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Autore: zippo    15/01/2008    7 recensioni
Rebecca era solo una ragazza del liceo quando, ricevendo la visita di un bellissimo ragazzo, scopre di essere un angelo. Le sue radici, la sua storia e la sua stessa anima appartengono ad un altro mondo, ben diverso dal nostro, dove magia e creature mitologiche vivono indisturbate in armonia con i loro abitanti. Rebecca, sotto la protezione del suo maestro, dovrà essere iniziata all’arte della guerra e alla pratica della magia dato che in quello stesso pianeta così perfetto e tranquillo un altro angelo minaccia la sua distruzione. Una storia interessante basata sull’amore, sul coraggio e sul Bene.
Il primo capito della saga: IL BENE
"L'eroe non è colui che non cade mai ma colui che una volta caduto trova il coraggio di rialzarsi" Jim Morrison
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 3 - L’ANGELO DEL BENE -

“Non sai cos’è la morte finchè non ci vai a sbattere contro” questo pensò Bec, quando arrivò a non vedere più nulla.

Le mani erano protese verso il suolo e il naso sfiorava la terra fredda.

Gli uomini, crescendo, mettono in preventivo che la vita si concluda con la morte e che tutto, prima o poi, finisca per sempre. Ma la prospettiva della morte la vedi lontana, al compimento della vecchiaia…è nei casi in cui ti colpisce quando meno te l’aspetti che un uomo capisce veramente cosa vuol dire: “morire”. Fino a pochi minuti prima pensava che per lei fosse veramente giunta la sua ora, ma poi, ecco che qualcuno ti salva, che qualcuno sente il tuo grido, qualcuno che ti protegge senza che tu te ne accorga.

Con molta calma, Bec, spostò il gomito che le oscurava l’intera faccia e alzò gli occhi dove prima stavano le  sagome incappucciate pronte a farle chissà cosa. Non poteva crederci.  Sbattè le palpebre un paio di volte ma quando capì che la scena non sarebbe cambiata cercò di giustificare il fatto che tutte le ombre fossero sparite dal luogo in cui si trovavano prima e che ci fosse Gabriel, in piedi, pietrificato e con gli occhi che inchiodavano quelli della ragazza, che rispondeva al suo sguardo con un’espressione meravigliata e confusa. Appena ritrovò la voce chiese balbettando:

“Co-Cosa è…? Successo?”

Il ragazzo, se prima era rimasto completamente immobile e rigido su sé stesso, ora aveva iniziato a fare dei passi in avanti verso di lei, si abbassò per arrivare all’altezza della sua testa, dato che lei era ancora per terra, distesa e tremante.

“Non puoi essere tu”

“Come?”

Gabriel la stava fissando con un’intensità tale che alla ragazza vennero le vertigini.

“Non posso credere che tu sia la persona che cerco”

“Io non riesco a capire quello che stai dicendo!” esclamò, e trovando un po’ di forza, cercò di alzarsi finchè non si trovò in piedi. “Chi erano quelle creature? Come hai fatto a sbarazzartene? Perché volevano me? Da dove vengono? Chi sei tu?” il fiume di domande le uscì prima che riuscisse a fermarlo.

“Non è il momento né il posto per metterti al corrente di questa situazione. Ovviamente, ora come ora non ho intenzione di lasciarti andare, ti terrò sott’occhio e farò in modo che momenti come questi non si ripetano più fino a che non ritorneremo a scuola”

“Ma perché dovresti proteggermi? Sei una specie di spia dei servizi segreti?”

“Devo proteggerti perché sei la cosa più importante per noi e non puoi correre il rischio di essere di nuovo attaccata, non ora che so chi sei”

“Quindi da ora in avanti sarò sotto il tuo controllo ovunque vada?”

“Si”

“M-Ma io voglio delle risposte! Perché non me lo puoi dire ora?” domandò, disperata.

“Perché svelare un segreto quando sei osservato e ascoltato dai nemici non rientra nei miei piani”

“Ma se siamo soli”

“Questo perché vedi ma non osservi” disse Gabriel, duro e inaffondabile come sempre.

“Tze, ti piacerebbe…” borbottò, incrociando le braccia al petto.

“Sarà meglio andare”

Gabriel fu il primo a muoversi di un passo, controllò che anche lei lo seguisse e insieme si addentrarono nel fitto buio del bosco senza proferire parola. Rebecca, a modo suo, era ancora sconvolta ma cercava di non darlo a vedere, voleva apparire fredda e razionale agli occhi del ragazzo. Gabriel, invece, sotto la dura corazza che portava si sentiva il cuore martellare come non mai; non solo l’aveva trovata ma era anche riuscito a salvarla proprio un attimo prima che le ombre la prendessero, il tutto, naturalmente, evitando di dire chi lui veramente fosse. Aveva compiuto la missione per la quale era arrivato inizialmente sulla terra due anni prima e ora poteva tornare a casa.

Là non avrebbe dovuto nascondere la sua vera natura.

Più i minuti passavano, più Bec si sentiva a disagio in presenza del ragazzo che, come se niente fosse, camminava elegantemente davanti a lei spostando lo sguardo di tanto in tanto per controllare che niente si muovesse tra gli alberi. Avrebbe voluto dirgli qualcosa giusto per spezzare quell’atmosfera formale che si stava creando ma appena aprì bocca per prendere fiato lui la precedette:

“Non credo che dovresti farne parola con nessuno” disse, non voltandosi nemmeno a guardarla in faccia finchè parlava.

“È così pericolosa la storia in cui mi sono cacciata?”

Gabriel si fermò e si girò a guardarla negli occhi. Lei sussultò appena, non era abituata a tanta bellezza.

“Sconvolgerà la tua intera esistenza se non saprai accettare il tuo vero essere”

“Il mio vero essere?”

“È ancora presto per le domande e lo è ancora di più per le risposte”

“Ma non ce la farò a sopportare altri due giorni senza sapere niente del perché sono stata presa di mira da dei morti col mantello!”

“Morti col mantello…?!” ripetè Gabriel, con un ghigno divertito.

“Beh, quello che siano”

“Senti, abbi pazienza e tutto ti verrà spiegato”

“Sei un ladro?”

“No”

“Hai intenzione di prendermi in ostaggio e di ricattare i miei genitori?”

“No”

“Sei un assassino?”

“No!”

“Ho capito! Sei un evaso di prigione!”

“Ma per favore!”

“Uhm, allora chi sei?”

“Certo che quando parlo non ascolti, eh ragazza? Ti ho detto: non ora”

Gabriel stava iniziando a scaldarsi e fu allora, quando lei assunse un’aria pensierosa, che provò di nuovo a leggerle nella mente.

Niente.

Perché con lei non ci riusciva? Perché veniva respinto? Perché poteva vedere i suoi stati d’animo come nebbia mentre i suoi pensieri rimanevano segreti?

“Dai, muoviamoci a tornare” disse, infastidito.

La strada per raggiungere il lago sembrava lontanissima, e pensare che all’andata l’aveva fatta di corsa e sembravano essere passati pochi minuti…

Bec controllò l’ora nel suo orologio: le 23:40. Il tempo era volato, non si capacitava del fatto che era da più di due ore fuori dispersa nella boscaglia…chissà che avrà pensato Judi non vedendola rientrare. Rebecca sperò vivamente che non avesse chiamato soccorsi e squadre di ricerca. Anche perché i professori l’avrebbero punita per essere uscita di notte invece di rimanere nella sua tenda, e i suoi genitori le avrebbero dato un anno di reclusione forzata. Stava pensando a quanto quell’idea fosse oggettivamente spaventosa quando la voce del ragazzo parlò dopo tanto tempo.

“Come hai detto che ti chiami?” chiese, camminando sempre e non voltandosi mai.

“Non l’ho detto”

Bec si aspettava una battutina o una risata sprezzante ma quando capì che con quel silenzio non sarebbe arrivata nessuna risposta si affrettò ad aggiungere:

“Mi chiamo Rebecca Burton, ma chiamami Bec, ti prego”

“Perché, Rebecca non ti piace?”

“Si, ma Bec è più carino”

“Io comunque sono Gabriel. Gabriel Jonhson”

“Lo so chi sei”

Gabriel si arrestò e aspettò che lei lo raggiungesse da dietro per poter camminare insieme, fianco a fianco. Naturalmente nella sua faccia aleggiava un punto interrogativo.

“Ah, non passi inosservato, mi è arrivato all’orecchio il tuo nome da una ragazza” spiegò Bec, vedendo la sua faccia.

“È sempre bello essere al centro dell’attenzione” disse Gabriel, e nella sua esclamazione c’era una nota di ironia.

“Beh, non puoi dare la colpa agli altri se ti guardano. Sei così diverso…” la frase restò sospirata fino alla fine.

“Anche tu credi che io sia diverso?” chiese, curioso.

“All’inizio mi sei balzato agli occhi ma poi basta, ho capito che oltre l’apparenza sei ancora più speciale di quanto dai a vedere fuori”

Zac.

Aveva centrato.

“In che senso?”

“È difficile da spiegare ma…il tuo modo di fare, di parlare, di dire sempre le cose giuste al momento giusto, il modo in cui guardi le persone, come se le stessi esaminando costantemente, ti rendono più interessante di quanto tu non lo sia già”

Appena Rebecca ebbe finito alzò gli occhi per poter decifrare la sua espressione, ovviamente lui era freddo e impassibile e non riuscì a capire cosa stesse provando in quel momento.

“E comunque è una mia impressione!” disse, cercando di salvarsi.

“La tua impressione conta più delle altre, questo è sicuro”

“Appena mi spiegherai tutto, spero di poter anche capire il perché di tanto rispetto nei miei confronti”

“Appena lo capirai saprai che è giusto così”

“Come se fossi una sottospecie di angelo da salvare”

A Gabriel scappò una risata.

Ci sei molto vicina, Aidel.

“Interessante osservazione. E secondo la tua teoria io chi sarei?” domandò il ragazzo.

Bec parve pensarci su, e quello che disse turbò profondamente Gabriel.

“Un angelo in incognito”



***



La sponda del lago era limpida e l’acqua brillava sotto la luna e le stelle. La riva era vuota, non c’era più nessuno e questo fece preoccupare ancora di più Rebecca. Era proprio tardi. Diede una rapida occhiata controllando che non ci fosse nessuno e quando capì che loro due erano le uniche persone rimaste pensò che era proprio ora di andare a letto.

“Io dovrei tornare”

Gabriel la scrutò dall’alto del suo metro e ottanta e sorrise.

“Hai paura di stare da sola con me, Rebecca?”

“No. È tardi e ho sonno. E non chiamarmi così”

“Bec, allora ti lascio qui”

“Ma come scusa?! Hai detto che non mi avresti abbandonata?” chiese, scherzosa.

“Oh, ma per controllarti non mi occorre starti vicino”

“Quando arriverò a capire questi enigmi riderò di te” disse, e con un sorriso radioso lo salutò con la mano e pian piano di avviò verso la sua tenda.

Gabriel, con un cenno del capo, le sorrise a sua volta e sparì nel bosco, prendendo una direzione diversa.

Rebecca era veramente riconoscente a quel ragazzo strano, pensava che non avrebbe mai smesso di ringraziarlo per averle salvato la vita.

C’era ancora qualcosa per la quale valeva la pena di vivere.



***



Quando Gabriel rientrò trovò tutti che lo stavano aspettando seduti e avvolti nel loro sacco a pelo, appena chiuse la lampo della tenda Kevin fu il primo a parlare.

“L’hai trovato, non è così?”

“L’ho trovata”

“Trovata?” chiese stupita, Rosalie.

“È una ragazza?” domandò Denali, ancora più scioccato.

“Qualcosa contro le ragazze?” intervenne minacciosa, Delia.

“Allora?”

Gabriel guardò Kevin, tutto agitato e contento, e gli rispose seriamente.

“Sono riuscito a trovarla perché i Sentori l’aveva presa”

“Cosa?!” urlarono, in coro.

“Proprio così, quando ho fiutato nel lago il loro odore, ho immaginato che dovevano averla intercettata perciò sono sempre rimasto in ascolto dei loro pensieri, se così si possono chiamare, ed è stato nella mente di uno loro che ho sentito la loro postazione e la postazione della ragazza. Quando sono corso da lei la stavano riportando a Chenzo”

“Secondo te è Dark Threat che la vuole?”

“Sì, e sicuramente non perché le vuole bene”

“Dobbiamo portarla via da qui il prima possibile, da noi sarà al sicuro e potrà apprendere l’insegnamento adeguato ad una come lei” disse saggiamente, Kevin.

“Dovremo lasciare la scuola, però” Rosalie sembrava dispiaciuta.

“Sì, e dovremo anche modificare la memoria a tutte le persone che hanno avuto un contatto con noi” aggiunse, Denali.

“Dopo due anni che siamo stati sulla terra sarà difficile trovare tutte le persone che ci hanno conosciuti per rimuoverle i ricordi”

“Dobbiamo farcela, dobbiamo tornare al più presto” disse, Gabriel.

“E quando pensi di partire?” parlò la bella Rosalie, malinconica.

“Non appena torniamo da questa gita avremo tempo di ritornare a scuola solo un giorno, giusto il tempo di spiegarle le nostre regole e quello che la riguarda. Poi, ce ne andremo per sempre”

“Come si chiama, la ragazza?”

“Rebecca Burton”



***



Cercando di fare meno rumore possibile Rebecca sgattaiolò dentro il suo sacco a pelo ma proprio quando stava per stendersi sbattè la testa contro uno dei pali che reggevano la tenda e cacciò un urlo. Judi si destò di colpo, spaventata e confusa. Sbattè gli occhi e quando si trovò la figura di una ragazza con i capelli scuri pensò subito che doveva essere Rebecca. Era comunque meglio accertarsene dato che senza occhiali era paragonabile ad un elefante grigio.

“Bec? Sei tu?”

“Certo che sono io! Chi vuoi che sia? Ahia…” disse, massaggiandosi il punto della testa in cui era andata a sbattere.

“Ma dov’eri? Quando io e Ben non ti abbiamo trovata pensavamo che te ne fossi ritornata per dormire ma poi quando ci siamo accorti che non eri n’anche qua sono stata presa dall’ansia! Insomma, non potevo chiamare i professori, non potevo avvertire nessuno! Dove diavolo…?”

“Ero fuori con…” Rebecca non lasciò che Judi finisse la frase ma poi si ritrovò titubante. Non poteva di certo dirle come aveva passato la serata!

“Con...?” la incalzò.

“…con Gabriel”

Beh, tanto valeva dirle un po’ di verità.

“Gabriel?! Uau!” esclamò Judi, sorpresa e con la faccia da ebete.

“Uau cosa?! È stato orribile!” e infatti era stata una notte terrificante.

“Cosa c’è di orribile in Gabriel? È la perfezione fatta in persona!” Judi era offesa.

Come faceva la sua amica a non capire quanto in quel momento fosse fortunata?! Gabriel stava sempre con i suoi amici e non si lasciava avvicinare da nessuna, da quando lo conosceva non lo aveva mai visto in compagnia di una ragazza che non fosse Rosalie o Delia, ma ovviamente loro non contavano. Bec doveva essere stata la prima ragazza ad avere avuto l’onore di trascorrere una serata con lui, e ora lei andava a dire che era stato orribile?!

“Non è perfetto, è alquanto inquietante e misterioso”

“Ma come ti ha avvicinata?” chiese, ignorando la sua affermazione.

“Beh, lui…lui è venuto mentre stavo osservando…una lucciola!” disse con troppa enfasi sull’ultima parola.

“Una lucciola” ripetè Judi, allibita.

“Si, quell’insetto luminoso che…”

“So cos’è una lucciola!”

“Ah”

“Ma che ti ha detto? Dai, racconta!”

Rebecca non capiva tutta quella curiosità verso l’incontro-scontro che aveva avuto con Gabriel quella sera. Bello com’era, sicuramente ne avrà avute e ne poteva avere cento di ragazze, lei che aveva di così speciale da rendere la sua storia interessante? Nonostante tutto, continuò il teatrino.

“Mi ha detto che devo stare attenta, che di notte il bosco è pericoloso e poi mi ha raccontato un po’ di sé, ma poco”

“E che ti ha detto? Gli hai chiesto come fa ad essere così bello?” Judi non si conteneva più dalla curiosità.

“Ma che dici?! Ah! Io ora dormo, buonanotte”

Bec si girò nel sacco a pelo e diede le spalle alla sua compagna di tenda che, stizzita, borbottò qualcosa che assomigliava ad un’offesa e il silenziò calò tra di loro.

Gli spogliatoi della palestra non erano mai stati belli ma erano grandi e sembrava di essere in un labirinto, questo aiutava molto chi, per esempio, doveva fare qualcosa di segreto durante le ore di lezione. Rebecca quel giorno ci era andata perché Gabriel le aveva detto di aspettarlo là. Quando arrivò lui non c’era ancora e si appoggiò ad un armadietto facendo sbattere la portiera. Il suono echeggiò rumoroso lungo tutto gli spogliatoi. Poi, dei passi, la fecero svegliare dai suoi pensieri e guardò lungo la fila degli armadietti. Dalla curva però non apparve Gabriel. Un uomo, con una veste nera e lunga, veniva avanti e parlava una lingua che lei non conosceva. Presa dal panico fece dei passi indietro ma si trovò contro la schiena il freddo muro grigio. L’uomo la stava raggiungendo e stranamente smise di parlare nella sua lingua per rivolgersi a lei sapendo che l’avrebbe capita.

“So chi sei, Aidel. È solo questione di tempo”

Rebecca sentì il sangue gelarsi nelle vene e prese un profondo respiro per parlare cercando di apparire forte e sicura di sé, ma quello che le uscì sembrava più un gridolino isterico.

“Che vuoi da me? Dimmelo”

Non fece a tempo a ricevere una risposta che la stessa luce bianca che l’aveva invasa nel bosco la notte precedente, la stessa che l’aveva accecata nel sogno che aveva fatto prima di partire, illuminò gli spogliatoi e come nelle altre volte chiuse gli occhi e si accucciò. Solamente quando ritornò l’assoluto silenzio si alzò lentamente e inquadrò la persona che, davanti a lei, la guardava come dire: “sempre a cacciarti nei guai, tu?”.

Non aveva parole. Gabriel era davanti a lei e l’uomo era scomparso. L’aveva salvata una seconda volta e con un tempismo impaccabile. Bec si concesse una risata. Non le importava niente che quel ragazzo fosse in realtà un angelo bianco. Era buono e la proteggeva, a lui doveva molto, chi se ne importava che fosse di un altro mondo. Continuando a ridere serena rimase per un attimo a fissare la schiena del ragazzo: un paio di ali candide e luminose spuntavano fuori dalla sua maglietta azzurra e le piume vibravano leggere nell’afoso vento d’autunno.

Quando si svegliò il sudore le impregnava la fronte e dei brividi la percuotevano ancora, sebbene si fosse svegliata.

Fece mente locale del sogno che aveva fatto e si ricordò di un uomo che la voleva portare via con sé e di Gabriel che era arrivato a salvarla, ancora una volta. Si asciugò con il braccio la fronte calda e umida e pensò che finalmente domani sarebbe tornata a casa.

In tutto il giorno non incrociò nemmeno una volta Gabriel o i suoi quattro amici, era come se si fossero volatilizzati, come se, dopo aver compiuto una missione, avessero fatto sparire le loro tracce. La giornata passò nella tensione più totale da parte di Rebecca, che non faceva altro se non guardarsi in giro come se si aspettasse che comparisse un mostro da dietro gli alberi in qualsiasi momento. Certo, anche la non presenza di Gabriel la faceva impazzire, aveva paura che se ne fosse andato e che non l’avrebbe rivisto per quando sarebbero tornati a scuola. Judi aveva detto che i cinque ragazzi alcune volte, inspiegabilmente, se ne stavano via per parecchio tempo.

E se non fosse riuscita a scoprire quello che voleva sapere? Se l’avesse abbandonata perché non voleva più svelarle il segreto?

Certamente questa possibilità la mandava fuori dai gangheri.

Come faceva a star calma come se niente fosse quando temeva costantemente per la sua stessa vita?

La mattina la trascorse a rigirarsi nel sacco a pelo, mangiò una semplice colazione e se ne ritornò a letto. Nel pomeriggio, invece, partecipò alla camminata di due ore su per i monti e quando tornò, tempo di cambiarsi, ebbe l’incontro con i professori che tennero una lezione di biologia all’aperto.

Il momento più duro fu la sera. Se, durante il resto del giorno, aveva avuto qualche speranza di rivedere Gabriel, questa speranza si frantumò quando ebbe la conferma che non l’avrebbe rivisto, dato che ormai tutto stava finendo. Con una camminata strascinata si portò nella sua tenda e crollò nel suo mitico sacco a pelo, con l’intenzione di dormire subito in modo da non dare spazio ai pensieri che stavano arrivando con domande troppo forti da poterle ignorare. Judi era stata poco con lei, da quel che le aveva detto (anche se era stata del tutto assente) lei e Ben erano diventati una specie di coppia. Si conoscevano da tempo, lei gli dava ripetizioni di trigonometria e durante la loro amicizia era nato qualcosa di più, che si era sicuramente rafforzato durante la notte delle stelle.

Rebecca era veramente contenta per lei, almeno non sarebbe stata tra i piedi nel momento in cui avrebbe avuto bisogno di rivedere Gabriel che, ne era sicura, le avrebbe stravolto la vita. Non che non si fosse affezionata a lei ma voleva affrontare il suo destino rimanendo sola, non poteva coinvolgere altre persone. Non ne avrebbe fatto parola n’anche con i suoi genitori, non poteva dirgli che durante la gita era stata attaccata da delle ombre e che un ragazzo-angelo l’aveva salvata.

Nessuno le avrebbe creduto e lei non voleva essere presa per pazza. Doveva arrangiarsi e affidare tutta sé stessa nelle mani di quei cinque ragazzi misteriosi.

Il sonno arrivò presto, prima di quanto sperasse, e nella dormiveglia giurò di aver visto un’ombra che da fuori rimaneva immobile accucciata.

Si assicurava che tutto andasse bene.



***



Il ritorno non fu tragico come Rebecca si aspettava, quando arrivarono alla stazione davanti alla loro scuola, i suoi genitori erano fuori dalla macchina che, appoggiati alle portiere, l’aspettavano ansiosi di rivederla. Erano le tre di pomeriggio e il sole era nascosto dietro ad un’enorme nuvola grigia, probabilmente avrebbe iniziato a piovere di lì a qualche secondo. Judi era seduta qualche posto più indietro con Ben, e Bec aveva accettato l’idea di passare l’intero viaggio di fianco a Matt, il ragazzo più strano e impacciato che avesse mai incontrato. Quando scese dalla corriera, sua madre, Marta, le corse incontro abbracciandola forte.

“Oh, Bec! Come stai? Hai mangiato? Come è andata? Oddio, che bello rivederti!”

Sua madre aveva sempre avuto una protezione nei suoi confronti paragonabile a quella che aveva un gioielliere per il suo tesoro più grande, stravedeva per lei e si preoccupava per ogni cosa. Rebecca rispose gentilmente, non lasciandosi troppo trascinare dall’abbraccio.

“Sto benissimo, mamma. È stato…uhm…bello” disse, non troppo convinta.

“Quando dici così vuol dire che infondo non è vero” la guardò apprensiva, Marta.

“Beh, lo sai quanto odio la montagna. Non dopo aver sempre abitato in una città affollata e puzzolente. Questo, si può dire, è stato il mio primo contatto con la natura nel suo habitat naturale”

Marta sorrise, lasciando andare la figlia.

“Papà dov’è?” domandò, Rebecca.

“Dovrebbe essere andato a prenderti il sacco. Era molto in pensiero per te. Comportati bene con lui” la rimproverò.

Marta sapeva quanto ce l’avesse con suo padre, e questo perché le aveva costrette, per lavoro, a trasferirsi da Phoenix ad Aquila. Anche se lei non aveva subito grandi danni o perdite trasferendosi in quel paesino, immaginava come per la figlia dovesse essere stato uno shock tutto quello.

Dopo pochi secondi, infatti, suo padre Jonathan spuntò dalla folla di genitori e alunni con un sacco a pelo in una mano e un pesante zaino da montagna nelle spalle. Quando vide sua figlia sana e salva…e contenta, gli si riempì il cuore. Sperava ardentemente che si fosse divertita in quella gita, almeno avrebbe dimenticato le ostilità nei suoi confronti.

“Ciao, Bec. Tutto ok?”

Bec gli andò incontro e lo abbracciò, passandoli le braccia attorni ai fianchi. Doveva essere arrabbiata con lui ma in quel momento non riuscì ad essere dura come si aspettava. Era in una sorta di debito con suo padre.

“Ciao papà, tutto bene”    



***



Dopo aver passato dieci minuti in macchina a raccontare tutto quello che aveva fatto, Rebecca evitò accuratamente di parlare della notte in cui si imbatté nelle ombre e i suoi genitori intuirono che doveva essersi divertita parecchio. Parlò della sua nuova amica che era stata anche la prima da quando era arrivata ad Aquila. Jonathan parve contento. Evidentemente, ora che aveva trovato qualcuno con cui fare amicizia, la scuola e i sabati sera non sarebbero più stati pesanti e impossibili da vivere.

Quando la macchina si fermò a “villa Burton” Bec fu felice di ritrovarsi di nuovo a casa, pensare di dormire in un vero letto e di mangiare a merenda quelle brioche al cioccolato che tanto adorava e che purtroppo le era stato vietare di portare con sé nell’uscita.
Buttò la sua roba per terra nell’entrata poco illuminata e dallo zaino provenì un sonoro crac, come se all’interno ci fosse stato qualcosa di prezioso che era stato sbattuto. Mentre i suoi genitori non si erano accorti di nulla e stavano andando in cucina, Rebecca si inginocchiò e aprì lo zaino. Dal rumore sembrava che qualcosa come una collana, una scatolina d’argento o qualcosa di fragile, avesse urtato il pavimento provocando quel rumore.

Strano, perché, che lei sapesse, la sua sacca doveva contenere solo vestiti e accessori come spazzolino, dentifricio, cellulare…ma niente a che vedere con oggetti di latta o metallo. Cercando nello zaino dovette arrivare fino al fondo per sentire, sotto le sue mani, qualcosa di duro e allungato.

Con le mani tremanti tirò fuori il pesante oggetto dalla borsa e ne venne fuori un lungo pugnale. La lama era candida e l’impugnatura formava una croce con sopra una scrittura a caratteri cubitali, scritta in una lingua che lei non conosceva. Sconvolta nel ritrovare nel suo zaino un’arma del genere la rimise subito nella sacca e corse al piano superiore con il fiatone. Dalle scale sentì suo padre che le gridava:

“Non vieni giù a mangiare qualcosa?”

Con voce tremante Rebecca rispose:

“No, dopo. Ora voglio stare in camera mia. Ci sono delle cose che devo…controllare”

Buttata nel letto continuò a rigirarsi tra le dita il pugnale che, diciamocelo, era bellissimo. Tanta bellezza poteva solo essere paragonata a Gabriel, ed era per questo che subito, quando si chiese di chi potesse essere, pensò a lui.

Anzi, era sicura che quel coltello appartenesse a lui, non poteva essere di nessun altro. Dopotutto era stato Gabriel ad aver lottato, per salvarla, contro delle creature mostruose, e per farlo bisognava che avesse avuto un’arma. Passò tutto il tempo in camera, solo alle sette di sera scese in cucina per sgranocchiare qualcosa. Lì, trovò sua madre ai fornelli e un lieve profumo di carne le invase le narici.

“Uhm, carne?” chiese, già con l’acquolina.

“Sì, questa sera ho fatto carne, spinaci e insalata. Spero ti vada bene”

“Più che bene!”

Marta sorrise ma poi ritornò seria.

“Un giorno di questi dobbiamo parlare, Bec”

Il tono di voce con cui sua madre disse quelle parole spaventarono la ragazza.

“Ok, riguarda la scuola?”

“No, riguarda te, noi, la nostra famiglia”

“Devo preoccuparmi, mamma?” chiese, tesa.

“No, non è una cosa grave”

“D’accordo”

Il silenzio cadde nella stanza e Rebecca ebbe l’impulso di allontanarsi da quei fornelli. Andò in salotto e suo padre era seduto in una poltrona, al buio e con gli occhi inespressivi che fissavano il vuoto.

Stava succedendo qualcosa, qualcosa che non potevano controllare e che non potevano evitare. Bec ritornò in camera e si chiuse dentro. Non aveva più fame.



***



La sveglia suonò quando arrivò a contare le sei e mezza. Il sole era sempre coperto da nuvoloni scuri e il presagio che qualcosa di orribile stesse arrivando era sempre più forte. Bec si alzò con molta fatica dal suo letto comodo a due piazze e dovette stiracchiarsi parecchie volte prima di prendere coraggio e cambiarsi. Alle otto arrivò a scuola accompagnata da suo padre e il cuore iniziò a martellarle nel petto.

Gabriel ci sarebbe stato?

Gli conviene, a quel depravato.

Smontò dall’auto e camminò verso l’entrata, piccole gocce di pioggia stavano iniziando a scendere quando attraversò la porta principale. Il corridoio era affollato di ragazzi che, agitati, correvano e camminavano veloci da una parte all’altra, probabilmente preoccupati perché dovevano ancora finire dei compiti o avevano un’interrogazione la prima ora. Per Rebecca quella era una giornata leggera: storia, due ore di matematica, ricreazione, religione, inglese, mensa e due ore di educazione fisica.

Arrivò in classe e tutti i suoi compagni erano già presenti e seduti nei propri banchi, le lanciarono un’occhiata e solo in pochi la salutarono, una di questi era Judi che appena la vide le corse incontro, felice come una pasqua.

Chissà poi per cosa.

“Ciao! Pensavo non venissi a scuola”

“Perché?” domandò Rebecca, presa in contropiede.

“Dicevi che la montagna ti avrebbe fatto male. A quanto pare Gabriel ha proprio fatto un bel lavoro con te”

 “Sai se c’è?”

L’agitazione iniziò ad impadronirsi di lei.

“Si, l’ho visto arrivare presto stamattina”

Rebecca liberò, con uno sbuffo, tanta di quell’aria che ne parve per un attimo prosciugata. Il peggio era passato, non poteva scapparle, non finchè erano a scuola, a due passi dal trovarsi. Il professore di storia entrò nell’aula sbattendo la porta, la lezione era cominciata.



***



Nel piano superiore, nell’aula infondo al corridoio, c’era la classe di Gabriel, Denali, Kevin, Delia e Rosalie. Il perché avessero messo nella stessa classe i cinque ragazzi rimaneva un mistero, di solito gli amici delle medie difficilmente riuscivano a rimanere insieme alle superiori. In quell’ora la professoressa di francese stava cercando di spiegare l’uso degli articoli partitivi, ma gli alunni erano svogliati, distratti, assonnati e la quinta ora che precedeva la mensa, era sempre stata la più dura da sopportare.

L’orologio appeso sopra la lavagna segnava l’una e cinque, mancavano cinque minuti. Gabriel, seduto in una fila centrale a metà della stanza, si sentì strattonare il braccio dalla persona che sedeva alla sua destra: Denali.

“Che c’è?”

“Dobbiamo parlarle dopo” sussurrando Denali si avvicinò verso Gabriel con il corpo che comunque rimaneva incollato sulla scomoda sedia di legno.

“No, voi non venite, le parlerò io” disse Gabriel, in un tono che non ammetteva repliche.

Denali barcollò ma non disse nulla, tornò composto nel suo banco e fece finta di ascoltare la lezione. Dopo tre minuti la campanella suonò, annunciando la pausa pranzo.

Tutti gli studenti, a gruppi, uscirono dalle aule e come una grande mandria si precipitarono nella mensa scolastica al piano terra. I posti, nella mensa, erano già stati occupati dalle varie persone che arrivavano per prime a prenderseli, quando i cinque entrarono andarono subito a sedersi ai loro soliti posti che nessuno osava rubare e che anche in quel momento erano liberi. Il loro tavolo era circolare con cinque sedie, era in fondo alla sala, davanti alla vetrata della mensa. Sicuramente era il posto più bello dove poter mangiare e nessuno poteva occuparlo se non loro, belli quanto il valore che quel tavolo rappresentava: fama e popolarità.

Si sedettero contemporaneamente e Gabriel, la prima cosa che fece, fu di perlustrare l’intera mensa con una tale intensità che era difficile capirne le sue motivazioni. Mentre gli altri andavano a prendersi da mangiare, lui rimase lì, in attesa di vederla entrare.

Rebecca, accompagnata da Judi e Ben (i due erano per mano) percorreva la strada per arrivare alla mensa, era piuttosto nervosa ma era normale, si ripeteva. Quando entrarono nella mensa era quasi piena e con enorme sforzo tentò di non cercare con lo sguardo il ragazzo che in quel momento le interessava trovare. Si diede mentalmente della stupida quando invece lo cercò tra i primi tavoli.

Prendendo un profondo respiro si inoltrò nella stanza e dietro a Judi e Ben stava proseguendo quando si sentì afferrare per il polso da una mano grande e morbida. Girò se sé stessa e si lasciò tirare da Gabriel che, senza fiatare, la stava portando via.

Non conosceva molto la scuola ma giurò che stavano andando dritti in palestra. Lui, da davanti, camminava e la tirava rimanendo silenzioso, lei lo seguiva e cercava di tenere il suo passo veloce.

Stavano andando verso gli spogliatoi.

Flash.

Un flash le riportò le immagini del sogno che aveva fatto. Un flash le fece venire i brividi. Un flash bastò a farle capire che stava succedendo quello che aveva già visto. La pioggia scendeva fitta e pesante, la si poteva sentire che batteva sul tetto in legno della palestra e degli spogliatoi, che erano una struttura a parte della scuola. Quando Gabriel si fermò erano in un corridoio fra due file di armadietti e si guardava intorno con circospezione.

La cosa non le piacque. Bec attese che il ragazzo iniziasse a parlare e intanto lo guardava e si sentiva ancora più indifesa. Gabriel, dal canto suo, era fermo e immobile mentre la fissava con uno sguardo profondo, così profondo che Rebecca ebbe la sensazione che le stesse leggendo fin dentro l’anima, notò un barlume nei suoi occhi ma poi questo si spense e lui parlò.

“Sono qui”

“Ti ascolto” la voce che le uscì era un sussurro teso ed emozionato.

“Cosa vuoi sapere? Una domanda alla volta”

“Chi erano quei mostri che mi hanno assalita nel bosco?”

“Si chiamano Sentori, e sono delle vere e proprie ombre di fumo, ti possono toccare e ferire ma tu non puoi toccare loro perché è come se tentassi di afferrare l’aria”

“Da dove vengono?”

“Da un pianeta chiamato Chenzo, molto diverso dalla Terra, là c’è magia e tutte quelle creature mitologiche che qui hanno trovato l’estinzione moltissimi secoli fa”

“Tu vieni da questo pianeta?”

“Sì”

“E dove si trova?”

“Ti posso solo dire che non è rintracciabile nella vostra galassia dato che si trova in altro universo parallelo”

“Che differenza c’è tra questi universi?”

“Che l’universo dove si trova il vostro mondo è reale mentre il nostro è come un sogno: aleggia la magia e l’impossibile non esiste”

“Perché mi volevano?”

“Ti hanno fiutata. Loro hanno il compito di servire un uomo che passò, molto tempo fa, dal lato oscuro e che da allora ha sempre cercato di eliminare creature come te perché teme uno scontro diretto e la possibilità di una sconfitta. Ora è lui a Chenzo che comanda, abusando del suo enorme potere”

“E chi sono io?”

“Un angelo”

Rebecca mosse impercettibilmente le labbra, non riusciva a collegare niente di quello che Gabriel le stava dicendo.

“Come posso fidarmi di te? Chi mi assicura che non mi stai mentendo? Insomma, la questione che la magia esiste, che ci sia un mondo parallelo, che angeli volino nel cielo…non è frutto della tua fantasia?”

“No”

“Quindi non scherzi. È tutto vero”

“Si, e comunque le ombre che hai visto dovrebbero farti capire che non mento”

“Come può…come può essere?”

“È così, è per quello che ti cercavano: volevano portarti da Mortimer in modo che lui potesse liberarsi facilmente di te, visto che ora non sei una grande minaccia”

“Ora?”

“Finchè rimani sulla Terra i tuoi poteri non possono essere utilizzati, ma se tu venissi a Chenzo e imparassi ad usarli potresti aiutarci a liberarci da Mortimer”

“Ma tu puoi usare i tuoi poteri, gli hai usati per me”

“La mia storia ora non è questione di domande”

“Ma anche tu sei come me! Lo so, ti ho visto nei miei sogni, sei un angelo!” nella sua voce c’era un che di disperato.

“Io…cos’hai visto nel tuo sogno?”

“Nel mio sogno me lo dicevi, eri un angelo bianco!”

“Ero” disse Gabriel, abbassando lo sguardo. Rebecca non gli aveva mai visto uno sguardo così triste.

“Perché lo eri?”

“Ora non più, mi è stato tolto il diritto di essere un angelo bianco”

“Lo possono fare?”
“Sì”

“Chi?”

“Sono gli angeli bianchi per eccellenza, addestrano gli altri angeli iniziati e la loro sembianza è luce pura, non hanno forma, sono perfetti e non mancano di nulla”

“E perché ti hanno fatto questo?”

“Non sono venuto per parlarti di me”

“Oh, beh. Allora, che differenza c’è tra un angelo e un angelo bianco?”

“Un angelo iniziato è praticamente un apprendista, una creatura che deve imparare la magia per poter diventare un angelo completo. Un angelo quando finisce il suo addestramento riceve il titolo e l’investitura, ma prima deve decidere da che parte stare”

“Non ti capisco”

“Un angelo iniziato è un angelo incompleto. Le due grandi forze che dividono gli angeli tra loro sono il Bene e il Male, ogni angelo iniziato contiene in esso entrambe le due forze, sia il Male che il Bene lo padroneggiano. Normalmente la magia che gli viene insegnata è quella indirizzata al Bene ma quando l’angelo diventa maestro e fautore del suo destino…può succedere che alcune volte uno di loro passi dalla parte oscura perché ne rimangono attratti”

“Come può, una persona, passare una vita dalla parte del Bene e poi passare al Male?”

“Perché queste due forze mentre sono in te non rimangono assopite, continuano, giorno dopo giorno, a combattere tra di loro per impadronirsi e avere la meglio sul tuo corpo e sulla tua mente. Dato che all’inizio ti viene insegnata nell’addestramento solo la magia bianca, questa risulterà molto più potente e forte, tanto da calmare e riuscire a reprimere il Male. Ma quando finisci la tua istruzione le due forze si ritrovano su uno stesso livello dato che la magia buona non preme più sull’altra, e dalla notte dei tempi si sa che l’oscuro è sempre stato più forte e ingannevole rispetto il Bene”

“E che succede?” Rebecca ascoltava impietrita il racconto.

“Succede che il Male mette a dura prova la tua forza di resistenza. Quando non ti trovi più con il tuo maestro e rimani sola, il Male ti prende e cerca di farti perdere in esso, tu devi lottare e solo quando l’avrai sconfitto la forza del Male si cancellerà dalla tua anima e tu sarai completamente invasa dal Bene e solo allora diventerai un angelo bianco completo”

“E sennò?”

“Diventerai quello che è diventato Mortimer: un angelo del male”

“E tu eri un angelo del bene”

“Sì”

“E ora? Che si fa?”

“Devi venire con me, altrimenti se rimani qui ti prenderanno. Sei un bersaglio facile e innocuo”

“E chi sarà il mio maestro?”

“Io”

“E gli altri? Denali, Kevin, Rosalie e Delia? Anche loro sono…?”

“No, loro sono amici che mi hanno accompagnato. Denali e Kevin sono fratelli nel mio mondo,
Delia è la figlia del capo villaggio dove noi abitiamo e dove andremo appena torniamo, mentre Rosalie, lei…è mia sorella”

“Allora anche lei è…”

“Devi capire che le persone che possono diventare angeli sono davvero pochissime”

“Quanti angeli iniziati ci sono a Chenzo, oltre a me?”

“Ci sei solo tu”

“Quando hai detto che siamo in pochi non credevo così pochi!”

“Beh, io lo ero, ora ci sei tu che sei un’iniziata, gli angeli bianchi del consiglio sono sette e Mortimer è l’unico angelo del male”

“Uau, e come facciamo a raggiungere questo posto?”

“Entreremo in un campo interspaziale e sfrutteremo la velocità della luce”

“Ok, ma poi come torno a casa, una volta finito il mio allenamento?”

Lo sguardo serio di Gabriel la fece vacillare.

“Quanto dura l’allenamento, Gabriel?” chiese, notando la sua incertezza.

“Dura un anno” ammise, profondamente dispiaciuto.

“Un anno?! E io dovrei tornare tra un anno?!” urlò Rebecca.

“Bec, tu…tu non tornerai a casa”

“Cosa?!”

Non poteva crederci. L’aveva detto sul serio.

“Una volta che diventi un angelo completo non puoi ritornare”

“Perché?” sbraitò lanciando le braccia in aria.
 
“Perché apparterrai a quel mondo, diventerai una sua creatura. Dopotutto, non hai mai avuto nulla a che fare con la Terra”

“Ma io…la scuola, mamma, papà, io…” ma all’improvviso si fermò. Una folle paura la invase e
il dubbio divenne certezza.

“Gabriel, i miei genitori? Come posso essere nata in questo mondo se appartengo al tuo”

“Tu…” Gabriel iniziava a sentirsi profondamente a disagio, non avrebbe voluto dar voce a quello
che stava per dire ma lei, come sempre, arrivò prima di lui.

“Sono stata adottata”



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