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Autore: MaricciaWeasley    05/07/2013    0 recensioni
Giulia,di sedici anni,vive da sei anni in un paesino della provincia di Bari. Prima di allora era stata costretta a trasferirsi più volte ,ma negli ultimi tempi aveva cominciato a pensare che sarebbe rimasta lì per sempre.. ma ovviamente si sbagliava. Anche questa volta le toccherà cominciare tutto daccapo.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era un posto deserto.. come potevo esserci finita lì? Era buio pesto e non riuscivo a vedere assolutamente nulla. Poi d’un tratto vidi apparire una luce dinanzi ai miei occhi. La seguii ,curiosa di sapere dove mi avrebbe portata. Ma più cercavo di avvicinarmi ad essa più questa si allontanava, poi ancora buio. D’un tratto vidi i volti dei miei amici e delle persone care che avevo appena lasciato apparirmi dinanzi. Mi sorridevano, ammiccavano ed io cercavo di avvicinarmi a loro.. ma questi si allontanavano sempre di più. Presi a correre fino a ché un dolore lancinante ai fianchi non mi disse che dovevo fermarmi. Guardai i volti scomparire sorridendo e io scoppiai in un pianto. «Non lasciatemi!» gridai e fu l’ultima cosa che dissi prima che la voce di mio fratello mi svegliasse dall’incubo nel quale ero caduta. «Giulia! Giulia!» sentii mio fratello chiamarmi. Mi svegliai di botto madida di sudore e lo guardai frastornata «Che succede?» dissi, sperando di non avere un tono troppo agitato. «Hai urlato» disse con tono preoccupato. «Era solo un brutto sogno.».. “solo un brutto sogno” ripetei in un soffio. Più che altro era solo una rassicurazione a me stessa.
***
Niente di quello che accadde dopo riuscì a distogliere la mia mente da quel brutto sogno. Ogni volta che cercavo di chiudere gli occhi le immagini di quell’incubo si risvegliavano nitide nella mia mente. Persino l’arrivo a Roma non riuscì a distrarmi da quel brutto sogno. Quando arrivammo me ne accorsi appena e sentì solo mio fratello esordire con un «Giulia, guarda che meraviglia!», ma io non lo stavo ascoltando.. ero completamente persa nei miei pensieri. Decisi di risvegliarmi dal mio torpore solamente quando fummo arrivati davanti al portone della nostra nuova residenza. «Visto che bel palazzo abbiamo trovato? » la mano del papà era poggiata sulla mia spalla e scrutava curioso il mio viso come se cercasse di captare i miei pensieri, ma l’unica cosa che feci fu una scrollata di spalle. L’unica cosa che mi aveva colpita di quel posto, per adesso, era l’immensità di quei palazzi. Dove abitavo io fino a ieri, non ve n’erano di così alti. Presi la mia valigia e la portai dentro all’immenso porticato e aspettai che il papà mi raggiungesse per arrivare al piano giusto. La porta dell’ascensore si aprì con un clic e allo stesso modo si richiuse per poi riaprirsi ancora una volta quando fummo arrivati. Il papà fece scattare la serratura della porta e questa finalmente si aprì. «Le vostre camere sono già pronte.» disse il papà sorridendo. «Davide, la tua camera è in fondo a destra. Mentre la tua, Giulia,» disse guardandomi negli occhi «E’ infondo a sinistra, proprio di fronte a quella di tuo fratello. E spero che la vista sia di tuo gradimento.» aggiunse infine. Mi incamminai rapida per il corridoio e raggiunsi la mia camera. Quando aprì la porta della stanza, la prima cosa che notai, era che le mie cose erano già stipate in bell’ordine sulle mensole. Persino i miei libri. Mi sedetti sul letto e mi guardai attorno poi rivolsi il mio sguardo alla finestra. Poiché ero curiosa di vedere cosa ci fosse nascosto dietro alle pesanti tende di lana mi affrettai ad alzarmi. Solo quando le scostai capii di avere davanti l’intera vista di Roma. Al primo impatto rimasi completamente stupita dalla bellezza della città e poi rimasi per un po’ incantata a guardare le luci delle macchine e dei palazzi tutt’attorno. «Magnifica, vero?» sentì dire al papà mentre era sulla soglia che mi guardava soddisfatto. «Davvero bella» dissi in poco più di un soffio. Poi sentii i suoi passi dirigersi in cucina e io rimasi ancora lì per un po’ ad osservare il panorama fino a ché non ricordai di non aver ancora aperto il pacchetto che i miei amici mi avevano regalato poco prima della partenza. Richiusi titubante le tende e mi affrettai a prendere la borsa per poi infilarci dentro la mano e sfilare da essa la scatolina. La aprii e rimasi di stucco. Al suo interno c’era una collana molto doppia dove erano incise le mie iniziali.. ma non fu quella la cosa che, per la prima volta nell’arco della giornata, mi indusse a piangere. Fu solo quando scoprii che il suo ciondolo si apriva che scoppiai in un pianto. La piccola foto al suo interno era l’ultima foto di gruppo che avevano scattato al mare giusto un mese prima, in estate. Ed ora era già a settembre. Sembrava che fosse passato un secolo da quella volta e avrei dato qualsiasi cosa per poter tornare a quel momento e riviverlo. Strinsi tra le mani quel ciondolo e poi tornai a guardare la scatolina.. non mi ero accorta, quando l’ avevo aperta, che dall’interno ne era caduto un biglietto che recitava esattamente le seguenti parole: “Quando ti sentirai sola o avrai bisogno di far tornare alla mente un bel ricordo, apri il ciondolo. Al suo interno c’è una foto della nostra ultima volta al mare insieme. Tutti noi e soprattutto io, Annalisa, speriamo che ti piaccia. Ci Mancherai.”. Sentii altre lacrime solcarmi il viso e la tristezza invadermi ancora una volta. Ancora una volta mi ritrovai a pensare a cosa stessero facendo in quell’esatto momento e a cosa avrei fatto io se fossi ancora lì con loro. Non fu facile mandare via quei pensieri, fino a ché Davide non venne nella mia camera a dirmi che la cena era pronta in tavola. Per un momento, mio fratello, si fermò sulla soglia della porta .. quasi volesse chiedermi del perché fossi così triste. Ma poi fissò il pacchetto e credo che fu allora che ne capì il motivo e sparì lasciando che l’eco dei suoi passi risuonasse per la casa fino a raggiungere il salotto. Mi alzai lasciando le cose esattamente così com’erano. Le avrei rimesse a posto una volta finito di cenare. A tavola solo Davide ed il papà avevano voglia di conversare mentre io e la mamma finivamo in silenzio il nostro pasto. La guardai incuriosita. Non aveva aperto bocca per tutta la durata del viaggio e non l’avevo neanche sentita conversare con il papà mentre io ero in camera. Chissà cosa pensava, chissà cosa nascondeva. Ma non dovetti attendere molto prima di saperlo. Dopo aver cenato la raggiunsi in cucina per aiutarla e fu allora che le chiesi del perché fosse rimasta silenziosa per tutto quel tempo. Saltò fuori che anche lei sarebbe voluta rimanere lì ma che per amore di papà e della famiglia aveva accettato tutto questo e io le dissi, che per quanto doloroso fosse stato questo distacco, l’avremmo superato insieme come qualsiasi altra cosa. Dopo di ciò me ne tornai in camera e, ancora una volta, tornai a fissare il panorama fuori dalla finestra. Era tarda sera ormai e forse avrei fatto meglio ad andare a letto ma il ricordo dell’incubo di qualche ora prima tornò a farsi vivo ancora una volta. Avevo paura di addormentarmi e di sprofondare in un nuovo incubo ma la stanchezza del viaggio durato per ore e le emozioni di quel pomeriggio furono più forti di me: appoggiai la testa sul cuscino e il sonno si impadronì di me.
   
 
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