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Autore: OrenjiAka    21/07/2013    6 recensioni
La Londra del diciottesimo secolo è divisa in due parti: la piccola e protetta fazione dei ricchi e la marea irrimediabilmente grande dei poveri, criminali, ladri, assassini.
Zoro è uno spadaccino. Da quando è arrivato in Inghilterra, però, per avere i soldi appena sufficienti a mangiare deve lavorare o rubare. E nemmeno il suo impiego nel Galop riuscirà a proteggerlo dall'onda impetuosa della criminalità londinese.
Qualcosa nel dietro le quinte scuote le acque, e da lì che questa storia comincia.
Dalle prime righe: [Tre sono i punti fondamentali per iniziare questa storia.
Punto primo: i discorsi, se riguardano la politica, sono sempre troppo lunghi.
Come quello che l’uomo in frak dall’aspetto fantomatico stava leggendo, eppure tutta quella folla era rimasta ad ascoltarlo per una buona mezz’ora.
Ci si stupiva sempre di come le persone fossero attratte dalle esecuzioni pubbliche.]
Genere: Avventura, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eichiiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.



Capitolo 1, Aiuto


Tre sono i punti fondamentali per iniziare questa storia.

Punto primo: i discorsi, se riguardano la politica, sono sempre troppo lunghi.
Come quello che l’uomo in frak dall’aspetto fantomatico stava leggendo, eppure tutta quella folla era rimasta ad ascoltarlo per una buona mezzora.
Ci si stupiva sempre di come le persone fossero attratte dalle esecuzioni pubbliche.

 
 “Dove diavolo sei finito?”.

Punto secondo: lo spettacolo di un uomo che è giustiziato, per quanto Scotland Yard cerchi di farlo sembrare più bello e interessante possibile, avrà sempre uno spettatore che non lo gradisce: il condannato.
Chiunque avrebbe dubitato fortemente che l’uomo sul patibolo fosse felice di essere lì, ad aspettare la propria condanna e, sopratutto, ad ascoltare il sopracitato discorso politico.

 
“Perché non esci fuori, stupido?

Punto terzo: il boia, sebbene debba ammazzare solo uno, fa paura a tutti.
Sarà stato forse il cappuccio nero calato sul volto, o le braccia muscolose dalla carnagione ambrata che fuoriuscivano dalle maniche nere, ma l’esecutore emanava un’aurea negativa che dava, a chi gli lanciava un semplice sguardo, l’apprensione di un condannato.


«Vuoi dire le tue ultime parole, signor... emh, signor... », Buggy infilò le dita in un taschino del frak, prese un foglietto e lo studiò da cima a fondo. «Qual è il tuo cognome? Qui non c’è scritto!».
Il ragazzo sospirò: «Non ce l’ho un cognome».
«Allora di’ il nome!».
«Sanji», mormorò il condannato. «Mi chiamo Sanji».

 
“Cosa c’è, Marimo? Non riesci a mantenere la parola data?

Il boia si avvicinò al futuro cadavere, prese il cappio e lo legò al collo sottile. Per poco non lo strangolava prima del tempo.
Buggy fece un cenno con la mano, un brivido percorse la chiena del biondo: «Ora».
Il boia abbassò la leva. Sanji cadde sulla schiena, l’impatto col terreno di pietra gli strappò un lamento strozzato. Era vivo. Sotto il patibolo ma vivo. Ancora legato, l'altra estremità del cappio gli penzolava sul petto. Qualcuno l’aveva tagliato.
«CHE RAZZA DI SCHERZO È QUESTO?».
Sanji alzò lo sguardo. Buggy era affacciato alla botola del patibolo, accanto al boia. Strillava come una gallina spennata. Tirò fuori una pistola: «Non so come tu abbia fatto ma l’esecuzione ci sarà lo stesso!».
Un attimo dopo aveva lasciato cadere l’arma a terra e soffiava sulla ferita da taglio sulla mano.
Il giustiziere si buttò nella botola, prese il ragazzo per il collo e diede un colpo ben assestato di spada per rompergli le manette.

«Mi stavi facendo preoccupare», Sanji si massaggiò i polsi.
L’esecutore si tolse il cappuccio mettendo in mostra i capelli verdi che incorniciavano un volto dai tratti duri: «Ho avuto qualche contrattempo».
Rumore di spari. I due scapparono, mentre un piccolo gruppo di soldati li inseguiva brandendo le loro armi.

«Dov’è che stiamo andando?», chiese Sanji correndo.
«Ti rendi conto di cosa mi hai fatto passare per venirti a liberare?».
«Fammi indovinare: hai sfidato a una gara di bevute il boia, che si è ubriacato e gli hai rubato i vestiti. Non mi pare chissà quale grande impresa».
«Se solo avessi saputo sin dall’inizio quale boia dovevo stordire».
«Sei proprio un caso perso, Marimo. Mi vuoi dire dove stiamo andando?».
Zoro frenò e si voltò: «Li abbiamo seminati».
«Dove dobbiamo andare?», Sanji si era fatto più insistente.
«Al patibolo. Il tuo amico che parlava al vento aveva un portafoglio, di quelli cuciti a mano, non rimarrà nella sua tasca ancora per molto».
Sanji inarcò le sopracciglia: «Non se ne parla: io non ci ritorno lì».
«Quel tipo col naso rosso non era proprio uno di strada, come noi. Hai presente quanto pagano un impiegato del governo?».
Non era facile né per loro due né per molti altri trovare un bottino proficuo. E se l’occasione faceva l’uomo ladro, la fame li avrebbe resi suicidi.
Sanji sospirò: «Marimo...».
«Che c’è adesso?».
«Volevi andare verso il patibolo, ma mi hai trascinato dall’altra parte di Londra».
Zoro guardò a destra e a sinistra: «Probabilmente mi sono perso».
«Muori, Marimo».

 
~~~

Niente esecuzione, niente pubblico. Tutti gli spettatori se ne erano andati con la bocca asciutta, i soldati stavano ancora cercando l’evaso e il suo complice e solo Buggy rimaneva sul patibolo facendosi medicare la ferita da un suo amico.
«Si arrabbieranno di sicuro, quelli del governo!», il clown morse le unghia della mano libera. «Sì, ne sono certo! Come farò? Come farò?».
«Quando sapranno che lo hai persino avuto sotto il mirino, non ci vedranno più dalla rabbia».
Buggy impallidì per la paura: «U-Un vero amico dovrebbe essere incoraggiante!».
«Un vero amico però dice sempre la verità!» replicò Mr. 3.

Due persone di nostra conoscenza si nascosero sotto il patibolo. I raggi del sole passavano tra le assi del palco e illuminavano a tratti i due ragazzi.
«Che armi abbiamo?», Sanji si sfregò le mani.
Zoro posò la mano sull’elsa della sua katana: «Io ho la mia spada».
«Quand’è che capirai che siamo nel diciottesimo secolo? Ti decidi a usare un’arma da fuoco?».
«Parli tu, che per non utilizzare le tue docili manine usi una pistola. E ora che te l’hanno sequestrata che fai?».
Il biondo ignorò l’ultimo commento e sfilò la spada dal fodero dell’altro.
Zoro non la prese bene, sussultò: «Che vuoi fare?».
Sanji fece passare la spada tra le fessure delle travi del patibolo, dietro Buggy. Alzò con la punta della spada il portafoglio. Non si accorsero di nulla. Il ragazzo era abituato a fare cose del genere.
«Bella mossa», ammise Zoro.
Il portafoglio superò l’orlo della tasca e cadde giù, fece un tonfo quando andò a sbattere contro le assi.
«Dovevi pensare anche a questo, però».
Sanji sbruffò, si rimboccò le maniche: «Quello lo prendo usando “le docili manine”».
«Se ti beccano di nuovo, ti lascio sulla forca», lo ammonì.
Il biondo uscì allo scoperto senza movimenti bruschi. I due litiganti erano occupati a discutere.
Sanji tese la mano verso la refurtiva. Il portafogli era troppo distante, dovette affacciare tutta la spalla per avvicinarsi. Lo afferrò.
Finalmente avrebbe potuto comprare degli ingredienti veri, non la solita sbobba. Avrebbe dovuto comprare anche i farmaci.
«Ehi!».
Buggy schiacciò col piede il braccio del biondo. Sanji si lasciò scappare un gemito.
«Tu!», lo riconobbe subito, «Non è ancora troppo tardi per un’esecuzione».
«Salve!». Buggy si voltò e prese in pieno un gancio destro di Zoro. Crollò a terra, Mr 3 corse da lui.
«Non avevi detto che non mi avresti salvato?», Sanji afferrò il portafoglio.
«Credimi, avrei voluto. Ma che avrebbe detto Rufy?».
Saltarono dal patibolo e corsero più veloci che potevano. Buggy si alzò, le dita gli tremavano ancora per quel pugno in pieno viso e tappavano il naso grondante di sangue. Con la mano ancora sporca del liquido cremisi Buggy afferrò la pistola dalla tasca e la puntò sul biondo.
Bang!
 
~~~

Zoro poggiò il corpo tremante dell’altro contro la parete del vicolo. Sanji usò le poche forze che gli rimanevano per sedersi. Gli avevano sparato e non stava bene per niente. Da dietro la spalla scendevano fiotti di sangue rosso vivido e caldo. E non solo il sangue, ma tutto il corpo di Sanji era bollente. Zoro si voltò verso la sua destinazione.
«Non ci pensare nemmeno», era la voce di Sanji che lo voleva fermare.
«Hai anche la febbre», mormorò Zoro. «Sembri uno straccio usato. Dovrei lasciarti morire?».
«Non credo che la cosa ti dispiaccia».
Almeno gli era rimasto il senso dell’umorismo. Peccato che sulle sue condizioni non ci fosse molto da scherzare. Era per questo che Zoro stava per fare qualcosa di ben poco divertente.
«Dannazione», strinse i pugni.
Era in una situazione disperata e quello era l'unico emporio nel raggio di miglia. E non aveva soldi. Gli toccava rubare. Usop...
«Non te lo perdonerà mai», Sanji aveva anticipato i suoi pensieri. Stavolta Zoro non rispose e s’incamminò verso la sua meta.

Ci mise pochi istanti a rompere il lucchetto della porta del magazzino. Il vero problema fu trovare qualcosa di utile: c’erano così tanti scaffali che si era già perso. Era alla ricerca di bende.
«Forse servirebbe anche del disinfettante», pensò. Fece mente locale di quello che doveva prendere e non toccare nulla di più. Non si sarebbe fatto tutti questi scrupoli se solo fosse andato in un altro posto.
La sua attenzione fu catturata da bottigliette di antibiotico, ben ordinate e con le etichette in vista.
A Londra c’era un’epidemia. I ricchi si compravano due o quattro di quelle bottigliette e si salvavano. Zoro e gli altri avevano sì e no i soldi per comprarsi cibo vagamente digeribile, qualcosa di raffinato come un antibiotico era troppo per loro. La tentazione di prendere una di quelle era tanta. Poi si ricordò di Usop, e a malincuore lasciò i medicinali.

 
~~~

«Ragazzina!». Si voltò.
«Kuroobi si è preso l’influenza», continuò lui.
Sul suo volto apparve un sorriso sghembo: «Fai un salto dal dottore?».

~~~

Zoro aveva una confezione di garze e una bottiglia di disinfettante. Andò verso l’uscita e notò qualcosa che non andava: le bottigliette di antibiotico erano sparite. Tutte. E lui non le aveva toccate.
«Sei un idiota se con tutto questo ben di Dio prendi solo quelli!».
Si voltò. C’era una ragazza dai capelli rossi con sacco traboccante di medicinali caricato sulle sue spalle. «Sei una ladra».
«Direi di sì».
«Non era una domanda».
«Allora la mia non era una risposta». La rossa era rilassata, perfettamente a suo agio. Un ladro non lo sarebbe stato se avesse trovato un fuoriprogramma come Zoro durante un colpo. O forse lei non lo considerava come un problema difficile da risolvere. A questo pensiero lo spadaccino s’innervosì.
«Tranquillo, ci penserò io a fare piazza pulita di questo posto», la ragazza non poté fare un passo di più che sentì il rumore di metallo sfregato: «Una spada?».
Zoro annuì: «Una katana, per l’esattezza».
«Siamo nel diciottesimo secolo e tu te ne vai in giro con una spada?».
La tempia gli pulsò: «
È possibile che la pensiate tutti allo stesso modo?».
Un rumore, una luce che prima non c’era dall’altra parte della sala.
«Merda!», Zoro s'irrigidì. Era la padrona del posto che prendeva le scorte.
«Io qui», la rossa tirò fuori una delle costosissime bottigliette dal suo sacco, «ho finito».
Lasciò la presa. Il medicinale sprofondò nel vuoto fino al suo impatto a terra. Il vetro si ruppe in mille pezzi, rumorosamente.
«Chi c’è?», urlò la padrona.
Zoro scappò in direzione opposta alla voce. Stava per voltare l’angolo tra uno scaffale e l’altro quando sentì la presa su un braccio. Una mano femminile, e sapeva benissimo di chi si trattava.
“Usop, perdonami” pensò.
«Ehi».
Aprì gli occhi. Era la rossa di poco prima: «L’uscita è dall’altra parte».
La ragazza lo trascinò per un’altra direzione e i due arrivarono alla porta. «Ci si rivede!».
Zoro rallentò il passo fino a fermarsi. I suoi occhi erano fissi sul sacco caricato sulle spalle esili della ragazza. Perché no? Seguirla, raggiungerla e riprendere le bottigliette, poi restituirle di nascosto.
Sospirò.
«Che non accada mai!», la salutò di rimando, correndo contro la sua volontà dall’altra parte.
Sarebbe stato bello, ma la padrona del posto lo stava inseguendo, Sanji era abbandonato in un vicolo e la rossa lo aveva aiutato.
Lo spadaccino si nascose dietro un angolo. Una ragazza fece capolino dalla porta: guardò a destra e a sinistra, ma non c’era nessuno. Si portò una mano sulla testa nel vedere il lucchetto rotto. Una lacrima rigò il suo volto.
No, Usop non l’avrebbe mai perdonato per aver fatto questo a Kaya.









N.d.A.
Salve a tutti, sono l’autrice.
:D
È il primo capitolo di questa storia e vorrei ringraziare chiunque sia arrivato a leggere fino a queste righe. Davvero.

Cominciamo dal capitolo: avrete notato che è piuttosto movimentato. Per il secondo avrò già spiegato molto della situazione del personaggi, tranquilli.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, cosa non vi piace e farmelo sapere, sia con recensioni che con qualsiasi altro mezzo. Sarebbe molto utile!

Mi rendo conto che il titolo potrebbe apparire scorretto: “underworld” significa malavita o inferno, invece io volevo indicare proprio il significato letterale, ovvero “sottomondo”.
Perché usare proprio Londra nel 18esimo secolo? Perché è un luogo con mille sfaccettature: da una parte i ricchi, che qui non si sono ancora visti. Dall’altra... chi non può permettersi più di tanto.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto abbastanza  da convincervi a leggere anche il prossimo.
Ciao!
  
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