mi pare di aver capito o sbaglio?-
-No, non sbagli, è quello che mi hai detto quando ci siamo conosciuti-
-Bene voltiamo pagina. Non ne voglio più parlare-
-Ne sei sicuro?
-Assolutamente. Allora? Cosa ti ho detto quella sera per farti capitolare? Siamo arrivati alla parte più succosa e rimpiango di non avere con me una busta di popcorn!-
Rido di gusto davanti al suo tentativo di sdrammatizzare.
-La prossima volta potrei corrompere una delle infermiere?-
-Sarebbe fantastico-
-Dunque, dov’ero rimasta? A sì, la festa su a Riverbank. È stato così imbarazzante!-mi porto le mani al viso per coprire il mio rossore. Non dovrei mostrarmi così interessata, d’altra parte gli ho appena detto che siamo separati, ma è più forte di me.
-Perché?-
Prendo un respiro profondo; improvvisamente mi sento una bambina euforica ed eccitata.
-Beh perché in un primo momento mi sentivo fuori posto, non avevo mai visto tanto lusso in vita mia. Il salone immenso era pieno di gente ed io dovevo districarmi come un anguilla in mezzo ai tavoli e a tutti quei ricconi. Avevo una paura tremenda di inciampare in qualche velo di taffetà e stramazzare al suolo. Stavo appunto dribblando un’attempata signora stabile quanto un funambolo ubriaco, quando ti ho intravisto nella folla- arrossisco maggiormente solo al ricordo.
-Ti ho folgorata con il mio fascino forse?-
Non rispondo alla sua provocazione e il rossore sul mio viso si accentua di più.
-Non ci credo. È così?- annuisco debolmente- quindi è stato un colpo di fulmine il tuo?- lo dice come se fosse una cosa brutta e tanto ridicola.
-Più o meno. Ti ho visto da lontano ma è bastato qualche secondo per…- fermati, fermati! Urlo internamente, prima di dire qualche stronzata. Ancora non è pronto.
Mi schiarisco la gola prima di continuare –… la serata è stata magnifica. Il cibo era ottimo e nessuno si è lamentato del mio servizio- concludo telegrafica.
-E io? dove sono io in tutto questo?-
-Ci sto arrivando! Dunque… avevo appena finito di portare l’ultimo vassoio di bicchieri sporchi in cucina e volevo raggiungere il resto dello staff in giardino. Ero così stanca che non mi reggevo in piedi. Ancora oggi non so spiegarmi come abbia fatto a sbagliare direzione, ma invece di andare in giardino ho percorso il corridoio inverso che portava alle stanze da letto-
-Oddio, non dirmi che noi…- indica con un dito prima me e poi lui.
-Ma no, cosa ti salta in mente?- urlo scandalizzata - sei sempre stato un gentiluomo Signor Cullen. Non avresti mai approfittato di una donna stanca e con un tremendo mal di piedi-
-E allora cos’è successo?-
-È successo che una musica mi ha guidata da te-
-Wow, neanche nei film si sentono cose così zuccherose-
Rido divertita e anche lui si unisce a me, ma è costretto a fermarsi subito per il dolore che gli procura alla testa – già, ma posso giurarti che è la verità. Stavi suonando quella che ancora oggi considero, consideriamo, come la nostra canzone- gli lancio appositamente dei segnali  - il suo suono mi ha condotto da te, e nel momento in cui ho aperto la porta e ho incrociato i tuoi occhi, ho capito che niente sarebbe stato più come prima-
Resta zitto per qualche secondo a fissarmi; forse ho davvero esagerato questa volta. Il mio cuore batte come un forsennato, ho la sensazione che possa schizzarmi fuori dal petto.
-Ti ho proprio folgorato eh?- dice con un sorrisetto compiaciuto.
-Diciamo che è stata reciproca la cosa- è stupito, ma non lo lascia a vedere.
-Mmhh e poi? Cos’è successo dopo?-
-Mi hai sorriso e…-
-E…?-
-Beh, mi hai invitato ad entrare e hai chiesto il mio nome. Dopodiché hai fatto una battuta sdolcinata su quanto secondo te mi rispecchiasse appieno e mi hai invitato a ballare-
-No, non ci credo!-
-Credici perché è così-
Mi piace vederlo così stupito per qualcosa che lui stesso ha compiuto tempo fa e della quale non si ricorda.
-Aspetta, se ero io a suonare il pianoforte chi ha suonato per noi?-
-Non ci crederai signor Cullen, ma ti sei messo a cantare-
Si porta le mani a coprire la faccia e lo vedo arrossire di colpo – tu stai mentendo! E spudoratamente anche-
-Hai fatto tutto tu, davvero. In effetti nemmeno io mi aspettavo tanto miele ma è stato un gesto terribilmente romantico- non riesco a reprimere una risata- io mi sono solo limitata ad obbedire. Pendevo dalle tue labbra e mi sono lasciata fuorviare dal tuo linguaggio poetico e rassicurante-
-Sarà, ma non mi sembri così ingenua da lasciarti abbindolare così facilmente da un uomo-
Dipende di quale uomo parliamo vorrei ribattere ma mi mordo la lingua.
-Ero solo una ragazzina, non ho potuto farci niente. I miei ormoni hanno preso il sopravvento- ride di gusto ma una smorfia di dolore lo trattiene dall’esagerare.
-Ora capisco perché mi sono innamorato di te sei anni fa. Sei uno spasso Bella-
Oddio, non posso credere a quello che ha appena detto. Non ne sono sicura ma credo di aver perso qualche tonalità di rosso dalla faccia.
-Perciò scommetto che ti ho chiesto d’uscire-
-Sì, ma io ho rifiutato-
-Perché?- di nuovo quello sguardo stupito.
-Beh perché io non ero una miliardaria, non avevo nulla da offriti e mi sentito terribilmente fuori luogo a stare con te. Voglio dire: chiunque avrebbe pensato che lo stessi facendo per interesse. Abbiamo passato una bellissima notte, abbiamo parlato davvero tanto, però non sono riuscita a dirti di sì quando mi hai chiesto un appuntamento-
-Però alla fine hai accettato-
-Non ho potuto fare altrimenti, visto che ti sei presentato sotto casa mia l’antivigilia di Natale con l’assurda convinzione di portarmi a pattinare-
-Credimi, ogni secondo che passa rimango sempre più allibito-
-Mi hai portato alla pista di pattinaggio del Rockefeller Centre e mi hai offerto una cioccolata calda. Beh, è stata una bella serata-

Passiamo il resto del tempo a parlare dei vari appuntamenti che abbiamo avuto fino a che con la stessa naturalezza con la quale mi direbbe che ho del dentifricio sulla maglietta mi chiede:  
- E perché ci siamo lasciati?- saltando tutta la parte del matrimonio e della convivenza e arrivando subito al punto.
-Facciamo che te lo racconto un’altra volta?- dico agitata mentre guardo distrattamente l’orologio e mi accorgo che l’orario visite è quasi finito. Non voglio che tutto finisca così in fretta. Mi incatenerei a questa sedia se solo potessi. Ma gli argomenti stanno diventato spigolosi.
-Non se ne parla nemmeno. Voglio sapere come è andata, e lo voglio sapere adesso-
Mi stupisco del suo fervore. Improvvisamente mi guarda come uno che in punto di morte ti chiede di esaudire il suo ultimo desiderio. Capisco quanto possa essere importante per lui colmare il vuoto che sente dentro.
-Tornerò a trovarti e ti racconterò ogni cosa, promesso- cerco di tenerlo calmo ma sbuffa contrariato e per un secondo mi sfiora l’idea che possa mettersi a piangere. Perciò è istintivo per me allungare una mano per fargli una carezza, come faccio con Sophie quanto cade e piange fino a che con un bacio non guarisco la sua “bua”.
Afferro saldamente la sua mano nella mia e con il pollice comincio a massaggiare il monte di venere. Lui si irrigidisce immediatamente e capisco di essermi spinta troppo oltre i limiti che mi ero prefissata di rispettare.

“Non toccarlo. Non dirgli quello che provi. Non essere invadente”  


Diciamo che in un colpo solo li ho buttati giù tutti e tre, come massi da un dirupo.
La sudorazione della mia mano comincia a diventare imbarazzante e la ritiro di scatto. Lui mi guarda stupito e impacciato.
-Vedi? È per questo che voglio che tu continui a parlarmi del mio passato. Io non mi ricordo di te, ma sento che quello che fai, la tua risata e il tuo tocco- si interrompe per riprendermi la mano e il cuore mi schizza in gola- sono una quotidianità che ho perso. Ma io non sono così. Almeno il me rimasto a sei anni fa non era affatto così. Io non mi sarei mai sposato-
Le sue parole mi fanno male, avrei dovuto dimostrarmi più distaccata e invece sono qui a bearmi del contatto con il suo palmo. Sento la sua pelle morbida ed elastica, le sue dita lunghe e affusolate, la sua grande mano che stringe ancora una volta la mia e non capisco più niente.
Dopo un po’ trovo solo la forza di dire – cosa intendi?-
-Che non mi sono mai comportato così con una donna. Non ho mai suonato o cantato per lei, neanche per fare colpo. Non ho mai sentito il bisogno di tenere una mano stretta nella mia, ma l’Edward nuovo, quello che conosci tu lo farebbe eccome vero?-
-Sì- mi perdo nei suoi occhi e nella carezza dolce della sua voce. Penso di guardarlo con la faccia da pesce lesso ma non mi importa.
-Capisci ora perché voglio sapere ogni cosa? Per capire che persona sono adesso. Sei anni di vita sono davvero tanti. Un bambino impara a camminare, parlare fluentemente e andare a scuola in sei anni!-
Ed eccola lì, la parolina magica, quella che ho temuto di pronunciare sin da quando ho messo piede in questa stanza e che mi fa tornare con i piedi per terra: “Bambino”.
Io e te abbiamo una figlia Edward, come faccio a dirtelo?
Ora capisco più che mai che non è pronto per affrontare una tale realtà. Anche se nell’immensità di cose che ho da dirgli questa è senza dubbio la prima.
Qualcuno bussa alla porta proprio mentre sto per cedere alla pressione del suo sguardo implorante.
È l’infermiera che mi ricorda che l’orario delle visite è terminato e che devo andare via.
-Sì, un attimo- le rispondo prima di voltarmi a guardare Edward. Lo trovo con gli occhi chiusi e con la faccia girata dall’altro lato, come se stesse dormendo. Ma lui non sta dormendo. La sua freddezza mi ferisce ma non posso biasimarlo.
Cosa faccio? Mi domando. Non vuole che lo saluti, in effetti non saprei cosa dirgli oltre a “ci vediamo domani”. Sa che sono, ero, sua moglie, ma questo non cambia nulla. Al momento sono solo una sconosciuta che gli ha raccontato la storia di due persone totalmente diverse dalle persone che siamo ora. Ha sorriso, ha riso più volte, ma è una storia che non lo tocca in nessun modo se lui per primo non è coinvolto sentimentalmente.
Perciò rispetto la sua volontà. Infilo il cappotto, prendo la borsa e con un’ultima occhiata mi volto e vado via, con un po’ più di leggerezza nel cuore rispetto a quando sono arrivata e felice di aver trascorso un’ora in compagnia dell’uomo che amo, fiduciosa che presto si sistemerà tutto.
In che modo resta un mistero.

Nemmeno due minuti dopo sono difronte l’ascensore e cerco il cellulare nella borsa per controllare le chiamate quando mi cade a terra il portafogli e il volto di mia figlia mi guarda sorridente abbracciata ad un uomo che non c’è più.
Un uomo che le somiglia moltissimo e alla quale è legata da un affetto e un amore incommensurabili.
Il “tlin” dell’ascensore scatta ma io sono già lontana.
Apro la porta della camera di Edward con così tanta forza da farlo sobbalzare dallo spavento e non aspetto che lui apra bocca, non aspetto che lui sia pronto per ascoltare l’ennesima storia che lo lascerà indifferente. Nel Queens c’è una bambina che ha bisogno di suo padre.
Piazzo la foto sul lenzuolo immacolato e aspetto che Edward la prenda e mi dica qualcosa.
Mi guarda spaesato ma capisce subito di chi si tratta. Nessuno potrebbe sbagliarsi.
-Già- dico, la mia voce è intrisa di risolutezza – questa bambina è tua figlia. Ha quattro anni ed è la persona più importante della tua vita- deglutisco a fatica visto il macigno che mi ritrovo piantato in gola – puoi anche non ricordarti di me, puoi anche non sapere chi sei in questo momento, puoi farti e farmi tutte le domande che vuoi. Ma se c’è una certezza reale e concreta in questo mondo, che nessuna amnesia può mettere in dubbio, è che tu hai una figlia e lei ha bisogno di te-


O.o come reagirà Edward a questo punto?
Lo so, mi odiate perché finisco i capitoli sempre sul più bello.
Grazie perché seguite ancora la mia storia e trovate anche il tempo di recensire.
Alla prossima!

   
 
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