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Autore: Legolas_    19/07/2013    3 recensioni
Sette ragazzi che anche se non si conoscono, hanno una cosa in comune: frequentano tutti e sette il Mercy Hospital, un centro psichiatrico. Ognuno dei ragazzi ha un problema che li identifica, ma anche che li fortifica, li rende forti e indistruttibili, il contrario di quello che la società e le loro famiglie vogliono.
Tutti e sette si ritroveranno ad affrontare loro stessi assieme, in un posto che farà loro sparire le loro paure.
Genere: Azione, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Do un'occhiata all'orologio della cucina, che è appeso sopra il frigorifero, e vedo scritto: 23.47. Sorrido. Ho fatto finta di andare a prendere un bicchere d'acqua, solo per non fare insospettire i miei genitori.
   Come sempre.
In punta di piedi esco dalla cucina, passo per il soggiorno e poi salgo le scale. Ho i piedi nudi, con la camicia da notte bianca e leggera e comoda, e sento il bellissimo tocco soffice del tappeto celeste delle scale. Il corridoio si para davanti a me, e c'è talmente silenzio, che mi sembra di stare nel film Shining, con Jake Nicholson. Mi affaccio alla stanza dei miei genitori, e loro dormono. O almeno, lo spero. La mia stanza rosa si trova alla mia destra, e il bagno, davanti a me. La porta bianca sembra chiamarmi, e così anche il mobile con i farmaci che si trova dentro.
Spingo la maniglia ed entro. Per poco non cado, mandando in fumo il mio cosìddetto piano. Chiudo la porta senza far rumore e poi mi dirigo al lavandino, precisamente, all'armadietto sopra di esso. Lo apro e scorgo tutte le medicine che i miei genitori assumono. Quelle per il ciclo di mia madre, i mal di pancia, i mal di testa, le coliti e molto altro. Becco come sempre, nel fondo dell'armadietto, quelle di mio padre. Non so cosa siano in realtà, ma so che lui le usa per cose molto gravi.
Prendo il piccolo barattolino arancione scuro e poi con un piccolo tonfo, lo apro e butto almeno tre pasticche nella mano. 
Senza acqua le butto in gola e poi ingoio. Sanno di menta scaduta e plastica.
   Fanno schifo, in poche parole.
Rimetto tutto a posto, poi scendo giù in cucina, e silenziosamente mi preparo un buon panino. Cosa ci metto dentro? Praticamente tutto quello che trovo nel frigorifero. E' mezzanotte passata e io praticamente non ho sonno.
Dopo che ci ho messo tre chili di senape, ketchup e maionese e altra roba, me lo mangio subito, quasi affogandoci dentro. 
Poi mi pulisco la bocca e corro in bagno.
   Mi appoggio ai lati del water e mi metto due dita in gola. Il rigetto arriva subito e vomito. Poi, mi pulisco la bocca, mi lavo i denti e mi butto dell'acqua in faccia per tranquillizzarmi.
Tremo.
Forse troppo, perché sento le boccette di farmaci muoversi dentro all'armadietto.
Mi guardo alla specchio e vedo solo una brutta e grassa ragazza che non sa fare praticamente nulla. Una ragazza che fa praticamente schifo.
Una ragazza dai capelli biondi che sembrano stracci sporchi, due occhi celesti color ghiaccio, che sembrano solo neve sciolta a causa dell'effetto serra. Solo una stupida ragazza.
   Vedo me.
Che non sono neanche in grado di dichiararmi al ragazzo che mi piace. Che scema che sono, penso sempre. Lui non mi vuole perché sono grassa, brutta, una perdente. Lui merita di meglio, ovvio.
Non di certo una come me. Ma come ho fatto a non pensarci subito?, mi chiedo dandomi un colpo sulla fronte.
   Con un botto, chiudo la porta del bagno e mi chiudo in camera, a dormire. Pochi secondi, e i miei occhi si c hiudono.
La mattina dopo mi sveglio con la nausea.
Mia madre mi chiama con una voce stanca, e poi io, con riluttanza mi alzo, scendo e la saluto. Bionda anche lei, con gli occhi azzurri come i miei, ma con la corporatura e il carattere diverso.
In quello ho preso da papà.
Il mio amato papà è seduto nella sedia color pesca a capotavola con il giornale in mano, gli occhiali blu che gli penzolano dal collo e i capelli castani corti pieni di gel. Mamma mi scocca un bacio sulla fronte e poi mi liscia i capelli guardandomi negli occhi.
<< Buongiorno tesoro. >>, mi dice in un sussurro.
<< A te. >>, le rispondo io.
Mi siedo e poi incomincio a mangiarmi le unghie, maledicendomi di tutto. Non faccio colazione. Se lo faccio ingrasso di più. E io non voglio.
Passa mezz'ora e senza rendermene conto sono già in auto con i miei genitori diretti al Mercy Hospital. E' un centro psichiatrico. Ci curano. In un certo senso.
Ogni malattia ha un piano specifico, e io sto al nono, e ci sono molte ragazze con il mio stesso problema. 
   L'anoressia.
Ci fanno esami tutto il giorno, cercando di somministrarci farmaci, cibo per aiutarci a ingrassare un po'. Ma io non voglio. 
Sono già grassa di mio e se mangio anche quel cibo diventerò obesa.
   Scendiamo dall'auto e poi entriamo. Mamma prende il biglietto per le visite e io l'aspetto assieme a papà. Poi premo il bottone rosso per l'ascensore ed entriamo. Fortunatamente è vuoto.
Dopo il ding!, usciamo e aspettiamo che il medico ci dica di entrare. Le sedie beige alla mia destra sono quasi vuote, a parte tre, dove ci stanno una ragazzina e i suoi genitori.
La giovane è molto magra, il viso scavato, gli occhi verdi spenti, i vestiti scuciti, sbiaditi, fuori moda.. come lei.
   E' Angela, e ha quattordici anni.
Mi avvicino a lei, ma mia madre mi prende il braccio e fa no con la testa. Alcune volte non la sopporto. Non sopporto che mi porti in questo posto del cavolo dove continuano a farti esami un giorno sì e l'altro pure.
Ma una nota positiva c'è: Jason. Il mio migliore amico da anni, ma anche l'amore segreto della mia vita. Se così si può chiamare. Con lui sto bene, mi fa sentire un'altra persona, come se queste mura che ci circondano non fossero vere, ma solo di cartoni, come un set di un film. Che poi le buttano giù e rivelano quello che fuori c'è.
Quando c'è Jason mi spunta il sorriso che prima è morto, e rido anche. E' strano sentire la mia risata, perché rido quasi mai.
La porta bianca si spalanca e poi entriamo, visto che il medico vuole vedermi per prima, anche se c'era prima di me Angela. Le dico un: << Scusami. >>, e poi entro, chiudendomi la porta da dietro.
La scrivania si para davanti a me con il medico McLaggen dietro e nelle mani una cartellina bianca.
<< Salve. >>, dice lui con tono piatto. << Sedetevi. >>.
Eseguiamo e poi aspettiamo che McLaggen dica qualcosa.
<< Allora, signorina Davis.. mmh.. vediamo.. ah eccola. >>, dice frugando tra i fogli e ne becca uno bianco con tantissimi righe nere.
E' quello del controllo del sangue e di altra roba.
McLaggen mi fissa con i suoi occhi verdi e i suoi capelli ricci biondi e poi mi dice: << Bene signorina Davis, ho controllato alcune sue analisi e mi rendo conto.. >>, mi guarda da testa a piedi << .. che la situazione è, come posso dire.. >>. Mi fissa 
per almeno cinque secondi, perforandomi il petto e dilandiandomi il cuore con i suoi occhi bellissimi.
<< .. a picco. >>, finisce lui.
Non mi scompongo. Lo so che la mia situazione con la mia malattia è peggiorata, ma che ci posso fare io? In fondo, sono o no, una malata? Cosa si aspetta, che guarisca nel giro di due giorni?
   Mia madre stringe la borsa marrone al petto e mio padre sospira.
McLaggen rimane ancora in piedi, forse, penso, a lui piace così, perché in quella posizione può osservarci dall'alto. Come se fossimo delle marionette.
<< La sua cartella è piena di incongruenze. Non riesco a capire come mai lei non sia migliorata dopo tutte quelle analisi, esami e somministrazioni di farmaci.. >>, parla e parla e rimane ancora in piedi, con il foglio in mano.
Alzo le spalle.
McLaggen alza un sopracciglio.
Poi si rivolge ai miei genitori, che sono alla mia sinistra, zitti, fermi e muti.
<< Signor e Signora Davis.. voi, sapete per caso il perché dell'atteggiamento di vostra figlia? >>, domanda. Mia madre guarda altrove, confusa. Lei non sa, e neppure mio padre, visto che sta alzando le spalle.
Ma il dottore non sembra cedere.
Poi si gira verso di me con i suoi occhioni verdi e mi chiede: << Sa cosa succede, signorina Davis, quando i pazienti non rispettano le regole? >>.
<< Intendo quando non fanno le cose che noi diciamo, tipo non prendere i farmaci o fare allenamento.. cosa che, ahimè, ho appena visto nella sua cartella.. >>, mi spiega, visto che lo avevo guardato con un'espressione molto confusa.
<< No. >>, rispondo continuando a guardarlo.
McLaggen appoggia le grandi mani sulla scrivania bianca e poi continua a fissarmi intensamente.
<< Lei sa che cosa c'è nei seminterrati, signorina Davis? >>, mi domanda con una voce alquanto diversa.
Mi si gela il sangue.
<< No. >>, rispondo io.
McLaggen fa un sorriso di scherno e poi mi risponde: << E' meglio che non lo sappia, allora. >>.
 
 
Trovo Jason nell'ascensore, ma è solo. Evidentemente, penso, sta andando dai suoi genitori. Oppure è solo. 
Mi ritorna subito il sorriso, dopo le parole fredde e brutali del dottor McLaggen.
<< Sam! >>, esclama lui abbracciandomi. Sembra un giocatore di rugby talmente è grosso. Due occhi blu come l'oceano e una chioma castana che lo rende perfettamente perfetto.
<< Jason.. come va? >>, che domanda stupida, penso dopo aver sentito la mia voce roca pronunciarla.
Lui alza le spalle e poi dice: << Il solito. >>.
Mi tocco la gola, e poi dico: << Ho sete. Andiamo giù? >>.
Così scendiamo ancora di più con l'ascensore, tanto da arrivare al piano terra e dirigerci verso il distributore. Jason dice che mi prende lui l'acqua per me. E' così dolce, penso io guardandolo di nascosto.
<< Ah, dannazione! Non funziona.. si è inceppata! >>, impreca lui. Io continuo a ridere un poco, perché quando si arrabbia diventa ancora più bello.
Una voce da dietro di noi ci interrompe.
<< Qualche problema con la macchinetta? >>, chiedel la ragazza davanti a noi. Di media statura, bionda e con due occhi color nocciola. Un viso dolce e carino.
Sembra più grande di noi.
<< Mmh.. sì in effetti. Jason ha messo i soldi per prendere la bottiglia d'acqua, ma questa cosa non gli da il resto. >>, spiego io alla ragazza misteriosa.
<< Oh. Fatemi vedere. >>, dice, e intanto si avvicina e urta Jason. Una scossa mi attraverso il collo, ma io la ignoro. E poi fa una cosa strana: da un colpo di lato e uno sopra e dopo un sonoro TUM, e il resto cade nella ciotola in basso.
<< Oh ma dai! >>, esclama Jason << Bisognava fare solo questo?! >>.
La giovane bionda ride.
 << Si. Succedeva la stessa cosa anche a me, ma dopo un po' ho scoperto come si faceva.. >>.
Rimango stupita. 
<< Anche tu sei di qua? >>, e quando ho detto "di qua" intendevo l'ospedale.
Lei annuisce.
<< Oh! E di che piano sei? >>, chiedo ancora meravigliata.
<< Sono dell'ottavo. E voi? >>, risponde.
<< Io sto al nono, mentre Jason - fortunato lui -, sta al terzo. >>, rispondo anche per Jason.
Presa della gioia stringo la sua mano con la mia e la sua è calda, la mia fredda.
<< Comunque io sono Sam! E tu sei.. ? >>.
<< Oh, io sono Mary. >>, risponde lei.
Poi una donna dagli occhi color pece la porta via e io le urlo: << Beh.. allora ci si vede in giro Mary! >>.
Quando la donna porta via Mary da noi, Jason mi scruta un poco e poi mi chiede curioso: << Ehi Sam.. come mai eri così felice con quella ragazza? Insomma.. niente da dire, ovvio.. ma, insomma hai capito! Cioè.. di solito non parli così con le altre ragazze e quindi mi stavo chiedendo.. no cioè, non ti stavo chiedendo quello io, volevo solo sapere.. >>, e incomincia a balbettare.
<< Ho capito Jason. >>, lo zittisco.
Lui alza le sopracciglia scure e poi chiede: << Davvero? >>.
<< Si. >>, rispondo io. << E' solo che quella Mary mi ispira molto.. >>.
  
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