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Autore: Elizabeth_Tempest    25/07/2013    4 recensioni
Tante sensazioni diverse le si agitavano nel petto, tanti frammenti di pensieri confusi le giravano nella testa come una giostra troppo veloce.
Timore, paura, terrore… un rossetto solitario… le crepe dell’asfalto… le calze smagliate… l’alito fetido… le scarpe nuove di Emma… la scarpa persa… il muro ruvido… il marmo liscio… lo straordinario… una lama luccicante… un lupo mangiava Cappuccetto Rosso… il buio la inghiottiva… il cuore batteva… il freddo… il freddo…
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
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I lampioni illuminavano il breve tragitto tra l’ufficio e la fermata del bus, che altrimenti sarebbe stato buio come la gola di un mostro. Le finestre erano illuminate oppure chiuse dalle tapparelle, il rumore della tv riempiva la strada vuota e gelida per l’aria invernale; nonostante fossero solo le otto e mezza, il mondo era già stato inghiottito dalla tenebra sonnolenta ed inospitale della notte invernale.

La donna camminava stringendosi nel suo cappotto, infreddolita e maledicendo gli straordinari che aveva dovuto fare. Sottopagati, tra l’altro. I tacchi emettevano un rumore acuto, battendo sull’asfalto gelato del marciapiede, mentre i muscoli si contraevano in piccoli spasmi involontari per il clima a dir poco rigido della notte. Svoltò in una stradina secondaria che sfruttava ogni sera come scorciatoia: era meno illuminata di quella precedente, ma le permetteva di guadagnare minuti preziosi, anche perché non desiderava certo prendere un taxi per tornare a casa. E poi proprio non le sarebbe andato giù di spendere soldi inutilmente, Emma aveva bisogno di un nuovo paio di scarpe.

Forse furono quei pensieri a distrarla, o forse le cose si svolsero troppo velocemente, la donna non avrebbe mai saputo dirlo, nemmeno dopo.

L’uomo era comparso davanti a lei con fare minaccioso. Era alto, grassoccio. Non aveva certo il fisico da rapinatore. Aveva un volto banale, dai tratti regolari, di quelli che ispirano solo indifferenza e che si attribuiscono a persone dal carattere bonario ma mediocre, prive di polso e di grandi ambizioni ma incapaci di nuocere perfino ad una mosca. Eppure alla donna sembrò minaccioso, spaventoso quasi quanto la più deforme e mostruosa delle creature.

Le puntava un coltello addosso e teneva il cappuccio di una felpa scusa ben calato sul viso, eppure questa non poteva nascondere il suo aspetto, anzi, gli conferiva solamente un’ombra che lo rendeva ancora più inquietante.

Le parole si fecero subito strada tra le sue labbra, uscendo dalla bocca della donna come una specie di squittio agitato. –Non mi fare del male.- supplicò e tese la borsa con mano tremante –Ti… ti darò tutto ciò che vuoi… ho dei soldi, prendili.

Una vocina, un barlume di razionalità nella sua mente le disse che quella era una situazione ridicola… sembrava quasi un film. Era una battuta da film. Ma la donna non sapeva che altro dire… ed infondo, cos’altro avrebbe potuto inventarsi? L’uomo nero le puntava contro una lama affilata e lei era sola e spaventata. La paura le aveva paralizzato i muscoli, le gambe si erano fatte di gelatina e di piombo allo stesso tempo, tutte le sue membra tremavano come se il suo corpo fosse stato scosso da un violento terremoto e l’adrenalina inondava il sangue, i muscoli ed il cuore. La sua mente sembrava aver perso il contatto con la realtà, sconvolta dal timore che, secondo dopo secondo, diventava panico.

L’uomo le colpì la mano, facendo cadere a terra la borsa e tutto il suo contenuto si sparpagliò per terra: l’agenda, la pochette dei trucchi, gli assorbenti, un rossetto solitario, le gomme da masticare, il portafogli, le chiavi… tutto rotolò sull’asfalto freddo.

L’avrebbe ricordato anche in seguito. I pezzi della sua vita normale finivano lì, come spazzatura… come lei. Lei era spazzatura, del resto.

Quando vide le sue cose così sparpagliate, il panico divenne definitivamente terrore. Avrebbe voluto urlare, ma si trovò l’uomo davanti a lei, l’alito che puzzava come una carogna e il coltello che luccicava alla poca luce della stradina come una lama di ghiaccio, pronto a tracciarle un solco da un orecchio all’altro, pronto a bere il suo sangue. Rimase semplicemente con la bocca aperta, le parole che le si bloccavano in gola, strozzandola, impedendole il respiro.

Una mano si abbatté su di lei, sulla sua guancia e le fece richiudere violentemente la bocca. I denti affondarono nella lingua e nella carne soffice delle guance e il sapore ferroso del sangue si riversò sulle sue papille gustative, facendole montare la nausea. Cadde per il colpo e si ritrovò seduta sulla terra fredda ed intontita. Poi sentì l’umiliazione e le venne voglia di piangere. Sì, voleva piangere e singhiozzare, ma non fece in tempo, perché l’uomo la trascinò verso un androne deserto tirandola per i capelli e costringendola a seguirlo camminando accosciata e gattonando.

In un attimo di coraggio, le mani piccole si strinsero attorno a quella più grossa che minacciava di scardinarle la testa dal collo e graffiarono, ma ottenne solo uno strattone più forte e una ciocca di capelli si strappò, facendola scoppiare in lacrime. Il cuoio capelluto le doleva come non mai.

L’uomo fu subito addosso a lei, le chiuse la bocca con una mano e le montò addosso, puntandole il coltello in mezzo agli occhi. Sentì ancora più freddo, mentre gocce di sudore le imperlavano la fronte pallida come e più di un cencio.

-Urla e ti uccido. Adesso fai la brava e ci divertiamo.- disse l’uomo. La donna non poté far altro che annuire. Le girava la testa, se non le avesse tolto la mano dalla bocca, sarebbe svenuta. I suoi polmoni reclamavano sempre più ossigeno, il cuore batteva come una grancassa. Si rese conto di non sentire più gambe e braccia.

Non fece nulla per fermare l’uomo nero che le strappava i vestiti, che esplorava il suo corpo. Rude, frettoloso, vorace, crudele. Ogni livido, ogni graffio, ogni palpata troppo forte le strappava un gemito, ma non urlò. A volte trovava il coraggio per sussurrare una supplica, ma quella cadeva nel vuoto. L’uomo nero non aveva orecchie.

Quando la prese, si sentì umiliata e ferita. Avrebbe voluto scappare, ma non ne aveva la forza. Aveva paura. Le lacrime risucchiavano quel poco di forza che le rimaneva, la mente vorticava tra mille pensieri. Scacciò Emma della sua testa. Scacciò i suoi genitori. Era inerte tra le mani dell’uomo nero, tranne quando lo supplicava o quando un singhiozzo riusciva a trovare la forza di risalire la gola fino alle labbra.

Sentiva il dolore esasperato dei quel rapporto consumato a forza, come tra bestie. Poteva sentire anche l’odore del sangue, che si mischiava ai miasmi di quell’uomo.

Quando lui finì, non ebbe la forza di muoversi. Lo vide alzarsi i pantaloni e prendere il coltello. Si allontanò quasi con calma e spensieratezza e poi scomparve nella notte.

La donna rimase immobile ancora qualche istante, altre lacrime le bagnarono un volto già fradicio. Aveva freddo, tanto. Si sentiva debole.

Riuscì a rimettersi seduta… aveva perso una scarpa. Le calze erano smagliate. Erano pensieri stupidi che le affollavano la mente.

Aggrappandosi al muro ruvido, si rimise in piedi. Barcollava come se fosse stata una barca in balìa di una tempesta. O forse era una naufraga?

La stradina era piena di ombre… di terrore. Quanto era durato? Un secondo, un minuto, un’ora, un’eternità? Forse sì, era durato un’eternità. E ora la sua passeggiata solitaria, immersa in una specie di orrida ovatta, in un mondo strano, opaco, sfumato era altrettanto eterna.

Non avrebbe mai potuto spiegare come arrivò a quel bar solitario, ma avrebbe ricordato a vita lo sguardo del proprietario e degli avventori. La confusione, poi il lampo della mente che realizzava, l’orrore e poi la rabbia, la compassione e la paura.

Qualcuno la fece sedere, qualcuno diceva di chiamare un ambulanza. Qualcuno disse che sanguinava… era quello, dunque, a rendere le sue gambe appicicaticce?

Qualcuno le disse che sarebbe andato tutto bene, che era tutto finito… sì, era finito, si disse… era finito perché si era stancato… però era iniziato… rivide l’uomo nero e scoppiò in lacrime. Tante sensazioni diverse le si agitavano nel petto, tanti frammenti di pensieri confusi le giravano nella testa come una giostra troppo veloce.

Timore, paura, terrore… un rossetto solitario… le crepe dell’asfalto… le calze smagliate… l’alito fetido… le scarpe nuove di Emma… la scarpa persa… il muro ruvido… il marmo liscio… lo straordinario… una lama luccicante… un lupo mangiava Cappuccetto Rosso… il buio la inghiottiva… il cuore batteva… il freddo… il freddo…

 

 

 

 

*** L’angolo dell’autrice***

Buonasera.

Vi chiederete perché una persona sana di mente voglia descrivere uno stupro… be’, perché è di moda no?

Sono mesi che, girando per varie sezioni, vedo orde di fanwriter che scrivono di stupri molto… scenografici. La cosa mi ha infastidita e mi ha stimolata allo stesso tempo.

Volevo scrivere facendo capire che no, uno stupro non è bello, non è un sogno erotico, la tua vita non continua come se nulla forse e no, lui non è il principe azzurro e allo stesso tempo volevo scrivere una storia in cui spiegare i meccanismi della paura senza risultare troppo pesante.

Spero di esserci riuscita.

Ho deciso di non dare un nome alla donna, perché credo sia più facile provare ad immedesimarsi, così. Per lo meno, io ci sono riuscita e devo dire di avere ancora i brividi. Ho veramente provato ad immaginare la scena, a pensare “Okay, ora cosa faccio? Ho un pazzo armato di coltello davanti e una borsa al braccio… gliela tendo… magari vuole solo quello…” e poi ho provato davvero a pensare a quello che pensi in certi momenti… e no, credo che l’ultimo pensiero che mi sia passato per la testa sia “Adesso mi difendo”. In verità è stato “Se gli do quello che vuole, magari non mi ucciderà”.

Devo dire che per scrivere questa one-shot mi sono ispirata a testimonianze lette su forum, blog e siti appositi… Internet, in quanto permette l’anonimato, è il luogo di sfogo della gente e le storie hanno tutte punti in comune.

Voglio precisare che i meccanismi della paura me li sono andata a studiare, non me li sono inventata e poi li ho rielaborati a modo mio: ho controllato sia le reazioni psicologiche e cognitive che quelle fisiche. Intontimento, la sensazione di freddo, aumento del battuto cardiaco e della sudorazione e necessità di un maggior apporto di ossigeno sono tutte conseguenze dell’adrenalina in circolo. E la presenza del coltello esaspera la paura, perché l’uomo ha molto più timore delle lame che delle armi da fuoco, psicologia docet.

Insomma, mi lascio sperando che la storia vi sia “piaciuta”, anche se non è la parola più azzeccata. Spero di ricevere dei vostri pareri, anche negativi, se necessario.

Beth

   
 
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