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Autore: Viki_chan    11/07/2013    4 recensioni
Anna-chan, vent'anni, fotografa.
Questa è l'identità che il caso, l'ansia e alcuni "lost in translation" mi hanno portato a creare.
Tutto quello che viene dopo è un insieme di (s)fortunati eventi poco chiari, totalmente involontari e piuttosto divertenti. Di mezzo, oltre a una grande confusione, ci siamo io, la mia vita prima e la mia vita dopo l'incontro con i Super Junior. E l'amore, in tutte le forme che vivere a contatto con questi ragazzi mi ha permesso di conoscere.
#1: La clandestina;
#2: Mister Park...;
#3: Il lavoro extra...;
#4: L'interprete Siwon...;
#5: L'ospite inaspettato...;
#6: Il messaggio in codice...;
#7: SUKIRA...;
#8: Le diversità...;
#9: L'incubo, la canzone e...;
#10: Fantasticherie romantiche, differenze linguistiche e..;
#11: Gli angeli, l'assenza e...;
#12: L'attesa, la voce metallica e...;
#13: Gli sguardi, la cena e...;
#14: Le modelle, il chiarimento e...;
#15: l'incontro con Park, il Tokyo Dome e...;
#16: Il compagno di shopping...;
#17: Non Anna-chan, l'appartamento e...;
#18: Le terrine vuote, le forme e...;
#19: La cena, la trasformazione e gli abbracci;
#20: La valigia, Incheon e la scatola di scarpe;
#Epilogo
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 GOMEN! Prima di lasciarvi all'epilogo mi scuso per l'attesa. Questo capitolo è stato scritto tempo fa, ma a causa di impegni vari ho trovato  solo oggi il tempo di pubblicarlo. Vi ringrazio per aver letto la mia storia. Se avete domande, consigli, o semplicemente volete fare due chiacchiere, mi trovate su Facebook, sono Vikichan Efp

 

 

Una serie di (s)fortunati eventi

Epilogo





Aoyama, Tokyo, 10 marzo 2013



Oggi è il dieci marzo.
Ed è una data come un'altra.
Sono tornata a Tokyo da più di un mese e di Seoul non ho che il ricordo.
La strana cadenza della parlata coreana, il freddo pungente.
Il suono del telefono della mia stanza.
Cerco di non pensare al resto.
Ho nascosto in una scatola ogni cd, eliminato ogni canzone dall'ipod, buttato ogni articolo riguardante i Super Junior.
Mentre mi faccio largo tra le persone che affollano la stazione della metropolitana di Aoyama, il mio telefono inizia a squillare.
Mi butto – o, per meglio dire, mi faccio buttare – sul primo convoglio per Bunkyo e rispondo.
“Moshi mosh...”
“Ti avrei perdonata lo stesso, giuro!” dal cellulare, la voce di Ayane-chan esce acuta, come quella di una bambina.
“Cosa è successo?” chiedo guardandomi intorno, cercando di farmi piccola piccola nonostante la mole di bagagli che ho con me.
“E' arrivato un pacco, adesso, per me.” ogni due parole fa una pausa, in sottofondo sento dei rumori.
“Il libro dei Super Junior, ma come hai fatto a trovarlo?”
“Ah.”
Non ascolto più i Super Junior.
Non cerco più le loro notizie online.
E' passato.
Mentre imbastisco una storia da raccontare ad Ayane, non posso evitare di ripensare a ciò che è successo.
Ritorno all'aeroporto, al signor Freddi, alla macchina scura che da Incheon mi ha portata in un appartamento nel distretto di Gangnam, Seoul.
Ritorno ai giorni di solitudine, praticamente privi di contatti con l'esterno.
Sola, senza una precisa idea di cosa stesse succedendo al di fuori della mia ennesima prigione.
Ritorno al signor Park e alla sua offerta.
Un lavoro, a Tokyo, alle dipendenze di un'azienda molto vicina alla SM, la Young Advertising.
Ritorno di nuovo a Incheon, con un biglietto per il Giappone e nessun'altra sorpresa ad aspettarmi.
Io, la mia valigia e la scatola di cartone che Freddi mi aveva consegnato.
“... e poi anche Sungmin che mangia. Ma devi vederlo per capire che intendo!” commenta Ayane-chan. Mi chiedo per quanto tempo sono stata in silenzio ad ascoltare, che cosa mi abbia detto.
“Sono contenta che ti piaccia. Hai trovato qualcuno che venga con te al Dome, oggi?”
“Qualcuno?” chiede stupita. “Quando ho detto che avevo due biglietti per il Super Show si è creata una fila fuori da casa mia. Alla fine ho scelto Nana-chan.”
Dice il nome della nostra amica a bassa voce, come se mi stesse facendo un torto.
Poi tace, la sento sfogliare.
“E tu cosa farai oggi?”chiede dopo qualche secondo di silenzio che non ho nemmeno provato a riempire. “Sei ancora convinta a traslocare da sola?”
Sovrappensiero annuisco, poi mi ricordo che sono al telefono allora borbotto qualcosa.
La conversazione mi sta stretta.
Mi manca l'aria.
“Sono già in metropolitana con il primo carico di roba.”
“Da sola? Sai, Nana non se la prenderebbe se tu cambiassi idea di...”
“No, Ayane, sono sicura. Alla Y. Ad. mi hanno assegnato questo appartamento per un pelo, non voglio dar loro il tempo per cambiare idea.”
Ennesima bugia, ormai ho penso il conto di quante ne ho raccontate dal mio ritorno in Giappone.
Lei sbuffa e come al solito per qualche istante temo che abbia trovato una crepa nei miei discorsi.
Nei racconti della mia vita in Corea.
E di quella in Giappone, costellata da quelli che ho sempre raccontato come “colpi di fortuna”, ma che invece sono certa siano macchinazioni di Park per rendere il mio ritorno meno traumatico.
“Sono arrivata a Bunkyo, ti saluto.” dico con la voce più naturale che mi viene, mentre la sento ancora sfogliare.
Questa volta a borbottare in modo distratto ci pensa lei.
“Ehi, aspetta!” la sento esclamare quando ho già abbassato il cellulare.
“Dimmi.”
“Matzu-kun mi ha detto che avrebbe voluto aiutarti con il trasloco... Sai, con il furgoncino dei suoi.”
“Io non...”
“Lo so.” mi interrompe. “Non hai bisogno di niente. Volevo solo informarti. Grazie per il libro.”
Ayane attacca prima di me.
E, per una giapponese come lei, so che è come se mi avesse sgridata.
Sono cambiata.
Sono diversa.
Sono sola.
Un paio di minuti dopo sono per strada a Bunkyo, la zona della città che ospita la mia nuova casa.
La coincidenza vuole che il Tokyo Dome sia lì a pochi passi da me.
Da me che, pur di allontanarmi da tutti, ho preso la malsana decisione di trasferire tutti i miei beni da sola, in metro.
Sfidando l'aria ancora pungente che sferza la città.
Arrampicandomi sulle tre rampe di scale che mi separano da uno dei cinquanta appartamenti tutti uguali che la Young Advertising mette a disposizione dei dipendenti.
Ignorando – o cercando di ignorare – i cartelli che indicano il Dome.
E le ragazze.
Tante, ovunque.
Al concerto manca ancora del tempo, ma molte fan si aggirano già per il quartiere.
Le riconosco, con le loro facce eccitate e gli zaini con i cartelloni per i Super Junior.
Ero una di loro, so come funziona.


Non ho molti effetti personali eppure nemmeno il secondo giro basta per trasferirli tutti.
Una valigia, un beauty case, alcune borse della spesa riciclate come bagagli di fortuna.
E due scatole.
La prima, quella consegnatami dal signor Freddi, è più piccola.
Non l'ho mai aperta.
E' sempre stata con me, ospite silenzioso.
La seconda è sigillata con del nastro adesivo.
E' la prigione dei Super Junior.


Al secondo giro di trasloco, prima di ripartire per quello che spero sia l'ultimo viaggio, mi siedo a terra, sul parquet della mia nuova casa.
Non è nemmeno ora di pranzo ma sono già esausta.
Chiudo gli occhi, mi massaggio le tempie, respiro profondamente.
Due lacrime non richieste mi rigano le guance.
Mentre cerco di ricacciare le altre che vorrebbero seguirle suona il campanello.
E' un suono sconosciuto, freddo, fastidioso, penetrante.
Mi illudo che qualcuno abbia sbagliato, ricordando che anche a Tokyo i campanelli sono infernali tastierine numeriche.
E invece no, il campanello risuona.
Mi alzo di scatto e vado alla porta a vetri che dà sul piccolo balcone del soggiorno.
E lo vedo: un camioncino nero è parcheggiato proprio sotto casa.
Matzu-kun.
Mi faccio prendere dal panico e mi volto verso i miei bagagli, ancora abbandonati accanto alla porta.
Mi avvicino, faccio per spostarli, poi mi fermo.
Premo i pulsanti del citofono e apro la porta d'ingresso, poi la richiudo.
Mi guardo intorno di nuovo, vedo il mio riflesso e i miei occhi arrossati.
Mi lascio scappare un gesto di stizza e la mia mano colpisce le scatole che ho abbandonato sul tavolo.
La prima cade.
Tutto ciò che rotola sul pavimento sembra non essersi rotto.
Tutto tranne me.
Mi inginocchio e, con le mani che tremano inizio a raccogliere gli oggetti a terra.
Un paio di occhiali dalla montatura spessa.
Una lettera.
Una busta di caffè solubile.
Un modellino di un'auto sportiva.
Piume bianche.
La foto rubata di un abbraccio tra me e Ryeowook.
E lascio la presa.
Lascio la presa e l'immagine ritorna sul parquet.
Lascio la presa e i miei pensieri tornano liberi di consumarmi, dopo tanto tempo.
E mi spaventa quanto tutto sia ancora vivido in me.
Il respiro profondo di Yesung addormentato sul divano di un cinema privato.
Lo sguardo imbarazzato di Donghae, le braccia di Ryeowook intorno al mio corpo.
Il sorriso luminoso di Siwon, la voce dolce e infantile di Sungmin quando vuole farsi ascoltare.
Mi esplode fuori dal petto con un'energia che non ricordavo.
E, ad occhi chiusi su quel pavimento sconosciuto, mi sembra di sentire ancora le loro voci accanto a me.
Anche se parlano una lingua che non sono stata in grado di imparare, mi coccolano.
“Anna-chan?”
Due mani si posano sulle mie spalle.
Mi volto.
Non importa quanto i miei occhi siano appannati dalle lacrime, riconoscerei comunque quel volto.
“Io... Voi...”
Le parole mi muoiono in gola, qualcuno alle spalle di Ryeowook ridacchia.
“Alzati, abbiamo un concerto a cui partecipare.”



Fine.
   
 
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