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Autore: __Panda    03/08/2013    4 recensioni
Dal 2 capitolo:
"-Io non andrò sulla Terra. Mi fa schifo quel posto.
-Ancora mi chiedo perché sei qui...
-Senti, lei sa cosa era successo. Io non avevo idea che sarei morto quella notte. Non avevo idea che avrei passato l’eternità con un paio di ali che non posso usare per spiccare il volo qui, tra le nuvole, dove tutto è calmo, in pace... eterno. Non posso usarle. Sono come un uccellino in gabbia. Ma non ho intenzione di tornare sulla Terra a vedere come tutto sia cambiato. Mi dispiace.
-Beh Dave, in realtà avevamo intenzione di sfruttare il tuo talento nascosto."
Questa è la mia prima storia, la pubblico per il piacere di scrivere. Spero che qualcuno entri e legga quello che detta la mia fantasia. çç
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 2.

 




Si sentivano dei passi calmi sulle nuvole. Tutto era calmo ed ordinato. Tutto procedeva come al solito, pacificamente.
Tutto sembrava essere al proprio posto, ma non qualcuno.
Qualcuno, da anni, esibiva il suo bel viso triste. Non ricordava niente, eccetto che il volto della sua amata. Quanto l’amava. E l’aveva lasciata lì, sola.
Quei passi si fermarono in un punto preciso, e un angelo dalle ali dorate cominciò a parlare al signor Qualcuno.

-Avanti, Dave. Smettila di fare il bambino.
-Io non andrò sulla Terra. Mi fa schifo quel posto.
-Ancora mi chiedo perché sei qui...
-Senti, lei sa cosa era successo. Io non avevo idea che sarei morto quella notte. Non avevo idea che avrei passato l’eternità con un paio di ali che non posso usare per spiccare il volo qui, tra le nuvole, dove tutto è calmo, in pace... eterno. Non posso usarle. Sono come un uccellino in gabbia. Ma non ho intenzione di tornare sulla Terra a vedere come tutto sia cambiato. Mi dispiace.
-Beh Dave, in realtà avevamo intenzione di sfruttare il tuo talento nascosto.
-Signore, non capisco.
-Capirai a tempo debito. Ma soprattutto, capirai quando tornerai lì. Perché tu devi tornarci, Dave. Volente o nolente.
-Signore, non riuscirei a sopportare di rivederla felice con un altro. Davvero, almeno non lei.
-Ti manderemo a New York.

Dave sbuffò, e rimase solo. Pensava a tante cose. Guardava le nuvole e le vedeva fluttuare nella testa, non sapeva cosa fare, o pensare.
Era confuso, non riusciva a capire il motivo di una “missione” sulla Terra perch* in fondo era solo un angelo: se non poteva cambiare il suo mondo, non capiva come avrebbe cambiato quello di qualcun altro.
Pensava ancora a lei: la sua lei, quella con i bellissimi occhi azzurri, i capelli mossi, lucenti, il suo accento francese. Lei somigliava ad un angelo, lui no. Aveva occhi e capelli scuri, era un ragazzo come tanti.
Da lassù Dave si sarebbe dovuto sentire il padrone del mondo. Si sarebbe dovuto abituare alla sua eterna esistenza da angelo custode. Che cosa buffa, non è vero, che fosse morto in un incidente in cui nessun “angelo” l’avesse salvato?
Non aveva mai creduto in queste cose, fino a quando non vide le sue ali bianche. Le aveva osservate con stupore, ammirazione e un grande spavento.
Si accorse che erano più grandi di lui, e all’epoca non riusciva a controllarle bene: tante volte aveva ferito un altro angelo, o addirittura sé stesso.

In poco tempo si accorse delle differenze tra il suo aspetto umano e quello angelico, a parte le cose più evidenti ed ovvie, che sono le ali.
Gli angeli non respiravano. Dentro erano completamente vuoti, erano formati dal solo spirito. Lì, sulle nuvole, erano come dei fantasmi. Era una bella sensazione non provare più fame, sete, o sonno. Potevano rimanere svegli tutta la vita a pensare, a ricordare la loro vita passata. Ma Dave non poteva. Non ricordava nulla, al di fuori della sua amata e di due luci che velocemente si avvicinavano.
Passarono i giorni, e lui si decise a partire. Cominciò a salutare tutti gli altri angeli che ancora cercavano la persona da proteggere. Pensava a quanto fosse triste dover lasciare quella che per anni era stata la sua casa. Quel tetto di nuvole lo rendeva tranquillo e a volte dimenticava anche tutta la sofferenza che era costretto a patire a causa dei suoi ricordi, o meglio, ciò che non ricordava.

Era giunto il tempo di scoprire la verità, e Dave era un ragazzo coraggioso, ce l’avrebbe fatta a sopportare altre sofferenze.
 
Così si trovò a passeggiare per Central Park, pensando a quello che aveva scoperto.

Le persone non potevano vedere gli angeli custodi e quelli che si trovavano già sulla terra non potevano vedere i loro simili, ma la cosa che l’ aveva agitato di più era il fatto che lui potesse vedere... dei fili. Tutte le persone avevano legata al proprio mignolo sinistro una cordicella scarlatta molto sottile, quasi trasparente.
Cosa significava? Che senso avevano quei filamenti? Erano tutte domande a cui Dave desiderava avere una risposta, ma pensava che fosse normale. Pensava che tutti gli angeli potessero vederli.

Era strano camminare tra le persone senza essere notato, ma ciò che lo turbava di più era il fatto che si sentisse... solo. Completamente abbandonato.
In lontananza dalle persone e da tutto ciò che è materiale, il mondo sembrava più grande, infinito. Aveva tanto tempo per pensare e guardare New York, ma doveva sbrigarsi a trovare l’essere umano che gli era stato affidato.

Camminava e non sapeva dove si trovasse. Girava per le strade, osservava i nomi delle vie e ascoltava le persone che parlavano, ma non riusciva a trovare il quartiere di Brooklyn;
forse in vita aveva visitato la grande città, ma ormai... non lo sapeva più.
Aveva anche cercato di volare e di utilizzare qualche “potere speciale angelico” invano, eppure era rimasto tanto tempo sulle nuvole. Forse doveva arrivare dall’assegnato per diventare un angelo custode a tutti gli effetti e, quindi, non rimanere una creatura con ali inutilizzabili.
Dave si stava preoccupando, era inquieto e spaventato. Cosa sarebbe successo una volta trovata questa persona? Per proteggerla avrebbe dovuto morire di nuovo? No, impossibile. Era già morto. Forse era stupido, ma pensava che la sua morte gli avesse rovinato la vita. Sì, stava impazzendo. Eccome se stava impazzendo.

Girava la testa a destra e a sinistra, scrutando gli indirizzi e il numero civico di ogni casa. Prima o poi l’avrebbe trovata, sperava più prima che poi... nonostante fosse quasi buio. Confidava nel fatto che gli angeli fossero così luminosi da far luce avanti a sé anche se, in cuor suo, sapeva che non sarebbe stato così.

“Quartiere di Brooklyn” diceva un’insegna. Non ci credeva: ce l’aveva fatta! E rifletteva che finalmente era a tre quarti dell’opera, perché gli avevano detto che l’abitazione dell’assegnato sconosciuto si trovava all’inizio del quartiere.
Ancora continuava ad osservare le case. Vedeva persone che litigavano, che si baciavano, che guardavano un film. Adolescenti che piangevano, sul letto, al computer, al telefono. Gli mancava un po’ quella vita. Pensava a tutto ciò che gli era stato strappato, che aveva perso per sempre; in fondo aveva solo 24 anni quando morì.
Aveva sofferto tanto in cielo a causa dei suoi ricordi perduti. Fossero rimasti almeno quelli...

Nel corso della sua meditazione non si era reso conto che aveva superato la strada in cui si trovava lo sconosciuto, e continuava a camminare. Ad un certo punto, scontrò contro un muro invisibile e cadde a terra. Urlò dal dolore, ma questo subito passò. Si alzò strofinando la mano sulla testa, scompigliando i capelli, e tornò indietro accorgendosi dell’errore.
Trovò la casa. Era piccola, ma di buon gusto; aveva una porta di legno marrone, 2 finestre al piano inferiore e altrettante su quello superiore, ed era verniciata di rosso chiaro tendente al rosa. Pensò che fosse carina. Provò a bussare, ma non sentiva il rumore delle nocche sulla porta. Cercò di farlo nuovamente, una, due, tre volte. Niente.
Alla fine optò per entrare dalla finestra, ma scoprì che erano tutte chiuse tranne la prima al piano superiore. Dato che non poteva volare si arrampicò, ma cadde. Si sentiva davvero, davvero stupido, ma doveva riuscirci. Dopo vari tentativi, ecco che si siede sulla finestra e guarda all’interno della stanza.

C’erano un letto, un armadio, una scrivania piena di libri e fogli, su cui era poggiato un aggeggio elettronico molto strano: non c’era quando era vivo.
Notò anche un orologio bianco di fronte alla parete del letto... Oddio, erano quasi le cinque del mattino.
Finalmente vide lo sconosciuto. O meglio, la sconosciuta. Una bella ragazza... che somigliava tanto alla sua lei. Ma no, non poteva essere lei.
Continuava a guardarla, e c’erano più analogie di quanto avesse notato poco prima, ma ecco che trovò la differenza.

Aveva gli occhi castani. Quelli della sua amata erano chiari. Quelli non li aveva mai dimenticati.





*spazio autrice*
Allooora, questo capitolo l’ho scritto tutto di getto perché ero ispirata. E perché LolaMilka_97 mi ha chiesto di aggiornare.
Ah, a proposito, lei sta scrivendo due storie:
1. La prima su Harry Potter (
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2044881&i=1)
2. La seconda sui vampiri (
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2050076&i=1)
Se vi va, passate!
Qui il nostro Dave è un angioletto triste e smemorato, ma anche un piccolo sperduto in giro per New York xD
Purtroppo non ci sono mai stata, quindi sto facendo taaante ricerche su internet ç_ç... in effetti, ho scelto questa città come buon auspicio per farci un viaggio u.u
Spero che vi piaccia! Fatemi sapere con una piccola recensione se vi va.
 
__Panda (?)
 
  
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