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Autore: Portman98    26/07/2013    4 recensioni
Cosa succederebbe se la realtà in cui viviamo fosse completamente capovolta? La riusciremmo ad accettare oppure impazziremmo? Ma se in gioco ci fosse un bene più grande...
Stavolta per sconfiggere il loro nemico le guerriere Sailor dovranno oltrepassare non solo il tempo e lo spazio, ma la loro stessa realtà!
Riusciranno a superare e conoscere i loro lati "oscuri"? Sopravvivranno gli amori, le amicizie, oppure tutto si perderà nella pioggia?
Questa è la prima fanfiction che scrivo, per cui abbiate pietà... nasce da un'idea comica, ispirata ovviamente da Heles, però spero che questa storia mantenga almeno un po' di quella suspance, di quel romanticismo e di quell'avventura che rendono il manga insuperabile.
Spero vi piaccia...
P. S. Le recensioni sono ben accette, aiutatemi a migliorare.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Crack Pairing | Personaggi: Haruka/Heles, Mamoru/Marzio, Michiru/Milena, Un po' tutti, Usagi/Bunny | Coppie: Endymion/Serenity, Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi, Seiya/Usagi
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dopo la fine
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Ciao a tutti, spero che questo nuovo capitolo vi piaccia!! Non so se nella vera Tokyo esista davvero una periferia tanto degradata, la descrizione è solo un modello ai fini della storia, che si rapporta alle grandi città che finora ho visto.
 Chiarito questo, buona lettura! E mi raccomando recensite, il vostro parere per me è molto importante!


Capitolo V. Il presagio
Mondo parallelo
1 giorno dopo
Per chi era abituato a passeggiare per le vie luminose e opulente della Tokyo che il mondo conosceva, scoprirne il lato grigio e cupo dei bassifondi era un vero shock. Qui gli imponenti grattacieli non distendevano le loro lunghe ombre sulla città, le loro punte vitree e luccicanti non si perdevano nel grigiore dello smog, i caratteri colorati delle insegne piano piano si spegnevano, lasciando il posto a scritte consumate e manifesti ingialliti. L’asfalto era punteggiato da macchie di verde incolto, sulle piastrelle spezzate dei marciapiedi giacevano uomini inerti affiancati dalle loro fedeli bottiglie, qualche cartaccia si muoveva sospinta dalla brezza, i mozziconi di sigaretta condividevano il loro dominio con capannelli di formiche, che si affollavano attorno agli avanzi di cibo e, a volte, anche con qualche topo.
L’unico edificio a distinguersi in quell’ammasso di costruzioni fatiscenti e muri senza intonaco era il carcere. Torreggiava cupo dall’alto della sua collinetta, come l’antipodo della Star Light Tower, osservando vigile la vita che scorreva in quei sobborghi dimenticati dal tempo. Le sue mura scure rifulgevano la luce del sole calante e la sua figura si stagliava lugubre contro il cielo, proteggendo, al suo interno, ogni genere di colpe non espiate. Lì riposava il male di Tokyo, ma era grazie al carcere che si reggeva la maschera scintillante della capitale del Giappone.
Il ticchettio costante degli stivali di Heles riecheggiava sinistro nella strada vuota, si spandeva insistente, fino a perdersi nel tramonto, rimbalzando sulle lunghe file di case ingrigite dai fumi delle fabbriche.
Heles gettò uno sguardo perplesso alla sua gonna rosa, poi allo scenario circostante notando che contrastavano di netto; le pareva di camminare in uno di quei classici in bianco e nero che tanto amava, solo che immensamente più triste, come un pallido riflesso della Tokyo dei tempi migliori.
Si strinse a disagio nel cappotto, gettandosi alle spalle occhiate circospette. Si sentiva spiata da occhi invisibili, occhi che le strillavano silenziosamente la sua inadeguatezza, dopotutto era un’intrusa in quel quartiere malandato.
Una sagoma nera e indistinta passò rapida davanti ai suoi piedi arrestando la sua corsa poco più in là, Heles si ritrasse istintivamente distinguendo la coda di un topo che s’infilava nella bocca scura di un bicchiere abbandonato in mezzo alla strada. L’animale ricomparve poco dopo col muso sporco di un liquido appiccicoso, poi avanzò di qualche passo verso di lei, Heles indietreggiò inorridendo. Il topo squittì ed Heles indietreggiò ancora, muovendosi con cautela, quasi temesse una reazione inaspettata dell’animale.
Forse era una sua impressione, ma negli occhi vitrei del topo brillava una sorta di sguardo famelico, la scrutavano avidi come si fa con una preda, la sua piccola lingua passava ripetutamente sui baffi in maniera piuttosto inquietante, mentre il suo naso carpiva l’aria smanioso…
Probabilmente era tutto frutto della sua fantasia, ma in quell’universo grigio e irreale poteva esistere di tutto, anche topi cannibali! In rapida successione le scene più raccapriccianti si profilarono davanti ai suoi occhi, e nessuna aveva come protagonista il topo. Non riuscendo a soffocare le grida che le erano salite in gola, chiuse gli occhi indietreggiando disperata, peccato che la sua coraggiosa ritirata venne arrestata da un nemico implacabile… il marciapiede.
Heles cadde rovinosamente tra strilli e urla, dibattendosi in preda al panico sulle piastrelle spezzate del marciapiede. Gli occhi ancora chiusi, i capelli sparsi disordinatamente sul viso, agitava le mani come colpita da una crisi isterica. l topo continuava a squittire galvanizzandosi nella sua vittoria, l’ultimo scherno alla povera guerriera, a cui ogni aiuto veniva negato, gli unici incoraggiamenti che le giungevano dai suoi spettatori erano qualche – Ma che ti prende? Piantala di gridare – per il resto la sua rimaneva una guerra solitaria e incompresa.
- Ehi! Ehi! – forse il suo salvatore si faceva largo nella foresta di rovi e si degnava di darle una mano? Insomma, era da almeno un quarto d’ora che lo aspettava…
- Era ora! – esclamò Heles aprendo gli occhi speranzosa. In realtà rimase piuttosto delusa, quel salvatore non era un gran che, sembrava una specie di emo o qualcosa del genere, il ciuffo candido calato sopra gli occhi, di un verde impressionante, coronati da un velo scuro di matita nera, che faceva sembrare la sua carnagione ancora più chiara, dal naso gli pendeva un grosso pearcing, molto simile a quello della famigerata Milena, sulla maglietta nera campeggiava un grosso teschio bianco dagli occhi infiammati, che si abbinava alle scarpe sgualcite, sovrastate dai pantaloni attillati e scuri.
Non sapeva perché ma quel ragazzo le ricordava molto Seya, solo meno curato… decisamente meno curato!
- E tu chi saresti? –ringhiò lui, dimostrando che il poco gusto che aveva nel vestiario si ripercuoteva anche nelle sue buone maniere.
- Il mio nome è… è – balbettò Heles a metà tra la sorpresa e lo spavento, che fosse capitata in una trappola ben peggiore della precedente?
- Beh non fa niente – rispose lui senza nemmeno darle il tempo di ultimare la frase – Ti basta sapere chi sono io! – abbaiò ancora - Io sono Yaten della banda di Milena e pattuglio questa zona in attesa del ritorno della regina! – disse piegando la testa di lato e alzando il pugno con aria alquanto minacciosa.
- Yaten? Della banda di Milena? – domandò Heles sorpresa. Quindi quello era uno dei due fratelli di Seya! Tuttavia si pentì immediatamente di quell’affermazione, che aveva dato a Yaten uno spunto per continuare il suo entusiasmato monologo.
- Sì, sono proprio io! Yaten, cuore del futuro! In queste zone si parla molto di me! – spiegò con una risata che lasciava intendere tutto il suo potere – E sai che altro si fa in queste zone? – le domandò avvicinandosi pericolosamente al suo viso, Heles scosse la testa ammutolita – Non si strilla! – grido irritato agitando il pugno nell’aria, come a colpire un bersaglio invisibile – L’unica che urla qui è Milena! Perché ha una buona ragione per farlo! Povera regina rinchiusa ingiustamente in una prigione per un crimine che non ha commesso… - sospirò alla fine colmo di tristezza.
- Se la tua “regina” non ha commesso nessun crimine allora perché una ragazza è morta!  - Heles non sarebbe mai stata tanto coraggiosa da pronunciare quelle parole… infatti a farlo, fu Sidjia, l’impavido commissario, che, affacciata al finestrino della volante della polizia, seppur in palpabile ritardo, portò il suo soccorso alla povera combattente.
- Sidjia! – esclamò Yaten con disprezzo girandosi di scatto verso il commissario.
Lei non lo degnò: - Ragazza come ti chiami? –
- Heles – ribatté confusa - Il mio nome è Heles! – ripeté poi con maggiore decisione.
- Heles? – le fece eco Yaten stupito.
- Si sono Heles e tu sei Yaten, il fratello del mio fidanzato! – sbottò Heles stizzita per la reazione del suo interlocutore – Se tu mi avessi lasciato parlare ti avrei spiegato! – continuò ancora non soddisfatta dell’espressione di scusa di Yaten.
- Se avessi saputo… - provò a dire lui.
- No, non se avessi saputo! Ti è mai balenato nella mente il pensiero che in questo razza di posto le ragazze possano essere smarrite o spaventate! – Heles rabbrividì al ricordo dello scontro con il topo.
- Scusate! – li interruppe Sidjia mostrando tutta la sua autorità di commissario di polizia – Yaten, farò finta di non aver sentito niente della tua ennesima scaramuccia – il ragazzo azzardò uno sguardo di sfida, poi borbottò un – Sì – remissivo.
- Quanto a te Heles, giusto? Cosa ci fa una ragazza graziosa come te qui, nei bassifondi? Non mi sembra il posto adatto… - iniziò Sidjia, ma Heles, intuendo la domanda, rispose prima che finisse: - Cerco una persona, dovrebbe trovarsi nel carcere della città, pare che qui la conoscano tutti, il suo nome è Milena  –
Yaten aggrottò la fronte sorpreso – Milena? – per un attimo anche negli occhi di Sidjia passò un ombra di disappunto, ma la donna si affrettò a celarlo - Bene, allora sali in macchina, ti do un passaggio! – propose con un sorriso incoraggiante - Forza Xer falle un po’ di posto! – disse poi rivolta al pastore tedesco che si intravedeva dietro il posto del conducente.
- Oh, grazie – accettò Heles avvicinandosi alla volante della polizia.
- Non posso fare di meno, quando si tratta della fidanzata di un vecchio amico – rispose ammiccando Sidjia con la mano già sull’acceleratore.
- Oh – fu tutto quello che riuscì a ribattere Sidjia mentre saliva in macchina: Seya non le aveva mai detto di avere amici tanto importanti.
– E tu, non voglio più doverti riprendere, ci siamo capiti? –continuò intanto Sidjia rivolgendosi a Yaten, che era rimasto impalato con uno sguardo interdetto, poi spinse l’acceleratore e sfrecciò in direzione del carcere di Tokyo.
Mondo reale
Presente
Sera
La fiamma solitaria brillava nel vuoto del santuario, spandendo il suo velo lieve per la stanza, solo il respiro sopito del silenzio faceva compagnia alla giovane sacerdotessa.
Rea se ne stava inginocchiata davanti al focolare, la testa leggermente reclinata in avanti, osservava ipnotizzata i riflessi fulgidi del fuoco ballare sul legno delle pareti. Là si disegnavano forme arcane, su quei muri prendevano forma tutte le paure ancestrali dell’uomo, si allungavano e si univano nel gioco delle fiamme, componendo il mosaico del futuro. Solo a pochi eletti era concesso di interpretarlo, e Rea era una di questi. Non si limitava a guardare il fuoco, lei era il fuoco: bruciava tra le fiamme, si muoveva insieme a loro spiandone l’anima, sino a carpire il loro significato più profondo.
Ma il fuoco, come ogni cosa ha i suoi tempi, agisce secondo i suoi ritmi e Rea non poteva fare nient’altro che attendere il momento giusto, quello in cui tutto le sarebbe stato chiaro…
Una vampata improvvisa, le fiamme si alzarono di colpo, mentre la pergamena con gli ideogrammi sacri si abbandonava languidamente alle fiamme…
Una visione… Heles, Milena, un muro. Un muro tra le guerriere,  qualcosa le avrebbe divise, forse un mostro? Sì, un mostro, ma estremamente diverso da tutti quelli che finora avevano affrontato, un nemico più intimo di quello contro cui avevano combattuto il giorno prima…
Che centrasse Galaxia? No, qualcuno di più oscuro, più infimo… eppure sentiva che l’imperatrice delle galassie aveva in qualche modo a che fare con quel presentimento.
Poi nient’altro. Solo nero. Le fiamme si spensero di colpo, lasciandola alla pallida luce della luna crescente. Il buio l’avvolse mentre i suoi occhi si abituavano alle tenebre. Fuori soltanto il rumore di qualche auto lontana, il vento accarezzava lievemente l’albero davanti al santuario. Rea cercò invano la quiete nell’ondeggiare sinuoso delle foglie, tuttavia non poteva impedire alla sua mente di vagare di nuovo nei meandri delle fiamme. Ritornava sempre a quel muro tra le guerriere, poi inevitabilmente viaggiava ancora più indietro nel passato, sino a quella mano, quella mano nel vortice…
Non sapeva se fosse stata solo un’allucinazione, forse la caduta aveva giocato alla sua mente un brutto scherzo, forse non era reale… possibile che Marta fosse rimasta impassibile di fronte a quella mano che si allontanava nel vuoto? No, per come conosceva la sua amica, non si sarebbe mai permessa di perdere un uomo così, la Marta che da anni lottava al suo fianco, si sarebbe gettata nel vortice pur di salvare una vita!
Doveva essere di certo stata un’allucinazione! Eppure, i suoi pensieri continuavano a tornare al muro, a quell’immagine inabissata nei contorni confusi del passato…
Il telefono squillò di colpo spezzando i suoi dubbi. Rea trasalì, mentre il suono stridulo si faceva strada nel silenzio del santuario. Si alzò a fatica, le ginocchia le dolevano per il troppo tempo passato in quella scomoda posizione. Attraversò il corridoio e raggiunse la camera antistante, il telefono abbandonato sul pavimento, lampeggiava insistente della chiamata di Bunny. Rea lo raccolse e rispose di malavoglia:
- Bunny, che c’è? Non dirmi che chiami a quest’ora per i compiti? – la voce che le rispose la colse di sorpresa – Marzio! Cosa è successo? Sì, arrivo subito! – chiuse di botto la chiamata, si levò la tunica del tempio e scrisse velocemente un biglietto per il nonno. La sua mano tremava sulla carta rendendo il tratto irregolare e disordinato.
“Dannazione Bunny!” imprecò in preda all’ansia, prima di catapultarsi di corsa fuori dal tempio.
  
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