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Autore: Chi no Yuuki    28/07/2013    1 recensioni
Quattro ragazzi in fuga dalla follia di un giovane e spietato reggente. Saranno accompagnati da uno scostante principe e dalla sua fenice, e da una strana ragazza dai capelli color della neve.
Cavie inconsapevoli di un esperimento che sconvolgerà l'ordine naturale delle cose, saranno in grado di rimettere le cose al loro posto? Vittime di un destino cieco che a volte ha uno strano senso dell'umorismo, impareranno a fidarsi solo delle proprie forze e visiteranno luoghi selvaggi ai confini dei pianeti conosciuti. Impareranno che viaggiare nello spazio non sempre è divertente e apprenderanno sulla propria pelle il significato dell'essere braccati. Accompagnati dal proprio spirito, dovranno affrontare i propri demoni per trovare la soluzione a questo pericoloso gioco.
Bisogna fare in fretta, l'ordine deve essere ristabilito.
// E' la mia prima storia... Ditemi cosa ne pensate, sono curiosa di saperlo, c'è sempre modo di migliorare no?
Genere: Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il veicolo partì, sorvolò silenziosamente quell’ammasso di macerie fumanti che era stata la nostra casa per una vita intera, sebbene non avessimo vissuto ancora molto. Degli assalitori non restava alcuna traccia. Possibile che non avessero subito alcuna perdita? Come erano arrivati lì, se non c’erano segni dell’ atterraggio di alcun mezzo?
Ci allontanammo da quelle immagini dolorose, sorvolando i boschi. Tutto era un mare di verde, pacifico, sereno, alberi e prati si rincorrevano lungo la via, lasciando che la tristezza ci scivolasse addosso così che potessimo ammirare i prodigi di Natura.
Trascorremmo dei giorni di viaggio silenziosi tra le piccole mura dello Skyran, e solo dopo che le nostre menti cominciarono ad urlare per la monotonia quotidiana, decidemmo di scendere a terra e fermarci qualche giorno prima di ripartire.
-scendiamo qui- propose Cassandra scegliendo una splendida radura circondata da alberi. Il verde dell’erba era così brillante, il profumo di terra bagnata penetrante al punto giusto, la temperatura perfetta e c’era persino un raggio di sole ad illuminare il tutto: l’unico su chilometri e chilometri di verde. Sembrava il paradiso, e invece era la porta dell’inferno, o del destino, chissà, la luce sulla testa della rana pescatrice. Non sapevamo cosa avremmo dovuto affrontare e così volevamo fare il pieno di energie in quell’oasi per essere pronti ad ogni evenienza.
Quanto ci sbagliavamo: quella era solo la prima delle nostre disavventure.
-quanto manca alla meta?- chiesi oziosamente distesa.
-due o tre giorni di viaggio credo- mi rispose Daniel dall’altro lato della radura, sbadigliando.
-non ne posso più, vediamo di arrivare in fretta a poggiare definitivamente i piedi per terra, non sopporto quell’aggeggio malefico che ci porta a spasso nel cielo!- sentenziò Cassandra sbuffando rumorosamente. Ridemmo di gusto, la nostra coraggiosissima Cass odiava volare, aveva quasi il terrore dello Skyran, che definiva infernale e inaffidabile.
Mi ero appena appisolata quando un grido acuto ruppe il silenzio ovattato del luogo. Ci voltammo in direzione di chi aveva osato interrompere il nostro riposo e vedemmo Ashley avvolta da una grossa liana appesa ad un albero. Sotto i nostri occhi inorriditi il tronco si aprì, rivelando un ventre buio e cavo, e inghiottì la nostra amica. La trappola era scattata.
Possibile che fosse sempre colpa sua? Per tutta l’infanzia ogni singolo guaio in cui ci eravamo cacciati aveva sempre a che fare con lei!
Altre liane spuntarono da ogni dove, altri tronchi rivelarono le loro avide cavità, la radici si spostarono con sinistri scricchiolii. Non avemmo il tempo di reagire, prima di poterci organizzare fummo catturati. Degli aghi iniettarono qualcosa dentro di noi, e il mondo divenne nero.
≈ ≈ ≈
 
Il mio mondo era freddo, umido, odorava di chiuso e di erbe; qualcosa mi stringeva come se fossi una crisalide nel suo bozzolo, solo che non mi sentivo ‘a casa’, e la stretta aumentava dolorosamente ad ogni accenno di movimento. Mi guardai attorno per quanto possibile, ricordavo la radura, l’urlo, le liane, il dolore e poi nulla più. Daniel sembrava l’unico oltre a me ad essere già sveglio; si muoveva in modo strano, proprio come un grosso bruco infelice. Mi guardò, e sorrise. Quando tentai ancora di muovermi fece segno di ‘no’ con la testa, vigorosamente, poi sibilò: -muoviti lentamente e solo se strettamente necessario; non fare gesti superflui e non parlare ad al alta voce.- io annuii. Le sue labbra mimarono nel buio: ‘armi’ ed io capii con un sorriso complice che non eravamo disarmati. Il tacito piano tra noi era di afferrare le armi, muovendoci con cautela, e di liberarci delle liane, poi fuggire. Ero curiosa e spaventata all’idea di incontrare faccia a faccia le creature che ci avevano fatto prigionieri: per poter vivere in quel buio e umido posto, dovevano essersi indubbiamente adattati, ma come? Era quella la questione che più mi tormentava; cosa mi sarei trovata davanti?
Quasi un’ora dopo, eravamo tutti e tre svegli. Tre, poiché non sapevamo dove fosse finita Ashley. La visibilità pressoché nulla all’interno di quel posto rendeva le cose complicate. D’un tratto si accesero quattro luci, accecandoci.
 Quando ci fummo abituati, notammo che non erano simili né a fiamme né a raggi solari, quanto piuttosto a fuochi fatui; e quella non era l’unica stranezza del posto.
Tutt’attorno a noi erano disposte tecnologie di vario genere, ma dalla funzione, per noi, ignota. A pochi passi, stesa su una corteccia ricurva, cosciente ma legata, c’era la nostra amica; uno strano luccichio le illuminava gli occhi, ma probabilmente ci feci caso solo io, e non senza motivo. Infatti ad attirare l’attenzione dei miei compagni erano le creature deformi che uscivano, proprio in quel momento, da un foro nella parete di terra e radici. Le loro forme erano indubbiamente umane, ma i loro corpi, dai movimenti rigidi, sembravano fatti di muschio, corteccia, su quello che doveva essere il cranio non avevano altro che una lanugine giallo-verdognola, e gli occhi erano due fessure giallo scuro senza iride né pupilla.
Inorridii, pensando a cosa dovevano essere state quelle creature in altri tempi, e cosa saremmo potuti diventare tutti noi se fossimo rimasti lì un secondo di più. Quegli esseri, in altro modo non saprei definirli, mutarono le estremità superiori del loro corpo, ciò che avevano di più simile a delle mani, in lame.
Un brivido gelido mi corse lungo la schiena.
Daniel fu il primo a reagire, liberandosi con un taglio netto, del bozzolo in cui era avvolto, e lanciandosi a liberare Ashley. Io e Cassandra facemmo lo stesso, recuperando poi le armi. Nessuna di quelle creature si aspettava una reazione, ecco perché, forse, non ci avevano spogliati nemmeno delle luxcreatae, utilissimi cristalli che se sfregati tra loro prendono fuoco. Ne lanciai un paio appena prima che sopra le nostre teste si aprisse un varco e nella sala entrasse un largo fascio di luce solare, che ci fece ben sperare.
Avevo, ancora una volta, parlato troppo presto.
Da quel varco ci furono gettati addosso centinaia di insetti la cui specie però, come tutto in quel posto, ci era sconosciuta: viscide creaturine lunghe un palmo di colore brunastro che fu difficile scrollarsi di dosso.
 Le luxcreatae tennero lontano gli uomini-pianta mentre noi quattro ci lanciavamo fuori da quel luogo orribile.
Fuori la situazione non era molto diversa da quella nel cunicolo. Altri uomini-pianta, a decine, facevano di tutto per tenerci in prossimità del buco dal quale eravamo usciti, facevano di tutto per spingerci di nuovo dentro. Fortunatamente per noi non sembravano creature troppo furbe. Più volte riuscimmo ad aprirci un varco nel muro di corteccia e muschio che avevano formato. Lasciavano che le luxcreatae gli arrivassero addosso e incendiassero il muschio che li ricopriva, sfrigolando e fumando a causa dell’umidità. Si lasciavano accecare dal sole; era evidente che non erano stati creati per combattere. Il problema stava però nel loro numero: all’inizio erano solo un paio di decine, ma ogni volta che ne riuscivamo ad aprirci un varco, ne spuntavano altri dai tronchi e dal terreno come funghi a rimpiazzare i caduti.
Ci mettemmo parecchio ad aprirci un varco che durasse più di qualche secondo. Sul terreno i corpi senza vita degli uomini-pianta coprivano l’erba verde che ci aveva adescati laggiù. La scena era decisamente strana: i loro corpi non davano l’idea di cadaveri, era come se morendo si fossero ricongiunti col terreno. Tutto sembrava coperto di tronchi e muschio, come se un fulmine avesse abbattuto in un sol colpo una piccola cerchia di alberi.
 Salimmo a bordo dello Skyran senza esitazione, mettendo in moto il prima possibile; puntammo il pilota automatico verso la sede del corpo di guardia del nord ovest, poi decidemmo di dare un’occhiata alla nostra preoccupante situazione.
Sembravamo quattro giovani con un disperato bisogno di aiuto, e molto probabilmente lo eravamo davvero: coperti di fango e linfa, con gli abiti laceri, feriti e storditi, non eravamo altro che dei fuggiaschi. A turno, senza parlare ci lavammo nell’unico, piccolo, bagno del mezzo, barcollammo sino alle brande e ci addormentammo.
 
≈ ≈ ≈
 
Il giorno seguente intravedemmo dalla cabina di pilotaggio un torrente, e decidemmo di fermarci. Atterrammo su un piccolo spazio erboso. I nervi a fior di pelle non ci permisero di godere del paesaggio sereno né del bel tempo che ci faceva visita dopo essersi fatto tanto desiderare. Per la prima volta ci guardammo in volto, e prendemmo coscienza dell’accaduto. Eravamo spaventati, tesi e pronti a scattare al minimo segnale di pericolo; il non sapere cosa ci aveva catturati e l’incertezza del futuro ci stavano lentamente logorando.
Il senso pratico di guerriero di mio fratello ebbe il sopravvento e certamente ci salvò da una lenta agonia.
-dobbiamo controllare le ferite, e ripartire quanto prima, più ci fermiamo più sarà facile per loro localizzarci.- disse, e si sfilò la casacca per dare l’esempio. Tutte noi facemmo lo stesso, rimanendo con indosso solo il corpetto di pelle ed un paio di sottili calzoni. Senza alcun imbarazzo, poiché ci conoscevamo sin da bambini, controllammo l’uno i corpi degli altri.
Nessuno di noi sembrava avere ferite, eppure ricordavamo bene il combattimento, i graffi e soprattutto i morsi di quegli strani insetti e i fori lasciati dalle spine presenti sulle liane con cui ci avevano legati.
A nessuno di noi sembrava possibile una guarigione tanto precoce, eppure non sapevamo dare spiegazioni logiche a quel fenomeno.
Una spiegazione in effetti c’era, ma non volevamo prenderne atto. Quelle creature avevano cambiato qualcosa nel nostro organismo, non solo Ashley, infatti, aveva qualcosa di strano.
La paura serpeggiò tra noi, e un fruscio ci fece scattare come delle molle. Ci lavammo quanto più velocemente possibile nell’acqua gelida del torrente, ci rivestimmo, riempiemmo le borracce con acqua fresca e ripartimmo a tutta velocità. Vedere il paesaggio che sfrecciava sotto di noi ci faceva credere di poterci allontanare alla stessa velocità dalle nostre paure; ma alle proprie paure non si sfugge mai, l’unica soluzione è affrontarle.
-rallenta! Rallenta! Dannazione Daniel rallenta i motori, qualcosa non va!- urlai contro mio fratello che ridusse la velocità tanto repentinamente che Cassandra finì per terra con un imprecazione degna di un uomo di taverna.
-Cassandra!- la bacchettò l’altra mia amica, e lei le ringhiò contro un altro improperio; era proprio nervosa. Risi, beccandomi un’occhiataccia da entrambe.
-Allora? Cosa c’è che non va?- mi chiese, il pratico e sempre presente a sè stesso, Daniel.
-guarda la mappa, segnala colline coltivate e villaggi, ma sotto di noi…- non terminai la frase. Avevo notato che il paesaggio non era quello segnalato dalla mappa, ma non mi ero presa la briga di guardare quanto fosse differente!
Sotto di noi si estendeva una foresta di strani alberi dalla foglie palmate con bordi seghettati di colore grigio o viola a seconda degli alberi. Queste piante mai viste sembravano seguire i nostri movimenti tendendo le foglie verso lo Skyran.
-Accelera! Accelera! Dannazione Daniel Accelera!- gli urlai ancora, contraddicendomi. Non volevo avere a che fare con altre piante in movimento, ne avevo già avuto abbastanza.
Decidemmo di tacito accordo di far finta di nulla e di andare a riposare a turno. Ero talmente scossa da quella visione che mi lanciai verso la mia brandina e mi addormentai raggomitolata attorno a Mariae che non sapevo bene come, ma sembrava essersi messa in salvo prima della nostra disavventura. Sognai.
  
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