Non ti muovere
2.
L'albero degli impiccati.
***
(Pansy
Parkinson)
I
want to reconcile the violence in your heart
I
want to recognise your beauty’s not just a mask
I
want to exorcise the demons from your past
I
want to satisfy the undisclosed desires in your
heart.
(Undisclosed
Desires, Muse)
Ma so che mi stai guardando da qualche parte.
Forse dal cielo?
Non
ti muovere.
Se
c'era davvero un motivo per il quale odiava gli specchi, quello era il
più
prevedibile.
L'implacabile desiderio di guardarsi e non restare ripugnata dalla sua
stessa
vista era come bere acqua ghiacciata d'inverno.
Inutile e dannoso.
E
allora perché rompere a calci tutti gli specchi del mondo?
Perchè nessuno aveva
ancora pensato a uno specchio per contemplare la propria anima?
Nera
o così pura da essere invisibile non faceva differenza, per
Pansy Parkinson.
Non
ti muovere.
Tanto
sarebbe rimasta sempre impalata a guardarsi, a impiantare i piedi al
suolo e a
agitare le mani lentamente.
A
fingere di sentire la brezza nei capelli e l'odore dei fiori di campo.
L'odore
dell'estate arida e delle cicale. Un sorriso sincero e un buon motivo
per
fingere di ignorare la sua immagine allo specchio.
Tutto ciò che desiderava. Tutto ciò che era
così prevedibile per gli altri, e
così poco famigliare per lei.
Tutto ciò che
non aveva mai provato.
Così lontano.
C'è qualcuno che amandoti possa chiudere gli occhi?
C'è qualcuno che per un
attimo possa ignorare la guerra nella tua testa?
La
tua pazzia.
Non ti muovere.
Aveva
salito un milione di scale, abbandonato la normalità, lo
scrivere sulle pareti
parole insignificanti, piangere con gli occhi chiusi e sentire dolore
alle
mani.
Scrivere
lettere e bruciare poesie.
Collezionare viole appassite.
Lei stessa.
C'era stata una volta in cui una persona le aveva raccontato la storia
di un
guerriero che, sulla strada del ritorno a casa, dopo venti anni di
sofferenze,
battaglie, ferite, cicatrici, aveva perso se stesso. Aveva perso se
stesso
mentre ritornava verso ciò che amava.
Amare?
«No, non ti
è mai interessato.»
«Io non ti ho
mai amato per davvero.»
Corri.
Corri,
Pansy, prima che lo specchio ti risucchi.
Corri,
Pansy, prima che quello che desideri diventi un incubo.
Corri
all'albero degli impiccati.
Fuggi
dall'amore, Pansy.
Pansy
si ripeteva che avrebbe corso, che avrebbe buttato tutto
all'aria.
Che si sarebbe fatta forza. Perché lei era forte. Sarebbe
stata forte.
Per quella che sembrava una vita intera, Pansy aveva adorato tutto di
lui: il
luccichio nei suoi occhi, le sue parole, il battere delle sue ciglia e
lo
sguardo incupito, proprio come lance nello stomaco.
Aveva adorato la terra
sotto i suoi piedi.
Fuggi, fuggi prima che
sia troppo tardi, e quel piccolo spazio di cielo nero
ti risucchi per sempre.
Pansy si sarebbe rialzata.
Forse avrebbe aperto gli
occhi.
****
Note d'autore:
Questa flash fic assume per me
un significato molto particolare. Non solo per il giorno in cui l'ho
completata - avendola già abbozzata -, ma per le motivazioni
personali che scaturiscono da essa. Per me ha una grandissima
importanza. Ma non voglio perdermi in chiacchiere. Dopo innumerevoli
problemi irrisolti, sono qui, magari a rialzarmi, anche se non
è il momento più opportuno per farlo. Ma Pansy mi
sembra una di quelle occasioni che mai dovresti perdere. La canzone
prediletta è dei Muse, ovviamente! Credo ci calzi a
pennello. "La terra sotto i suoi piedi" è liberamente
ispirata - io direi tradotta - da "The ground beneath her feet" degli
U2. L'albero degli impiccati è un riferimento diretto a
Hunger Games. Amo quella canzone.
E non posso nemmeno ignorare la grande influenza che ha avuto su questa
flash fic, "Ride"
di Lana del Rey. È sempre musica e poesia. Sempre.
Per chiunque avesse letto, lancio un saluto enorme.
Stateless