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Autore: sailormoon81    29/07/2013    1 recensioni
La vigilia di Natale ha sempre qualcosa di magico per Usagi. Ma la scomparsa di sua figlia fa cadere la donna in un baratro di disperazione.
Le prime ore dalla scomparsa sono molto importanti per le ricerche, lo sa bene Usagi, e il rincorrersi dei minuti non fa che aumentare l'angoscia e il senso di impotenza che le attanaglia il petto. Dov'è andata la sua bambina? Chi l'ha presa?
Genere: Generale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Chibiusa
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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2. Inganno

 

 

Stava camminando da parecchio, ormai, ed era veramente stanca.

Più di una volta aveva rischiato di perdere di vista la donna con la coda di cavallo e il cappotto nero, ma per fortuna era sempre riuscita ad individuarla di nuovo.

Era arrivata alla stazione di Shinjuku.

Per poco non andò a sbattere contro un’anziana signora con le mani piene di buste natalizie.

Educatamente si scusò e tornò a concentrarsi sulla donna che aveva rubato il portafoglio alla mamma.: stava scendendo le scale, diretta alla stazione.

Riuscì a seguirla fin sopra un vagone molto affollato, e seppur con fatica le si avvicinò il più possibile, facendo attenzione a reggersi ai sostegni.

Dopo tre fermate fu di nuovo in strada, alle calcagna della ladra.

La seguì per sei isolati: lentamente, l’allegria e le decorazioni furono sostituiti da strade buie e deserte; molti palazzi erano coperti di scritte, alcuni lampioni erano rotti, e assi di legno bloccavano l’ingresso a molti androni.

Chibiusa, per la prima volta dall’inizio di quella sua avventura, cominciò a provare paura

Strinse tra le mani il dollaro che le aveva dato la mamma. Lo userò per chiamare la polizia, pensò, dopo che quella signora mi avrà ridato il portafoglio.

Finalmente, la donna si fermò davanti a un vecchio edificio.

Chibiusa fece una corsa e riuscì a impedire, per un soffio, al portone di richiudersi, lasciandola fuori.

Come la strada, anche l’atrio era buio, e c’era nell’aria un cattivo odore, come di cibo andato a male.

E ora che faccio? si chiese.

Lentamente cominciò a salire le scale: non sapeva in quale appartamento abitasse quella donna, ma non poteva tornare indietro a mani vuote.

 

*

 

“Signora Chiba, mi descriva sua figlia.”

Il tono dell’agente di polizia era calmo e rassicurante.

“Ha nove anni, ma sembra più grande. Indossa un cappotto blu scuro.” Seduta a bordo di una volante, con la mano stretta attorno a quella di Hotaru, Usagi cercava di impedire alla sua voce di tremare.

“Di che colore ha i capelli?” la incalzò l’agente.

“Castani… no, rossi. È più un castano ramato in verità, tendenti al rosa… raccolti in due codini, simili alle orecchie di un coniglio, e ha qualche lentiggine sul viso. È molto magra.”

“Per prenderla in giro, la chiamo coniglietto” intervenne una vocina tremante, “ma se torna a casa sana e salva, prometto che non la chiamerò più in quel modo.”

L’agente sorrise in direzione della ragazzina, per poi tornare a concentrarsi su Usagi. “E il suo portafoglio? Pensa a un furto? Oppure può darsi che Chibiusa l’abbia preso mentre lei era distratta, decidendo di fare un giro per i negozi della zona?”

Usagi scosse il capo con fermezza. “Il portafoglio mi sarà caduto dopo che ho dato alle bambine i soldi per l’elemosina. Chibiusa non se ne sarebbe mai andata in giro da sola.”

L’agente Furuhata Motoki annuì.

Vedeva la disperazione negli occhi di Chiba Usagi: non doveva avere più di trentadue-trentaquattro anni, eppure la preoccupazione la faceva sembrare molto più vecchia; i capelli biondi le cadevano morbidi lungo la schiena, e immaginò che fosse stata dal parrucchiere appena poche ore prima. Stretta nel suo cappotto beige, teneva la mano all’altra figlia, Hotaru: entrambe erano spaventate, e lui non poteva dar loro torto. Sapeva che nelle prime ore della scomparsa è importante agire con rapidità, ed era certo che anche la donna lo sapeva.

Avrebbe voluto dare qualche certezza, dire loro parole di conforto, ma si accorse di non esserne in grado; la sola cosa che si sentì di fare, fu una promessa a se stesso: Chibiusa sarebbe tornata a casa in tempo per festeggiare il Natale con la sua famiglia.

 

*

 

Chibiusa accostò l’orecchio ad ogni porta, nella speranza di sentire qualche rumore che l’aiutasse a trovare la donna con la coda di cavallo.

Non seppe come, ma improvvisamente la porta contro cui stava appoggiata si spalancò, facendola vacillare.

“Chi sei, ragazzina?”

Alzò gli occhi fino ad incontrare quelli dell’uomo che aveva dinanzi: sembravano cattivi, socchiusi tanto da sembrare due lame sottili. Anche se indossava vestiti puliti, notò Chibiusa, aveva i capelli lunghi e una barba incolta, come quella che aveva suo papà quando non si radeva per tutto il fine settimana.

La vista della donna che aveva seguito per mezza città le fece ritrovare la parola. “Hai preso il portafoglio della mia mamma” esclamò.

“Senti, senti” commentò l’uomo. “Dammelo, Makoto.” Il suo tono era minaccioso, ma la donna di nome Makoto sembrava volergli tenere testa. “Non so di cosa stia parlando.”

“Ti ho vista io” insistette Chibiusa, “e ti ho seguita per farmelo ridare!”

L’uomo rise apertamente. “Eh brava, ragazzina. Sei un tipo sveglio.” Poi si rivolse ad Makoto. “Non costringermi a prenderlo con la forza.”

Sapendo di non poter fingere, Makoto infilò una mano nella tasca del cappotto che aveva ancora addosso ed estrasse il portafoglio. “Ora hai il denaro, Nephrite. Vattene.”

Chibiusa allungò una mano per prenderlo, ma un’occhiata dell’uomo la fece raggelare.

Con aria interessata, Nephrite contò il denaro e, con un fischio di approvazione, se lo mise in tasca.

“Ti prego, vattene. Hai il denaro, ora…” gemette Makoto, e Chibiusa, sentendo la voce di quella donna tremare, si accorse di avere davvero paura: se solo avesse chiesto aiuto, invece di seguirla!

“Ora tu farai una cosa per me, mogliettina” iniziò Nephrite. “Io ti chiamerò con questo cellulare” ed estrasse l’apparecchio dalla tasca dei pantaloni, “e dirò che voglio costituirmi e che desidero incontrare il mio avvocato alla cattedrale, subito dopo la messa di mezzanotte. Di certo il tuo telefono sarà sorvegliato, ed è bene che tu reciti come si deve la tua parte, perché se solo una cosa dovesse andare storta…” Non completò la frase, ma lanciò un’occhiata eloquente a Chibiusa.

Makoto deglutì a vuoto, riuscendo appena ad annuire.

 

*

 

All’interno di un furgone mal ridotto, fermo al bordo della strada, l’agente investigativo Aino Minako ascoltava attentamente le voci familiari di Nephrite e della sua ex moglie, Kino Makoto.

A quanto sembrava, Nephrite voleva costituirsi. Eppure non serviva un mago per capire che qualcosa non andasse: anche ad un orecchio inesperto, la voce di Makoto sarebbe sembrata un tono sopra la normalità, segno che la donna stava subendo un forte stress emotivo.

“Che ne pensi, Alan?”

Alan Lewis1, dieci anni più grande di Minako, si accarezzò la fronte corrucciata. “Vuole depistarci. Ma non credo che la donna sia sua complice…”

Minako annuì: il collega, dunque, era arrivato alle sue stesse conclusioni.

Nephrite era un tipo pericoloso: tre anni prima non aveva esitato a uccidere a sangue freddo una guardia e ferirne un’altra. Avrebbe dovuto scontare altri sette anni di galera, ma la sera precedente era riuscito ad evadere, pugnalando un secondino, che ora era in bilico tra la vita e la morte.

“Avvertiamo la centrale” disse infine. “Mandiamo qualcuno alla chiesa, nel caso si faccia vivo. Stasera ci sarà tanta gente, e non dobbiamo correre rischi inutili.”

 

*

 

Chibiusa tremava davvero, ora.

Nephrite la voleva portare con lui chissà dove, anche se lo aveva supplicato di lasciarla andare, giurando che non avrebbe raccontato nulla in giro. Per ogni evenienza, aveva tenute incrociate le dita della mano destra, nascoste dietro la schiena.

Anche Makoto aveva cercato di fargli cambiare idea, ma era stata spinta a terra, sbattendo la testa sul pavimento.

Al telegiornale aveva già sentito di bambini rapiti, e sempre aveva detto che, in situazione analoga, lei, Chibiusa Chiba, non si sarebbe certo fatta portare via senza lottare, certa che alla fine avrebbe vinto.

Ma com’era diversa la realtà dalla fantasia.

Sono solo una bambina, pensò. E lui è grande e cattivo, e ha una pistola.

Non oppose resistenza quando Nephrite la sollevò di peso, costringendola a salire sulla scala di sicurezza, né quando la portò sui tetti, passando da un palazzo all’altro, sempre più lontani dalla casa di Makoto.

 

*

 

Il traffico era notevolmente diminuito, nonostante ci fossero ancora in giro persone ferme ad ammirare l’albero di Natale alla Shinjuku Terrace City, o ad osservare le vetrine.

Usagi, stretta alla figlia, non poté fare a meno di colpevolizzarsi per la scomparsa di Chibiusa: se solo fosse stata più attenta, la piccola non si sarebbe allontanata.

Scartò ancora una volta l’ipotesi di un rapimento; rabbrividì impercettibilmente: e se avesse visto qualcuno prendere il portafoglio e avesse deciso di seguirlo?

Hotaru strinse più forte le mani della mamma.

“Sono sicura che la troveremo presto” disse Usagi, sforzandosi a sembrare convincente alle orecchie di Hotaru.

L’agente Furuhata, dai sedili anteriori,  stava comunicando con la centrale di polizia. Ripose la radio e si voltò verso Usagi e Hotaru. “Ci serve una foto della bambina. Ne ha una, per caso?”

“Nel portafoglio” rispose la donna. Ormai non riusciva più a trattenere le lacrime e si nascose il viso tra le mani.

“La nonna ne ha qualcuna” intervenne Hotaru. “Se la chiamiamo ora, potrà prepararle…”

Furuhata annuì compiaciuto. Quella ragazzina sapeva reggere bene alla tensione, per avere solo undici anni…

Dopo dieci minuti nei quali Usagi Chiba si preoccupò di telefonare alla propria madre e spiegarle la situazione, una pattuglia partiva dalla centrale diretta all’abitazione di Tsukino Ikuko.

 

*

 

Chibiusa se ne stava raggomitolata sul sedile del passeggero, impaurita coma mai prima di allora.

“Stai buona qui” le aveva detto l’uomo, “e se qualcuno te lo domanda, io sono tuo padre.”

Chibiusa sapeva che il suo nome era Nephrite, ma non avrebbe mai osato chiamarlo a quel modo.

Il suo stomaco si lamentò rumorosamente, e doveva anche andare al bagno, ma non si sarebbe mai sognata di dire qualcosa: aveva davvero troppa paura…

Sul sedile posteriore dell’auto, che pensò essere stata rubata, erano stati sparsi alcuni pacchi regalo, e lei si immaginò la scena che doveva dare quella situazione se vista dall’esterno: un padre e una figlia di ritorno a casa per festeggiare il Natale, con in auto gli ultimi regali per i familiari.

 

*

 

Il dipartimento di polizia di Tokyo lavorava instancabilmente.

Minako e Alan avevano comunicato i loro sospetti alla Centrale, e tutti gli agenti erano stati allertati.

Qualcosa però continuava a turbare Alan Lewis: dopo aver ascoltato la conversazione tra Makoto e il fratello, e dopo aver comunicato con i loro superiori, i due uomini avevano bussato alla porta di casa Nephrite.

La donna sembrava molto spaventata, molto di più del loro ultimo incontro di quello stesso pomeriggio, ma a prima vista nell’appartamento sembrava non esserci niente di insolito: le pareti erano state da poco colorate di un allegro giallo, e il vecchio divano era stato abbellito con cuscini dai motivi floreali; il piccolo albero di Natale era stato decorato con luci variopinte, e sotto di esso erano stati posati alcuni regali, avvolti in carta dai toni vivaci.

Durante la loro visita, era arrivata la baby-sitter con una bambina di circa quattro anni: sicuramente era la figlia di Makoto.

Alan non aveva potuto non notare come il volto di lei si fosse illuminato alla vista della bambina, e la tensione fosse scivolata via, lasciando il posto a un sorriso sereno: si era convinto, in quel momento, che Makoto non fosse altro che una madre che faceva tutti i tentativi possibili per far trascorrere alla propria figlia un Natale da ricordare.

Eppure, l’istinto diceva ad Alan che c’era qualcosa di diverso che avrebbero dovuto notare. Ma cosa?

Anche se il loro turno terminava alle venti, quando i colleghi bussarono allo sportello del furgone per il cambio, sia Aino che Lewis rientrarono in Centrale: come molti altri agenti, sarebbero anche loro rimasti a disposizione fino al termine della messa di mezzanotte in cattedrale.

Chissà, forse Nephrite si sarebbe davvero fatto vedere…

 

 

Note:

1: Per quanto non mi piacesse come compagno di Minako nell’anime, ho preferito per questa storia affiancarle un “vero” poliziotto: spero mi perdonerete per questa intrusione ;) Inoltre, non conoscendo il reale cognome del ragazzo, ho optato per uno inglese, uno “neutro” se così può dirsi.

Come sempre, un sentito ringraziamento a chi legge e a chi vorrà farmi sapere cosa ne pensa di questa strana avventura di Chibiusa, e grazie a chi ha dedicato un minuto del suo tempo per commentare il capitolo precedente.

A risentirci al prossimo aggiornamento ;)

Bax, Kla

   
 
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