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Autore: Siria Lilian Black    26/07/2013    3 recensioni
//EDIT: Aggiornato il prologo e il primo capitolo! 07 Aprile 2018
Sto provvedendo a correggere gli errori madornali che ho compiuto durante la prima e la seconda stesura della storia. Le vicende iniziali verranno interamente modificate, perciò, vi chiedo la pazienza di attendere qualche giorno prima di riprendere in mano la storia che ho intenzione di continuare e portare a termine. Grazie mille a tutti. 12-11-2017
Annabelle non conosce la magia, anzi ha sempre creduto che essa fosse solamente il frutto dell'immaginazione di qualche folle scrittore. Una brutta esperienza, tuttavia, la porterà a conoscere il mondo magico e in poco tempo si ritroverà alle prese con una guerra magica della quale mai avrebbe potuto immaginare l'esistenza.
Annabelle è una strega di quindici anni, ma le vicende passate da bambina e i vari trasferimenti le hanno impedito di vivere i suoi poteri dal principio come avrebbe dovuto. Frequenterà Hogwarts e conoscerà dei compagni speciali, il resto solo il tempo potrà raccontarlo.
Genere: Avventura, Dark, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Famiglia Black, Famiglia Malfoy, Famiglia Weasley, Nuovo personaggio, Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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«Sirius, ma come ti è saltato in mente di portarla qui?» domandò una voce calda e irritata. «Se il Ministero se ne accorgesse finiremmo tutti nei guai, Arthur perderebbe il posto e Azkab-»
«È ferita, Molly, che diamine potevo fare? Ti ricordo che sono ancora un ricercato per il Ministero, non potevo certo presentarmi all'ingresso di un ospedale babbano... ho bisogno del tuo aiuto, non hai la minima idea di come l'ho trovata.»
Il gelo e la rabbia nella voce dell'uomo, giunsero ovattati alle orecchie della ragazza. Sapeva di non ricordare qualcosa di fondamentale, ma al momento la sua mente era ferma al presente. Si era risvegliata tra le braccia di un uomo, all'aria aperta a giudicare dalla lieve brezza che le accarezzava il volto. Avvertiva odore di erba fresca e paglia, doveva trovarsi in una campagna. Una fitta alle tempie le riportò alla memoria ciò che era accaduto la sera prima. Ricordò ogni istante e riuscì a riconoscere la voce dell'uomo che la teneva in braccio.
Molly abbassò finalmente lo sguardo sulla ragazza che Sirius aveva portato con sé e vide con i suoi occhi ciò che l'uomo non era stato in grado di raccontare. Sangue e sporcizia gridavano parte della sua storia e alla vista di quelle braccia ferite, la strega, non potè far altro che portarsi le mani al volto.
«Povera ragazza...» Mormorò. Il timore di finire nell'occhio del ciclone ancora una volta l'avevano distratta in precedenza. Non era da lei preoccuparsi prima di sé stessa che degli altri, ma era conprensibile pensare, visti gli avvenimenti che avevano scosso il mondo magico nei mesi precedenti, che la sua attenzione venisse calamitata dalla presenza di una nata babbana nel suo cortile.
«Me ne occuperò io, Sirius, torna pure al Quartier Generale.» Concluse, infine, facendo cenno all'uomo di lasciare a lei la ragazza.
Annabelle avvertì le braccia delicate e ferme della donna prenderla e un istante più tardi venne colta da una terribile nausea, ancora provata dai fatti che aveva vissuto, e perse conoscenza.

⋇ ⋇ ⋇

I giorni che seguirono furono un incubo per Annabelle.
Dovette raccontare più e più volte ciò che aveva vissuto quella notte. Sua madre, suo padre, la polizia e persino lo staff dell'ospedale avevano bisogno di conoscere ogni aspetto della vicenda. Cercavano di non forzarla, di non costringerla a rivivere quei ricordi troppo a lungo, ma per Annabelle fu un autentica tortura.
Si vergognava, si sentiva in colpa e l'idea di dover continuare a raccontare, a spiegare, a rivivere il tutto non contribuiva a farla sentire meglio. C'era poi la questione del cane che si era trasformato in un essere umano... Annabelle non era stata in grado di spiegarlo. Era stata una donna a portarla in ospedale, le avevano detto, aveva sognato il cane e l'uomo forse per proteggere la sua psiche da ciò che aveva affrontato. In cuor suo, però, sapeva di non averlo sognato. Ricordava anche vagamente un veloce scambio di battute tra lui e la donna che l'aveva portata in Ospedale, ma i medici continuavano a ripeterle che doveva averlo immaginato, dopotutto nel pieno centro di Londra non era possibile sentire gli odori che aveva descritto, propri delle campagne a nord della città.
Visto il suo evidente stato emotivo fragile, i medici avevano ritenuto opportuno trattenerla ancora per qualche giorno in ospedale. Non l'avrebbero mai fatta tornare a casa se avesse continuato a parlare di cani mutaforma e di campagne inglesi, così Annabelle, imparò a mentire. Confessò di aver inventato la storia per sentirsi meno in colpa, ricostruì gli eventi come era certa sarebbero andati a genio ai medici e tenne per sé quei particolari che sapeva essere veri ma così strani da risultare quasi assurdi agli occhi di chi non li aveva vissuti.

La dimisero due settimane più tardi, sotto la tutela dei genitori e una volta a casa, Annabelle si chiuse nella sua stanza, chiedendo a sua madre e suo padre di lasciarle un po' di spazio per elaborare ciò che era accaduto. Essendo ormai sera e certa di non riuscire a prendere sonno, la ragazza radunò una manciata di fogli e delle matite e, sedutasi al centro della stanza, iniziò a ricostruire gli attimi di quella maledetta nottata. Pagina dopo pagina raccontò a sé stessa i particolari di ciò che era accaduto, soffermandosi su quegli attimi che agli occhi dei medici erano risultati così assurdi:
Perché aveva visto o immaginato un cane nero piuttosto grosso trasformarsi in un essere umano?
Come aveva potuto raggiungere da Londra le campagne del sud-est della Gran Bretagna e tornare in città prima dell'alba?
Con quelle domande fisse nella mente, Annabelle accese il computer, lasciando i disegni abbandonati sul pavimento. Analizzò da ogni punto di vista gli spostamenti chi avrebbe dovuto fare quella notte per andare e tornare dal luogo imprecisato nel quale si era risvegliata, ma più cercava, meno riusciva a capacitarsi di ciò che la sua memoria dava per certo. Era impossibile, eppure era certa fosse accaduto veramente.
Presa dallo sconforto decise di concentrarsi sulla prima domanda e in breve tempo si ritrovò a visitare una serie di siti poco noti, recanti miti e leggende della Gran Bretagna e del resto del mondo. Lì trovò una risposta a ciò che stava cercando: Esistevano nel mondo persone in grado di mutare a piacimento la forma del loro corpo, Mutaforma o Animagi, venivano chiamate queste creature. Le leggende le dipingevano come creature crudeli e aggressive, caratteristiche lontanissime da quelle che avevano contraddistinto l'uomo che era certa l'avesse soccorsa. Eppure, l'idea di aver trovato una seppur minima e assurda spiegazione a ciò che sapeva essere certo, le diede nuova speranza. Non era molto, ma era pur sempre qualcosa da cui partire per risalire all'identità di chi l'aveva aiutata, la Polizia in questo era stata chiara: senza una descrizione precisa dei due uomini che l'avevano aggredita e senza la testimonianza dell'uomo o della donna che l'avevano trovata, sarebbe stato difficile assicurare alla giustizia i criminali che l'avevano aggredita.
A pochi minuti dall'alba, Annabelle si mise a letto, ma non prima di aver raccolto tutti i disegni e averli nascosti in una delle mille cartelline che popolavano la sua stanza. Anche quella notte li avrebbe sognati, ne era certa, ma quella speranza, seppur lieve, la fece addormentare quasi subito.

⋇ ⋇ ⋇

Incrociò ancora il suo sguardo, nascosto dietro la siepe posta di fronte alla sua abitazione. Si era ripromesso di utilizzare più cautela, non appena la ragazza fosse uscita dall'ospedale, ma non riusciva proprio a smettere di preoccuparsi. Quella notte Sirius aveva avvertito qualcosa di strano nell'aria, era stata quella sensazione oltre alla voce della ragazza ad attirarlo in quel vicolo e si era ripromesso di tenerla d'occhio fin quando non fosse certo di saperla al sicuro.
Non era certo che lei avesse visto la sua trasformazione, ma c'era qualcosa nel profondo dello sguardo della ragazza che l'aveva portato a pensare che l'avesse riconosciuto una delle prime volte nelle quali aveva deciso di farle visita in ospedale sotto forma di Padfoot.
Era andato a trovarla più volte, cercando per quanto possibile di non farsi vedere troppo. Nessuno all'ospedale avrebbe potuto ricondurlo al famoso ricercato a cui la polizia inglese stava dando la caccia, ma non voleva che la ragazza, qualora avesse notato la trasformazione, potesse pensare di essere perseguitata da una strana creatura, o ancor peggio di essere impazzita.
Era stato cauto, Sirius, ma non abbastanza.
Così, anche quel pomeriggio, lo sguardo di Annabelle si soffermò per un istante di troppo nei suoi occhi da Padfoot. Si allontanò fingendo di cercare un odore, con il naso a qualche millimetro dall'erba, ma lo sguardo della giovane ragazza, lo seguì lungo il cortile, fin quando non svanì dietro le siepi della proprietà dei vicini.

⋇ ⋇ ⋇

Non l'aveva immaginato, di questo era ormai certa.
Più tempo passava, più Annabelle si convinceva di quei piccoli particolari assurdi che aveva inciso a fuoco nella sua memoria. Ricordava il particolare colore del pelo di quel gigantesco cane. Era alto rispetto alla media e robusto, aveva il pelo sciupato, quasi opaco, eppure di un nero profondo come la notte. Ricordava i due piccoli occhi grigi ridotti a fessure per la rabbia e l'angoscia, ed era certa di averli rivisti almeno un paio di volte dopo il suo ricovero.

La prima volta aveva creduto di immaginare quello sguardo leggero nel mezzo della folla. In seguito aveva iniziato a riconoscere quella familiare palla di pelo, osservarla da lontano. In un primo momento aveva pensato di star impazzendo, ma più tempo era passato, più gli occhi di quello strano animale erano apparsi nei luoghi che lei frequentava.
Quel pomeriggio, poi, erano comparsi di fronte a casa sua, accompagnati dal corpo robusto e scattante dell'animale. L'aveva riconosciuto subito dalla lieve curva che prendeva il profilo del muso sul lato sinistro, dallo sguardo attento con il quale la stava osservando, dalla nonchalance con la quale aveva finto di seguire una traccia con l'olfatto giusto un secondo dopo aver incrociato il suo sguardo.

Lo seguì lungo il vialetto, fin oltre la lieve curva che descriveva il giardino del vicino. E fu solamente quando vide la sua coda agitarsi appena e scomparire dietro una siepe che decise finalmente di scoprire ciò che aveva cercato di capire per l'intera settimana passata. Infilò gli scarponcini in similpelle al volo, agguantò una camicia a quadri verde e azzurra, prese le chiavi di casa uscendo e sbatté la porta alle sue spalle. Fortunatamente i suoi genitori non erano in casa, altrimenti sarebbe stato difficile spiegar loro per quale motivo un semplice cane dal pelo arruffato l'avesse agitata così tanto.
Una volta fuori, Annabelle iniziò a correre. Bastarono i tre metri di vialetto per sciogliere il nodo alla gola che si portava dietro da sei giorni. Le era mancato poter correre, le era mancata la sensazione di fresco causata dall'aria contro la pelle, le era mancato il rumore ritmico della suola delle scarpe contro il terreno, l'adrenalina che invadeva le sinapsi e liberava angoli della mente che nemmeno era consapevole di avere. Aveva dimenticato quanto fosse semplice per i suoi polmoni espandersi senza paura delle conseguenze, quanto fosse bello poter inspirare senza sentire le lacrime o la consapevolezza bloccare a metà il suo respiro e mutarlo in fatica e singhiozzi. Il piacere di avvertire gli occhi bruciare per lo sforzo, piuttosto che per le lacrime, era passato in secondo piano da quando aveva intrapreso la via del ritorno il venerdì precedente. Realizzò tutto questo in meno di una ventina di metri, fece appena in tempo a voltare l'angolo dell'isolato (la sua era la penultima casa) quando lo vide lì, fermo in mezzo al marciapiede, il muso voltato con insistenza verso di lei e un punto di domanda inespresso nei suoi occhi azzurri.

Aveva arrestato la sua corsa all'istante vendendolo voltare il muso con quello strano sguardo. Lo stesso punto interrogativo si dipinse nel profondo dei suoi occhi. Aveva visto giusto. In quel momento Annabelle si convinse della sua teoria: non aveva mai visto quel cane nel vicinato ed era certa che la politica dello stato riguardo i randagi fosse piuttosto severa. Come sarebbe stato possibile per un cane randagio seguirla ovunque per sei giorni senza essere notato? Una voce nel profondo della sua mente iniziò ad elencare le ragioni per le quali tutto ciò che stava pensando non aveva senso, né applicazioni nel mondo reale, ma lei scelse volontariamente di ignorarla.

«So chi sei.» Esordì senza nemmeno dover perdere tempo a recuperare il fiato. Lo esalò come un respiro, quasi avesse faticato a tenere dentro di sé quelle parole per troppo tempo. Lo disse guardando il cane negli occhi, in piedi, senza abbassarsi come faceva di solito la gente per parlare con gli animali.
«E non mi interessa se sembro una pazza o se effettivamente lo sono. So che sei lui. So che sei l'uomo che mi ha salvata. Non so come, non so chi, ma so che lo sei.» Sentenziò, cercando di tenere la voce ad un livello tale da non essere sentita dal vicino impiccione che abitava dietro la siepe.
«Non so come tu abbia fatto, né la ragione per la quale tu sia così, ma non ha importanza. Volevo solo dirti che ti ringrazio e che sono in debito con te. Non so se sarei mai riuscita a tornare a casa se... insomma, hai capito.» Si ritrovò ad abbassare lo sguardo per un istante, rivedendo un flash di quei momenti.
Come se volesse scacciarlo dalla mente, si abbassò poggiando un ginocchio a terra. Cercò il capo del cane con la mano e lo accarezzò guardandolo negli occhi. 

«Grazie, chiunque tu sia.»

Dette quelle parole si alzò e se ne andò, con un principio di sorriso sulle labbra. Mentre tornava correndo verso casa, Annabelle si sentì più leggera, tanto che quando vide il portone di casa ricomparire dietro il muro in cemento azzurro, passò oltre evitando il vialetto e decise di fare il giro dell'isolato. Tornò a concentrarsi sul suo respiro, sui battiti del suo cuore e sul ritmico rumore che producevano le suole delle scarpe sull'asfalto appena bagnato dalla pioggia del mattino. Le chiavi, attaccate al passante dei jeans accompagnavano i suoi passi producendo un suono che di norma l'avrebbe irritata, ma che in quel momento contribuirono a farla sentire a posto. Normale.

Chiudendosi nuovamente la porta alle spalle si ripromise di farlo ogni mattina, o comunque una volta al giorno. Non sarebbe servito a cancellare quello che era successo, ma sapeva che trovare uno scopo, un modo per sfogarsi avrebbe contribuito a darle una ragione per andare avanti e superare quello che i medici avevano definito come “terribile trauma”.
Il fatto che Annabelle non riuscisse ancora a processare e digerire ciò che le era accaduto, non significava che non riuscisse a comprendere le implicazioni di quelle due parole. Lo realizzò quello stesso pomeriggio quando, dopo essere entrata in bagno e aver chiuso la porta dietro di sé, vide la sua immagine riflessa nello specchio incastrato nel telaio della porta. Non aveva avuto occasioni di guardarsi allo specchio dopo quel Venerdì pomeriggio, gli specchi in ospedale raggiungevano a mala pena le dimensioni di un volume dell'enciclopedia universale e lei, in un modo o nell'altro, aveva sviluppato una sorta di timore nei confronti delle superfici riflettenti. Quel giorno, tuttavia, il suo specchio preferito le mostrò ogni, o quasi, conseguenza del “terribile trauma”. Annabelle seguì con lo sguardo ogni cicatrice, ogni livido giallo/verde tracciate sul suo corpo. Si soffermò un istante di più sulle braccia e le gambe che in apparenza avevano pagato di più, poteva quasi contare ogni frammento di istante in quei disegni violenti. Per un intero minuto continuò a ripetere nella mente che forse il fatto che i lividi e le cicatrici si vedessero così bene non fosse un male. Sembrava sciocco un pensiero di quel genere alla luce di ciò che era accaduto, ma annabelle aveva sentito più volte alla televisione e in giro frasi come “che sarà mai” o “in fondo è una cosa naturale, è normale” riferite a casi di stupro e violenza, e in quei casi sapeva che era facile gudicare un qualcosa che non poteva essere visto definendolo come inesistente. Cosa poteva saperne la gente di ciò che si celava nella mente delle persone che l'avevano vissuto? Cosa poteva saperne la gente di come ci si sentiva a essere privati dell'innocenza e della possibilità di decidere del proprio corpo? Come potevano pretendere di aprir bocca in modo così ignobile su un argomento così delicato? Annabelle sapeva che era facile passar sopra tutto ciò che non era visibile, perciò tutti quei toni di giallo, nero e verde sul suo corpo, in quel particolare senso le donavano sollievo. Non potranno mai dire che non è successo o che è stata una cosa che ho voluto... pensò, osservando il suo corpo allo specchio. Chi mai potrebbe volere tutto questo?

Trascorse un tempo interminabile sotto la doccia. Lavò via ogni pensiero lasciando la mente libera di vagare, sfruttando ogni sinapsi le fosse concesso usare. Pianse scivolando lungo le pianelle del bagno fino a immergersi completamente nell'acqua della vasca. Avrebbe voluto usare i sali da bagno, ma l'urgenza di lavare via ogni cosa, ogni idea o pensiero, l'avevano convinta che del semplice bagnoschiuma sarebbe bastato e avanzato.
I suoi genitori tornarono appena in tempo per sentire il Phon spegnersi e la porta del bagno aprirsi.
«Siamo tornati!» la voce del padre arrivò come musica alle orecchie di Annabelle, mentre si preparava ad affrontare le scale che l'avrebbero portata in salotto.
Non aveva la minima idea di come avrebbe superato quella vicenda, ma era certa al cento per cento che le due facce sorridenti che l'accolsero non l'avrebbero lasciata sola.

NDA:

Mi sono resa conto di aver commesso degli errori imperdonabili nella prima stesura della storia. La sto riscrivendo pezzo per pezzo e so che mi odierete a morte perché sono l'eterna ritardataria, ma non potevo portare a termine una storia che conteneva errori imperdonabili riguardo il Canon. Detto ciò, spero che questo primo capitolo vi vada a genio. Fatemi sapere le vostre impressioni tramite le recensioni, solamente così posso migliorare e rendere questa storia migliore.

E se avete consigli o suggerimenti, non esitate a contattarmi. La storia è quasi completa nella mia mente, ma non è detto che non sia disposta a modificare qualcosa o a migliorare quello che già c'è.

Nel frattempo ci tengo a ringraziare chi ha commentato la versione passata e chi commenterà o apprezzerà la versione attuale. GRAZIE mille a tutti <3

   
 
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