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Autore: Pikky    04/07/2013    4 recensioni
Roma, 73 d.C.
Sophia giunge a Roma da schiava. Ha un doloroso passato da donna libera da dimenticare, se vuole adeguarsi subito alla sua nuova condizione. Viene acquistata da un giovane patrizio, Lucio. Senza nemmeno accorgersene si innamorerà di lui, e quando se ne renderà conto sarà troppo tardi. Le diverse condizioni sociali li dividono, ma sarà l’amore in grado di unirli? Ma soprattutto, sono solo quelle a separarli o c’è qualcun altro a cui un loro eventuale amore risulterebbe dannoso?
[Prima classificata al contest 'Impossible Love' indetto da Gely_9_5 sul Forum di Efp]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
Capitoli:
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Schiavi d’amore

 

 

II

 

Passarono le settimane, e Sophia man mano si ambientò.

Fu solo questione di abituarsi a prendere ordini e sottostare a qualcuno, perché per il resto era già avvezza alla vita dei Romani, fin da bambina. La Grecia, infatti, era stata conquistata da Roma più di due secoli prima ed era divenuta provincia, importando le istituzioni dei vincitori. Quella conquista, però, non aveva comportato uno scambio a senso unico. Roma, infatti, era rimasta affascinata dalla grande cultura e dalle bellissime opere d’arte che aveva trovato in Grecia, tanto da portarle nell’Urbe insieme ai filosofi e ai letterati resi schiavi, come lo storico Polibio.  Come aveva scritto il poeta Orazio, infatti, Graecia capta ferum victorem coepit; la Grecia, conquistata, aveva ammaliato a sua volta Roma con la propria arte, il proprio sapere. (1) Sophia non aveva potuto fare a meno di constatare quel fatto, anche a distanza di due secoli, e se ne era perfino un po’ rallegrata; in un ambiente permeato di cultura natia, infatti, sentiva meno la nostalgia di Atene.

Col passare del tempo, si era convinta che il Fato era stato benevolo nei suoi confronti; la famiglia a cui ora apparteneva era una buona famiglia patrizia e la trattava bene. Il senatore Tito pian piano aveva potuto constatare le sue capacità e aveva iniziato a ricredersi sulla propria idea iniziale, mentre Lucio continuava a mostrarsi gentile con lei, forse per timore che tradisse il patto di segretezza che avevano stipulato. Sophia infatti continuava ad aggirarsi per la domus insonne e Lucio a rientrare furtivamente, ed era inevitabile che si incrociassero. Infine Appio e Camilla, i due fratelli minori di Lucio ai quali insegnava il greco, si erano perfino affezionati a lei, e quel loro sincero affetto riempiva la sua giornata. I momenti che passava con loro erano quelli che preferiva, perché poteva tornare a parlare la propria lingua madre e narrare loro i miti con i quali il padre l’aveva cresciuta. Nel rammentare il genitore provava sempre un po’ di nostalgia, ma lo sentiva anche più vicino, perché il dolore dovuto alla sua dipartita aveva lasciato posto alla dolcezza dei ricordi dei momenti trascorsi insieme.

Lo stesso non si poteva dire per i ricordi che riguardavano il marito, però. Quelli continuavano a fare male, e perciò li aveva relegati nell’angolo più oscuro e remoto della propria mente, in modo da rammentarli il meno possibile.

Doveva solo dimenticare, se voleva ricominciare a vivere.

 

Era quasi la fine di Settembre, e l’estate cominciava a languire per lasciare il posto all’autunno.

Sophia stava iniziando a trovare requie nel sonno, e le notti a girovagare per la domus in cerca di frescura stavano iniziando a diminuire.

Non era però il caso di quella notte; la ragazza si trovava infatti seduta su una panca di marmo, nel giardino, quando udì dei passi pesanti dietro di sé. Si voltò e vide Lucio, il cui volto era paonazzo e gli occhi lucidi e un po’ arrossati.

Dominus? Va tutto bene? – chiese dunque, un po’ spaventata. Non l’aveva mai visto così.

– Per niente – rispose il ragazzo, prendendo posto accanto a lei. Non appena aprì bocca, Sophia dovette trattenersi dal fare una smorfia di disgusto, dato che emanava una gran puzza di vino.

– Sei ubriaco? – gli domandò dunque, giungendo alle dovute conclusioni.

– Solo un po’ alticcio, purtroppo. Per mia sfortuna reggo bene il vino e mi risulta difficile ubriacarmi del tutto, sai? Ho bevuto finché non ho finito i soldi che avevo portato con me – rispose Lucio, con voce strascicata. A dispetto di ciò che pensava, doveva essere molto brillo, non solo alticcio.

Sophia scosse la testa, evitando di farsi troppe domande sul perché Lucio volesse bere fino a ubriacarsi. Non erano affari che la riguardavano, eppure, non capiva bene perché, le dispiaceva vederlo in quello stato. Avrebbe dovuto gioire nel vedere così il proprio padrone, tuttavia riusciva solo a rammaricarsene, forse perché, alla fine, era sempre stato gentile nei suoi confronti. Era giunto il momento di ricambiare quella cortesia.

– Ti accompagno nella tua stanza – si propose dunque, alzandosi. – Hai bisogno di una bella dormita.

– Ma io non voglio dormire! – protestò Lucio, ma inutilmente. Sophia lo aveva infatti già issato in piedi tirandolo per un braccio. Per fortuna, il ragazzo era alto e magro, dal fisico asciutto, e quindi non aveva fatto troppa fatica. Al contrario di…

No! Non doveva ricordare; doveva ricacciare quei pensieri nell’angolo più remoto della propria mente, come aveva imparato a fare.

– Assurdo – borbottò Lucio. – Sto prendendo ordini da una mia schiava.

Piano piano, Sophia lo condusse nel suo cubiculum e lo aiutò a mettersi a sedere sul letto.

– Ora me ne vado a dormire – decretò. – Dato che sei solo alticcio, confido che riuscirai a spogliarti da solo. Resta qui, mi raccomando. Confido nel tuo buonsenso, dominus. Sarai anche solo alticcio ma sei parecchio rumoroso ed è una fortuna che nessuno si sia svegliato. Non tentare troppo la sorte, però. Di certo non vuoi che tuo padre si svegli e ti trovi in questo stato, vero?

Quelle parole dovettero bastare a convincere Lucio, perché non proferì più verbo e si limitò ad annuire, a occhi bassi.

– Buonanotte, dominus – lo salutò quindi Sophia, prima di sparire oltre la soglia. Era certa che per quella sera non avrebbe combinato disastri, per cui poteva dormire sonni tranquilli.

– Buonanotte – borbottò di rimando Lucio, prima di rimettersi in piedi. Con gesti goffi e impacciati per via dello stordimento dovuto al vino, si spogliò di ogni abito a eccezione del subligaculum e si buttò sul letto, sdraiandosi su un fianco. Chiuse gli occhi, ma così gli parve che tutta la stanza gli girasse attorno, per cui si sdraiò di schiena e tutto smise di vorticare. Doveva però rimanere immobile, perché ogni minima mossa gli dava la sensazione di trovarsi a bordo di una nave in balia di una terribile tempesta. Non era certo quello l’intontimento che aveva agognato di raggiungere, nel tentativo di ubriacarsi.

Sospirò. Sarebbe stata una lunga notte.

 

Il giorno dopo, Sophia si trovava nel tablinum del senatore Tito, che si era recato in Senato. Col passare delle settimane, si era guadagnata la sua fiducia, tanto che l’uomo le aveva dato il compito di occuparsi del proprio studio, quando lui non era presente.

Stava sistemando alcuni rotoli su uno scaffale, quando con la coda dell’occhio vide un’ombra allungarsi sul pavimento, verso di lei. Si voltò verso la soglia e vide Lucio, in penombra.

Dominus – lo salutò, con un lieve abbassamento del capo. – Come stai? – gli chiese poi, ricordandosi come fosse ridotto la sera prima.

– Ho un gran mal di testa – rispose il ragazzo. – Ma una bella passeggiata me lo farà passare, credo. Vuoi unirti a me?

Sophia rimase spiazzata da quella richiesta. – Veramente devo sistemare qui…

– È già tutto in ordine, non vedi? – ribatté Lucio, con un sorriso. – Vieni con me, dai.

Ma… - provò a ribattere Sophia, ma subito venne zittita da Lucio che le chiese, canzonatorio: - Te lo devo ordinare?

A quel punto la ragazza annuì, e insieme a Lucio uscì dalla domus e lo seguì in direzione del Campo Marzio. Non sapeva bene cosa dire, né come comportarsi. Fortunatamente, fu lui a trarla d’impiccio, prendendo per primo la parola.

– Mi dispiace che tu ieri sera mi abbia visto in quello stato – esordì. – Ero fuori di me. Ero sconvolto… E lo sono tutt’ora.

– È successo qualcosa di grave, dominus? – domandò Sophia, preoccupata. Alla luce del sole, poteva vedere le nere e profonde occhiaie che gli solcavano il viso e gli incupivano i begl’occhi castani. Lucio aveva detto di essere sconvolto, e lo era, si vedeva benissimo. Il motivo rimaneva per lei un mistero.

A quella domanda, Lucio sospirò. – Non esattamente – rispose. – Non so da dove cominciare.

Sospirò nuovamente, affranto. – Sarà meglio partire dall’inizio. Forse, parlarne mi farà stare meglio – decretò infine, rivolto più a se stesso che a Sophia. – Come hai avuto modo di notare, esco, o meglio uscivo, spesso durante la notte. Mi recavo nella dimora di una matrona con la quale intrattenevo una relazione. L’ho conosciuta ad un banchetto, un anno fa… È una donna sposata, quindi mi ha da subito raccomandato di essere discreto e così ho fatto. Sei la prima persona con cui ne parlo, Sophia.

La ragazza sapeva di doversi sentire onorata di ricevere quella confessione, ma tutto quello che riusciva a provare era un gran dispiacere di cui ignorava l’origine.

– È andata avanti così per qualche mese… Mi recavo da lei per… Beh, diciamo che i nostri incontri erano incontri galanti – proseguì Lucio, un po’ imbarazzato. – Ma ecco che ieri, quando stavo per tornare a casa, lei mi dice di non tornare più. Mi ha confessato di essersi annoiata di me e, quella puttana!, di essersi già trovata un altro giovane amante. Mi sono sentito ferito nell’orgoglio, così me ne sono andato e mi sono recato alla taberna più vicina per bere fino a stordirmi, per dimenticare. Il resto lo sai già.

Sophia non fu molto sorpresa da quel racconto. Fatti come quello erano all’ordine del giorno in ogni parte dell’Impero, ma ancora di più a Roma. Specialmente tra le famiglie patrizie, erano rari i matrimoni d’amore. Il fine primario di un’unione era quello di portare prestigio alla famiglia di appartenenza e di perpetuare l’albero genealogico generando dei figli, perciò era normale che il marito o la moglie o addirittura entrambi cercassero amore al di fuori del vincolo coniugale. Certo, col tempo l’amore poteva nascere anche all’interno di un matrimonio, ma era più frequente il contrario. L’unica cosa che si raccomandava era la discrezione, per non gettare disonore sulla famiglia di provenienza. (2)

– Mi dispiace, dominus – si limitò a dire Sophia. Temeva che, aggiungendo altro, avrebbe potuto offenderlo o farlo innervosire, per cui preferì restare in silenzio.

– Dispiace anche a me – ribatté Lucio, con un sospiro. – Da un lato dovevo aspettarmelo… Sapevo che non era una relazione che avrebbe avuto un futuro. Insomma, ho ventisei anni… E mio padre ha già fatto accordi per il mio matrimonio da tempo, non speravo certo che la mia amante divorziasse (3) dal marito per sposare me! Però, ecco… Avrei preferito essere io a troncare la relazione. Mi sento usato. E alla fine è così: sono stato usato e poi gettato via perché non più di suo gradimento! – sbottò, serrando le mani a pugno.

– Scusa se mi permetto, dominus – esordì Sophia, senza più riuscire a trattenersi. Le ultime parole di Lucio le avevano dato da pensare. – Ma non capisco. È il tuo cuore ad essere ferito, o il tuo orgoglio?

Lucio aggrottò le sopracciglia, pensieroso. Sospirò e scosse la testa, affranto. – Mi hai dato un ottimo spunto di riflessione, Sophia. Non lo so nemmeno io. Non riesco a capirlo. La ferita è ancora troppo fresca per essere esaminata – rispose infine. – Torniamo alla domus, ti va? Sembra che il mal di testa sia passato.

Sophia si limitò ad annuire.

Per tutto il tragitto di ritorno, lei e Lucio rimasero in silenzio; il ragazzo era immerso nei propri pensieri e probabilmente aveva già iniziato a riflettere sulla domanda che Sophia gli aveva posto, e la ragazza era pervasa da una strana malinconia che non riusciva a comprendere.

 

Durante la notte, Sophia fu colta da un’improvvisa rivelazione che spiegava perfettamente la causa del suo malessere, e la portata di quella scoperta fu tale che si mise subito a sedere, prendendosi la testa tra le mani.

Provava qualcosa per Lucio.

Suo marito era morto da nemmeno un anno e lei già si ritrovava a provare dei sentimenti per un altro uomo. Era disgustata da se stessa.

Nel viaggio da Atene a Roma, aveva giurato a se stessa che non avrebbe mai più ceduto all’amore di un uomo. Sarebbe diventata una schiava e non sarebbe stata più padrona di nulla, nemmeno dei propri sentimenti. Sapeva bene, infatti, che per sposarsi gli schiavi dovevano chiedere il permesso al loro padrone e che eventuali figli nati dalla loro unione avrebbero potuto essere venduti. Tutto stava nelle mani del dominus, come sempre.

Sophia aveva già sofferto troppo, perciò aveva voluto creare una barriera intorno al proprio cuore. Una barriera che però Lucio, senza saperlo, era riuscito ad infrangere e senza che lei se ne rendesse conto. Era stata troppo impegnata a non dare troppa confidenza agli altri schiavi, forse, per accorgersi che ne stava dando troppa a Lucio. E gliene aveva data talmente tanta che lui quel giorno aveva deciso di confidarsi con lei riguardo i propri affanni.

Iniziò a piangere, in silenzio. Era da tanto che non versava più una lacrima, e da un lato fu liberatorio, ma dall’altro non risolse i suoi problemi. Il sentimento che provava per Lucio restava. E terribile era la consapevolezza di essersi imbarcata in qualcosa più grande di lei, in un amore impossibile per il proprio dominus, in una situazione senza via di uscita.

Di nuovo si ritrovò a chiedersi perché non fosse morta anche lei, assieme a suo marito.

 

Arrivò l’inverno, e fu rigido.

Lucio si riprese dalla propria delusione amorosa, e questo fu anche grazie a quella passeggiata con Sophia, che gli aveva fatto capire che il proprio malessere era dovuto più al proprio orgoglio ferito che non al proprio cuore spezzato. Le ferite che aveva subìto erano due, ma la più grave era stata inferta all’amor proprio di Lucio, che in breve dimenticò tutto.

Con l’arrivo della brutta stagione, i problemi d’insonnia di Sophia erano svaniti, e gli incontri notturni tra lei e Lucio di conseguenza erano cessati. Il ragazzo un po’ se ne rammaricava e si era ritrovato spesso, di ritorno da qualche banchetto, a sperare di trovare Sophia in giardino per poter scambiare con lei due chiacchiere.

Sophia, d’altro canto, fu sollevata dall’arrivo dell’inverno per due motivi: come prima cosa, perché avrebbe potuto finalmente dormire sonni tranquilli, e di conseguenza come seconda cosa perché non avrebbe più visto Lucio di ritorno dalle sue uscite serali. Era infatti convinta che il ragazzo non avesse perso tempo e si fosse trovato un’altra amante, oppure avesse iniziato a recarsi nei lupanari per sollazzarsi con qualche prostituta. Non aveva prove di ciò, ma era un’idea che si era messa in testa per costringersi a fare i conti con la realtà: lei era una schiava e non poteva provare quel tipo di sentimento che sentiva per il proprio padrone. Non riusciva nemmeno a chiamare quel sentimento con il nome che gli spettava, talmente ne era disgustata e sconvolta.

Per quanto le fosse possibile, cercava di evitare Lucio il più possibile. Da quel giorno di Settembre in cui lui si era confidata con lei, infatti, non aveva più avuto occasione di stare da sola con lui. Da quando si era resa conto di quello che provava, aveva iniziato a dedicarsi anima e corpo ad Appio e Camilla e agli altri compiti da schiava che Tito le aveva assegnato e continuava ad affidarle, e li svolgeva con zelo.

Del resto, era l’unico modo per ricordarsi la propria condizione.

Non era più una donna libera.

 

 

Note

(1)  Sì, è proprio così. Spero di aver spiegato bene questa cosa, che ho studiate in tutte le salse: letteratura latina, storia romana, archeologia classica e storia greca. Dopo la conquista della Grecia da parte di Roma nel II secolo a.C. (non sto ad elencarvi le tappe perché sono infinite e noiose), la cultura greca arriva a permeare quella romana così tanto che lo studioso Paul Veyne parla di ‘impero greco-romano’.

(2)  Tutto quello descritto in questo paragrafo e in quello prima è ricavato dall’ultimo libro di Alberto Angela, “Amore e sesso nell’Antica Roma”. Ovviamente lì è spiegato meglio e in modo più accurato, io ne ho tratto solo ciò che mi serviva per questa storia.

(3)  No, non è un anacronismo. Il divorzio era una pratica già presente nell’Antica Roma e molto, molto diffusa. Dimenticate l’infinita burocrazia che abbiamo al giorno d’oggi. All’epoca, per divorziare, era sufficiente che il marito dicesse alla moglie “Res tuas tibi habeto!” (ovvero “Prendi le tue cose e vattene!”), o comunque varianti di questa formula, e il gioco era fatto.

 

Eccomi qui anche con il secondo capitolo. Spero vi sia piaciuto^^
Come sempre, vi invito a farmi sapere la vostra e a segnalarmi eventuali errori e sviste. Ringrazio molto chi ha recensito lo scorso capitolo, chi mi ha inserita tra le preferite/ricordate/seguite e chi ha letto solamente. Grazie^^

A presto^^

Sara

   
 
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