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Autore: Celebien    11/07/2013    0 recensioni
Un mondo, reso oscuro da una forza sconosciuta che si nasconde dietro le fiamme e da esse trae il suo potere, fronteggerà il coraggio di due sorelle divise fisicamente dai servi dello stesso nemico oscuro, ma legate con l'anima nel corpo dell'unica sopravvissuta. Due sorelle dal carattere opposto, ma che saranno l'una la guida per l'altra durante una fase di crescita, nel cammino verso la libertà e il riscatto per ogni vita rubata.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo primo: il sogno.

Fuoco e fiamme nell'oscurità, l'aria puzzava di bruciato, di morte e l'occhio si perdeva in mezzo  al fumo rosso che sembrava rimpicciolire il campo visivo.
Paura, Rabbia, Tradimento, Passione, Felicità, Agonia tutte le emozioni che fanno parte di una vita si concentravano in quello scenario come se ogni minuto, secondo mandava in playback la storia di un'intera vita terrena o passata e lo scorrere di quel fiume incandescente di idee, parole, emozioni e pensieri dava forza e vigore.
Uno stridio di spade echeggiò nell'aria e lo scintillio di uno scontro di esse illuminò il volto di una giovane dagli occhi dorati e una chioma verde informe che le incorniciava il volto. Dall'altra parte il nulla, solo fiamme,  urla disumane che sapevano di tuoni talmente potenti da far tremare la terra e una seconda spada dal colore nero lucente e una pietra antica come il mondo rossa, all'interno di cui si potevano intravedere custodite fiamme scoppiettanti ad ogni attacco. Salti, parate e affondi quella figura minuta sembrava una cavalletta o una ballerina che danzava in quell'inferno coordinata e decisa, come se non fosse intimidita da nulla,  decisa a porre fine a una battaglia iniziata non si sa da chi né quando. Combatteva contro il nulla avanti a se se non quella stranissima spada. Ad un certo punto parole strane, parole Proibite provenirono dalla parte dell'avversario e lei, dagli occhi dorati, rimase impietrita nell'ascoltarle anche se consapevole di non doverlo fare perchè sapeva che quelle stesse parole avrebbero determinato la fine di ogni cosa: "Yerà isumpt'annà, yerà isumpt'anna" sentiva esploderle la testa, non doveva ascoltare  non doveva. Cadde in ginocchio con la spada al suo fianco che si frantumò in mille pezzi, tenne le mani alle orecchie mentre quella cantilena mortale continuava indisturbata e più decisa: "Yerà isumpt'annà, yerà isumpt'annà, YERA' ISUMPT'ANNA'!" l'ultima arrivò come un tuono, alzò  gli occhi e nel farlo incontrò un paio di occhi infuocati e il dolore dilagò per tutto il suo corpo facendola urlare di  disperazione e senza riuscire a staccare lo sguardo da quei due occhi di fuoco che l'avevano imprigionata. "Ora, muori!" esclamò con calma decisione una voce grottesca proveniente da quella creatura indefinita e paurosa. La guerriera  urlò, urlò come non aveva urlato mai, riuscì a liberare lo sguardo e a serrare gli occhi decisa a non abbassarsi a quel destino. Nelle fiamme, nel ringhio di quella creatura e nelle stesse urla della guerriera si fece strada una voce pacifica e sfocata ma che pian piano comincia a prendere consistenza e la chiamava: "Zanira, Zanira".. tutto si dissolse e la voce divenne chiara e reale. "Zanira svegliati, hai fatto solo un brutto sogno, devi svegliarti!"
Zanira spalancò gli occhi con il fiatone e tutto il corpo madido di sudore, percorso da spasmi e tremori, "era solo un sogno?" chiese cercando di calmare il respiro e i battiti
"si, il solito sogno, stai tranquilla" rispose una ragazza dal viso candido davanti a lei, capelli verdi lunghi e fluenti raccolti a un lato illuminati da riflessi dorati e un paio di occhi castani incorniciati di verde muschio. Le si sedette accanto e le accarezzò dolcemente i capelli, "te la senti di fare colazione" chiese con un sorriso,
"Si Alena, adesso arrivo dammi due minuti" rispose Zanira da una parte ancora incosciente
"d'accordo sorellina, ti aspetto di là!" rispose Alena stringendole la mano e uscendo calma dalla stanza. Zanira rimase qualche istante seduta sul suo letto con il respiro ancora lievemente irregolare; era lieta di sapere che ciò che era accaduto era stato solo frutto del suo inconscio, che non era accaduto veramente e volle assaporare la consapevolezza di ciò girando lo sguardo tutt'intorno e si rincuorò del fatto che non vi fosse né puzza di bruciato né fiamme intorno a lei, ma soprattutto che non vi fossero gli occhi rossi di quella creatura infernale. Nonostante si fosse calmata sentiva dentro di se che quel sogno che la attanagliava da mesi non era semplicemente qualcosa di irreale, lo sentiva troppo vero come un ricordo o peggio ancora una premonizione.
"Ma che dico? E' impossibile che sia un ricordo o una premonizione solamente per il fatto che non so maneggiare nemmeno il coltello da cucina, figuriamoci una spada" pensò dentro di se e facendosi scappare un lieve sorriso. Un respiro profondo e si alzò dal letto dirigendosi verso il grande specchio posto in fondo alla sua stanza grande ma semplice, come semplice in fin dei conti era la vita di Zanira. Si mise davanti allo specchio e rimase a guardare il suo riflesso: corpo minuto dalla colorazione rosa pallido come se si trattasse di una rosa appena sbocciata, coperto da una bianca camicia da notte lunga fin sopra il ginocchio che nascondeva la vita stretta e un piccolo seno. Solitamente non si dilettava nel contemplare la sua figura, non era vanitosa né narcisista ma qualcosa dentro di se la spinse a compiere quel gesto. Volle capire se era veramente lei la fanciulla guerriera del sogno dagli occhi dorati e pieni di odio, rabbia e disperazione e quei capelli corti e scompigliati. Si rivelò un altro volto; sereno di una giovane ragazza dagli occhi del color della terra e dai capelli si verdi, ma lunghi e fluenti che scendevano lisci dal capo per andare a formare numerose ed eleganti onde color smeraldo.
"No, quella ragazza non posso essere io, il colore degli occhi è totalmente diverso, lo sguardo stesso non sembra affatto il mio.. no, sicuramente la mia mente si diverte a mescolare dettagli di persone diverse e sconosciute tra qui io stessa  creandone una nuova. Si, sicuramente è così!"
"Zanira, allora vieni?" squillò la voce di Alena da fuori la stanza,
"Si, arrivo!" rispose sussultando minimamente perchè concentrata in quel suo ragionamento. Di corsa legò i capelli alla meno peggio e  raggiunse la stanza appena fuori la sua. Una sala abbastanza grande, punto centrale dell'intera casa dove era concentrata la cucina formata da un grande focolare; al centro dell'intera stanza si trovava un grande tavolo di legno scuro circondato da quattro sedie e ognuna di esse, tranne una, era apparecchiata per la colazione. da tre finestre in tre lati della stanza entrava la luce calda e accogliente del sole e si potevano intravedere lì fuori estesi campi verdi e fiorati, pieni di vita e vigore.
Alena stava finendo di apparecchiare la tavola ponendo un vaso al centro di essa pieno di fiori di campo appena colti. "Come al solito sei la maga della casa" Disse Zanira alla sorella con un sorriso mentre si sedeva a tavola appoggiando i gomiti e il mento fra le mani. "Non dimenticare che sono anche la maga della cucina, mentre tu sei una frana a partire da come conci quei poveri capelli e da come ti poni a tavola" disse con ironia scostando le braccia di Zanira dalla tavola "perchè non sciogli quei capelli e non valorizzi un po' di più la tua figura? Cerchi di essere più femminile, insomma"
Come  al solito Zanira non poteva sopportare la predica mattutina della sorella e alzò gli occhi al cielo con il solito sorriso perchè in fondo sapeva che Alena aveva ragione, non era più una bambina ed era arrivato il momento di far uscire la donna che era in lei; il problema di Zanira era solamente uno: era troppo pigra anche per cambiare modi di fare e di vestire da un momento all'altro, non amava i cambiamenti e Alena non poteva fare altro che accettarla per quello che era, ma sapeva che un giorno la sua amata sorella sarebbe cambiata, l'essere femminile sarebbe esploso e Zanira avrebbe trovato la sua strada. "Come non detto" rispose Alena scuotendo la testa e versando nella ciotola della sorella del latte da una caraffa scura. Proveniva un profumo dolce che risvegliò lo stomaco di Zanira che rimase sconcertata per qualche secondo, giusto il tempo che Alena versasse il latte nelle altre due scodelle e si sedesse  di fronte a Zanira.
"Cos'altro hai inventato questa volta?" chiese con gli occhi che le brillavano e lo stomaco borbottante, impaziente di ricevere quel paradiso.
"Nuova ricetta, nulla di speciale: Latte con un po' di miele, una spruzzata di cannella e semi di vaniglia, ah ma non è mica finita qui" rispose Alena sorridente e soddisfatta; solo in quel momento Zanira si accorse che al centro della tavola, oltre al vaso pieno di fiori, si trovava un piatto coperto da un coperchio di legno scuro che non permetteva allo sguardo di poter vedere cosa contenesse. Alena esitò qualche istante fissando lo sguardo perso di Zanira e dilettandosi nel vedere come le sue prelibatezze la lasciassero senza parole; scoprì il contenuto ed entrambe furono investite dal profumo di una torta di media grandezza circolare la cui superficie era ammantata da fiori bianchi e profumati. Ai lati la torta sembrava incoronata... Zanira rimase davvero senza parole, ma riuscì a tornare in fretta con i piedi per terra, "ricetta nuova?" con gli occhi spalancati come la bocca e lo sguardo completamente perso in quella  visione. Alena scoppiò a ridere mentre tagliava una piccola fetta e gli e la porgeva davanti: "crostata di biancospino, l'ho sperimentata questa mattina all'alba, pasta frolla farcita con una crema al miele e olio di biancospino, torna nel mondo dei vivi, assaggia e dimmi che ne pensi!"
Non se lo fece ripetere due volte e senza esitare diede il primo morso. "Allora?" chiese Alena impaziente, non ricevette risposta poiché Zanira era completamente immersa nei suoi sogni. Con gli occhi chiusi masticava lentamente e quasi si dimenticava di respirare, ciò significava che la torta era sicuramente di suo gradimento; a forza, quasi come se stesse male all'idea di dover deglutire quella prelibatezza mandò giù scendendo con i piedi per terra, aprì gli occhi e guardando intensamente la sorella, "Beato chi ti sposa sorella mia" esclamò quasi come se stesse per commuoversi. Alena scoppiò a ridere divertita dalla reazione e cominciò a mangiare.
"sai- esclamò ad un certo punto Zanira- comincio ad avere un po' paura di questo sogno ricorrente. Non riesco a capire perchè ogni notte mi capita di sognare sempre la stessa cosa". Alena non cambiò sguardo, rimase calma e dopo un sorso dalla scodella rispose: "su dai non ci pensare, era soltanto un sogno niente di reale non devi averne paura"
"si lo so, ma quello che mi sconvolge sono le sensazioni che provo. E' come se fossi davvero lì, riesco a sentire chiaramente il calore di quelle fiamme, l'odore di bruciato... percepisco la paura e la rabbia e quando.. quando quel mostro si fa avanti e pronuncia quelle strane parole; non so cosa vogliano dire né di che lingua si tratti ma so chiaramente che quelle parole significano male, fine di tutto e non appena le pronuncia, ogni volta la sensazione di dolore è reale, più che mai. Ed è come se ad ogni notte queste sensazioni diventino più pressanti e reali.. non so che pensare Alena, non lo so davvero."
Lo sguardo della sorella questa volta mutò divenendo preoccupato e cominciò a fuggire lo sguardo della sorella concentrandosi sulla tavola, vedere la Zanira in quelle condizioni la faceva stare male cercò quindi di calmare prima se stessa facendo un respiro profondo, alzò quindi gli occhi unendo il suo sguardo a quello della sorella: "Zanì, ma sei certa che la guerriera di cui tu parli sei veramente tu?" chiese quindi con fare talmente preoccupato da mettere a disagio Zanira che cominciò a stropicciarsi nervosamente le mani, "No, ci sono certi particolari che non corrispondono  a me: la chioma per esempio, io porto i capelli lunghi mentre la guerriera del sogno li ha corti e tutti scompigliati"
"vabbè, non tocchiamo l'argomento capelli" esclamò Alena per sciogliere un po' la tensione che si era venuta a creare nella stanza, riuscirono entrambe a ridacchiare per un istante ma subito dopo  Zanira riacquistò lo sguardo serio," poi gli occhi; quelli della guerriera sono diversi dai miei, sono.. dorati, come le sfumature fra i tuoi capelli mentre i miei sono castani normali.. e poi francamente mi riesce difficile credere che io possa maneggiare una spada da guerriero e possa combattere contro una creatura del genere, solo che sento di essere davvero io ma non so ancora il perché" entrambe rimasero in silenzio per qualche istante e bevvero sorsi di latte rimanendo con lo sguardo perso nel vuoto.
L'atmosfera venne interrotta dalla porta d'ingresso della casa che si aprì improvvisamente e fecero l'ingresso un paio di stivali di quoio scuri di un uomo alto e grande vestito con una tuta da campagna e le mani consunte dal lavoro di una vita, il volto paffuto e arrossato dal sole e una chioma di capelli dorati impastricciati dal sudore.
"Padre!" esclamarono le due giovani e l'uomo si aprì in un sorriso smagliante, "eccole i miei gioielli. C'è posto a tavola per lo stomaco affamato di un grande papà?" disse chiudendo piano la porta e mettendosi a sedere, "Uh Alena, hai dato spazio di nuovo alla tua creatività culinaria" disse con gli occhi brillanti sulla crostata di biancospino. "Già, scusaci se non ti abbiamo aspettato per cominciare ma stavamo morendo di fame" rispose Alena
"Non vi preoccupate, avete fatto bene." disse il padre addentando un pezzo di crostata.
La mattinata procedette calma ma Zanira non era totalmente serena; passò tutta la giornata a ripensare a quel sogno e a cercare qualsiasi tipo di collegamento logico ma non riuscì ad arrivare a capo di nulla. Nemor, il padre delle due giovani era un uomo forte ma buono, dedito molto al lavoro dei campi e alla gestione della stalla della casa, composta da nient'altro che una mucca, due vecchi cavalli che grondavano di vita e vigore, con cui nei momenti di più quiete, lui e Zanira si divertivano a cavalcare nella distesa verde intorno a casa, Alena non si univa a loro poiché trovava più diletto nello starsene chiusa in cucina a sperimentare nuove ricette o con i piedi ben saldi sul terreno della distesa verde a cercare nuove erbe e fiori con cui dare vita alle sue creazioni culinarie. In un altro recinto sul retro dell'abitazione vi erano circa una decina di galline. Non godevano di una grande ricchezza, ma Nemor, Zanira e Alena vivevano sereni, non mancavano di nulla se non di qualcuno. La madre delle giovani, Carèn era scomparsa da pochi anni e non si sapeva nulla di lei, la si credeva ormai morta e la sua scomparsa lasciò un vuoto incolmabile all'interno della famiglia; ma dopo parecchio tempo s'instaurò un certo equilibrio che fino a quel periodo regnava in casa e faceva di quella piccola famiglia incompleta, un nido di serenità e benessere. Zanira e Alena non erano di razza umana, Nemor e Carèn erano infatti un uomo e un elfo innamorati l'uno dell'altra e diedero vita alle due fanciulle che ereditarono caratteri materni e paterni senza essere del tutto di razza umana e razza elfica: possedevano i capelli verdi ma Alena aveva i riflessi dorati della chioma del padre mentre Zanira ereditò gli occhi castani penetranti di Nemor e il suo carattere, mentre la chioma da Carèn. Entrambe però ereditarono le orecchie pure della madre tipiche di ogni elfo ed erano padrone di quella bellezza incontaminata e leggiadra di cui tutti nel villaggio poco distante da casa ne erano innamorati.
Nel primo pomeriggio l'aria in casa si fece torbida e stagnante e Zanira ebbe l'idea di addentrarsi bel boschetto appena sul retro della casa, pochi alberi che però facevano ombra ed era il punto più vicino alla pianura del vento, una distesa verde accarezzata perennemente dal vento che si espandeva poi nelle zone circostanti e nella stagione più calda dell'anno, quella porzione di terra appartenente a Zanira, offriva il miglior rifugio per ripararsi dal caldo. Si sedette sul terreno con la schiena poggiata al tronco di uno degli alberi e, assicurandosi che non vi fosse nessuno nelle vicinanze tirò fuori dalla sua veste una vecchia pipa che riempì con delle erbe secche e germogli di fiori, la accese e aspirò profondamente con gli occhi chiusi per godere di quel momento magico che poche volte aveva l'occasione di assaporare. Ovviamente non era concesso alle fanciulle di fumare, ma a Zanira non le importava se non il fatto di non volersi fare scoprire; anche se aveva un carattere tosto e deciso temeva il giudizio o la rabbia non tanto del padre quanto della sorella Alena che tentava in ogni modo di renderla più femminile e aggraziata possibile, quasi come se volesse prendere le vestigia della madre e quando l'occasione lo chiedeva, Zanira la accontentava mettendoci del suo meglio ma quando si trovava sola con nessun altro che se stessa, poteva lasciare libero il suo spirito ed essere pienamente se stessa, tutto ciò accadeva anche quando andava a cavallo: se si trattava delle passeggiate insieme a Nemor, Zanira era costretta a moderare il proprio impeto e quello del suo amato cavallo Amoret, ma quando erano soli, lei e il suo fidato amico si lasciavano andare a corse sfrenate, talmente tanto che gli zoccoli di Amoret sembrava non toccassero il suolo. Sognava di volare in groppa ad un drago dal manto rosso rubino, ma sapeva che ciò non sarebbe mai accaduto perché i dragi erano animali da guerra non semplici cavalli, difficili da domare ma in grado di poter offrire lealtà e protezione al cavaliere che ne diventava il compagno per la vita, uno solo come due anime gemelle, due metà dello stesso frutto. I suoi pensieri furono bruscamente interrotti dal suono della voce del padre che la chiamava; in fretta aspirò per l'ultima volta, nascose la pipa e strappando qualche foglia di menta che cresceva rigogliosa vicino al punto in cui era seduta lei, le portò alla bocca e cominciò a masticarle per coprire l'odore del fumo.
"Ah sei qui, ti stavo cercando come un matto" esclamò Nemor con il fiatone, "che succede padre?" chiese Zanira in preda all'ansia "ho bisogno che tu vada al negozio di Limor a Leonar, ho bisogno di una nuova falce per tagliare il grano, quella che ho è troppo vecchia e arruginita" Zanira sgranò gli occhi e assunse la tipica espressione che aveva ogni volta che non aveva intenzione di fare qualcosa, "Limor, quello che ha il negozio di armi e attrezzi per i campi? Che vive a Leonar?" il padre la guardò sgomento, "eh si, quale altro Limor conosci?" "Quindi il padre di Thomas?" chiese ancora lei nonostante conoscesse la risposta, "qual'è il problema?" chiese il padre preoccupato, "è che, padre non potete andarci voi? O Alena?" Nemor alzò un sopracciglio e si lasciò sbilanciarsi con la spalla verso un albero, "Primo: se avessi potuto non avrei chiesto il tuo aiuto ma ci avrei pensato da solo, inoltre per raggiungere Leonar a piedi ci vuole un giorno e mezzo visto che tua sorella non sa andare a cavallo mentre tu, con la guida sfrenata che hai, bada che ti ho vista quanto corri, impieghi la metà del tempo. Punto secondo, che problemi hai con quel ragazzo? Ti piace forse?" Nemor alle ultime parole non potè frenare un sorriso sghembo, "no, assolutamente no, anzi sono io che piaccio a lui, è troppo appiccicoso mi fa sentire in imbarazzo" involontariamente Zanira si sentì avvampare le guance e il padre scoppiò a ridere ma si ricompose subito: "figlia mia, questo è il vantaggio, anzi lo svantaggio di avere delle figlie così belle, è normale che tu gli piaccia ma cosa c'è di male? Cos'ha che non ti piace?" Zanira si alzò in piedi in preda a uno scatto di nervi tale che si dimenticò di avere in bocca le foglia di menta che inghiottì istintivamente, "non lo so che ha che non mi piace, non mi piace e basta. Non ci voglio andare" la sua sembrava quasi una supplica, "oh suvvia Zanira, non ti mangia mica e poi non è detto che stia in negozio, magari sarà da qualche parte. Per favore ho bisogno di quell'attrezzo, tanto per tua sfortuna lo incontrerai altre volte" attaccò un'altra volta a ridere pur sapendo che la figlia nutriva ben poca pazienza, dopo averlo fulminato con lo sguardo prese il passo verso la stalla. "Grazie piccola mia, anche io ti voglio bene" esclamò Nemor con ironia.
Zanira raggiunse lesta la stalla dove il suo Amoret la attendeva, le bastò che si guardassero negli occhi perchè il nervosismo si placasse; si avvicinò a lui con la mano tesa ad accarezzargli la fronte con la "stella" come la chiamava Zanira. Amoret infatti era uno splendido cavallo dal manto nero spezzato da una chiazza di pelo bianco a forma di goccia posta sulla fronte e la sua padrona dal primo momento in cui vide quel cavallo se ne innamorò. Non era un animale dal carattere facile e solo lei era in grado di domarlo, fu un caso che riuscì a trovarlo. Era poco più piccola e stava passeggiando come al solito nella pianura del vento nonostante il padre gli e l'avesse proibito perchè essendo una distesa verde senza la presenza di un solo albero, era un prulicare di pericoli anche nei periodi di quiete ma il carattere deciso della fanciulla la rendeva estremamente coraggiosa o se vogliamo essere più precisi ingenua, era convinta che non le sarebbe mai capitato nulla di male, fino a quel giorno: mentre camminava intravide la figura di due grossi uomini alle prese con Amoret che sbuffava dalle narici e si alzava ad impennata tentando di colpire i suoi avversari con i potenti zoccoli mentre questi, tentavano di domarlo con corde e colpi di frusta fino a quando non riuscì a liberarsi della loro presa e corse in direzione proprio di Zanira, che impaurita dalla ferocia negli occhi dell'animale cominciò ad indietreggiare fino ad inciampare contro un sasso dietro ai suoi piedi; il cavallo continuava la sua corsa ed era sempre più vicino, sempre più veloce e pronto a travolgerla.. ma non lo fece: all'ultimo momento esso puntò gli zoccoli contro il terreno e si fermò; Zanira che aveva chiuso gli occhi per la paura, non avvertendo più rumori né tantomeno dolore li riaprì e si stupì nel vedere che il cavallo con quella bizzarra macchia sulla fronte, aveva abbassato il capo e la osservava con i suoi occhi neri penetranti;
"si è fermato, si è fermato adesso lo sistemiamo noi insieme alla mocciosa ficcanaso" esclamò uno degli omacci che tentavano di sottomettere il cavallo, che avvertendo il pericolo fece in modo di far salire in groppa Zanira abbassandosi ad un'altezza tale da poterla fare salire sulla sua schiena. Senza replicare né farsi domande, la fanciulla salì in groppa ed in fretta il cavallo si rimise impiedi, fece un'impennata per buttare a terra i due uomini armati di pugnali che li avevano raggiunti, tanto da costringere Zanira a doversi reggere sulla sua criniera, quindi prese il galoppo ed entrambi abbandonarono la pianura del vento; nonostante la velocità Zanira assistette ad una scena tanto macabra quanto triste: sull'erba della pianura si trovava il corpo senza vita di un uomo ben vestito, al suo fianco l'erba era bagnata di un colore scuro che aveva tutta l'idea di essere sangue, Zanira capì che con molta probabilità quell'uomo era stato il suo padrone, un uomo benestante che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato, attaccato alla sprovvista da due malviventi che, nel tentare di rapinarlo lo avevano ucciso e Amoret aveva tentato in tutti i modi di proteggerlo, o almeno di proteggerne il corpo. Rimase più sconvolta nell'osservare che quell'animale che non l'aveva mai vista, decise di abbandonare il suo padrone per andare in suo soccorso, se non l'avesse fatto probabilmente Zanira avrebbe fatto una brutta fine, gli doveva la vita.
La fanciulla stette qualche minuto in piena sintonia con Amoret, lo accarezzò, gli sussurrò qualche parola dolce e cominciò a prepararlo per la passeggiata, "mio caro amico, mi aspetta un difficile incontro, l'unico dettaglio positivo è che ci sei tu insieme a me" mentre parlava, recuperò da un cumulo di paglia una cassa di legno nera consunta dal tempo, la poggiò per terra accanto all'animale e ne estrasse un paio di pantaloni succinti che indossò sotto la veste, una canotta bianca insudiciata e una giacca di pelle nera anche quella reduce di molti anni di vita ed avventure. Si tolse l'ingombrante vestito con quella gonna e quella scollatura che tanto odiava ed indossò il resto della sua tenuta da viaggio, quella che indossava ogni volta che da sola, poteva cavalcare Amoret. Non sopportava dover cavalcare con quella gonna ingombrante, voleva essere libera almeno quando poteva. La canotta con una leggera scollatura la pose dentro il pantalone a vita alta e la fissò con due bratelle che spuntavano dallo stesso pantalone che indossò sulle spalle magre; dovette stringerle lievemente poiché si erano allentate o forse il suo corpo era dimagrito durante tutto il tempo in cui non indossò quei vestiti. Infine indossò la giacca in pelle abbottonandola per evitare che si vedessero le bratelle e allacciò ai piedi un paio di stivali comodi marroni. Finito di vestirsi, pose il vestito con le scarpe dentro il baule che nascose nuovamente sotto il cumulo di paglia e guardò finalmente il cavallo con un sorriso: "Sono pronta!" esclamò dandogli una pacca e Amoret di rimando, le diede un lieve spintone con il muso, Zanira sorrise e salì in groppa "andiamo dai, sgranchiamoci un po' gli zoccoli" un colpo di tacco per dargli lo slancio e Amoret partì a grande velocità verso la porta della stalla aperta e senza badare se ci fosse qualcuno intorno, insieme cavalcarono in direzione di Leonar.
  
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