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Autore: lightblueTommo    29/06/2013    7 recensioni
Esiste la probabilità dell'impossibile? C'è qualche limite posto tra il normale e la fantasia? E se questo ipotetico limite dovesse essere oltrepassato? Aldilà di ciò che normalmente siamo portati a pensare esiste dell'altro, pensato da molti anche come "speciale".
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Niall Horan
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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“Si è qui.. passerà la notte con me.. Senti Sophie abbassa il tono della voce, sta bene.. Ah beh non sono io quello che le ha dato uno schiaffo! ..Cerca di controllare gli scatti d’ira. Nostra figlia non è un sacco su cui scaricare le tue frustrazioni, hai capito? ..Forse hai dimenticato qualcosa di importante Sophie.. Lei! E’ lei la nostra priorità, porca miseria. Hai forse dimenticato di avere una figlia maggiore a cui servono le attenzioni di una madre? Lo hai detto tu fin dall’inizio che te ne saresti occupata, hai fatto di tutto pur che io non avessi la tutela e ora l’abbandoni? Le dai uno schiaffo solo perché non ha fatto la spesa? ..So come sono andate le cose, mi ha raccontato tutto. ..E no non ha ingigantito le cose. ..Da te non me lo sarei mai aspettato.” Mi sono addormentata sul divano. Cavolo. Ha appena finito di parlare con lei, gliene ha cantate quattro. “Che ha detto?” lascia cadere il cellulare sul tavolino. “Vuole che ritorni immediatamente a casa.” “No, non voglio.” Mi agito. “Ssshh. Lo so, stasera starai qui con me.” Appena sveglia, mi ritrovo nel lettone di mio padre ma lui non c’è. Già, è andato a lavoro. Scendo giù in cucina a fare colazione. Mi ha lasciato un biglietto sul tavolo: “Buongiorno piccola mia! Fai colazione mi raccomando e prima di uscire di casa chiamami. Un bacio, papà.” Un bel sorrisetto spunta sul mio viso. Ah, il mio dolce e tenero papà. Un uomo speciale e soprattutto leale con tutti, in modo particolare con le persone che ama. Faccio colazione, mi preparo e prima di uscire lo chiamo. Mi chiede come sto e soprattutto mi raccomanda di stare attenta quando esco di casa. Ho proprio bisogno di prendere una boccata d’aria. Cammino sul marciapiede destro guardandomi le scarpe. Arrivo in un quartiere strano, poco affollato; anzi, direi che non c’è proprio nessuno. I palazzi sono alti e incupiscono la zona facendo sembrare che siano quasi le sette di sera; è un posto sporco e non riesco nemmeno a capire come ci sono arrivata. Mi fermo per guardare un manifesto tutto strappato e sbiadito a causa di tutte le piogge, che attira la mia attenzione. Cerco quasi di ricomporlo con le mani quando ad un tratto sento il rumore di più piedi camminare nella mia direzione. Senza voltarmi proseguo e accelero il passo. Mi giro e vedo quattro tipi ubriachi, con i vestiti sudici e la barba incolta che mi seguono; uno di loro senza mai togliermi gli occhi di dosso beve da una bottiglia di birra. Mi squadrano dalla testa ai piedi e inizio ad avere seriamente paura. Il cellulare non prende campo e nessuno si trova nei paraggi per darmi una mano. Merda. Inizio a correre e loro dietro di me. Adesso non ho più vie di scampo, mi sono infilata in un vicolo cieco. ‘Caro papà, sappi che ti ho sempre voluto bene e che sarei dovuta rimanere a casa ad aspettarti. Mamma, questo è il risultato dei tuoi comportamenti nei miei confronti: adesso verrò violentata e in fine uccisa e gettata in un fiumiciattolo così che i resti del mio corpo non vengano mai più ritrovati.’ Breve riflessione mentale prima di morire. “Dove vai bellissima?” grida uno di loro all’angolo del vicolo. “Hai voglia di giocare?” il tizio alla mia sinistra mi sfiora la guancia con la mano sudicia. “Non mi toccare!” gli tiro un calcio nelle parti fragili e si piega in due per il dolore che gli ho appena inflitto. “Adesso mi hai fatto incazzare.” Dice tornando serio. Gli altri tre ridono e si avvicinano sempre di più. Non so cosa fare, sono davvero nei guai. Chiudo gli occhi. “Lasciatela in pace!” una voce familiare attira la loro attenzione, e anche la mia facendomi riaprire gli occhi. Un ragazzo incappucciato comincia a schiaffeggiarli e a prenderli a pugni, con una violenza tale da farli scappare solo dopo la prima scarica di colpi sul ventre dell’uomo che mi stava accanto. Adesso siamo soli. Io e lui. Sono spaventata e lui se n’è accorto; si avvicina lentamente e io arretro colpendo il muro con le spalle. Socchiudo gli occhi per focalizzare meglio il suo viso, non vuole farmi del male. Mi avvicino per vedere il volto del mio salvatore e gli abbasso il cappuccio. Niente da fare, si volta e a passo svelto va via. Cercando di metabolizzare la mia quasi aggressione e il tentativo di salvarmi, ben riuscito di un perfetto sconosciuto guardo quest’ultimo allontanarsi con le mani in tasca. Ha un aria molto familiare ma non riesco proprio a capire di chi si tratta, va via troppo in fretta e non riesco nemmeno a focalizzare quello che mi è appena successo. Sono a casa, confusa e un po’ spaventata da tutto quello che mi è appena successo, solo sollevata dal fatto che non ci sia nessuno con cui debba discutere. Mi avvicino al telefono e premo il tasto della segreteria telefonica per ascoltare eventuali messaggi lasciati in linea: “Bianca appena torni a casa chiamami. Dobbiamo parlare.” Una ventina di messaggi tutti suoi. Ma cos’altro deve dirmi! Vuole sculacciarmi adesso? Bene, le avrei rinfacciato la mia quasi aggressione, avvenuta per colpa sua e di quel nano che si ritrova come figlio. Non ho intenzione di parlarle, ma la chiamo lo stesso giusto per sapere cos’ha da dirmi. .. “Bianca! Sei tornata a casa?” beh, tu cosa dici, ti sto chiamando da qui. “Si.” “Cos’hai fatto?” “Sono andata da papà.” “Stai bene?” Domanda interessante. Sto bene? Non lo so. Dei tizi loschi hanno da poco cercato di violentarmi, e un ragazzo di cui non conosco l’identità mi ha salvata. “Si.” “Sei sicura?” no non lo sono. “Volevi chiedermi solo questo? Nient’altro?” “Devo sapere altro?” si, potevo morire. “No.” “Allora.. ci vediamo a casa.” Annuisco impercettibilmente e attacco. Che conversazione emozionante, faceva finta di preoccuparsi di me. Ottima attrice, glielo dico sempre. Bussano alla porta della mia stanza. “E’ aperto.” È lei, entra e si side alla fine del letto accarezzandomi le gambe. Sono intenta a leggere un libro, tenendolo sul viso volutamente per non guardarla, aspettando che si faccia avanti lei dicendo qualcosa anche di lontanamente carino. “Faccio davvero tanto schifo come madre?” ancora con il libro alzato: “Devo rispondere?” sussurra un tenue ‘no’. “Da quando ci siamo allontanate?” “Dalla nascita di Tom.” “Mi dispiace.” Accetto lo scarso tentativo di scuse ma non bastano a mascherare tutto quello che è successo. Chiudo il libro e lo poggio sul comodino. “Credi che basti?” “Non so.. io cominc.. cos’hai sulla spalla?” maledetto il momento in cui ho deciso di indossare una canottiera. “Niente.” Si alza dal letto e mi si avvicina. “Non ce li avevi prima.” “Cosa vorresti dire?” “E’ stato lui vero?” so che si sta riferendo a mio padre. Desidera qualunque pretesto così da potergli finalmente impedire anche solo di incontrarmi per qualche ora. “Da donna a donna. Seriamente, che problemi hai con quell’uomo? Non mi ha fatto niente, è mio padre e non alzerebbe nemmeno un filo di vento contro di me, semmai lui dovrebbe dubitare di te! E’ un uomo dolcissimo che tiene alla sua famiglia più di ogni altra cosa e tu questo lo sai benissimo, ma sei più che decisa a rovinarlo non è così? Dovrebbe essere lui a farlo con te.” esco dalla mia stanza sbattendomi la porta alle spalle. Una volta fuori inizio a camminare senza una meta precisa. Ultimamente lo faccio spesso. Le liti con quella donna mi fanno alzare la pressione a livelli stratosferici e devo scaricarla in qualche modo. Compro delle sigarette e un accendino. Non so perché ma il fumo mi ha sempre fatto paura; forse perché so che al 90% dei casi procura un cancro o forse perché è una buona fonte di inquinamento. Ne accendo una, la porto alla bocca e inspiro. Lo sapevo, mi sono affogata. Ci riprovo. Stesso risultato, solo un po’ più piacevole, ma il fumo continua a farmi schifo comunque. È solo una forma di protesta che però purtroppo riesce a danneggiare solo me. “Te e chi ti sta intorno.” Cosa? Chi è adesso! Mi giro verso destra e trovo un ragazzo seduto accanto a me sulla panchina. “Come hai detto?” mi sorride e torna a ripetere: “Ho detto che il fumo danneggia anche chi ti sta intorno, non solo te.” ma cosa vuole! “Chi ti dice che io abbia pensato una cosa del genere?” “Beh.. lo hai appena detto.” “No, non è vero.” “Si.. ti ho sentita.” “Mi sa che ti fischiano le orecchie biondo.” Sopprime una risata e continua a guardarmi quasi divertito dalla mia espressione. “Non ti ricordi?” mi chiede. Mi sento davvero spaesata, chi diamine è questo ragazzo! “Cosa dovrei ricordare, non capisco.” Si gira con tutto il busto nella mia direzione e inizia a parlare: “Il mancato incidente, stamattina nel vicolo..” okay mi sento davvero una rincoglionita. Imperterrita continuo a guardarlo smarrita tra i miei pensieri. Adesso ride con gusto e sembra non abbia intenzione di smettere. “Perché pensi questo di te?” torna serio. “Scusa ragazzo, ma che problemi hai?” alza il sopracciglio sinistro. “Insomma, sono io il ragazzo che ti ha salvata!” adesso è tutto più chiaro. Ancora però non riesco a capire cosa voglia da me. “Ci conosciamo?” “No.” Torna a girarsi dal lato opposto a me. Nel frattempo getto via la sigaretta e la spengo con il piede. “Chi sei?” socchiudo gli occhi per fargli intendere il mio disorientamento. “Mi chiamo Niall Horan.” Tende una mano sorridendo. Sarò anche strana ma tutto questo non ha senso. Mi alzo dalla panchina e continuo a camminare per i fatti miei. “Beh sei strana si! Io ti salvo la vita per ben due volte e tu non mi ringrazi nemmeno.” È di nuovo accanto a me e tiene il ritmo del mio passo. “Lo hai fatto per ricevere un mio grazie?” mi fermo. “No.” “E allora perché?” esita. “..Non lo so.” “Bella risposta.” Continuo a camminare lasciandolo indietro ma il mio tentativo di seminarlo sembra quasi sia vano, mi raggiunge senza alcuno sforzo. “Possiamo sederci da qualche parte e parlare come fanno due persone normali?” io davvero non capisco cosa vuole questo ragazzo da me, credo di avere già abbastanza problemi nella mia vita, non me ne servono degli altri! “Ti prego.” Sussurra. Alzo gli occhi al cielo e gesticolo con le mani in modo da fargli capire di continuare a camminare con me. Entriamo in un bar e ordiniamo del caffè caldo. L’orario non è dei migliori per berne uno ma se proprio dobbiamo aprire una conversazione dai tasti ‘bollenti’ allora tanto vale..! “Volevo chiederti un favore.” A me. Vuoi chiedere un favore ad una ragazza che nemmeno conosci. “Bianca potr..” “Aspetta un attimo: come fai a conoscere il mio nome? Non mi sono ancora presentata.” Inizia a ridere nervoso e passa una mano più e più volte sulla fronte. “Lo so e basta.” “No voglio una spiegazione.” Mi guarda quasi impaurito. “..Non farmi altre domande, puoi solo farmi il favore di stare più attenta a te stessa invece di attirare i guai come una calamita?” la confusione mi invade da capo a piedi. Si alza e va via. Adesso mi sento davvero un imbecille, tutto quello che è appena successo non ha alcun senso: il mio misterioso eroe fa cenni a qualcosa che neanche lui sa spiegare e pretende che io non faccia altre domande, mi chiede di stare alla larga dai guai come se fossi io a procurarmeli, ma insomma in quale misterioso videogame sono andata a finire! Torno a casa e appena apro la porta trovo un paio di valigie accanto al muro. Adesso vengo sfrattata anche da casa mia. “Che ci fanno qui queste valigie?” penso ad alta voce. Il nano spunta dalla cucina e con un sorriso compiaciuto mi avvisa: “Vado a stare per una settimana dai nonni.” “Che sollievo!” alzo lo sguardo e continuo a camminare verso le scale per andare in camera mia, quando sento mia madre alle mie spalle dire: “Avremo del tempo per chiarire.” Ecco, questo non va affatto bene. “Ho preso una settimana di ferie così potremo stare insieme.” Mi volto e la guardo dritto negli occhi. “Potevi farne a meno, non mi va di litigare.” Entro in camera mia. “L’ho fatto proprio per evitare che continui a succedere.” Sentiamo un clacson suonare e scendiamo giù a vedere chi è: sono i genitori di Cameron, venuti a salvarmi da quella peste, almeno per una settimana. Lei lo accompagna fuori e li aiuta a caricare le valigie nel portabagagli, gli da un bacio, le solite raccomandazioni e chiude lo sportello. Torniamo dentro. “Potevi almeno venire a salutare i nonni..” “Non sono i miei nonni. Non mi hanno mai sopportata, non vedo perché avrei dovuto farlo.” inspira pesantemente prima di rispondere. “Va bene Bianca, ho capito che non ti va giù l’idea della nuova famiglia.” Alzo gli occhi al cielo. “Sono passati dieci anni e tu te ne accorgi solo ora, meglio tardi che mai.” ci sediamo sul divano. “La cosa che più di tutte non riesco a digerire è che nascondi tutto continuando a giocare alla famiglia felice.” Abbassa lo sguardo. “Non sto giocando, se mi sono comportata così per tutto questo tempo è stato perché credevo davvero che lo fosse.” Chiudo gli occhi cercando di ingoiare l’amaro che a stento scivola in gola. “Che madre attenta ai bisogni della propria figlia!” “Perché invece tuo padre lo è, vero?” “Hai anche la presunzione di chiedermelo, e per giunta in questo modo? Certo che lo è, ci sentiamo tutti i giorni e sa tutto.” Comincia a sembrare piuttosto irritata dall’argomento. “Io non posso sapere determinate cose se tu non vuoi parlare con me.” “E io non posso dirtele se tu ti dimentichi di me.”
  
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